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Carlo Zambonelli † Microbiologia e biotecnologia dei vini

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Page 1: Microbiologia e biotecnologia dei vini - Edagricole · 2020-03-23 · microbiologia enologica ai ricercatori di quella sede. Molti anni dopo, un eminente studioso di Bordeaux ebbe

Carlo Zambonelli †

Microbiologia e biotecnologia

dei vini

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3a edizione: ottobre 20031a ristampa della 3a edizione: marzo 20062a ristampa della 3a edizione: ottobre 2015

© Copyright 2015 by «Edagricole - Edizioni Agricole di New Business Media S.r.l.», via Eritrea, 2120157 MilanoRedazione: Piazza G. Galilei, 6 – 40123 Bologna

Proprietà letteraria riservata - printed in Italy La riproduzione con qualsiasi processo di duplicazione delle pubblicazioni tutelate dal diritto d’autore è vietata e penalmente perse-guibile (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633). Quest’opera è protetta ai sensi della legge sul diritto d’autore e delle Convenzioniinternazionali per la protezione del diritto d’autore (Convenzione di Berna, Convenzione di Ginevra). Nessuna parte di questa pubbli-cazione può quindi essere riprodotta, memorizzata o trasmessa con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma (fotomeccanica, fotocopia, elet-tronica, ecc.) senza l’autorizzazione scritta dell’editore. In ogni caso di riproduzione abusiva si procederà d’ufficio a norma di legge.Impianti e stampa: Prontostampa Srl, via Praga, 1 – 20040 Verdellino (BG)Finito di stampare nell’ottobre 2015ISBN-88-506-4962-2

Le microfotografie al microscopio elettronico a scansione sono state eseguite da MARZIA BENEVELLI

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La prima edizione di questo libro è stata conce-pita verso la fine degli anni ’70 del secolo scor-so su richiesta del Prof. Luigi Perdisa, allora pre-sidente della “Calderini - Edagricole”. Il Prof.Perdisa, di cui da studente avevo seguito lelezioni di Economia e Politica agraria nell’annoaccademico 1946-1947, mi spiegò che un pre-cedente libro di Verona e Florenzano del 1958aveva avuto un buon successo ma era esauritoda tempo, ed il settore era scoperto. Per convin-cermi, mi disse anche che per me sa reb be statofacilissimo perché sull’argomento già avevopubblicato diversi articoli che, adeguatamenteampliati, mi sarebbero serviti come traccia. Devo dire che fu facilissimo convincermi manon altrettanto strutturare e scrivere il libro,tanto che la prima edizione è stata ultimata nel1986 e pubblicata nel 1988, quando il Prof.Perdisa era già scomparso. Al momento dellaconsegna del manoscritto, mi sentii in obbligodi comunicare all’editore, il dott. Sergio Perdisanel frattempo succeduto al padre, che l’argo-mento trattato, la microbiologia dei vini, era infase di rapida evoluzione e che, di conseguenza,il libro era destinato ad un rapido invecchia-mento. Per questo motivo, una volta esaurite le3.000 copie della prima edizione, concordam-mo di non procedere alla sua ristampa, ma diprepararne una seconda. La seconda edizione èstata pubblicata nel 1998 ed ha esaurito le sue2.500 copie nel 2003; in accordo con i nuovieditori, si è deciso di non fare ristampe, essen-do troppo numerosi e importanti i nuovi argo-menti e i nuovi problemi nel frattempo emersi.Da queste considerazioni nasce la presente terzaedizione.

Nel corso dei 15 anni circa che intercorrono frala prima e la terza edizione, alcune tecnologiehanno perso l’interesse che avevano suscitato almomento della loro messa a punto, altre si sonodefinitivamente affermate, altre ancora, sonostate proposte; alcuni argomenti hanno esauritola loro carica di originalità e molte, fra le nuovericerche, sono dei rifacimenti di sperimentazio-ni già eseguite in passato. In sede di presenta-zione di questo libro trovo opportuno fare alcu-ne precisazioni sulle scelte che mi sono sentitodi fare.

– Ho deciso di non modificare in modosostanziale le notizie che riguardano le ricer-che e le sperimentazioni più lontane neltempo. Mi è capitato recentemente di legge-re alcune rassegne sintetiche su vari argo-menti e di rilevare la omissione degli studieseguiti prima di una certa data (general-mente prima del 1980, pressappoco), proba-bilmente considerati dagli Autori non suffi-cientemente importanti per essere ricordati(ammesso che essi stessi li conoscessero):come se soltanto quelli attuali fossero scien-tificamente validi. A me sembra che questoatteggiamento possa essere definito, oltre chearrogante ed altezzoso, non privo di qualcherischio: quello di riscoprire cose note già da100 anni.

– Gli studi di microbiologia enologica, untempo pressoché esclusivi di pochi Istituti eLaboratori, oggi vengono eseguiti in tutte leparti del mondo; la letteratura sull’argomen-to è molto ampia e spesso riguarda il settorespecifico soltanto in modo marginale. Ora,

Introduzione dell’autore

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Introduzione

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devo dire che gli editori non amano la biblio-grafia abbondante e spesso chiedono di limi-tarla all’essenziale. Per questo motivo, insede di aggiornamento e limitatamente adalcuni argomenti, ho scelto di citare rassegnesintetiche anziché tutti gli articoli pubblicati.

Mi si permetta poi di fare qualche altra consi-derazione. La microbiologia italiana è semprestata all’avanguardia nel settore enologico; se sileggono alcuni articoli pubblicati alla finedell’800, ad esempio quelli di Passerini, sirimane sorpresi nel constatare quanto sianoattuali ancora oggi; poi, grazie all’opera di GinoDe Rossi, di Tommaso Castelli e di altri studio-si, la scuola italiana di microbiologia enologicaha raggiunto negli anni ’50 i livelli più alti. Alriguardo, mi piace ricordare un aneddoto (ma èun fatto vero) di cui ho avuto notizia da diver-se fonti. All’inizio degli anni ’50, il Prof. Castelli decisedi mandare un suo brillante allievo fresco dilaurea presso il rinomato Laboratorio di enolo-gia di Bordeaux per affinare e completare la suapreparazione nel settore enologico. Il titolaredella borsa di studio, l’allora giovane dott.Corrado Cantarelli, andò a Bordeaux dove sitrovò nella singolare situazione, di imparare sìmolte cose, ma soprattutto di insegnare lamicrobiologia enologica ai ricercatori di quellasede. Molti anni dopo, un eminente studioso diBordeaux ebbe occasione di dirmi “tutto ciòche noi sappiamo di microbiologia enologica cel’ha insegnato Cantarelli”. Accade anche oggi che nostri giovani laureati,mandati ad imparare all’estero, si trovino nellastessa curiosa situazione e che siano loro a gui-dare le ricerche, spiegando il significato delle

sperimentazioni in atto, la modalità di utilizza-zione di tecniche nuove e così via, Questo perdire che la scuola italiana di microbiologia eno-logica è ancora la prima del mondo. Va tuttavia detto che la maggior parte deglistudi dei microbiologi italiani non è ben cono-sciuta dagli operatori del settore; la mancanzadi collegamento fra mondo della ricerca emondo operativo, la cui responsabilità va attri-buita prevalentemente ai ricercatori, è antica edè in fase di ampliamento. Attualmente, essa èdovuta ai criteri che vengono applicati per lavalutazione dell’attività dei singoli ricercatori edegli Istituti, dei Dipartimenti e delle strutturein cui lavorano. La valutazione, basata preva-lentemente sui numeri derivanti dal prestigiodelle riviste sulle quali i lavori vengono pubbli-cati (il cosiddetto Impact Factor = I.F.), costrin-ge i ricercatori ad inviare gli articoli a rivisteinternazionali impor tanti ma inaccessibili almondo della tecnica. Anche molte riviste italia-ne, per non uscire dal giro, hanno dovuto adot-tare la lingua inglese e quelle che ancora pub-blicano in italiano sono evitate dai ricercatoriperché considerate prive di valore in fase divalutazione (per concorsi e per finanziamenti) esuscettibili di saccheggio. Voglio concludere questa presentazione conl’invito, rivolto specialmente ai giovani ricerca-tori italiani, a svolgere attività divulgativa, pub-blicando i loro risultati, magari in forma sinte-tica, anche su riviste italiane che possano infor-mare coloro che operano nel settore enologico.Tutto sommato, quello di aggiornare i tecnici edi fornire un testo di studio per gli studenti èanche la funzione della terza edizione del libroMicrobiologia e Biotecnologia dei Vini.

Carlo Zambonelli

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PARTE PRIMA: Microbiologia dei vini

1. I microbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3

1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 3 1.1.1 Definizione dei microbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 4 1.1.2 I microbi nel ciclo naturale della sostanza organica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 4

1.2 La cellula microbica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 5 1.2.1 La cellula batterica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 5 1.2.2 La cellula dei lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 8

1.3 Lo sviluppo dei microbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 10 1.3.1 Le cellule quiescenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 10 1.3.2 La moltiplicazione cellulare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 10 1.3.3 La coltura pura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 10 1.3.4 I ceppi tipo e le collezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11 1.3.5 Lo sviluppo delle colture pure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12

1.4 Fattori che influenzano lo sviluppo dei microbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 14 1.4.1 La temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15 1.4.2 Il pH del mezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15 1.4.3 La pressione osmotica (la concentrazione zuccherina) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16 1.4.4 La concentrazione salina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16 1.4.5 La pressione meccanica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16 1.4.6 La pressione da gas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16

1.5 La nutrizione dei microbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16 1.5.1 I mezzi nutritivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 17

1.6 Azione dell’aria su microbi e lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 18 1.6.1 Respirazione e fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 19 1.6.2 Bilancio energetico delle cellule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 19 1.6.3 I lieviti e l’aria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 19

1.7 Gli antifermentativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 20 1.7.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 20 1.7.2 Dosi d’impiego degli antisettici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 20 1.7.3 Azione degli antisettici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 21 1.7.4 Resistenza agli antisettici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 21 1.7.5 Tossicità degli antisettici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 21 1.7.6 Cenno di legislazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 22 1.7.7 I principali antisettici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 22

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1.8 La sterilizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 23 1.8.1 La filtrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23 1.8.2 La sterilizzazione a caldo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 24 1.8.3 Pasteurizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 24 1.8.4 Le radiazioni ionizzanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 25 1.8.5 Le alte pressioni meccaniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 25

1.9 La conservazione degli alimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26 1.9.1 Principi generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26 1.9.2 La conservazione degli alimenti per via fermentativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26

2. I lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 29

2.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 29 2.2 La classificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 29

2.2.1 L’identificazione dei generi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 30 2.2.2 L’identificazione delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 30 2.2.3 I lieviti asporigeni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 32

2.3 I lieviti più importanti dal punto di vista enologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 32 2.3.1 Genere Schizosaccharomyces . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 32 2.3.2 Famiglia Saccharomycoidaceae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 33 2.3.3 Famiglia Saccharomycetaceae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 37 2.3.4 Famiglia Candidaceae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 46

2.4 Lo sviluppo dei lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 2.4.1 Influenza della temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 2.4.2 Azione dell’ossigeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 2.4.3 I composti del carbonio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 51 2.4.4 Nutrizione: i composti dell’azoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 53

2.5 La fermentazione alcolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 57 2.5.1 Biochimismo della fermentazione alcolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 57 2.5.2 I prodotti secondari della fermentazione alcolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 58 2.5.3 Altri prodotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61 2.5.4 Gli alcoli superiori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61

2.6 La fermentazione malo-alcolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 64

3. I batteri del vino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 67

3.1 La classificazione dei batteri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 67 3.2 I batteri acetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 68

3.2.1 Caratteristiche generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 68 3.2.2 La classificazione: Famiglia Acetobacteraceae Gillis et De Ley (1980) . . . . . . . » 70 3.2.3 Esigenze dei batteri acetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 72 3.2.4 I mezzi nutritivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 73 3.2.5 Inibitori dei batteri acetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 74 3.2.6 Chimismo della fermentazione acetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 74 3.2.7 Importanza enologica dei batteri acetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 75

3.3 I batteri lattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 76 3.3.1 Caratteristiche generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 76 3.3.2 La classificazione dei batteri lattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 77 3.3.3 La situazione tassonomica attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 78 3.3.4 Esigenze dei batteri lattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 79 3.3.5 I mezzi nutritivi per i batteri lattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 80 3.3.6 Importanza dei batteri lattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 81

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3.3.7 I batteri lattici di interesse enologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 81 3.3.8 Le malattie dei vini provocate da batteri lattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 82 3.3.9 La fermentazione malo-lattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 83 3.3.10 I batteriofagi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 89

4. La fermentazione spontanea dei mosti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 93

4.1 Il mosto d’uva come mezzo nutritivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 93 4.1.1 I lieviti della fermentazione spontanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 93 4.1.2 Ecologia dei lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 95 4.1.3 Origine di Saccharomyces cerevisiae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 98 4.1.4 Il marciume acido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 100

4.2 Le fermentazioni spontanee nella vinificazione tradizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 100 4.2.1 Condizioni operative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 100 4.2.2 Andamento e successione delle fermentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 101 4.2.3 L’influenza della Luna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 102 4.2.4 Le eccezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 102 4.2.5 Lo stato attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 103

4.3 Interventi sulla fermentazione dei mosti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 104 4.3.1 L’impiego di lieviti selezionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 104 4.3.2 Le fermentazioni scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 105 4.3.3 Il metodo super-quattro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 105 4.3.4 La pasteurizzazione dei mosti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 106 4.3.5 L’impiego dell’anidride solforosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 107

4.4 I lieviti “autoctoni” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 108 4.4.1 La selezione di lieviti autoctoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 108 4.4.2 Il Genius loci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 109

PARTE SECONDA: Biotecnologia dei vini

5. I lieviti selezionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113

5.1 Definizione di lievito selezionato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113 5.2 Metodi di selezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113

5.2.1 Selezione con i metodi classici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1145.2.2 Ingegneria genetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 124 5.2.3 DNA ricombinante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125

5.3 Origine della biodiversità naturale di Saccharomyces cerevisiae . . . . . . . . . . . . . . . . » 130 5.3.1 La deriva genetica in Saccharomyces . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1305.3.2 La variabilità in Saccharomyces . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1315.3.3 Rapporti fra animali e lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 131 5.3.4 La diffusione dei lieviti nell’ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 132 5.3.5 Osservazioni sulla origine della biodiversità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 132

5.4 Regolamentazione dei lieviti selezionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 133

6. Le caratteristiche enologiche dei lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 137

6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 137 6.2 Caratteri tecnologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 138

6.2.1 La resistenza all’alcool etilico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 138 6.2.2 Energia di fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 140 6.2.3 La resistenza all’anidride solforosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 141 6.2.4 Le modalità di sviluppo nei mezzi liquidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 144

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Indice generale

VIII

6.2.5 Lo sviluppo a temperature controllate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 151 6.2.6 Il carattere killer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 152

6.3 Caratteri che influiscono sulla qualità dei vini: la produzione dei composti secondari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 153 6.3.1 Produzione di glicerolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 154 6.3.2 Produzione di acido succinico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 154 6.3.3 Produzione di acido acetico (purezza fermentativa) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 154 6.3.4 Produzione di aldeide acetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 156 6.3.5 Produzione di acetoino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 156 6.3.6 Produzione di alcoli superiori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 156

6.4 Caratteri che influiscono sulla qualità dei vini: la produzione di composti dello zolfo . » 157 6.4.1 Produzione di idrogeno solforato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157 6.4.2 Produzione di anidride solforosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 160

6.5 L’azione sull’acido malico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161 6.6 Attività enzimatiche extracellulari ed intracellulari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 162

6.6.1 Attività β-glicosidasica (azione sugli aromi dei vitigni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 163 6.6.2 Attività esterasica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 163 6.6.3 Attività proteasica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 164 6.6.4 Capacità autolitica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 164 6.6.5 Considerazioni finali sui caratteri enologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165

6.7 Importanza dell’autolisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165 6.7.1 I composti azotati dei lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 166 6.7.2 La produzione di autolisato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 167 6.7.3 Composizione dell’autolisato di lievito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 168 6.7.4 Il processo di autolisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 169 6.7.5 Condizioni favorevoli all’autolisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 169 6.7.6 L’autolisi del lievito nel vino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 170

6.8 Saccharomyces uvarum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 172 6.8.1 Caratteri tecnologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 172 6.8.2 Caratteri di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 172 6.8.3 Composizione dei vini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 173 6.8.4 Possibilità di impiego . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 174

6.9 Gli ibridi interspecifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 175 6.9.1 Ibridi uvarum × cerevisiae mesofili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 176 6.9.2 Ibridi uvarum × cerevisiae termotolleranti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 177 6.9.3 Osservazioni sugli ibridi interspecifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 178

7. Biotecnologia della fermentazione dei mosti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 179

7.1 I caratteri dei lieviti e applicazioni enologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 179 7.2 Fermentazione dei mosti in bianco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 179 7.3 Fermentazioni dei mosti in rosso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 180 7.4 Preparazione del mosto-lievito da colture in striscio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 181 7.5 I fermentatori per la moltiplicazione dei lieviti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 183 7.6 I centri di produzione e di distribuzione di mosto-lievito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 184 7.7 L’uso dei lieviti secchi attivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 185

7.7.1 I preparati in commercio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 188 7.7.2 Modalità d’impiego . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 188 7.7.3 La scelta del ceppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 189

7.8 Casi particolari di fermentazione dei mosti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 189 7.8.1 La fermentazione con colture miste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 189

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Indice generale

IX

7.8.2 Fermentazione con lieviti autoctoni selezionati sul campo . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 190 7.8.3 Riduzione della concentrazione di anidride solforosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 190

7.9 Irregolarità ed arresti della fermentazione dei mosti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 193 7.9.1 Ritardi dell’inizio di fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 193 7.9.2 Arresti di fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 194 7.9.3 I composti azotati e le vitamine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 194 7.9.4 Accumulo dei prodotti di fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 195 7.9.5 La temperatura di fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 196

8. Biotecnologie delle rifermentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 199

8.1 Condizioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 199 8.2 La rifermentazione in autoclave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 200

8.2.1 Caratteristiche dei lieviti selezionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 200 8.2.2 Controllo della fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 204

8.3 La rifermentazione in bottiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 205 8.3.1 Caratteristiche dei lieviti selezionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 205 8.3.2 Preparazione delle precolture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 206 8.3.3 Controllo della fermentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 206 8.3.4 I lieviti immobilizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 207 8.3.5 Influenza del lievito sulla qualità degli spumanti. Azione del ceppo . . . . . . . . » 207

8.4 I vini frizzanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 208 8.4.1 Condizioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 208 8.4.2 La rifermentazione in autoclave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 208 8.4.3 I vini frizzanti con rifermentazione in bottiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 209

9. La disacidificazione biologica dei vini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 211

9.1 Considerazioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 211 9.2 La fermentazione malo-lattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 211

9.2.1 Condizioni che favoriscono od ostacolano la fermentazione malo-lattica . . . » 212 9.2.2 Procedimenti per favorire la fermentazione malo-lattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 214 9.2.3 Procedimenti per impedire la fermentazione malo-lattica . . . . . . . . . . . . . . . . » 215 9.2.4 Stimolazione della fermentazione malo-lattica spontanea . . . . . . . . . . . . . . . . » 216

9.3 Fermentazione malo-lattica mediante colture batteriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 216 9.3.1 Scelta della specie e selezione dei ceppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 216 9.3.2 Preparazione delle precolture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 218 9.3.3 I preparati commerciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 219

9.4 La fermentazione malo-alcolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 220 9.4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 220 9.4.2 Fermentazione dei mosti con Schizosaccharomyces . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 220 9.4.3 Rifermentazione dei vini con Schizosaccharomyces . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 221 9.4.4 Fermentazione malo-alcolica con Saccharomyces cerevisiae . . . . . . . . . . . . . . » 223 9.4.5 Fermentazione dell’acido D-malico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 223

9.5 L’autolisi di Oenococcus oeni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 224 9.6 La fermentazione malo-lattica con enzimi e cellule immobilizzate . . . . . . . . . . . . . . . » 225 9.7 Considerazioni conclusive sulla disacidificazione biologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 227

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 229

Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 271

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PARTE PRIMAMicrobiologia dei vini

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1.1 Introduzione

“La fermentazione è una ebullizione causata daspiriti che, cercando una via d’uscita da qualchecorpo e incontrando delle parti terrestri e gros-solane che si oppongono al loro passaggio, fannogonfiare e rarefare la materia fino a quando essisi siano staccati. Ora, in questo distacco, gli spi-riti dividono, assottigliano e separano i principi,rendendo così la materia di natura diversa daquella che era precedentemente” (La fermenta-tion est une ébullition causée par des esprits qui,cherchant issue pour sortir de quelques corps et ren-contrant des parties terrestres et grossières qui s’op-posent à leur passage, font gonfler et raréfier lamatière jusqu’à ce qu’ils soient dérachés. Or, dans cedétachement, les esprits divisent, subtilisent et sépa-rent les principes, de sorte qu’ils rendent la matiéred’une autre nature qu’elle était auparavant). Questa teoria, formulata da Lémery nel 1684 inaccordo col pensiero dei chimici del suo tempo,venne allora definita filosofica e seducente; ebisogna ammettere che seducente lo è statasenza dubbio, se è vero che ancora oggi in tuttele lingue europee il prodotto della fermentazio-ne alcolica, cioè l’alcool, è comunemente chia-mato “spirito”. È chiaro tuttavia che quella citatadi Lémery ed altre definizioni date in epoca pre-pasteuriana, oltre ad essere non vere in assoluto,non hanno portato alcun contributo al progres-so delle scienze. Il merito di aver dato l’esatta interpretazione deifenomeni fermentativi (e non soltanto di questi)è tutto di Louis Pasteur che, raccogliendo edando il giusto significato alle ormai lontanescoperte di A. Van Leeuwenhoek, di L. Spal lan -

za ni ed altri studiosi, con le sue dimostrazionisperimentali diede il colpo di grazia alla teoriadelle generazione spontanea. Pasteur, nato ad Arbois nel 1822, non era me di -co e nemmeno biologo, era un chimico checominciò a far conoscere la propria grande per-sonalità con una serie di studi di cristallografia.Dopo la laurea e dopo gli studi citati, ebbe la cat-tedra di chimica a Strasburgo, per trasferirsi poipresso la facoltà di Scienze a Lilla. Qui, al centrodella regione francese più ricca di industrie, fuinvitato da un industriale, Bigo, a ricercare lecause dei cattivi rendimenti della sua di stil leria.Il figlio di Bigo, che lavorava nel laboratorio diPasteur, ha poi ricordato in una lettera in qualmodo le osservazioni fatte sui liquidi di distille-ria divennero il punto di partenza dell’opera diPasteur sulle fermentazioni: egli ave va constata-to al microscopio che i globuli del fermentoerano rotondi quando la fermentazione era sana(lieviti producenti la fermentazione alcolica),che si allungavano quando la fermentazionecominciava ad alterarsi (presenza di batteri latti-ci), per diventare solo allungati quando la fer-mentazione diventava esclusivamente lattica. Non è possibile riassumere brevemente l’operadi Pasteur, tanto vasta essa è stata. Con lui è natala microbiologia e non c’è argomento che nonabbia trattato: ricordiamo gli studi sulla fermen-tazione lattica, sulla birra, sul vino, su alcunemalattie del baco da seta, sugli anaerobi, sullecause delle malattie infettive degli animali e, daultimo, gli studi sulla rabbia. Una volta debellata, e non senza polemiche, lateoria della generazione spontanea e spianata lastrada, molti altri studiosi completarono l’opera

1 I microbi

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1. I microbi

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di Pasteur dando la giusta interpretazione dell’o-rigine delle malattie infettive e dei vari fenomeniche avvengono in natura ad opera dei microbi.

1.1.1 Definizione dei microbi

Col nome di microbi o microorganismi si defini-scono esseri viventi unicellulari e visibili soltan-to con l’aiuto del microscopio (batteri, lieviti,protozoi e molte alghe) o capaci di formare gran-di strutture multicellulari (molte alghe marine efunghi) costituite da cellule tutte uguali o scar-samente differenziate (mentre le piante e gli ani-mali hanno, alternate con gameti unicellularitransitori, forme adulte costituite da cellule alta-mente differenzate). Sul la base di questa generi-ca definizione, i microrganismi sono distribuitiin tutti i cinque Regni nei quali viene oggi sud-diviso il mondo dei viventi. Tradizionalmente, ilcampo di interesse della microbiologia è limitatosoltanto a batteri, lieviti e muffe, mentre gli altriorganismi sono studiati da materie specifichequali la Zoologia (Protozoologia), la Virologia,l’Algologia e la Micologia. Batteri, lieviti e muffesono organismi lontani fra di loro dal punto divista sistematico, ma hanno in comune molticomportamenti. Ne consegue che, sotto diversiaspetti, ad esempio la metodologia di isolamen-to e di coltura, la modalità di sviluppo ecc.,costituiscono un gruppo piuttosto omogeneo. I microbi hanno in comune anche un’altra pre-rogativa: essi sono, per la maggior parte, etero-trofi e quindi richiedono per lo sviluppo la pre-senza di sostanza organica. In altre parole, la loronutrizione non è del tipo vegetale, ma è piùsimile a quella degli animali; se non che la loroazione decomponente, varia e complessa, sispinge molto più a fondo e comprende anchel’attacco degli animali stessi, vivi o morti, e deiloro prodotti di rifiuto. Ne segue tutto un com-plesso di fatti conosciuti coi più vari nomi(decomposizione, fermentazione, putrefazione,ammuffimento, inacidimento, macerazione ecc.)che hanno in comune la causa determinante, ecioè l’attività dei microorganismi. In conclusio-ne, la sostanza organica, ad opera dei microbi, vasoggetta a un processo di degradazione pertappe successive, con produzione di compostisempre più semplici, che termina con la suacompleta mineralizzazione.

1.1.2 I microbi nel ciclo naturaledella sostanza organica

È noto che i vegetali verdi, sotto l’azione dellaluce, sono capaci di sintetizzare le sostanze or ga -ni che utilizzando elementi facenti parte esclusi-vamente di composti minerali: la CO2 e l’O2,dell’aria atmosferica, l’acqua, i nitrati ed al tri salidel terreno (contenenti solfo, fosforo, po tas sio,calcio, magnesio, ferro, sodio ecc.). Una partedella sostanza organica sintetizzata dal le pianteserve per fini energetici e pertanto, a seguito deiprocessi respiratori, viene mineralizzata; per lamaggior parte esse però sono utilizzate a scopoplastico e sono fissate come co sti tuen ti dellepiante stesse. I vegetali, dunque, estraggonodirettamente dall’ambiente un certo numero dielementi chimici che vengono im mo bi lizzaticome sostanza organica nei loro tessuti. Questa continua sottrazione ha poca influenzasulla disponibilità di certi elementi che in natu-ra abbondano, ma porterebbe al rapido esauri-mento di altri se non avvenisse contemporanea-mente un loro ritorno allo stato minerale. In par-ticolare questo è vero per la CO2 che, presentenell’aria atmosferica in piccola quantità e conti-nuamente sottratta dalle piante, si esaurirebbeben presto se, contemporaneamente alla sintesidella sostanza organica, non avvenisse anche, enella stessa misura, la demolizione della sostan-za organica. Ad evitarne l’accumulo e a provoca-re il continuo riciclaggio della CO2 provvedonoappunto i microorganismi con la loro azionemineralizzante. La mineralizzazione della sostanza organica adopera dei microbi può avvenire senza formazio-ne di intermedi con un unico processo di ossi-dazione oppure per processi fermentativi che sisusseguono l’uno all’altro, non sempre seguendola stessa via: quasi sempre su di un certo mate-riale si possono sviluppare più microbi chedanno origine a fermentazioni diverse: la preva-lenza dell’uno o dell’altra, in definitiva il destinodel materiale, dipende da vari fattori che creanocondizioni favorevoli allo sviluppo iniziale di undeterminato tipo di microbio (temperatura,disponibilità di ossigeno, pH, composizione delmateriale, ecc.). I microbi rappresentano un gruppo di organismiil cui comportamento è estremamente vario e

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1.2 La cellula microbica

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complesso; di conseguenza, la microbiologia èmateria con interessi talmente ampi e differen-ziati da renderne necessaria la suddivisione indiverse branche, ciascuna delle quali sopporta asua volta altre suddivisioni:

– la microbiologia medica si occupa di microbipatogeni per l’uomo e gli animali e dei mezzidi prevenzioni e di lotta;

– la microbiologia del terreno si occupa deimicrobi che con la loro attività influisconosulla fertilità del suolo;

– la microbiologia industriale si occupa di queimicrobi la cui attività è sfruttata per la produ-zione di composti finali delle fermentazioni(ad esempio, alcool etilico, acido lattico, acidocitrico, ecc.) ovvero di antibiotici, di vitamine,di intermedi o di biomasse;

– la microbiologia degli alimenti si occupa diquei microbi che con la loro attività fermenta-tiva provocano trasformazioni utili e graditedegli alimenti (vinificazione, maturazione deiformaggi e degli insaccati, insilamento ecc.) oalterano gli alimenti stessi;

– la microbiologia enologica, che fa parte dellamicrobiologia degli alimenti, si occupa in par-ticolare di quei microorganismi che con laloro attività fermentativa intervengono nelprocesso di vinificazione e che sono o gliagenti della vinificazione stessa o gli agenti dimalattie del vino.

Questi ultimi sono un numero piuttosto ristret-to di mi cro bi che hanno in comune la capacitàdi svilupparsi bene ai bassi valori di pH o,quanto me no, di tollerarli: essi sono i lieviti edalcuni batteri, cioè gli acetici e i lattici. Nel trat-tare ora di alcuni argomenti di microbiologiagenerale non si mancherà di fare riferimenti aquesti mi cro bi e di precisarne, volta per volta, lecaratteristiche particolari, il comportamento, leesigenze.

1.2 La cellula microbica

La cellula è la minima unità dotata di vita.Salvo casi particolari è di piccole dimensioni,tanto che viene misurata in milionesimi dimetro, corrispondenti a millesimi di millime-tro, espressi con il simbolo µm = micrometro (è

bene evitare il simbolo µ = micron). Dal puntodi vista strutturale, oltre che dal punto di vistamorfologico, vi sono notevoli differenze fra lacellula dei batteri (che sono procarioti) e le cel-lule dei lieviti (che sono eucarioti); pertanto, inquesta breve e sommaria trattazione verrannoconsiderate separatamente.

1.2.1 La cellula batterica

Sotto l’aspetto morfologico le cellule batterichesono riconducibili a quattro tipi fondamentali:

– forma sferica o coccica. Le cellule possonoessere singole, accoppiate (diplococchi), incatenella (streptococchi), in gruppi di formacubica (sarcina), in ammassi irregolari (stafi-lococchi): vedi figure 1.1 e 1.2;

– forma a bastoncino o bacillare. Le cellule abastoncino possono essere singole, accop-piate (sempre nel senso della lunghezza) oriunite in catenella o filamenti (vedi figure1.2 e 1.3);

– forma a bastoncino ricurvo o a virgola; – forma a spirale.

Sotto l’aspetto della struttura, nella cellula bat-terica distinguiamo (dall’esterno verso l’inter-no):

– i flagelli. Se presenti conferiscono mobilitàalla cellula;

– le fimbrie o pili. Sono filamenti corti e sottilidi cui è nota l’importanza nei processi ripro-duttivi;

– le capsule. Sono strutture amorfe e gelatinosedi spessore, densità e aderenza alla parete di -ver se da specie a specie e da ceppo a ceppo.Sono costituite da polisaccaridi sintetizzatidal le cellule e sono secreti all’esterno dallecellule stesse. Le capsule sono presenti inmol ti batteri, ma in alcune specie le loro di -men sioni possono essere enormi, di moltevolte superiori a quelle delle cellule stesse.Tale è il caso, ad esempio, dei batteri etero-lattici del genere Leuconostoc che, proprio acausa della formazione di capsule gommose(composte da destrani o fruttosani) possonodare origine alla malattia del vino nota colnome di “filante”. Tale è il caso anche deibatteri acetici le cui capsule di natura cellu-

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Fig. 1.1 - Disposizione delle cellule di forma coccica: a) le cellule si moltiplicano secondo un solo piano e danno origine acatenelle (streptococchi); b) le cellule si moltiplicano secondo due o tre piani ortogonali e danno origine a tetradi o a pac-chetti di forma cubica (sarcine); c) le cellule si moltiplicano secondo piani casuali e danno origine, a grappoli irregolari (sta-filococchi).

Fig. 1.2 - Streptococchi (Streptococcus thermophilus) e lattobacilli (Lactobacillus bulgaricus) dello jogurt.

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1.2 La cellula microbica

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losica danno origine alla cosiddetta “madredell’aceto” (talvolta anche enorme come inAcetobacter xylinum);

– la parete cellulare. È piuttosto spessa e costi-tuita fondamentalmente da acido muramicoche le conferisce rigidità. Differenze di com-posizione esistono fra batteri Gram positivi eGram negativi e sono alla base del diversocomportamento nei confronti di questa colo-razione. La parete cellulare rappresenta unabarriera piuttosto blanda e la permeabilitàdelle cellule dipende quasi completamentedalla membrana citoplasmatica;

– la membrana citoplasmatica. Si trova a ridossodella parete cellulare e svolge diverse funzio-ni fondamentali:

1) è una barriera osmotica impermeabile amolecole di peso superiore a quello dellaglicerina;

2) contiene molti sistemi enzimatici di tra-sporto per vari sali minerali, zuccheri,aminoacidi, ecc. Ogni sistema di traspor-to è specifico per sostanza o per sostanze

af fini. Questo consente ai batteri di assu-mere le sostanze nutritive anche da dilui-zioni molto basse senza che sia alterata lapressione osmotica (molto elevata) delcitoplasma;

3) è anche sede dei componenti del sistematrasportatore di elettroni: citocromi, chi-noni, carotenoidi, enzimi respiratori, ecc.e svolge le funzioni in altri casi svolte daimitocondri;

4) trasporta all’esterno i prodotti di rifiuto abasso peso molecolare ed anche grandimolecole quali gli esoenzimi;

– i mesosomi. Sono introflessioni della mem-brana; la loro funzione è legata al processo dimoltiplicazione;

– i ribosomi. Sono corpuscoli sferoidali la cuifunzione è fondamentale nella sintesi delleproteine;

– inclusioni varie. Sono di discrete dimensioni ecostituite da materiale nutritivo di riserva(glicogene, amido, lipidi);

– il nucleo batterico. Non ha struttura comples-

Fig. 1.3 - Cellule con forma a bastoncino (Lactobacillus helveticus) riunite in catenelle e filamenti.

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sa ed è costituita da un unico cromosomalunghissimo, avvolto su se stesso. Chiamatoanche “nucleoide”, svolge tutte le funzionidel nucleo degli eucarioti;

– plasmidi. Particelle genetiche costituite dafilamenti di DNA che si trovano nel citopla-sma e conducono una esistenza del tuttoindipendente da quella del cromosoma. Iplasmidi sono anch’essi portatori di caratte-ri. Questi elementi genetici talvolta si inte-grano col cromosoma diventandone una par -te: in tale caso assumono il nome di episomi;

– le spore. Un gruppo abbastanza numeroso dibatteri (non i lattici e gli acetici) possiede laprerogativa di formare spore; queste sonosituate sempre all’interno della cellula (unasola spora per cellula), possono trovarsi alcentro o a una estremità ed hanno forma sfe-rica oppure ellittica o cilindrica (Fig. 1.4). Lespore batteriche sono dotate di grande resi-stenza agli agenti chimici e fisici, rappresen-tando organi di conservazione della specienel tempo. La loro resistenza è dovuta allo

spessore della parete, al notevole stato didisidratazione e, probabilmente, alla presen-za di certi composti (acido dipicolinico) chele caratterizzano. Nessun batterio sporigenoha la capacità di sviluppare in vino (a causadel pH troppo basso).

1.2.2 La cellula dei lieviti

I lieviti hanno tipicamente cellula di forma dasferica a ovale o ellittica anche molto allungata;le loro dimensioni variano da un minimo di 2µm fino a un massimo di alcune decine di µm.Se in moltiplicazione, presentano gemmazioniin diversi stadi che le rendono inconfondibili. Sotto l’aspetto della struttura, nelle cellule deilieviti (Fig. 1.5) distinguiamo (dall’esternoverso l’interno):

– la parete cellulare. È divisa in tre strati che,tuttavia, sono in stretta connessione fra di lo -ro; dal punto di vista chimico può essereconsiderata un polimero complesso ed etero-

Fig. 1.4 - Batteri sporificati (Clostridium butyricum) con spore ellittiche subterminali.

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geneo costituito da glucani (sempre presentiin tutte le specie), mannano (assente in alcu-ni generi), chitina, proteine unite fra di lorocon legami S - S. Nella parete cellulare hannosede diversi esoenzimi;

– la membrana citoplasmatica. Aderisce allaparete cellulare, è impermeabile ed è caratte-rizzata dalla presenza di sistemi enzimatici ditrasporto dall’esterno verso l’interno e vice-versa;

– reticolo endoplasmatico. Nel citoplasma deilieviti è presente un reticolo endoplasmaticosimile a quello delle cellule degli animali edelle piante superiori;

– vacuoli. Sono di notevoli dimensioni e visibi-li anche mediante il microscopio ottico;

– i mitocondri. Simili ai mitocondri delle cellu-le degli altri vegetali e degli animali, sonoequipaggiati con enzimi capaci di ossidareva ri substrati e con enzimi che convertonol’energia liberata dalle reazioni ossidative inATP;

– ribosomi. Molto numerosi, svolgono una fun-

zione fondamentale nella sintesi delle protei-ne;

– glicogene. Presente sotto forma di minuscoligranuli, rappresenta il carboidrato di riservadelle cellule;

– nucleo. Non visibile mediante il microscopioottico, ha la struttura tipica del nucleo deglieucarioti;

– plasmidi. I plasmidi sono elementi geneticiche si trovano nel citoplasma, indipendentidal nucleo. Essi, in genere, sono portatori dicaratteri la cui trasmissione non avvienesecondo le leggi della ereditarietà classica.Nella maggior parte dei ceppi di Sac cha ro my -ces cerevisiae è presente un plasmide chiama-to “2 µm circular DNA” (ha una circonferen-za di 2 µm) e che non conferisce alle coltureche lo posseggono alcuna caratteristica: essoviene considerato un tipico esempio di genefine a se stesso. Possono poi essere presentianche altri plasmidi che per le loro caratteri-stiche possono essere impiegati ai fini del-l’ingegneria genetica.

Fig. 1.5 - Struttura di una cellula di lievito: P = parete cellulare; MC = membrana citoplasmatica; R = reticolo endopla-smatico; MT = mitocondri; G = glicogene; L = gocce di lipidi; N = nucleo; V = vacuolo.

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1.3 Lo sviluppo dei microbi

Le cellule microbiche possono sostanzialmentetrovarsi in due stati: a) di inattività o quiescen-za, b) di moltiplicazione.

1.3.1 Le cellule quiescenti

Le cellule quiescenti o dormienti sono cellulevive le cui attività fermentative e metabolichesono sospese. Lo stato di quiescenza, che puòdurare anche molto a lungo e che non è di persé pregiudizievole per la vitalità, cessa quandole cellule vengono a trovarsi in condizione dimoltiplicarsi. Naturalmente il risveglio non èimmediato ma avviene in maniera graduale erichiede un certo tempo. Sono in stato di quiescenza (e di disidratazio-ne) tutte le cellule microbiche presenti nell’ariaatmosferica e che, portate dal vento, vanno aposarsi sui materiali più disparati; sono in statodi quiescenza anche le cellule microbiche che siposano sui grappoli di uva sana, che non pre-sentino rottura degli acini. Nello stesso stato sitrovano anche le cellule nel terreno e nell’ac-qua, quando le condizioni non sono adatte allaloro moltiplicazione (ad esempio: durante l’in-verno nel terreno tutte le attività microbichesono sospese).

1.3.2 La moltiplicazione cellulare

I batteri si moltiplicano tipicamente per scissio-ne (o schizogonia): per questo motivo essi sonochiamati anche schizomiceti. I lieviti invece simoltiplicano generalmente per gemmazione oblastogonia e sono chiamati anche blastomice-ti: impropriamente, perché i lieviti del genereSchizosaccharomyces (di grande interesse enolo-gico) fanno eccezione e si moltiplicano per scis-sione. Va notato che c’è una stretta relazione fra mol-tiplicazione delle cellule e loro attività: soltantoi microorganismi che sono in moltiplicazionesvolgono attività fermentativa. Le cellule chenon si moltiplicano sono in stato di quiescenzae di inattività; le cellule attive sono certamentein moltiplicazione e sono tanto più attive quan-to più è breve il tempo di generazione. Viene

chiamato “tempo di generazione” quello cheintercorre fra l’inizio e il termine della divisio-ne cellulare. Varia da specie a specie e in fun-zione di numerosi fattori da un minimo di 20minuti, per alcuni batteri in condizioni ottima-li, a molte ore.

1.3.3 La coltura pura

Le cellule, moltiplicandosi, danno origine acolture. Viene definita coltura pura quella chederiva dalla moltiplicazione agamica di unasola cellula: per definizione, le colture puresono quindi costituite da una popolazione i cuicomponenti (le cellule) sono tutti uguali fra diloro e uguali alla cellula da cui si sono origina-ti (di cui hanno lo stesso patrimonio eredita-rio). Dal punto di vista botanico è esatto affer-mare che coltura pura è uguale a clone. Una coltura nella quale per un qualsiasi inci-dente od errore si trovino cellule estranee(anche della medesima specie), viene definita“inquinata”. Una coltura che derivi dalla moltiplicazione dipiù cellule della stessa specie o di specie diver-se (come avviene nelle fermentazioni che siaccendono spontaneamente) viene chiamata“mista”. Le colture pure rappresentano la unitàdi studio della microbiologia per la determina-zione delle caratteristiche morfologiche, coltu-rali, fisiologiche, fermentative ecc. Nell’ambitodi ogni specie microbica tutte le innumerevoli epossibili colture pure sono uguali fra di lororiguardo ai caratteri che definiscono la specie,ma sono diverse, anche notevolmente, riguardoad altri caratteri che si potrebbero chiamare divarietà. Le colture pure, più o meno accuratamente stu-diate e caratterizzate ma sicuramente identifica-te come specie, quando entrano a far parte diuna collezione vengono chiamate “ceppi”. Iceppi devono essere contraddistinti da unasigla o da un numero (generalmente quello diregistrazione) che servono a individuarli. Le colture pure si ottengono mediante l’isola-mento, che consiste nel mettere singole cellule,componenti di una coltura mista, in condizionidi moltiplicarsi da sole (in assenza di altre) oben distanziate da altre. Questo risultato si rag-giunge generalmente mediante semine in scato-

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1.3 Lo sviluppo dei microbi

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le di Petri su terreni nutritivi solidi (substratiagarizzati) adatti, nei quali ogni cellula dà ori-gine a una colonia. Le singole colonie, se bendistanziate fra di loro, sono già potenzialmentedelle colture pure: diventano tali dopo il tra-pianto in altro recipiente colturale (Fig. 1.6).

1.3.4 I ceppi tipo e le collezioni

I ceppi tipo sono colture pure rappresentativedelle specie; essi sono fondamentali per gli stu -di di tassonomia in quanto servono come ter-mine di confronto per i ceppi in corso di iden-tificazione. Il confronto con i ceppi tipo assumeparticolare importanza quando si intendanoproporre nuove specie o sottospecie, perché lede scri zioni non sono considerate sufficienti aquesto fine. I ceppi tipo, uno per ogni specie microbica, so -no conservati presso collezioni che hanno an -che, per singole specie, un grande numero dicep pi di varia origine e con varie caratteristi-che. Si tratta di collezioni di servizio che pubblica-no un catalogo con l’elenco delle specie e dei

ceppi disponibili e che, come da definizione,forniscono, a chi ne faccia richiesta, dei servizia pagamento (esiste un prezziario) quali la spe-

Fig. 1.6 - Isolamento di lieviti: a) piastre di YPD seminatecon tre diluizioni differenti di cellule. La forma stellare,molto evidente nelle piastre più rade, è dovuta al fatto chele colonie, inizialmente incluse nel terreno, hanno provo-cato la formazione di fessure; in corrispondenza di questelo sviluppo è continuato; b) singole colonie trapiantate instriscio completano l’isolamento della coltura pura. I ceppisono colture pure individuabili con un numero di regi-strazione.

a)

b)

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dizione di colture microbiche, il riconoscimen-to e la identificazione di colture ed altri. Le più importanti collezioni di microorganismisono le seguenti:

CBS - Centraalbureau voor Schimmelcultures- Osterstraat 1. Barn, Olanda. È una collezionecompleta particolarmente di lieviti e più in ge -ne rale di colture fungine. Ha un catalogo dellecolture; le colture in catalogo possono essererichieste e vengono fornite con corresponsionedi un pagamento (per la verità modesto). Sem -pre a pagamento, identifica anche colture fun-gine (lieviti compresi) inviate da chi si trova inimbarazzo o vuole conferma delle proprie con-clusioni.

ATCC - American Type Culture Collection.12301 Parklawn Drive, Rakville, Maryland20852, U.S.A. È una collezione specializzata inparticolare per colture batteriche, ma è ottimaanche per i lieviti. Come le altre ha un catalogoe fornisce le colture a pagamento.

NCTC - National Collection of Type Cultures,Central Public Health Laboratory, Colindale,Londra, Gran Bretagna.

CIP - Collection de l’Institut Pasteur, Rue duDr. Roux, Paris 15, Francia.

DSM - Deutsche Sammlung von Mikroorga -nismen, Schnitsphanstrasse, Darmstadt, R.EG.(Germania).

DBVPG - Collezione del Dipartimento di Bio -lo gia Vegetale dell’Università di Perugia (Fac.Agraria). È la collezione di lieviti del l’Isti tu to diMicrobiologia Agraria e Tecnica (IMAT) del -l’Università di Perugia cominciata da De Rossi,poi completata da Castelli. At tual men te è lasola nostra collezione microbica di servizio, hacatalogo ed è molto bene organizzata.

In Italia ci sono poi numerose altre collezionipres so istituzioni universitarie e non universita-rie che mantengono ceppi isolati a varie ri pre see che sono oggetto di studi e ricerche in ter ni.Queste collezioni non di servizio sono ric che diceppi molto interessanti. Sono le se guen ti:

– Collezione del Dipartimento di Protezione eValorizzazione Agroalimentare (DIPROVAL)dell’Università di Bologna - Già collezioneIMIA.

– Collezione dell’Istituto di Microbiologiaagraria dell’Università di Sassari.

– Collezione del Centro Lieviti CATEV (exESAVE). Tebano, Faenza.

– Collezione dell’Istituto Sperimentale perl’Enologia (l.S.E.) di Asti.

1.3.5 Lo sviluppo delle colture pure

I microorganismi sono caratterizzati da svilup-po di tipo esponenziale: il che significa che adogni tempo di generazione il numero di cellulesi raddoppia, raggiungendo valori elevatissimimolto rapidamente. Infatti la progressione è tale per cui da una solacellula se ne formano mille dopo 10 generazio-ni, un milione dopo 20 generazioni, un miliar-do dopo 30 generazioni. Ecco perché le coloniediventano visibili già dopo 24-48 ore dallasemina. Una coltura pura, inoculata in un mezzo nutri-tivo liquido adatto e in condizioni ottimali, dàorigine a uno sviluppo nel quale sono distin-guibili diverse fasi. Il tutto può essere riportatosu di un sistema di assi ortogonali e può essereespresso graficamente (Fig. 1.7).

– I fase. Nel mezzo nutritivo, con l’inoculo,viene immesso un certo numero di celluleper unità di volume (per ml). Queste noncominciano subito a moltiplicarsi perchédevono adattarsi alle condizioni del mezzo.Mancando la moltiplicazione, il numero dicellule vive non aumenta, anzi al contrario,diminuisce perché parte delle cellule muore.La curva si abbassa.

– II fase. Le cellule, adattate al mezzo, comin-ciano a moltiplicarsi, ma ancora lentamentee con tempi di generazione lunghi. La curvacomincia ad alzarsi.

– III fase. Le cellule sono perfettamente adatta-te, si moltiplicano col minimo tempo digenerazione e il loro numero per unità divolume cresce vertiginosamente. È la fase disviluppo logaritmico, nel corso della quale lacurva sale decisamente.

– IV fase. Le cellule si moltiplicano ancora atti-vamente, però accanto a quelle che si gene-rano ce ne sono altre che muoiono. La curvasale ancora ma comincia a flettersi.

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1.3 Lo sviluppo dei microbi

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Fig. 1.7 - a) Curva di sviluppo di una coltura pura in mezzo liquido. b) Accumulo dei prodotti della fermentazione nelcorso dello sviluppo.

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1. I microbi

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– V fase. Le cellule si moltiplicano più lenta-mente; accanto alle nuove generate, altre,circa in uguale numero, muoiono. La curvaè orizzontale. Si tratta della cosiddetta fasestazionaria.

– VI fase. È la fase di morte incipiente. Le cel-lule sono ancora in moltiplicazione (sia purelenta), ma il numero di quelle che muoionoè superiore a quelle che vengono generate.La curva si abbassa.

– VII fase. Fase logaritmica della morte. Lacoltura ha cessato ogni attività di moltiplica-zione e si ha soltanto morte di cellule. Altermine di questa fase tutte le cellule posso-no essere morte (auto sterilizzazione dellacoltura) oppure possono in parte sopravvi-vere allo stato di quiescenza.

Gli effetti dell’attività dei microorganismi pos-sono essere valutati sulla base delle curve disviluppo. Si considerino ad esempio i prodotti(o un prodotto) della fermentazione e l’entitàdella loro formazione venga segnata in unsistema di assi ortogonali analogo al preceden-te (Fig. 1.7b). Durante la prima fase le cellule non si molti-plicano e non producono niente; la curva sistacca dallo zero all’inizio della seconda fase,sale decisamente verso l’alto nel corso dellaterza e ancora della quarta, continua a salirenel corso della fase stazionaria ed anche, dipoco, nella fase di morte incipiente. Poi si sta-bilizza. È evidente dunque che la prima fase di latenzao di adattamento è non produttiva. Nei pro-cessi fermentativi industriali costituisce unaperdita di tempo e rappresenta comunque unpericolo perché, se il materiale fermentescibilenon è sterilizzato, rimane esposto alla possibi-lità di sviluppo di germi inquinanti. La primafase può tuttavia essere saltata se l’inoculazio-ne vie ne eseguita: a) con un numero molto ele-vato di cellule; b) in piena attività; c) svilup-panti in mezzo uguale o molto simile a quelloin cui vengono inoculate. Questo è quanto si realizza nel settore enologi-co con l’aggiunta ai mosti, subito dopo lapigiatura, di “mosto lievito”, vale a dire di unaab bon dante coltura di lievito (selezionato) inpie na attività fermentativa in mosto d’uva. E

qui va le la pena di ribadire che i lieviti selezio-nati in enologia devono essere impiegati sottoforma di mosto-lievito; anche i lieviti che ven-gono messi in commercio allo stato secco(essiccati o liofilizzati) devono essere preventi-vamente portati allo stato di mostolievito enon possono essere aggiunti ai mosti per viabreve. Essi, in fat ti, sono costituiti da cellule ingran parte vive ma in stato di quiescenza; illoro risveglio av vie ne lentamente e l’adatta-mento al mosto può essere difficile, special-mente se questo è sta to solfitato. Ecco che,allora, l’inizio della fermentazione può ugual-mente ritardare di diversi gior ni e accade spes-so che anche poche cellule at ti ve, presenti nelmosto, si moltiplichino e prendano il soprav-vento, rendendo inutile tutta l’operazione. Loscetticismo o l’atteggiamento ne ga ti vo chetanti enologi manifestano nei confronti dei lie-viti selezionati, quando non è conseguenza dicarenze di natura culturale, è legato agli insuc-cessi conseguenti al l’im pie go dissennato otroppo disinvolto delle colture essiccate o lio-filizzate. La fase di sviluppo più interessante in sensopositivo è invece la terza (fase logaritmica), nelcorso della quale, nell’unità di tempo, si hannole maggiori produzioni. Si può affermare anziche in molti casi le fasi che precedono e seguo-no quella logaritmica sono di troppo, da con-siderare un male necessario che sarebbe beneeliminare. In effetti questo risultato è conseguibile permezzo della fermentazione in continuo, con laquale si cerca di mantenere la coltura semprenella fase logaritmica per un tempo indefinito:in linea di massima si tratta di operare in modoche le cellule in piena attività siano semprerifornite di nuovo substrato, eliminando partedel già fermentato, così da impedire la flessio-ne della moltiplicazione.

1.4 Fattori che influenzano lo sviluppo dei microbi

Lo sviluppo dei microorganismi è influenzatoda diversi fattori, i più importanti dei qualivengono ora presi in esame.

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