la storia antica delle lingue...

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L'albero genealogico delle lingue indoeuropee può essere fatto ri- salire a una protolingua databile a più di 6000 anni fa. La proto- lingua si divise in dialetti, evolutisi in lingue distinte; queste si scissero a loro volta in generazioni di lingue figlie. Il tocario, una lingua morta asiatica, ha legami con il celtico, un'antica parlata europea. Le somiglianze tra le famiglie balto-slave e quelle indo- -iraniche sono indicative del fatto che esse si siano influenzate vi- cendevolmente prima che i popoli che le parlavano si muovessero, rispettivamente, verso nord e verso sud. Nell'albero, le lingue che non hanno lasciato documenti letterari sono indicate tra parentesi. O co O A N s\)0 o o O ;Pc cc CECO o 5 o 95"1-C\ 1-- \ SCOZZEs o .1> GRECO o —J 9 o 7 O O r > o o (PROTO-INDOEUROPEO) o L z o O O A La storia antica delle lingue indoeuropee no dell'attuale Turchia fino alla Tocaria, nell'attuale Turkestan cinese. Le loro osservazioni, insieme con nuove nozioni di linguistica teorica, hanno resa neces- saria una revisione dei meccanismi del- l'evoluzione linguistica. Il paesaggio descritto dalla protolin- gua, secondo le nuove interpretazioni, deve trovarsi da qualche parte lungo la mezzaluna che segue le coste meridiona- li del Mar Nero, dalla penisola balcanica a sud, attraverso l'antica Anatolia fino alle montagne del Caucaso a nord (si veda l'illustrazione a pagina 78). Qui la rivoluzione agricola produsse l'ecceden- za alimentare che spinse gli indoeuropei a fondare villaggi e città-stato dai quali, circa 6000 anni fa, essi iniziarono le loro migrazioni nel continente eurasiatico e nella storia. Alcune popolazioni invasero l'Anato- / alinguistica, cioè lo studio scientifi- co delle lingue, può risalire a un I passato ancor più remoto di quello testimoniato dai più antichi do- cumenti scritti: attraverso il confronto di lingue imparentate, essa ne ricostrui- sce gli immediati progenitori e risale fino all'antenato comune, la cosiddetta «pro- tolingua». Questa, a sua volta, getta luce sulla vita di coloro che la parla- vano e permette di collocarli nel tempo e nello spazio. Questa scienza si è sviluppata a partire dallo studio della sovrafamiglia linguisti- ca indoeuropea, la più estesa nel mondo per numero di lingue che la compongono e per numero di persone che parlano queste lingue. Quasi metà della popola- zione mondiale parla come prima lingua una lingua indoeuropea; sei delle dieci lingue in cui viene pubblicata la rivista «Scientific American» - inglese, france- se, tedesco, italiano, russo e spagnolo - appartengono a questa sovrafamiglia. Nel corso degli ultimi 200 anni, i lin- guisti hanno ricostruito con sempre mag- giore sicurezza e precisione il lessico e la struttura della ipotetica protolingua in- doeuropea. Nello sforzo di rintracciare i percorsi di diffusione delle varie lingue figlie in Eurasia, essi hanno cercato di risalire alla patria della protolingua stes- sa. I primi ricercatori collocarono questa patria in Europa e avanzarono ipotesi sui percorsi migratori attraverso i quali le lingue figlie si sarebbero evolute in due rami chiaramente distinti, uno orientale e uno occidentale. Le nostre ricerche in- dicano invece che la protolingua ebbe origine più di 6000 anni fa in Anatolia orientale (parte dell'attuale Turchia e Transcaucasia) e che alcune lingue figlie si dovettero differenziare nel corso di migrazioni che le portarono prima in oriente e in seguito in occidente. Il metodo di ricostruzione delle lingue antiche può essere paragonato a quello seguito dai biologi molecolari nella loro indagine volta a comprendere l'evolu- zione della vita. Il biochimico identifica elementi molecolari che svolgono fun- zioni analoghe in specie ampiamente di- vergenti per dedurre le caratteristiche della cellula primordiale da cui si presu- me che queste specie siano discese. Allo stesso modo, il linguista cerca corrispon- denze morfologiche, sintattiche, lessicali e fonologiche tra lingue note per rico- struirne gli immediati progenitori e infi- ne la lingua originaria. Le lingue vive possono essere confrontate direttamen- te; quelle morte ma sopravvissute in for- ma scritta presentano problemi di rico- struzione fonetica che possono essere so- litamente affrontati, per via deduttiva, a partire da evidenze linguistiche interne ed esterne. Le lingue morte che non so- no mai state scritte, invece, possono es- sere ricostruite solo confrontandone i di- scendenti e andando a ritroso, servendo- si delle leggi generali o particolari che regolano le modificazioni fonetiche. La fonologia - lo studio dei suoni che com- pongono le parole - è di estrema impor- tanza per i linguisti storici, perché i sin- goli suoni (fonemi) rimangono general- mente stabili nei secoli, mentre il lessico muta di frequente. Le prime ricerche si basarono sulle lin- gue indoeuropee più familiari agli stu- diosi europei, cioè quelle appartenenti alle famiglie italica, celtica, greca, ger- manica, baltica e slava. Affinità tra que- ste lingue e quelle arie, parlate nella lon- tana India, vennero notate da viaggiatori europei fin dal XVI secolo. Che tutte potessero avere un antenato comune fu ipotizzato per la prima volta nel 1786 da Sir William Jones, un giurista inglese studioso delle culture orientali. Nacque così quella che divenne poi nota come ipotesi indoeuropea e che costituì un po- tente stimolo per i fondatori della lingui- stica storica nel XIX secolo. N`i ella loro ricostruzione dell'originaria lingua indoeuropea, i primi linguisti diedero grande importanza alla legge della rotazione consonantica germanica (in tedesco Lautverschiebung, sposta- mento di suoni), la quale postula che in- tere serie di consonanti si mutino l'una nell'altra nel tempo, in modo prevedibi- le e regolare. Questa legge venne for- mulata nel 1822 da Jacob Grimm, più noto al vasto pubblico per l'antologia di fiabe da lui raccolte insieme al fratello Wilhelm. La legge di Grimm spiegava, tra l'altro, perché nelle lingue germani- che certe consonanti forti fossero rima- ste tali nonostante la loro universale ten- denza a diventare leni. L'insieme delle consonanti sonore leni «b», «d», «g» (ac- compagnate da una vibrazione momen- tanea delle corde vocali), ipotizzato nel- la protolingua, aveva chiaramente dato origine al corrispondente insieme sordo forte «p», «t», «k». Secondo la legge di Grimm, ciò era avvenuto per desonoriz- zazione di queste consonanti («p», per esempio, non è accompagnata dalla vi- brazione delle corde vocali). Così, il san- scrito dhar- è considerato come una for- ma più arcaica rispetto all'inglese draw, a sua volta più arcaico del tedesco tragen (tutti e tre i termini significano «tirare»). Queste regole vennero impiegate per ricostruire l'aspetto fonetico di un voca- bolario indoeuropeo dal quale ricavare anche notizie sul modo di vita di coloro che lo utilizzavano. Le parole descrive- vano un paesaggio e un clima che i lin- guisti inizialmente riferirono a una zona compresa tra le Alpi a sud e il Mare del Nord e il Baltico a nord. Sulla base della documentazione più recente si può ora collocare la probabile zona d'origine delle lingue indoeuropee in Asia occidentale. Tre generazioni di archeologi e linguisti hanno messo in lu- ce e decifrato documenti scritti in una decina di lingue, rinvenuti in siti che van- L'origine comune di queste lingue andrebbe rintracciata in Asia anziché in Europa e quindi non sarebbe più valida la tradizionale distinzione tra ramo orientale e ramo occidentale di questa famiglia linguistica di Thomas V. Gamkrelidze e VjaCeslav V. Ivanov O ‹r Lu LLi LE SCIENZE n. 261, maggio 1990 77 76 LE SCIENZE n. 261, maggio 1990

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L'albero genealogico delle lingue indoeuropee può essere fatto ri-salire a una protolingua databile a più di 6000 anni fa. La proto-lingua si divise in dialetti, evolutisi in lingue distinte; queste siscissero a loro volta in generazioni di lingue figlie. Il tocario, unalingua morta asiatica, ha legami con il celtico, un'antica parlata

europea. Le somiglianze tra le famiglie balto-slave e quelle indo--iraniche sono indicative del fatto che esse si siano influenzate vi-cendevolmente prima che i popoli che le parlavano si muovessero,rispettivamente, verso nord e verso sud. Nell'albero, le lingue chenon hanno lasciato documenti letterari sono indicate tra parentesi.

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(PROTO-INDOEUROPEO)o

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La storia anticadelle lingue indoeuropee

no dell'attuale Turchia fino alla Tocaria,nell'attuale Turkestan cinese. Le loroosservazioni, insieme con nuove nozionidi linguistica teorica, hanno resa neces-saria una revisione dei meccanismi del-l'evoluzione linguistica.

Il paesaggio descritto dalla protolin-

gua, secondo le nuove interpretazioni,deve trovarsi da qualche parte lungo lamezzaluna che segue le coste meridiona-li del Mar Nero, dalla penisola balcanicaa sud, attraverso l'antica Anatolia finoalle montagne del Caucaso a nord (siveda l'illustrazione a pagina 78). Qui la

rivoluzione agricola produsse l'ecceden-za alimentare che spinse gli indoeuropeia fondare villaggi e città-stato dai quali,circa 6000 anni fa, essi iniziarono le loromigrazioni nel continente eurasiatico enella storia.

Alcune popolazioni invasero l'Anato-

/ alinguistica, cioè lo studio scientifi-co delle lingue, può risalire a un I passato ancor più remoto diquello testimoniato dai più antichi do-cumenti scritti: attraverso il confrontodi lingue imparentate, essa ne ricostrui-sce gli immediati progenitori e risale finoall'antenato comune, la cosiddetta «pro-tolingua». Questa, a sua volta, gettaluce sulla vita di coloro che la parla-vano e permette di collocarli nel tempoe nello spazio.

Questa scienza si è sviluppata a partiredallo studio della sovrafamiglia linguisti-ca indoeuropea, la più estesa nel mondoper numero di lingue che la compongonoe per numero di persone che parlanoqueste lingue. Quasi metà della popola-zione mondiale parla come prima linguauna lingua indoeuropea; sei delle diecilingue in cui viene pubblicata la rivista«Scientific American» - inglese, france-se, tedesco, italiano, russo e spagnolo -appartengono a questa sovrafamiglia.

Nel corso degli ultimi 200 anni, i lin-guisti hanno ricostruito con sempre mag-giore sicurezza e precisione il lessico e lastruttura della ipotetica protolingua in-doeuropea. Nello sforzo di rintracciare ipercorsi di diffusione delle varie linguefiglie in Eurasia, essi hanno cercato dirisalire alla patria della protolingua stes-sa. I primi ricercatori collocarono questapatria in Europa e avanzarono ipotesi suipercorsi migratori attraverso i quali lelingue figlie si sarebbero evolute in duerami chiaramente distinti, uno orientalee uno occidentale. Le nostre ricerche in-dicano invece che la protolingua ebbeorigine più di 6000 anni fa in Anatoliaorientale (parte dell'attuale Turchia eTranscaucasia) e che alcune lingue figliesi dovettero differenziare nel corso dimigrazioni che le portarono prima inoriente e in seguito in occidente.

Il metodo di ricostruzione delle lingueantiche può essere paragonato a quello

seguito dai biologi molecolari nella loroindagine volta a comprendere l'evolu-zione della vita. Il biochimico identificaelementi molecolari che svolgono fun-zioni analoghe in specie ampiamente di-vergenti per dedurre le • caratteristichedella cellula primordiale da cui si presu-me che queste specie siano discese. Allostesso modo, il linguista cerca corrispon-denze morfologiche, sintattiche, lessicalie fonologiche tra lingue note per rico-struirne gli immediati progenitori e infi-ne la lingua originaria. Le lingue vivepossono essere confrontate direttamen-te; quelle morte ma sopravvissute in for-ma scritta presentano problemi di rico-struzione fonetica che possono essere so-litamente affrontati, per via deduttiva, apartire da evidenze linguistiche interneed esterne. Le lingue morte che non so-no mai state scritte, invece, possono es-sere ricostruite solo confrontandone i di-scendenti e andando a ritroso, servendo-si delle leggi generali o particolari cheregolano le modificazioni fonetiche. Lafonologia - lo studio dei suoni che com-pongono le parole - è di estrema impor-tanza per i linguisti storici, perché i sin-goli suoni (fonemi) rimangono general-mente stabili nei secoli, mentre il lessicomuta di frequente.

Le prime ricerche si basarono sulle lin-gue indoeuropee più familiari agli stu-diosi europei, cioè quelle appartenentialle famiglie italica, celtica, greca, ger-manica, baltica e slava. Affinità tra que-ste lingue e quelle arie, parlate nella lon-tana India, vennero notate da viaggiatorieuropei fin dal XVI secolo. Che tuttepotessero avere un antenato comune fuipotizzato per la prima volta nel 1786 daSir William Jones, un giurista inglesestudioso delle culture orientali. Nacquecosì quella che divenne poi nota comeipotesi indoeuropea e che costituì un po-tente stimolo per i fondatori della lingui-stica storica nel XIX secolo.

N`i ella loro ricostruzione dell'originaria lingua indoeuropea, i primi linguisti

diedero grande importanza alla leggedella rotazione consonantica germanica(in tedesco Lautverschiebung, sposta-mento di suoni), la quale postula che in-tere serie di consonanti si mutino l'unanell'altra nel tempo, in modo prevedibi-le e regolare. Questa legge venne for-mulata nel 1822 da Jacob Grimm, piùnoto al vasto pubblico per l'antologia difiabe da lui raccolte insieme al fratelloWilhelm. La legge di Grimm spiegava,tra l'altro, perché nelle lingue germani-che certe consonanti forti fossero rima-ste tali nonostante la loro universale ten-denza a diventare leni. L'insieme delleconsonanti sonore leni «b», «d», «g» (ac-compagnate da una vibrazione momen-tanea delle corde vocali), ipotizzato nel-la protolingua, aveva chiaramente datoorigine al corrispondente insieme sordoforte «p», «t», «k». Secondo la legge diGrimm, ciò era avvenuto per desonoriz-zazione di queste consonanti («p», peresempio, non è accompagnata dalla vi-brazione delle corde vocali). Così, il san-scrito dhar- è considerato come una for-ma più arcaica rispetto all'inglese draw,a sua volta più arcaico del tedesco tragen(tutti e tre i termini significano «tirare»).

Queste regole vennero impiegate perricostruire l'aspetto fonetico di un voca-bolario indoeuropeo dal quale ricavareanche notizie sul modo di vita di coloroche lo utilizzavano. Le parole descrive-vano un paesaggio e un clima che i lin-guisti inizialmente riferirono a una zonacompresa tra le Alpi a sud e il Mare delNord e il Baltico a nord.

Sulla base della documentazione piùrecente si può ora collocare la probabilezona d'origine delle lingue indoeuropeein Asia occidentale. Tre generazioni diarcheologi e linguisti hanno messo in lu-ce e decifrato documenti scritti in unadecina di lingue, rinvenuti in siti che van-

L'origine comune di queste lingue andrebbe rintracciata in Asia anzichéin Europa e quindi non sarebbe più valida la tradizionale distinzionetra ramo orientale e ramo occidentale di questa famiglia linguistica

di Thomas V. Gamkrelidze e VjaCeslav V. Ivanov

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Tre serie di occlusive (consonanti prodotte quando il passaggio dell'aria è bloccato) ca-ratterizzavano il protoindoeuropeo. Il modello classico (in alto) ipotizza che una seriefosse sonora (accompagnata da una vibrazione delle corde vocali, come nella «g» di «gat-to»), un'altra fosse sonora e aspirata insieme (con un suono «h» che non si trova in ita-liano) e la terza fosse sorda (come la «c» di «disco»). Nel modello degli autori (in basso),la prima serie era glottalizzata (sorda, formata con la contemporanea occlusione dellaglottide come nella pronuncia londinese delle tt nella parola inglese bottle), la seconda ave-va forme sonore e sonore aspirate e la terza aveva forme sorde e sorde aspirate. Le occlu-sive glottalizzate sono contrassegnate da un apice; quelle mancanti sono tra parentesi.

Le migrazioni e la diffusione culturale portarono la protolinguaindoeuropea al di fuori della patria d'origine (che gli autori col-locano in Transcaucasia) e la frammentarono in dialetti. Alcunisi diffusero a ovest verso l'Anatolia e la Grecia, altri a sud-est,

in Iran e India. Gran parte delle lingue occidentali deriva da unaramificazione orientale che passò intorno al Mar Caspio. Contat-ti con lingue semitiche in Mesopotamia e con lingue cartvelichenel Caucaso portarono all'adozione di numerose parole straniere.

ha da est intorno al 2000 a.C. e diederovita al regno ittita, che ridusse in suopotere tutta l'Anatolia nella prima metàdel secondo millennio a.C. La lingua uf-ficiale di questo Stato fu la prima linguaindoeuropea a giungere alla forma scrit-ta. Agli inizi del nostro secolo, BedfichHroznSi, un linguista attivo alle Univer-sità di Vienna e Praga, decifrò iscrizionicuneiformi ittite su tavolette d'argillarinvenute negli archivi di Stato della ca-pitale, Hattusa, situata 200 chilometri aest dell'attuale Ankara. La bibliotecaconteneva anche tavolette in cuneiformescritte in due lingue imparentate con l'it-tito: il luvio e il palaico. Del luvio si potéseguire l'evoluzione grazie a iscrizionigeroglifiche posteriori, risalenti a dopoil 1200 a.C. , epoca della caduta dell'im-pero ittita. A questa famiglia ritrovata dilingue anatoliche i glottologi aggiunseroil lidio (affine all'ittito) e il licio (affineal luvio), noti da iscrizioni risalenti allafine del primo millennio a.C.

T acomparsa dell'ittito e di altre lingueanatoliche tra la fine del terzo e l'i-

nizio del secondo millennio a.C. fissa unlimite cronologico assoluto per l'epocadi disgregazione della protolingua indo-europea. Dato che in questo periodo laprotolingua anatolica si era già divisa inlingue figlie, i ricercatori ritengono cheessa si sia allontanata dalla genitrice in-doeuropea non più tardi del quarto mil-lennio a.C. e forse molto prima.

Questa deduzione è rafforzata da ciò

che si sa di quella porzione della comu-nità indoeuropea che rimase dopo il di-stacco della famiglia anatolica. Da quel-la comunità vennero le lingue rimastenella storia scritta. La prima a ramificar-si fu la comunità linguistica greco-arme-no-indo-iranica. Questa ramificazionedeve aver avuto inizio nel quarto millen-nio a.C. perché intorno alla metà del ter-zo millennio a.C. la comunità si stava giàdividendo in due gruppi, l'indo-iranico(o ano) e il greco-armeno. Alcune tavo-lette degli archivi di Hattusa dimostra-no che intorno alla metà del secondomillennio a.C. il gruppo indo-iranicoaveva dato origine a una lingua parlatanel regno di Mitanni, lungo la frontierasudorientale dell'Anatolia, lingua già di-versa dall'antico indiano (comunementenoto come sanscrito) e dall'antico irani-co. I testi cretesi e micenei in lineare Bdella stessa epoca del regno di Mitanni,decifrati nei primi anni cinquanta daglistudiosi inglesi Michael G. F. Ventris eJohn Chadwick, risultarono essere scrittiin un dialetto greco fino ad allora scono-sciuto. Anche queste lingue avevano or-mai percorso una strada divergente a suavolta da quella dell'armeno.

Il tocario (o cuceo) costituì un'altrafamiglia linguistica separatasi molto pre-sto dalla protolingua indoeuropea. Il to-cario è una delle lingue indoeuropee dipiù recente scoperta: venne riconosciutonei primi decenni del XX secolo in testiprovenienti dal Turkestan cinese. I testifurono relativamente facili da decifrare

perché utilizzavano una variante dellascrittura brahmi ed erano per lo più tra-duzioni di scritti buddisti già noti.

Abbastanza recentemente, lo studio-so inglese W. N. Henning ha avanzatol'ipotesi che i tocari vadano identificaticon i gutei, citati in iscrizioni cuneiformimesopotamiche (scritte in sumerico e inaccadico, una lingua semitica) che risal-gono alla fine del terzo millennio a.C.,all'epoca della costruzione del grandeImpero di Akkad da parte del re Sar-gon I. Se le teorie di Henning sono cor-rette, i tocari sarebbero stati i primi in-doeuropei a comparire nella storia docu-mentata del Vicino Oriente. Le affinitàlessicali tra il tocario e l'italo-celtico so-no una prova del fatto che le due fami-glie linguistiche erano associate nella pa-tria indoeuropea prima che i tocari ini-ziassero la loro migrazione verso est.

I percorsi divergenti della trasforma-zione linguistica e della migrazione uma-na possono ora essere ricostruiti risalen-do a una convergenza tra la protolinguaindoeuropea e la sua patria. Ciò è resopossibile da quella revisione dei criterifonologici a cui accennavamo in prece-denza. Una caratteristica indiscussa delsistema di suoni della protolingua, peresempio, è l'assenza pressoché totale, osoppressione, di una delle tre consonantilabiali (cioè realizzate fonicamente conle labbra) «p», «b» o «v». Tradizional-mente si pensava che la consonante sop-pressa fosse la «b». Studi successivi difonologia hanno invece indicato che, se

in una lingua manca una delle tre conso-nanti labiali, la cosa meno probabile èche sia quella pronunciata come «b» initaliano e in altre lingue vive europee.

Su questa base decidemmo di riesami- nare l'intero sistema di consonanti

ipotizzato per la protolingua e, già nel1972, ne proponemmo uno nuovo. Lanostra proposta si trova al vaglio di queldibattito attraverso cui, in tutte le scien-ze, si forma il consenso. Il dibattito è oracentrato soprattutto sulle caratteristicheche correlano la protolingua indoeuro-pea con altre grandi famiglie linguistichee che hanno infine iniziato a portare alla

' luce un loro comune antenato.Secondo la teoria classica, le conso-

nanti occlusive - che si pronuncianocompiendo una interruzione del flussoespiratorio proveniente dai polmoni - so-no divise in tre categorie in base al loromodo di articolazione (si veda la partesuperiore dell'illustrazione in questa pa-gina). La consonante occlusiva labiale«b» compare nella prima colonna comeconsonante sonora; le parentesi tondeche la racchiudono indicano in questocaso la sua supposta soppressione. Essaè associata ad altre due consonanti oc-elusive sonore: «d» (dentale, poiché l'oc-clusione avviene appoggiando la parteanteriore della lingua contro la superfi-cie posteriore degli incisivi superiori) e«g» (velare, poiché l'occlusione avvieneappoggiando contro il velo palatino laparte posteriore della lingua).

Nello schema da noi sviluppato (siveda la parte inferiore dell'illustrazio-ne in questa pagina) le consonanti corri-spondenti sono pronunciate con un'oc-clusione a livello della glottide, cioè conuna chiusura della laringe all'altezza del-le corde vocali che blocca improvvisa-mente l'emissione del fiato. Qui appa-re soppressa l'occlusiva labiale sorda(«p'»), che è associata a «t'» e «k'»;(«p'») sta a («b»), rispettivamente sordae sonora, come «t'» sta a «d» e «k'» staa «g». Occlusive glottalizzate si incontra-no in molte differenti famiglie linguisti-che, ma soprattutto nei gruppi linguisticicaucasico settentrionale e caucasico me-ridionale (detto anche gruppo cartveli-co, che comprende lingue come il geor-giano, il mingrelio ecc.). L'occlusione alivello della glottide - che aumenta latensione di articolazione di una conso-nante - tende a lenirsi e a scomparirein moltissime lingue di tutto il mondo.Pertanto, a nostro giudizio, è più proba-bile che sia la «p'» piuttosto che la «b» aessere stata soppressa nella protolinguaindoeuropea.

Ciò che noi denominiamo sistemaglottalico indoeuropeo, e che abbiamocostruito attraverso il confronto fonolo-gico tra le lingue indoeuropee vive equelle storicamente attestate, apparepiù probabile del sistema classico. L'as-senza quasi totale del fonema labiale(«p'») trova una naturale spiegazione fo-nologica in rapporto all'evoluzione delle

altre due occlusive glottalizzate e all'in-tero sistema di occlusive testé illustrato.

D iesaminando il sistema consonanticodella protolingua indoeuropea ab-

biamo anche messo in discussione i per-corsi di trasformazione che hanno por-tato alle lingue indoeuropee storiche.La nostra ricostruzione delle consonantidella protolingua mostra che esse sonopiù vicine a quelle delle lingue germani-che, armena e ittita che non a quelle delsanscrito. Si tratta di un ribaltamentodella concezione classica, secondo cuiqueste lingue avrebbero subito uno spo-stamento fonetico sistematico, mentre ilsanscrito avrebbe conservato fedelmen-te il sistema fonetico originario.

La trasformazione delle consonanti dalingue genitrici a lingue figlie può essereillustrata dalle parole cow («vacca») ininglese e Kuh in tedesco; in sanscrito iltermine per «bue» è gauh, e in greco èboas. Tutte queste parole sono state ri-conosciute come discendenti da un ter-mine indoeuropeo comune per «bue» e«vacca». Questa parola, però, ha formedifferenti nel sistema glottalico e in quel-lo classico. Nel sistema glottalico ha laconsonante sorda *k' wou- (l'asteriscoposto davanti a una parola la designacome appartenente alla protolingua),che la rende foneticamente più vicina aitermini in inglese e tedesco che a quelliin greco e sanscrito.

Invece nel sistema classico la parola è*g wou-, praticamente identica a quella insanscrito. In accordo con la legge diGrimm, la trasformazione di * g wou-nelle lingue germaniche richiederebbe ladesonorizzazione della prima consonan-te da «g» a «k». Il sistema glottalico sem-bra quindi essere il più sensato, in quan-

to elimina la necessità di desonorizzaree mette in relazione le occlusive sordedelle lingue germaniche (tedesco, ingle-se, scandinavo e l'estinto gotico) con oc-elusive sorde glottalizzate dell'ancestra-le protolingua indoeuropea. Da questopunto di vista, le lingue germaniche sonopiù arcaiche del sanscrito e del greco.Analogamente, il sistema glottalico ap-pare più conservativo di quello classico:ha portato la protolingua più vicina adalcune delle sue lingue figlie senza farricorso a difficili trasformazioni fonolo-giche come quella da «g» a «k».

Possiamo inoltre ricavare altre infor-mazioni sui primi indoeuropei da alcuniaspetti del loro lessico, quale è stato ri-costruito. Alcune parole, per esempio,descrivono una tecnologia agricola cherisale al 5000 a.C. A quell'epoca, la ri-voluzione agricola si era diffusa versonord dalle sue zone originarie nella«Mezzaluna fertile», dove le prime testi-monianze archeologiche di coltivazionerisalgono almeno all'8000 a.C. Da que-sta regione, l'agricoltura si diffuse ancheverso sud, dando corpo alle civiltà me-sopotamiche, e verso ovest in Egitto. Itermini indoeuropei per «orzo», «fru-mento» e «lino»; per «mele», «ciliegie»e i rispettivi alberi; per «more» e i lorocespugli; per«uva» e la vite, e i vari at-trezzi per coltivarli e raccoglierli descri-vono un modo di vita sconosciuto nel-l'Europa settentrionale fino al terzo osecondo millennio a.C. , quando appaio-no le prime testimonianze archeologichein questo senso.

Il paesaggio descritto dalla protolin-gua indoeuropea ricostruita è monta-gnoso, come testimoniano le numeroseparole per montagne alte, laghi di mon-tagna e fiumi impetuosi che scendono da

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Petroglifi provenienti dalla Repubblica socialista sovietica dell'Uzbekistan (databili al se-condo o terzo millennio a.C.) forniscono una conferma archeologica alla testimonianza lin-guistica dell'uso dei carri da parte degli indoeuropei. I veicoli su ruote, come quelli qui il-lustrati, facilitavano l'agricoltura e le migrazioni provocate da una crescente fame di terre.

ANGLOSASSONE gumaGERMANICO

PROTOLINGUA LINGUE FIGLIE

ITTITO watar

GRECO hyddrINGLESE water

GERMANICOTEDESCO Wasser

TEDESCO Korn

SANSCRITO gau h

GRECO boús

LATINO bos

INGLESE cowGERMANICO

TEDESCO Ku h

LATINO granumINGLESE corn

GERMANICO

RUSSO zerno

ITTITO tekan

SANSCRITO ksam-

GRECO khtEm

LATINO humus

RUSSO zemlia

TOCARIO saumo

LATINO homoGOTICO guma

ANTICO ALTO TEDESCO gomo

*(acqua)

(terra)

*cl'eghom-(creatura terrestre)

*roPo-(ruota, carro)

SANSCRITO ratha- (carro)

LATINO rota- (ruota)

TEDESCO Rad (ruota)

Le genealogie lessicali sono state rintracciate fin dove arrivano i documenti letterari; peri periodi precedenti, esse vengono ricostruite sulla base di leggi che regolano l'evoluzionedei suoni. Le parole ricostruite sono contrassegnate da un asterisco. Molte lingue indoeu-ropee derivano i termini per «uomo» o «terra» da *dheghom-, una radice della protolingua.

sorgenti montane. Questo quadro non siconcilia con le pianure dell'Europa cen-trale o le steppe a nord del Mar Nero,proposte come patrie alternative per gliindoeuropei. Il lessico, invece, ben siadatta al paesaggio dell'Anatolia orien-tale e della Transcaucasia, al quale fada sfondo Io splendore delle montagnedel Caucaso: vi sono parole per «quer-cia di montagna», «betulla», «faggio»,«carpino», «frassino», «salice» o «salicebianco», «tasso», «pino» o «abete», «eri-ca» e «muschio». Inoltre, il lessico com-prende nomi per animali estranei all'Eu-ropa settentrionale: «leopardo», «leo-pardo delle nevi», «leone», «scimmia»ed «elefante».

Per inciso, la presenza di una parola

per «faggio» è stata considerata unelemento a favore delle pianure europeee contro il basso Volga nelle ipotesi dicollocazione della patria indoeuropea.Non vi sono faggi, in effetti, a estdella linea che va da Danzica all'angolonordoccidentale del Mar Nero. Due spe-cie di faggi (Fagus orientalis e F. sylvati-ca) crescono invece nell'attuale Tur-chia. Contro l'argomento dei faggi vieneavanzato quello delle querce: testimo-nianze paleobotaniche dimostrano chele querce (presenti nel lessico della lin-gua ricostruita) non erano native del-l'Europa settentrionale postglaciale mainiziarono a diffondervisi da sud tra ilquarto e il terzo millennio a.C.

Un altro buon indizio per l'identifica-zione della patria indoeuropea è datodalla terminologia dei trasporti. Ci so-no parole per «ruota» ( * rotho-), «asse»(*hakhs-), «giogo» ( *juk'om) e i mecca-nismi associati. «Cavallo» è *ek»os e«puledro» *pholo-. Alle parti in bronzodel carro e agli utensili con cui si lavora-va il legno duro per costruire i carri cor-rispondono parole che abbracciano tuttoil campo della fusione dei metalli. Alcunipetroglifi (simboli su pietra) trovati nel-l'area che va dalla Transcaucasia allaMesopotamia superiore, tra i laghi Vane Urmia, mostrano le più antiche raffi-gurazioni di carri tirati da cavalli.

La patria ipotizzata per gli indoeuro-pei è , se non l'unica, certamente una del-le regioni in cui vennero compiuti la do-mesticazione del cavallo e il suo sfrutta-mento come animale da tiro nel quartomillennio a.C. Da qui i veicoli su ruotesi diffusero con le migrazioni, nel terzoe nel secondo millennio a.C., verso estin Asia, verso ovest nei Balcani e in unmoto circolare intorno al Mar Nero e dilì verso l'Europa centrale.

Il carro costituisce una significativa te-stimonianza di amalgama culturale, inquanto erano presenti carri nei riti fune-rari e in altri riti religiosi sia degli indo-europei sia dei popoli mesopotamici.Contatti con altre culture dell'Asia occi-dentale sono testimoniati anche dallacondivisione di diversi soggetti mitologi-ci: per esempio, il furto delle mele delleEsperidi da parte di Ercole si ritrova in

racconti analoghi in norreno e in celtico.Tanto le lingue semitiche quanto le in-doeuropee , inoltre , accomunano l'uomocon la terra. In ebraico, adam significa«uomo» e adamah significa «terra»; en-trambe le parole derivano da una radicepresente nella protolingua semitica (sipuò rilevare il gioco etimologico già inGenesi 2,7: «... Dio formò l'uomo dallapolvere della terra». «Uomo» e «humus»vengono, attraverso il latino (homo,humus), da *dheghom-, il termine per«terra» e «uomo» (etimologicamente,«creatura terrestre») nella protolinguaindoeuropea. Il fatto che le lingue indo-europee abbiano le loro radici in Anato-lia orientale è suggerito anche dalla fre-quenza di parole tratte da numerose lin-gue di quella zona: semitico, cartvelico,sumerico e perfino egiziano. Per contro,l'indoeuropeo diede un contributo di pa-role a ciascuna di quelle lingue. Il russoNikolai I. Vavilov, eminente genetistadelle piante, segnalò un esempio illu-minante di scambio di questo genere: ilrusso vinograd («uva»), l'italiano vinoe il tedesco Wein («vino»). Tutti que-sti termini vanno ricondotti all'indoeu-ropeo * woi-no- (o *wei-no-), al proto-semitico * wajnu, all'egiziano wns, alcartvelico * wino e all'ittito wijana.

Dobbiamo ammettere che nel vastoterritorio in cui abbiamo collocato

la patria degli indoeuropei non c'è alcu-na testimonianza archeologica di unacultura che a essi possa indiscutibilmentecollegarsi. Gli archeologi, però, hannoidentificato un gran numero di siti chedocumentano una cultura materiale espirituale simile a quella suggerita dallessico indoeuropeo. La cultura halafia-na della Mesopotamia settentrionale de-corava il vasellame con simboli religiosi- corna di toro e a volte teste di ariete,tutti simboli di virilità, e immagini ritualidi pelli di leopardo - comuni anche al-la cultura un poco posteriore di atal

in Anatolia occidentale, collo-cabile nel settimo millennio a.C. Le dueculture hanno affinità con la successivacultura transcaucasica della regione tra ifiumi Kura e Araks, che comprende laTranscaucasia meridionale, l'Anatoliaorientale e l'Iran settentrionale.

Nei 2000 anni che precedettero lacomparsa della scrittura tra gli indo-europei rimasti nella patria d'origine,il successo della rivoluzione agricolaportò a un'esplosione demografica nellacomunità indoeuropea. Possiamo ipotiz-zare che la pressione esercitata dall'au-mento della popolazione fu la causa del-le successive ondate migratorie di indo-europei verso aree fertili non ancoracoltivate.

La trasposizione linguistica della pa-tria indoeuropea dall'Europa del nordall'Asia minore richiede una drastica re-visione delle teorie sui percorsi migratorilungo i quali si sarebbero diffuse in Eu-rasia le lingue indoeuropee. Così gli ipo-tetici arii, che si diceva avessero portato

la cosiddetta lingua aria, o indo-iranica,dall'Europa all'India - e che vennero«arruolati» come superuomini nordicidalla mitologia nazista - risultano esserepropriamente gli indo-iranici, migrati inmodo ben più plausibile dall'Asia mino-re attorno ai versanti settentrionali del-l'Himalaya per poi scendere, attraversol'attuale Afghanistan, e stabilirsi in In-dia. L'Europa, quindi, è vista come de-stinazione e non come sorgente della mi-grazione indoeuropea.

I popoli di lingua ittita, luvia e di altrelingue anatoliche compirono migrazionirelativamente limitate all'interno dellapatria d'origine e le loro lingue si estin-sero con essi. Le migrazioni, più ampie,dei popoli che parlavano dialetti greco--armeno-indo-iranici iniziarono con la fi-ne della comunità principale di linguaindoeuropea nel terzo millennio a.C.Due gruppi di lingua indo-iranica si di-ressero verso est nel secondo millennioa.C. Uno di essi, che parlava lingue kafi-ri, è sopravvissuto fino a oggi in Nuri-stan sulle pendici meridionali dell'HinduKush, nell'Afghanistan settentrionale.In Five Continents, un libro postumo incui racconta le sue numerose spedizionibotaniche tra il 1916 e il 1933, Vavilovipotizzava che i kafiri perpetuassero for-se «originali vestigia» degli indo-iranici.

Il secondo gruppo di indo-iranici, cheseguì un percorso più meridionale versola valle dell'Indo, parlava un dialetto dacui sono discese le lingue storiche del-

l'India. Il loro primo antenato letterarioè racchiuso negli inni del Rig-Veda, scrit-ti in un'antica variante del sanscrito. Ipopoli indigeni della valle dell'Indo, notigrazie alle scoperte archeologiche effet-tuate nella loro capitale Mohenjo-Daro,vennero chiaramente sopraffatti dagliindo-iranici. Dopo la separazione diquesti ultimi e la loro partenza verso est,la comunità greco-armena rimase per uncerto periodo di tempo nella patria d'o-rigine. Lì, a giudicare dal numero diparole prese a prestito, ebbe contatticon popolazioni che parlavano le linguecartveliche, il tocario e le antiche lingueindoeuropee che in seguito diedero ori-gine alle lingue europee storiche. Da unprestito di questo genere, per la preci-sione dal cartvelico, viene l'omericokArts, «vello».

Una tavoletta bilingue in caratteri cu-neiformi trovata negli archivi di

Hattusa riporta la favola mitologica diun cacciatore, in lingua hurritica (alloragià morta) con una traduzione in ittito.Questa importante scoperta ci ha dato laparola hurritica ashi, da cui chiaramenteproviene il termine omerico askós, «pel-le» o «otre». Prima di migrare verso l'E-geo, i greci presero a prestito la parolaittita kursa, che per uno spostamento fo-nologico molto comune divenne hgírsa,un altro sinonimo per «vello». Questeparole sembrano confermare la convin-zione dei greci che i loro antenati fossero

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AMBIENTE EINQUINAMENTI

LE SCIENZE edizione italiana ch

SCIENTIFIC AMERICAN

ha dedicato all'argomentodiversi articoli:

Il confinamentodelle scorie radioattivedi B. L. Cohen (n. 110)

Il problemadell'anidride carbonica

di G. M. Woodwell (n. 115)

Inquinamento da PCBdi H. Suzuki (n. 116)

Dispersione di inquinantiin atmosfera a scala locale

di D. Anfossi, F. Bossae R. Richiardone (n. 129)

Pioggia acidadi G.E. Likens, R.F. Wright,

J.N. Galloway e T.J. Butler (n. 136)

Contaminazione ambientaleda fonti energetiche

di M. Dall'Aglio (n. 153)

Emissioni accidentalidi radioattività

di S.A. Fetter e K. Tsipis (n. 154)

Effetti biologici di radiazioniionizzanti di basso livello

di A. C. Upton (n. 164)

i licheni: indicatori fisiologicidella qualità dell'aria

di M. Spampani (n. 167)

Anidride carbonica e climadi B. Revelle (n. 170)

Gli effetti sul climadi una guerra nucleare

di R.P. Turco, O.B. Toon,T.P. Ackerman, J.B. Pollack

e C. Sagan (n. 194)

La diossinadi F. H. Tschirley (n. 212)

82 LE SCIENZE n. 261. maggio 1990

venuti dall'Asia occidentale, come siracconta nel mito di Giasone e degli Ar-gonauti, che cercarono il Vello d'oronella Colchide, sulle coste orientali delMar Nero. La prova che i greci giunseroda lì alla loro patria storica getta nuovaluce sulle «colonie» greche sulla costasettentrionale del Mar Nero. Quelle co-lonie possono ora essere considerate an-tichissimi insediamenti risalenti all'epo-ca in cui i greci iniziarono a migrare ver-so la loro patria finale nell'Egeo.

Le lingue europee storiche - quelle chehanno lasciato documenti letterari - te-stimoniano che i dialetti da cui sono di-scese erano penetrati in Asia centrale in-sieme con i tocari. Queste lingue hannomolte parole in comune. Ne è un esem-pio il termine per «salmone», un tempoconsiderato un forte argomento a favoredi una patria nell'Europa settentrionale.Il salmone abbondava nei fiumi balticieuropei, e la parola lox (in tedescoLachs) delle lingue germaniche trovaforse eco in lak-, un termine hindi peruna lacca di colore rosa che richiama ilcolore della carne del salmone. Una spe-cie di salmonide, Salmo frutta, si tro-va nei torrenti del Caucaso, e la radicelak-s- sta per «pesce» sia in forme arcai-che sia in forme più tarde di tocario, cosìcome nelle antiche lingue europee.

La migrazione in Asia centrale di po-poli che parlavano alcuni dei primi dia-letti indoeuropei è indicata da parole cheessi trassero dalla famiglia delle lingueugro-finniche, da cui hanno avuto origi-ne il finlandese e l'ungherese moderni.Sotto l'influenza dell'ugro-finnico, il to-cario subì una completa trasformazionedel suo sistema di consonanti. Terminidelle antiche lingue europee presi chia-ramente a prestito dall'altaico e da altrelingue dell'Asia centrale danno un'ulte-riore testimonianza del soggiorno in queiterritori dei popoli che parlavano quellelingue.

Tornando verso ovest in un movimen-to circolare, gli antichi europei si stan-ziarono per qualche tempo a nord delMar Nero in una comunità con debolivincoli federativi. Non è quindi del tuttoerrato pensare a questa regione come auna seconda patria per queste popola-zioni. Dalla fine del terzo fino al primomillennio a.C., i popoli che parlavanoantiche lingue europee si diffusero gra-dualmente in Europa. Il loro arrivo èdimostrato dall'avvento della cultura se-minomade delle «tombe a pozzo», cheseppelliva i morti in cavità o tumuli.

'antropometria, la scienza della misu-id razione del corpo umano, ha comin-ciato a studiare le corrispondenze dei ca-ratteri fisiognomici degli ittiti, documen-tati dai rilievi di quella civiltà, con quellidi certe popolazioni europee. I nordici,di occhi azzurri e capelli biondi, devonoessere ancora considerati il prodotto diun incrocio tra gli invasori indoeuropeie coloro che li avevano preceduti nell'in-sediamento in Europa. La cultura delle

popolazioni indigene d'Europa è rappre-sentata dalle strutture megalitiche , comequelle di Stonehenge, costruite nelle zo-ne periferiche del continente.

Le lingue dei precedenti abitanti del-l'Europa, con l'eccezione del basco - lin-gua non indoeuropea che ha forse lonta-ne parentele nel Caucaso - vennero som-merse dai dialetti indoeuropei. Quellelingue, però, diedero alle famiglie lingui-stiche storiche dell'Europa contributiche spiegano certe differenze. Nei suoistudi sulle culture megalitiche e la loroscomparsa, come pure sulla diffusionedell'agricoltura a partire dall'antico Vi-cino Oriente, l'archeologo inglese ColinRenfrew ha raggiunto, circa l'arrivo de-gli indoeuropei, conclusioni che si accor-dano benissimo con le nostre (si vedal'articolo Le origini delle lingue indoeu-ropee di Colin Renfrew in «Le Scienze»n. 256, dicembre 1989).

Le nostre deduzioni, che si fondano inmassima parte sulla documentazione lin-guistica, dovranno trovare conferma inricerche archeologiche ancora da com-piere. Senza alcun dubbio il conteggiodelle sostituzioni nelle coppie di basi delDNA delle cellule umane apporterà uncontributo importante alla ricostruzionedell'albero genealogico dei popoli di lin-gua indoeuropea e all'individuazione deipercorsi delle loro migrazioni. Anchel'antropometria e la storia contribuiran-no a delineare il quadro definitivo. Inattesa di un'ulteriore elaborazione e cor-rezione del nostro lavoro, possiamo af-fermare con un alto grado di sicurezzache la zona d'origine degli indoeuropei,la culla di gran parte delle civiltà delmondo, era nell'antico Vicino Oriente:«Ex oriente lux!».

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