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OPsonline.it: la Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in Psicologia Appunti d’esame, statino on line, forum di discussione, chat, simulazione d’esame, valutaprof, minisiti web di facoltà, servizi di orientamento e tutoring e molto altro ancora… http://www.opsonline.it ABILITA’ DI COUNSELING Manuale per la prima formazione Margaret Hough CAP 1: IL COUNSELIG E L’AIUTO: I PERCHE’ E I PERCOME Che cos’è il counseling? Ci sono numerose definizioni della parola “counseling”. Il counseling si dà sul serio quando una persona ricerca l’aiuto di un’altra per gestire più efficacemente un problema o più problemi che la assillano in un certo momento della sua vita. I problemi attuali possono essere legati a eventi passati o infantili, collegati a eventi futuri a cui si pensa con una certa ansia o preoccupazione. Nell’un caso o nell’altro, la persona che si presenta per il counseling-il cliente- ha riconosciuto di essere giunta a un’impasse e di aver bisogno di assistenza per uscirne e andare avanti nella sua vita. La British Association for Counseling ha fornito varie definizioni di counseling fra cui la seguente: il counselor può indicare le opzioni di cui il cliente dispone e aiutarlo a seguire quella che sceglierà. Il counselor può aiutare il cliente a esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono rilevati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale da cui sia possibile originare qualche cambiamento. Qualunque approccio usi il counselor lo scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere le sue decisioni e porle in essere. Come si fa ad aiutare i clienti a individuare le proprie capacità e a credere in esse? Le persone possono sentirsi sopraffatte dai problemi e dalle forze che considerano fuori del loro controllo. Possono aver chiesto aiuto ad amici o parenti che non hanno saputo o voluto offrire loro il tempo che sarebbero stati necessari. I counselor esperti hanno tempo e sono disponibili a impegnarsi. Inoltre, non sono emozionalmente coinvolti con i problemi dei clienti. I clienti possono contare sul segreto professionale e il counselor dovrebbe essere sufficientemente fiducioso e autoconsapevole da essere diventato una presenza supportava e non giudicante. Il counselor usa una serie di abilità di comunicazione per incoraggiare il cliente a parlare liberamente, a esprimere emozioni forti, anche negative se lo desidera e, attraverso questi processi, a raggiungere una comprensione più profonda dei problemi che sta vivendo. Il processo di counseling ha bisogno di una struttura o di una cornice (framework) dentro cui il counselor possa lavorare con il cliente in modo coerente e sistematico. L’approccio sistematico di Egan al counseling è articolato in tre fasi che si suddividono in stadi ulteriori. Queste tre fasi derivano da un approccio di problem solving ai problemi del cliente, e segnalano le abilità del counselor che sono necessarie per aiutare i clienti a gestire i loro problemi. Le fasi indicate da Egan sono: 1) Esplorazione e chiarificazione dei problemi presenti; 2) Sviluppo di una nuova comprensione (insight); considerazione degli scopi e degli obiettivi; 3) Concepire e attuare piani d’azione, muovendosi verso le finalità desiderate. Al di là della struttura metodologica del counseling, esistono differenti “filosofie” generali entro cui a loro volta si inquadrano le diverse metodologie. 1) L’approccio psicodinamico. Ha le sue origini nella teoria freudiana. Pone l’accento sull’importanza delle esperienze infantili, e cerca di stabilire connessioni fra il passato e il presente delineando parallelismi fra ciò che si è verificato durante l’infanzia e quel che sta accadendo nella vita adulta. 2) L’approccio comportamentale: è focalizzato sui comportamenti attuali e osservabili. I problemi delle persone vengono vissuti in termini di comportamenti appresi che sono spesso problematici; per esempio le fobie o le ossessioni; l’obiettivo della psicoterapia è quello di aiutare i clienti a disapprendere questi schemi attraverso un processo di modificazione del comportamento. 3) L’approccio umanistico: parte dal presupposto che i clienti abbiano in se stessi una conoscenza intuitiva di ciò che desiderano e di cui hanno bisogno. I problemi dei clienti

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ABILITA’ DI COUNSELING Manuale per la prima formazione

Margaret Hough

CAP 1: IL COUNSELIG E L’AIUTO: I PERCHE’ E I PERCOME

Che cos’è il counseling? Ci sono numerose definizioni della parola “counseling”. Il counseling si dà sul serio quando una persona ricerca l’aiuto di un’altra per gestire più efficacemente un problema o più problemi che la assillano in un certo momento della sua vita. I problemi attuali possono essere legati a eventi passati o infantili, collegati a eventi futuri a cui si pensa con una certa ansia o preoccupazione. Nell’un caso o nell’altro, la persona che si presenta per il counseling-il cliente- ha riconosciuto di essere giunta a un’impasse e di aver bisogno di assistenza per uscirne e andare avanti nella sua vita. La British Association for Counseling ha fornito varie definizioni di counseling fra cui la seguente: il counselor può indicare le opzioni di cui il cliente dispone e aiutarlo a seguire quella che sceglierà. Il counselor può aiutare il cliente a esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono rilevati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale da cui sia possibile originare qualche cambiamento. Qualunque approccio usi il counselor lo scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere le sue decisioni e porle in essere. Come si fa ad aiutare i clienti a individuare le proprie capacità e a credere in esse? Le persone possono sentirsi sopraffatte dai problemi e dalle forze che considerano fuori del loro controllo. Possono aver chiesto aiuto ad amici o parenti che non hanno saputo o voluto offrire loro il tempo che sarebbero stati necessari. I counselor esperti hanno tempo e sono disponibili a impegnarsi. Inoltre, non sono emozionalmente coinvolti con i problemi dei clienti. I clienti possono contare sul segreto professionale e il counselor dovrebbe essere sufficientemente fiducioso e autoconsapevole da essere diventato una presenza supportava e non giudicante. Il counselor usa una serie di abilità di comunicazione per incoraggiare il cliente a parlare liberamente, a esprimere emozioni forti, anche negative se lo desidera e, attraverso questi processi, a raggiungere una comprensione più profonda dei problemi che sta vivendo. Il processo di counseling ha bisogno di una struttura o di una cornice (framework) dentro cui il counselor possa lavorare con il cliente in modo coerente e sistematico. L’approccio sistematico di Egan al counseling è articolato in tre fasi che si suddividono in stadi ulteriori. Queste tre fasi derivano da un approccio di problem solving ai problemi del cliente, e segnalano le abilità del counselor che sono necessarie per aiutare i clienti a gestire i loro problemi. Le fasi indicate da Egan sono:

1) Esplorazione e chiarificazione dei problemi presenti; 2) Sviluppo di una nuova comprensione (insight); considerazione degli scopi e degli obiettivi; 3) Concepire e attuare piani d’azione, muovendosi verso le finalità desiderate.

Al di là della struttura metodologica del counseling, esistono differenti “filosofie” generali entro cui a loro volta si inquadrano le diverse metodologie.

1) L’approccio psicodinamico. Ha le sue origini nella teoria freudiana. Pone l’accento sull’importanza delle esperienze infantili, e cerca di stabilire connessioni fra il passato e il presente delineando parallelismi fra ciò che si è verificato durante l’infanzia e quel che sta accadendo nella vita adulta.

2) L’approccio comportamentale: è focalizzato sui comportamenti attuali e osservabili. I problemi delle persone vengono vissuti in termini di comportamenti appresi che sono spesso problematici; per esempio le fobie o le ossessioni; l’obiettivo della psicoterapia è quello di aiutare i clienti a disapprendere questi schemi attraverso un processo di modificazione del comportamento.

3) L’approccio umanistico: parte dal presupposto che i clienti abbiano in se stessi una conoscenza intuitiva di ciò che desiderano e di cui hanno bisogno. I problemi dei clienti

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vengono visti come assolutamente unici per loro. L’aspetto più importante è il tentativo di facilitare la crescita del cilente attraverso l’autorealizzazione, l’integrazione e la globalità.

In che cosa il counseling è diverso dal dare consigli? La parola counsel deriva dal latino consilium che nel suo significato traslato significa consiglio, giudizio o consultazione. Il counseling psicologico o psicoterapeutico si riferisce all’aiuto offerto ai clienti per una vasta gamma di problemi psicologici e emozionali: in questo tipo di aiuto non vengono dati consigli, non in modo diretto o esplicito. Il counselor ovviamente è tenuto a influenzare il cliente che è venuto per ricevere aiuto. I counselor spesso incoraggiano i clienti a riesaminare la loro vita e le loro relazioni per chiarificare questioni che risultano problematiche. Possono essere discusse varie opzioni di cambiamento. Anche quando non vengono forniti consigli diretti, i clienti sono spesso influenzati dalle idee, dagli atteggiamenti e spesso anche dai punti di vista inespressi dal counselor. I consigli sono inappropriati nel counseling terapeutico, ecco alcune ragioni:

• Molto spesso le persone non desiderano consigli. Vogliono invece essere ascoltate e comprese.

• È raro che le persone accettino consigli, specialmente quando pensano che non siano consigli giusti.

• Se il consiglio si rivela sbagliato, la persona che lo ha accettato potrà abdicare alla responsabilità personale: dopo tutto, non era stata un’idea sua.

• È necessario che i clienti nel counseling sentano che le loro abilità ed esperienze sono ritenute e trattate come valide. Qualunque consiglio da parte di un counselor metterebbe in discussione questo principio basilare.

• L’equità è vitale nella relazione di counseling. Se vengono dati consigli il ruolo di esperto del counselor viene rinforzato e l’equità viene negata.

• Dare consigli può essere offensivo e intrusivo, specialmente quando la persona che li riceve è sconvolta e vulnerabile.

• Non ci sono due sole persone al mondo che abbiano la stessa esperienza di vita, quindi un consiglio si addice di più a chi lo fornisce che a chi lo riceve.

• I consigli tendono a considerare soltanto gli aspetti più superficiali di un problema, aggirando o ignorando le questioni più profonde che spesso sono quelle nodali.

• Dare consigli è un sistema di comunicazione a una sola via. Nel counseling il cliente dovrebbe essere coinvolto attivamente nell’intero processo..

• È difficile che i consigli aiutino i clienti a cambiare. Il più delle volte i clienti considerano il counselor come un “esperto”. Di solito quindi abbisognano di un certo tempo prima di familiarizzarsi con la vera natura di questo tipo di relazione. I clienti talvolta richiedono consigli per sottrarsi al bisogno di fare cambiamenti importanti. Ricevere un consiglio è molto più semplice che imbarcarsi nel processo di autoesaminarsi e cambiare. Altre volte i clienti chiedono un consiglio semplicemente perché desiderano cambiare. Da quanto tempo si usa il counseling? A parte le influenze generate dalla religione (nella confessione), il counseling affonda le sue radici nella psicologia, nella psicoanalisi e, più di recente, nel movimento umanistico. In Gran Bretagna, la British Association for Counseling (BAC) è nata nel 1976. I membri della BAC sono diventati sempre più numerosi, e nel 1994 è nata la European Association for Counseling (EAC) per rispondere ai bisogni delle diverse nazionalità in Europa e per “assistere l’ulteriore sviluppo del counseling come professione in Europa”. Quali sono le abilità di counseling? Le abilità di counseling comprendono:

• L’ascolto attivo, • Formulare domande in un modo che aiuti e non faccia sentire sotto interrogatorio;

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• Riformulazione di quel che i clienti hanno detto per aiutarli a chiarificare i loro pensieri, sentimenti e idee;

• Riassumere il contenuto di quel che hanno detto; • Aiutarli a essere più specifici e a focalizzarsi sulle aree e sulle questioni chiave che potrebbero

essere più problematiche o difficili per loro da gestire. Egan parla anche delle abilità di mettere in discussione, dare informazioni, mettere in risalto le incoerenze, delineare e attuare specifici piani d’azione. Altre abilità usate nel counselingo sono:

• Scegliere strategie appropiate • Aprire e chiudere il colloqui • Stabilire un rapporto di fiducia • Dare una struttura e un ritmo alle sedute • Usare la comunicazione non verbale • Rispondere ai segnali non verbali • Saper tollerare il silenzio • Dare feedback • Porre obiettivi

Quali sono le persone che usano le abilità di counseling Oltre ai counselor e agli psicoterapeuti di professione ci sono altre persone che usano per lo meno alcune delle abilità di counseling. Ad esempio gli assistenti sociali, gli insegnanti, gli infermieri, i terapisti occupazionali, sacerdoti e psicologi. Le organizzazioni di volontariato. Il counseling è diverso da altre attività d’aiuto? Il fatto che una persona non sia un counselor qualificato non significa che sia incapace di offrire il più alto livello di sostegno e di aiuto. La formazione del counselor, è specifica del counseling, mentre altri tipi di formazione, come quelle dell’assistente sociale, non lo sono. Talvolta si iscrivono a un corso di counseling e in questo caso divengono counselor a pieno titolo. Dopo aver ricevuto una formazione appropriata, queste persone possono operare come counselor. Perché le persone già qualificate in un’area professionale decidono di ricevere una formazione di counseling? (ad esempio un’insegnante che fa un corso di counseling). La risposta è che una simile formazione tende a migliorare la loro competenza professionale perché aumenta le loro abilità globali di comunicazione e di rapporti interpersonali, oltre a dare loro una comprensione più profonda di se stessi e degli altri. C’è spesso anche una ragione pragmatica, poiché ogni tipo di formazione specializzata tende a rendere più appetibile un curriculum vitae e ciò può tradursi in offerte di nuove occupazioni o in promozioni. Gli amici e i familiari possono fare counseling? Il problema insito nel tipo di counseling che può essere offerto da amici e familiari è che, si hanno poche possibilità di guardare sotto la superficie delle cose, di impegnarsi in un processo di autoesame e di determinare esattamente che cosa davvero si voglia e si desideri. Parenti e amici possono rimanere sconvolti o almeno contrariati quando i loro consigli non vengono accettati. Può anche accadere che amici e familiari siano coinvolti emozionalmente nel problema e ciò può inibire le loro capacità di ascolto attivo. Possono voler parlare di se stessi, e anche questo inibisce il processo di ascolto attivo che richiede invece una concentrazione assoluta e la capacità di mettere da parte le proprie preoccupazioni. È solo in questo modo che si può essere interamente disponibili per l’altro. Possono “preoccuparsi” della persona che espone il problema e la preoccupazione può indurre a esercitare un controllo. Se qualcuno si preoccupa per me, posso sentirmi obbligato a dimenticare i miei problemi, o perlomeno a far finta di averli dimenticati o risolti.

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Questo non avviene nel counseling perché il counselor, nel corso della sua formazione, avrà lavorato su se stesso esaminando tutti i problemi e gli eventi della sua vita che potrebbero provocare una simile reazione di controtransfert, benché esista sempre la possibilità che un’area di vulnerabilità venga occasionalmente attivata. Talvolta amici e parenti offrono una generica comprensione o simpatia alla persona in difficoltà, e certo questo può essere sufficiente ad aiutare una persona che abbia un problema di lieve entità. I counselor esperti, invece, ascoltano con empatia. Nel counseling è assicurato il segreto professionale. Con gi amici e i familiari, invece, la possibilità del pettegolezzo è reale. Una critica è stata rivolta al couseling professionale è che cerca di usurpare il ruolo tradizionale della famiglia e degli amici, e che tende a medicalizzare o perfino a creare problemi anche quando non ne esistono. Tale impressione è talvolta rafforzata quando si vedono alla televisione eventi tragici. Ciò che tende a non essere notato in questi casi è che amici e i familiari danno effettivamente il loro aiuto nelle situazioni traumatiche, ma i counselor offrono un servizio extra che può risultare più appropriato per alcune persone. L’autosviluppo e l’autoconsapevolezza del counselor L’autosviluppo e l’autoconsapevolezza sono elementi importanti nella formazione di un counselor perché questi processi, che sono spesso difficili e dolorosi, rendono gli studenti capaci di comprendere meglio se stessi. Una certa comprensione di sé è necessaria per chiunque operi a stretto contatto con altre persone. Un altro importante aspetto dell’autoconsapevolezza è l’identificazione e la comprensione dei propri pregiudizi e lati oscuri. Senza renderci conto dei nostri difetti, non sono possibili la vera umiltà e modestia ed esiste il pericolo che la boria o la presunzione incrinino le relazioni future con i nostri clienti. Anche le questioni relative al modo in cui trinciamo giudizi morali su altre persone e il loro valore vanno discusse e riconosciute, cercando di raggiungere un atteggiamento obiettivo e privo di pregiudizi. Le cose che favoriscono l’autoconsapevolezza nella formazione di un counselor sono:

• Lavorare con i clienti; • Fare counseling insieme a un altro studente; Le discussioni di gruppo; addestramento nelle

abilità di counseling; • La lettura; Lo studio e la ricerca; La conoscenza della teoria del counseling; • Il counseling personale; La supervisione; • Corsi di studio sotto la guida di un tutor; corsi residenziali; seminari; conferenze; compiti

scritti; compilazione di questionari; • Pratica con video; feedback dal gruppo dei pari; training delle abilità assertive; sviluppo delle

abilità di pensiero critico; diari che registri i progressi e l’autosviluppo personale. Perché si desidera diventare counselor? Molte persone desiderano diventare counselor perché sono animate da un desiderio genuino di aiutare gli altri. Ciò è particolarmente vero per coloro che già operano in ambiti di cura (infermieri e assistenti sociali). La ragione più importante che le persone hanno di diventare counselor è che hanno esse stesse bisogni ancora insoddisfatti. Problemi irrisolti, i bisogni e spesso i traumi possono spingere una persona ad aiutare altre persone che presentano difficoltà emozionali da risolvere. Questo è spesso è spesso funzionale per certuni perché serve a oscurare o mascherare il bisogno di considerare i propri problemi e risolverli. Altre ragioni possono essere: bisogno di piacere gli altri;di essere necessari; di sentirsi importanti o in una posizione di controllo, o di ricevere il rispetto che non si riesce a ottenere nelle relazioni interpersonali. Quali sono le qualità di un buon counselor?

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Ecco un elenco delle abilità di un counselor efficace: • Buona autostima di base. Interesse per la gente. • Competenza in relazione alle abilità di counseling; • Comprensione della teoria e del processo di counseling; • Comprensione di sé; • Rispetto sia per le diversità culturali sia per la propria cultura; • Accettazione per le persone di gruppi razziali e religiosi diversi dal proprio; • Rispetto per le persone con un orientamento sessuale diverso dal proprio; • Capacità di prendersi cura di se stessi; • Creatività e flessibilità di pensiero; • Senso dell’umorismo; • Capacità di godersi la vita; • Capacità di formare e mantenere relazioni; • Capacità di sentire e comunicare empatia; • Capacità di gestire problemi personali e di chiedere aiuto se necessario; • Capacità di imparare dai propri errori e cambiare se necessario; • Un senso di equilibrio circa la propria importanza rispetto agli altri; • Vari interessi culturali e artistici; • Chiari limiti emozionali rispetto a se stessi e ai clienti; • Un atteggiamento non giudicante rispetto agli altri; • Insight sulle proprie ambizioni e sui propri obiettivi personali; • Valori personali che non vengono travasati a forza negli altri; • Capacità di essere genuini e onesti in relazione a se stessi e agli altri.

Quali sono gli scopi del counseling? Il counseling è un’attività che si verifica quando una persona cerca aiuto per risolvere dei problemi personali e un’altra persona. Il counselor fornisce tale aiuto. Il counseling si verifica anche in un setting di gruppo, e in questo caso un certo numero di persone ricevono aiuto simultaneamente non soltanto dal counselor, ma anche dall’interazione con altri membri del gruppo. I counselor riconoscono e alimentano le risorse, le capacità e i punti di forza propri dei clienti in relazione alla soluzione dei problemi. Lo scopo principale del counselign consiste nel porri i clienti in grado di identificare di che cosa essi stessi abbiano bisogno e cosa vogliano.

CAP 2: LE FORME DI COMUNICAZIONE

Nel counseling si fa uso delle stesse abilità interpersonali che tutti noi adoperiamo nelle relazioni sociali e nei nostri rapporti personali, ma con un diverso obiettivo e con una maggiore attenzione ai dettagli. Nella comunicazione quotidiana tra amici per esempio:

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Nel corso di un’interazione fra individui che non si conoscono bene, la conversazione tende a essere portata avanti a un livello superficiale e viene posta grande enfasi nello stabilire un contatto verbale immediato, il che non esige alcuna reale intesa o coinvolgimento. Nel posto di lavoro tra colleghi, impiegati e dirigenti le conversani riguardano spesso fatti concreti e l’accento viene posto sul dettaglio e l’accuratezza dell’informazione. Non comprende di solito la dimensione personale e non riguarda nel modo più assoluto alcuna difficoltà, emotiva o di relazione, che gli impiegati possano invece star sperimentando a casa o sul lavoro.

La conversazione può essere relativamente non strutturata e non focalizzata

Quando una persona parla l’altra può ascoltare con un orecchio solo

C’è una certa quantità di comprensione condivisa

L’ascoltatore può anche essere assorbito da un altro compito o attività

Gli amici sanno molto l’uno dell’altro, comprese le preferenze e le idiosincrasie

Le conversazioni possono essere animate da frequenti interruzioni. Talvolta si parla a turno

Talvolta le frasi vengono iniziate e non finite

Gli amici cercano di far prevalere il proprio punto di vista, discutono e dicono come la pensano

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Il counseling psicoterapeutico L’oggetto principale della comunicazione nel counseling è la persona assistita e i problemi che sta sperimentando.

Il counselor deve anche sapere come reagire in modo da essere d’aiuto e infondere loro coraggio., sostegno e incoraggiamento, che non possono essere dati senza che il counselor sia in grado di capire cosa i clienti desiderino trasemettere attraverso il linguaggio, la mimica, il tono della voce e attraverso tutti gli altri aspetti dell’interazione verbale e non verbale. La comunicazione verbale La voce, il tono, il volume, l’intensità, il ritmo, le informazioni che vengono date, sono tutti aspetti della comunicazione verbale che di solito ci dicono di più, riguardo a ciò che una persona sente, che non le parole stesse che sceglie di adoperare. Quando le persone sono infelici o tristi, tali sentimenti si riflettono nella loro voce e quando si provano sentimenti positivi come la gioia, questi vengono facilmente individuati. Il silenzio È spesso durante questi momenti che vengono fatte mentalmente importanti associazioni di idee. Anche la comprensione viene frequentemente raggiunta mentre il cliente si prende del tempo per riflettere in questa maniera. Il counselor dovrebbe essere preparato a “rimanere vicino” al cliente quando questi è in silenzio, e dovrebbe resistere alla tentazione di interromperlo, fare osservazioni o interpretazioni. Quando ciò si verifica, viene negata al cliente l’opportunità di pensare o di fare delle riflessioni ed egli viene inoltre sottoposto alla pressione di continuare al ritmo del counselor invece che al proprio. A ciò si aggiunge anche il fatto che, l’attenzione viene distolta dal cliente, con l’infelice conseguenza di farlo magari sentire sottovalutato e costretto ad affrettarsi..

Il fuoco principale della comunicazione è sul cliente; il counselor ascolta

I clienti spesso sono preoccupati da problemi personali, paure e ansie

Il counselor è lì per aiutare il cliente

Il cliente ha bisogno di ricevere la prova tangibile dell’ascolto e dell’interesse del counselor

Il counselor non ha bisogno di (né si aspetta) un’equa condivisione degli scambi

Il cliente è autorizzato a procedere con i propri tempi

L’attenzione è focalizzata sulla comunicazione verbale e non verbale

Il cliente non deve preoccuparsi né sentirsi responsabile del counselor

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Paradossalmente il silenzio è spesso uno degli aspetti del messaggio complessivo che il cliente desidera comunicare, non solo a un counselor,ma anche a se stesso. La comunicazione non verbale È importante imparare a osservare la comunicazione non verbale del cliente e le relative implicazioni, perché è attraverso l’osservazione di questi aspetti della comunicazione che il counselor può rendersi conto del messaggio o del sentimento che ne sono alla radice e che il cliente non è stato in grado o ha avuto paura di esprimere con parole. La postura Timidezza, paura, sconforto: il corpo del paziente si ritrae o volta le spalle al counselor. Atteggiamento sottomesso o una certa tristezza: capo chino, spalle curve, evitamento del contatto oculare. Vulnerabilità o paura ad aprirsi: braccia e gambe saldamente incrociate. Il counselor dovrebbe disporre i posti a sedere in maniera equa (le sedie devono essere della stessa misura e dello stesso tipo. Le persone dovrebbero trovarsi ad una distanza normale di un metro circa. Le persone sono sedute direttamente l’una di fronte all’altra. Il contatto oculare Se è troppo insistito, tende a essere snervante per molti, specialmente quando arriva ad assomigliare a uno sguardo fisso. La giusta quantità dipende in parte dai bisogni individuali di ciascun cliente, nonché dalla risposta di ciascuno. I clienti che si sentono ragionevolmente decisi e sicuri di sé saranno perfettamente in grado di mantenere il contatto oculare, mentre quelli spaventati o vulnerabili si troveranno più in difficoltà. Può accadere che il cliente eviti il contatto oculare per senso di colpa, vergogna o rinuncia. In generale il contatto oculare indica interesse ed è collegato all’atto del prendere la parola nella conversazione. Nel corso della dialogo, siamo soliti guardare il nostro interlocutore negli occhi per una durata che va dal 25 al 75% del tempo totale e questo reciproco scambio di sguardi serve a mantenere viva l’attenzione (Argyle). Nel counseling questa alternanza nel prendere la parola può risultare leggermente alterata per il fatto che è il cliente a essere il destinatario della maggior parte dell’attenzione. Nel counselor, l’ascoltare attentamente tende a guardare l’altra persona più di quanto si farebbe se si stesse semplicemente parlando con lei. L’espressione facciale Le prime impressioni che abbiamo delle altre persone sono solitamente basate sull’osservazione del volto e delle espressioni che questa manifesta. Il nostro volto può trasmettere i nostri pensieri e i nostri sentimenti più reconditi; ecco perché è virtualmente impossibile fingere un interesse che non sia realmente presente. Gli studenti sono spesso preoccupati di come essi stessi “appaiono” ai clienti. Spesso questa preoccupazione si intensifica durante le sedute di addestramento riprese dalla videocamera e quando vengono poi riviste per valutare le capacità di ciascuno. È nel corso della visione del video, che gli studenti diventano coscienti della propria comunicazione non verbale, compresi l’espressione facciale e i manierismi. Il volto del counselor mostrerà le reazioni più appropriate quando viene provato un reale interesse nei confronti del cliente e quando ha luogo un ascolto attivo. Il contatto fisico Alcune considerazioni generali sul contatto fisico e sulla comunicazione tattile:

Gli individui reagiscono in modi diversi al contatto fisico; Alcune forme di contatto fisico non recano in sé alcun messaggio personale, per esempio

quando un medico esamina un paziente;

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Se si verifica al momento opportuno ed è sinceramente motivato, il contatto fisico può aiutare a stabilire un legame positivo;

Il contatto fisico è di particolare aiuto quando l’espressione verbale del sentimento è difficile oppure impossibile;

Ogni cultura possiede proprie regole sull’uso del contatto fisico. Tali regole precisano le circostanze in cui si può farne uso e quali parti del corpo possono essere toccate (Argyle)

Vi sono individui che, per esperienze legate ai primi anni di vita, sono sospettosi o persino impauriti nei riguardi del contatto fisico;

Il contatto fisico è usato a volte in modo maschilista o assoggettante; Il contatto fisico può anche venire usato per dominare o impaurire; Il contatto fisico può invadere lo spazio di un’altra persona; Se inaspettato, il contatto fisico può essere causa di imbarazzo. Il contatto fisico può essere rassicurante e di aiuto; Il contatto fisico può essere facilmente frainteso, specialmente se fatto in maniera goffa o

inopportuna; Per alcune persone il contatto fisico rappresenta una rassicurazione sul proprio fascino fisico e

sessuale. Questo fatto può rappresentare talvolta dei problemi nel counseling, soprattutto se il cliente cerca di suscitare nel counselor un interesse di tipo sessuale. una situazione di questo genere deve essere trattata con sensibilità ma con decisione dal counselor e deve essere chiarita e messa in rilievo la natura professionale del rapporto, così che il cliente si senta accettato per se stesso.

L’ascolto attivo L’ascolto è un processo attivo che richiede impegno e concentrazione, nonché la capacità di mettere da parte i propri problemi e preoccupazioni- per lo meno temporaneamente. Una delle tante ragioni per le quali l’ascolto è un’abilità così scarsamente sviluppata risiede nel fatto che non ci è stato insegnato a valorizzarla da bambini. I genitori sono troppo presi dalle loro faccende per prestare ai bambini un’attenzione totale e assoluta e, quando ascoltano, lo fanno in modo distratto e per nulla attento al reale significato che c’è dietro le parole. I bambini fanno esperienze simili anche a scuola, dove gli insegnanti non hanno il tempo per ascoltare con un’attenzione completa ed esclusiva le esperienze di ciascun bambino. È soltanto quando di verificano situazioni traumatiche o di crisi, magari nella seconda parte della vita, che le persone si accorgono del deficit di ascolto. Le abilità di ascolto

Quando ascoltiamo le persone accuratamente riusciamo a vedere più chiaramente le cose dal loro punto di vista (empatia);

Quando ascoltiamo le persone, esse ricevono il messaggio che stiamo prendendo seriamente sia loro che i loro problemi. Ciò le aiuta a chiarificare e a rendersi conto pienamente delle loro esperienze.

Ci sono alcune distrazioni che possono pregiudicare la qualità del nostro ascolto, fra cui i rumori estranei, le interruzioni, pensare ad altro ecc..

L’ascolto attivo è qualcosa di più di un esercizio meramente uditivo. Comprende anche l’abilità di di osservare e registrare messaggi non verbali.

I pregiudizi, le idee preconcette e gli atteggiamenti giudicanti agiscono come barriere dell’ascolto attivo;

Il fatto di cercare mentalmente di risolvere il problema del cliente danneggia la capacità di ascolto del counselor;

Per tutta la durata dell’ascolto attivo, l’ascoltatore deve capire i pensieri, i sentimenti, le esperienze e le convinzioni del locatore.

Gli aspetti non verbali del comportamento che facilitano un buon ascolto sono: - mantenere il contatto oculare; - movimenti del capo che indichino incoraggiamento; - rispecchiare espressioni mimiche del cliente per mostrare empatia;

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- assumere una postura calda e aperta, sporgendosi lievemente verso il cilente; - dare un appropriato incoraggiamento verbale quando si verificano delle pause nell’eloquio del

cliente. La comunicazione del counselor La comunicazione non verbale del counselor I clienti osservano, e generalmente colgono ogni aspetto della comunicazione non verbale e del comportamento generale del counselor. Per esempio, un counselor può incoraggiare un cliente a continuare a parlare dell’argomento che sta trattando. Un modo per farlo potrebbe essere quello di fornire adeguati rinforzi verbali al momento giusto. O di ripetere quanto hanno detto verbalmente i clienti. Uso del linguaggio da parte del counselor I clienti hanno bisogno di sapere che li si tratta da uguali, e a tal fine i counselor dovrebbero evitare di usare qualunque espressione gergale che è, per sua stessa natura esclusiva. I counselor dovrebbero anche stare attenti a non usare un linguaggio sessista o espressioni svalutative o etichettanti quando parlano con i clienti. La consapevolezza del linguaggio colloquiale e informale è importante per i counselor, al pari della familiarità con parole usate comunemente per descrivere i comportamenti sessuali. Aspetti pratici della comunicazione

- i clienti dovrebbero ricevere dal counselor un saluto caldo e amichevole, stringergli la mano, dare un buon contatto oculare, , chiamarlo per nome. Il counselor dovrebbe a sua volta presentarsi e indicare una poltrona o una sedia in cui il cliente possa sedersi

- i clienti devono essere incontrati in un ambiente confortevole e che dia senso delle privacy - è necessario che il cliente conosca orario degli appuntamenti, lunghezza delle sedute,

frequenza - il cliente deve sapere come potrà essere aiutato e l’impegno a cui dovrà assoggettarsi per

essere aiutato - si dovrebbe evitare di interrompere bruscamente i clienti alla fine delle sedute indicando loro

in anticipo che il tempo disponibile si esaurirà fra breve. È opportuno che nello studio vi sia un orologio a muro che sia visibile

- la stanza deve essere silenziosa, possibilmente senza telefono, mobilio che metta a suo agio il cliente

- è utile tenere un’agenda in cui trascrivere i successivi appuntamenti.

CAP 3 RISPONDERE AI CLIENTI La riflessione Quando l’unica cosa importante è la raccolta di informazioni fattuali (cioè relativa a fatti o eventi precisi e concreti), vi saranno scarse opportunità di stabilire un legame emozionale fra due persone. Ad esempio fra un medico di base e un paziente. Esiste un altro modo più empatico di rispondere alle persone che ha l’obiettivo specifico di stabilire un rapporto emozionale fra l’helper (colui che dà aiuto) e l’helpee (colui che tale aiuto riceve). Il riflettere i sentimenti è uno degli aspetti di cui parla Carl Rogers quando illustra la comunicazione empatica. È importante trasmettere interesse e calore , comprendere pienamente quel che il paziente sta vivendo. Bisogna restare nell’ambito della struttura interna di riferimento del cliente, non uscire dallo sfondo delle affermazioni del paziente, restare nei confini delle sue risposte che l’avrebbero posta in grado di considerare meglio la sua situazione reale e i suoi concreti bisogni, riflettere sia il contenuto sia il significato delle parole paziente, accettare il suo punto di vista rispetto alla propria situazione, riconoscere la validità, la verità, l’accuratezza e l’importanza del punto di vista è stato percepito con

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accuratezza dall’helper si sentirà valorizzato e compreso e si sentirà incoraggiato a esplorare più in profondità tutti gli aspetti della situazione. Comunicando chiaramente la sua volontà di ascoltare e capire, l’helper mette il cliente in grado di parlare apertamente di sentimenti, difficoltà e bisogni significati e spesso prima non identificati. La riflessione mostra che l’helper sta prestando grande attenzione al cliente e che sta ascoltando in modo attivo- cioè badando non soltanto alle parole pronunciate, ma anche al significato che c’è dietro le paroleLe abilità di riflessione sono: METTERE IN LUCE E RICONOSCERE I SENTIMENTI ESPRESSI RIFORMULARE E PARAFRASARE RIASSUMERE IL CONTENUTO DI QUANTO E’STATO DETTO La parafrasi La parafrasi si riferisce al processo di riformulare in modo più articolato il contenuto di quel che un cliente ha detto, mentre riflessione significa riaffermare il nocciolo, l’essenza di quel che il cliente ha detto, focalizzandosi prevalentemente sui sentimenti che ci sono dietro le parole. Nel counseling si pone l’accento sia sui contenuti sia sui sentimenti. Il compito del counselor è quello di riflettere (rimandare) contenuti e sentimenti al cliente trasmettendogli empatia e comprensione. La ripetizione di parole ed espressioni chiave è spesso utile all’inizio del counseling quando è più facile che un cliente abbia difficoltà a ingranare o per aiutarlo a chiarire quel che vuol dire. Grazie alla ripetizione il counselor aiuta il cliente a trovare il modo migliore per descrivere la sua esperienza. Però non bisogna abusarne. Il vero ascolto attivo si sintonizza sempre sul contenuto sia emozionale che fattuale di quel che dicono i clienti. Una riflessione sensibile delle risposte del cliente, perciò, implica un buon ascolto, buone abilità di parafrasi e la capacità di trasmettere la comprensione dei contenuti emozionali e fattuali espressi dal cliente. Riassumere Il riassunto è molto usato nel counseling ed è particolarmente utile come risposta-ponte o di collegamento (Egan). Il riassunto può essere usato anche per legare fra loro le sedute di counselig. In questo senso, è particolarmente efficace quando viene fatto alla fine di una seduta e all’inizio della successiva. Riassumere richiede disciplina, ascolto attivo. Quando fatto accuratamente, il riassunto offre al cliente l’opportunità di passare in rassegna quanto è stato detto e, attraverso questo processo, di identificare e soffermarsi su alcune aree di preoccupazione che sono prioritarie in un certo momento. Il riassunto (come la riflessione e la parafrasi) permette al cliente di rendersi conto che le loro esperienze, le loro esperienze, le loro emozioni e i loro pensieri sono stati riconosciuti e valorizzati dal counselor. Anche tutte le incoerenze che i clienti possono ritrovarsi a dire verranno messe in luce da un riassunto accurato. Un modo per evitare affermazioni insensibili o giudicanti nel corso di un riassunto è quello di rimanerne coscienziosamente nei confini della struttura interna di riferimento del cliente. Per riassumere efficacemente al counselor sono necessarie tre cose particolarmente importanti:

1. una comprensione accurata di quel che è stato detto; 2. un’accurata selezione degli elementi e dei temi chiave; 3. l’espressione verbale di tali elementi e temi chiave in un modo chiaro, diretto e empatico.

È necessario cogliere il filo del pensiero e dell’espressione dei sentimenti del cliente,e quindi enucleare il messaggio o i messaggi nodali che vi sono sottesi. Bisogna stabilire connessioni fra idee, pensieri e i sentimenti espressi, e il counselor deve farlo usando parole sue. Per fare un riassunto accurato il counselor deve ricordare l’ordine degli eventi. La scelta del momento in cui fare un riassunto è cruciale nel counseling, poiché qualunque interruzione prematura del racconto di un cliete potrebbe inibirlo o imbarazzarlo. Bisognerebbe dare ai clienti l’opportunità di correggere qualunque errore nel riassunto, e quando il riassunto viene usato per concludere una seduta bisogna che cliente e counselor siano d’accordo nel definirlo accurato.

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Generalmente i clienti scelgono un aspetto di un riassunto per discuterne ulteriormente, e ciò aiuta a focalizzare l’attenzione sugli argomenti che risultano per loro particolarmente problematici. Un riassunto accurato dà sia al counselor sia al cliente l’opportunità di selezionare i problemi o di dare a uno di essi la priorità. Strutture di riferimento interna e esterna Quando i counselor rispondono ai clienti valendosi delle abilità di riflessione, parafrasi e riassunto, devono farlo da quella che Rogers ha descritto come la struttura interna di riferimento. Si riferisce alle esperienze individuali del cliente, alle circostanze in cui si trova e al suo mondo. Empatia L’empatia è centrale in questo tipo di esperienza fra counselor e cliente. Non è necessario né opportuno che un counselor faccia veramente esperienza delle emozioni che prova il cliente, mentre invece è essenziale che le comprenda. La simpatia quasi invariabilmente deriva da una struttura esterno di riferimento. Una persona che esprime simpatia può farlo senza un reale comprensione di ciò che l’altro ha provato, ma non tenta in alcun modo di raggiungere un vero insight della natura o della qualità di quella esperienza. Quando ci avviciniamo al vissuto di qualcuno con una struttura esterno di riferimento, andiamo a categorizzarlo e a imporre su di esso il nostro pungo di vista. Questa tendenza a conformare l’esperienza di un’altra persona al nostro modo di pensare è limitata e fuorviante, e presenta l’ulteriore svantaggio di produrre un punto di vista undimensionale dell’esperienza stessa. Il punto da considerare è che non è dato conoscere veramente l’esatta natura dell’esperienza di qualcun altro, né possiamo presupporre che certi eventi siano intrinsecamente negativi o positivi. L’unico modo per cercare di condividere l’esperienza di un’altra persona è quello di sviluppare e praticare l’empatia. Quando l’empatia è presente in una relazione (come nel counseling) la persona che riceve aiuto saprà che le caratteristiche e le complessità uniche della sua situazione sono accettate, valorizzate e comprese. L’empatia riguarda la comprensione del punto di vista individuale e unico del cliente. L’empatia rende possibile ai counselor immaginare e comprendere la struttura interna di riferimento del cliente. I counselor devono anche possedere la capacità di trasmetterla efficacemente ai clienti. L’empatia è un processo a due vie, ed è essenziale che i clienti sappiano che è presente nella relazione di counseling. Una serie di abilità e attributi personali necessari in tal senso sono:

interesse per il cliente e per le sue esperienze; la capacità di comprendere e usare il linguaggio del cliente; la capacità di riflettere i sentimenti espressi dal cliente; la comprensione del perché il cliente faccia esperienza di certi sentimenti; la capacità di stabilire un rapporto emozionale con il cliente attraverso l’uso dell’ascolto attivo,

e un’accurata attenzione alle sfumature che traspaiono dietro al linguaggio del cliente; il periodico parafrasare e riassumere gli elementi essenziali della storia del cliente; l’uso sensibile e tempestivo delle domande; l’autocontrollo e la pazienza sufficienti a permettere al cliente di procedere con il proprio

ritmo; la capacità di identificarsi con il cliente senza lasciarsi sommergere emotivamente dai suoi

problemi; la capacità di usare suggerimenti e aiuti non verbali che incoraggiano i clienti a continuare a

parlare dei loro problemi; la capacità di far sentire i clienti valorizzati e degni; la capacità di far sentire i clienti fiduciosi e motivati.

I counselor devono essere capaci di (e disposti a) usare le loro esperienze personali come punto di riferimento per una comprensione più profonda dei clienti. Trasmettere calore

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Il calore è la seconda delle tre condizioni fondamentali enunciate da Carl Rogers, e talvolta vi viene fatto riferimento con le parole accettazione, considerazione incondizionatamente positiva o cura. L’accettazione implica un approccio non giudicante da parte dei counselor. Calore e accettazione quando sono presenti, fanno acquistare ai clienti maggiore fiducia in se stessi e nelle loro capacità di fronteggiare gli eventi problematici (coping). Il fatto di sentire che qualcuno si preoccupa per noi e ci valorizza dà un senso di fiducia immediato. Ciò può, a sua volta, indurre maggiore coraggio e certezza di sé nell’affrontare i problemi. È necessario che i counselor credano nel diritto all’autonomia e all’autogoverno del cliente. Quando tale credenza è presente, la tentazione di esercitare pressioni (in modo sottile o manifesto) sui clienti sarà assente nella situazione di counseling. Il calore e l’accettazione sono particolarmente importanti quando cliente e counselor si incontrano per la prima volta (la prima fase come momento in cui i clienti vengono incoraggiati a esplorare e chiarificare i loro problemi). Tale esplorazione e chiarificazione non può avvenire, tuttavia, a meno che il cliente non si senta accettato e valorizzato come persona. Secondo Carl Rogers, la percezione che il cliente ha della relazione di counseling è ciò che determinerà il buono o il cattivo corso della psicoterapia. Il cliente deve sentirsi a suo agio con il counselor prima di poter compiere qualunque progresso. Rogers aggiunge che il modo in cui i clienti percepiscono la relazione di counseling è, in larga misura, influenzata dalle precedenti aspettative e dalle idee preconcette formatesi sulla base delle interazioni avute in passato con gli altri. I clienti che sono stati prevalentemente criticati dai genitori nella loro infanzia si attenderanno verosimilmente lo stesso approccio da un counselor. I counselor perciò devono affrontare il compito di trasmettere calore e accettazione in modo che sia “incondizionato” e senza limitazioni. Quando il rispetto, l’accettazione, e il calore sono presenti nel counseling, è più probabile che i clienti accettino se stessi, questo dovrebbe aumentare la sua autostima e una maggiore autostima li aiuterà a fronteggiare il cambiamento. Importante è l’ambiente in cui le sedute vengono tenute. Una stanza fredda e non invitante, per esempio, inibirà per certo lo sviluppo della fiducia e la capacità da parte del cliente di impegnarsi nell’arduo compito dell’autorivelazione. I clienti percepiscono queste cose accuratamente non solo a livello conscio ma anche a livello inconscio. La genuinità Altre parole che descrivono questa qualità sono: onestà, congruenza, coerenza, sincerità, e autenticità. Quando i counselor sono onesti e aperti nel comunicare con i clienti, subito si stabilisce un’atmosfera di fiducia, e tale atmosfera aiuta a stimolare i clienti a diventare più onesti e aperti a loro volta. L’idea di onestà o di apertura viene spesso confusa con un’assoluta franchezza con i clienti che è inappropriata, perché avrebbe l’effetto di rafforzare le difese del cliente nei confronti della possibile loro autorivelazione. Il vero significato della genuinità del counselor è dunque che l’empatia e l’atteggiamento incondizionatamente positivo per il cliente siano reali e non fittizi. Quando l’empatia e la considerazione positiva sono realmente presenti il counselor sarà aperto, onesto e naturale in modo autentico. L’esperienza che il cliente fa di tale coerenza o genuinità dovrebbe aiutarlo a rendersi conto che tali atteggiamenti sono utili in una relazione, e incoraggiarlo a essere più onesto anche nelle sue relazioni con altre persone. Per essere se stessi i counselor devono “conoscere” se stessi. Quando tale autoconoscenza è presente, sarà presente anche la capacità di essere genuini nella relazione con i clienti. Una risposta appropriata e genuina è sempre una risposta “naturale”, che viene dettata dal reale desiderio di aiutare il cliente. Quando la congruenza è presente, c’è coerenza fra quel che il counselor sente e quel che dice o fa.

CAP 4: FORMULARE DOMANDE E AIUTARE I CLIENTI A ESPLORARE I PROPRI PROBLEMI

Il modo in cui si risponde alle domande dipende dal una varietà di fattori:

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la persona che rivolge la domanda il tono della voce, il linguaggio corporeo e il contegno generale della persona quando la domanda viene formulata il tipo di domanda che viene fatta il contesto in cui la domanda è stata posta

nel couseling la persona che rivolge la domanda è generalmente il counselor, benché frequentemente anche i clienti ne pongano quando cercano di chiarire i loro problemi. È importante ricordare che molte persone sono incapaci di dare informazioni spontaneamente, senza l’aiuto di un uso accorto delle domande. Tipi di domande Il counselor deve possedere l’abilità di formulare domande in modo tale da incoraggiare i clienti a esplorare i propri problemi senza sentirsi sotto interrogatorio o sotto pressione. Domande chiuse Richiede generalmente una risposta che consiste in un semplice si o no o in una risposta molto specifica. Le domande chiuse danno poche opportunità o libertà nella scelta delle risposte. Vengono usate quando si cerca o si ha bisogno di informazioni specifiche, ed esse hanno lo svantaggio di non sollecitare o richiedere una comunicazione riflessiva o elaborativa. Le domande chiuse, perciò, dovrebbero essere evitate nel counseling, poiché un obiettivo fondamentale di questa procedura di aiuto è quello di rendere i clienti capaci di esplorare aree di preoccupazione in modo riflessivo, ponderato e approfondito. Esempio: “le piace quel colore?” Le domande aperte Le domande aperte possono offrire ai clienti l’opportunità di rispondere con i loro tempi e di espandere e chiarificare aree significative di preoccupazione che è forse necessario considerare più in profondità. Quando ciò avviene il counselor deve ascoltare attentamente e restare nella struttura interna di riferimento del cliente. In altre parole, buone abilità di ascolto e di formulazione di domande sono inseparabili nel counseling. Quando il counselor ascolta veramente il cliente, la tentazione di fare domande con frequenza o in modo inappropriato diminuisce. Le domande “perché?” Le domande che iniziano con la parola “perché” sono problematiche nel contesto del counseling, dato che è spesso difficile o impossibile darvi risposta. Suonano talvolta come un’accusa. Può far sentire il cliente inadeguato perché non sa rispondere. Le domande perché possono essere utili in alcune situazioni, per esempio in un’intervista, ma perfino in quei casi, se si insiste, sono limitanti perché tendono a inibire la reale comunicazione invece di aprirla. Le domande che aiutano i clienti a guardare più da vicino ai propri sentimenti Vengono talvolta chiamate “domande affettive”. Sono particolarmente utili nel counselig perché facilitano l’identificazione e l’espressione dei sentimenti e stimolano la riflessione e il pensiero. I clienti che vengono in counseling trovano spesso difficile identificare e riconoscere in particolare i sentimenti forti. Ciò è talvolta legato al fatto che hanno in qualche modo preso le distanza dai loro sentimenti o alla convinzione irrazionale che riconoscere i sentimenti forti sia un segno di debolezza. Non è sempre così facile per i clienti fronteggiare la situazione e identificare sentimenti di infelicità, inadeguatezza, paura o rabbia. Ecco perché è essenziale che i counselor formulino le domande con accuratezza e sensibilità, e in questo senso anche la scelta del momento è importante. Le domande allusive Sono domande che vengono poste in un modo tale da indurre una particolare risposta. Spesso le domande allusive sono ancora più sottili e la risposta è suggerita solo vagamente. Talvolta viene

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usata una parola emotiva per indicare il tipo di risposta richiesta, e in tal caso la domanda non è più soltanto allusiva, ma anche emozionalmente carica. Le domande allusive pongono la persona a cui sono rivolte sotto la pressione di dichiararsi d’accordo, ciò vuol dire che il counselor sta imponendo le sue opinioni, i suoi valori, le sue convinzioni al cliente. Le domande allusive dovrebbero essere sempre evitate nel counseling. Es: sua moglie è sconvolta dal Suo comportamento? Le domande multiple Si tratta di numerose domande tutte in una volta. Queste domande sono imbarazzanti e inopportune, e molto spesso hanno l’unico risultato di confondere i clienti, specialmente quelli i cui processi di pensiero sono stati disturbati dallo sconvolgimento emozionale e dal dolore. Hanno anche l’effetto di far sentire sotto interrogatorio e tendono a fa assumere un atteggiamento difensivo. Es: quando decise di partire?dove andò? Era lontano? Spesso è solo all’ultima parte di una domanda multipla che viene data risposta, e la risposta data è generalmente sia vaga sia tale da incoraggiare ulteriori domande. Le domande retoriche Sono quelle domande che non richiedono una risposta. Es: “chi non vorrebbe avere una vita familiare felice?” È raro che domande simili possano essere utili nella situazioni di counselig. Spesso sono gli stessi clienti a fare uso di domande retoriche, talvolta come modo indiretto per sollecitare consigli o opinioni. Quando ciò avviene, una risposta utile da parte del counselor può essere quella di invitare il cliente a considerare in modo più approfondito il significato di quel che ha detto. In questo modo, il cliente ha la possibilità di considerare quegli aspetti che gli creano ansia o preoccupazione ma che sono difficili da esprimere direttamente. Si ricordi comunque che le domande retoriche dei clienti non dovrebbero mai essere ignorate, perché sono pressoché invariabilmente generate dal bisogno di discutere o considerare ulteriormente certi temi. Le domande di scandaglio che incoraggiano l’elaborazione Spesso i clienti descrivono le loro situazioni problematiche in modi tali che, se si desidera giungere a vero un insight, necessitano di un’ulteriore elaborazione. L’uso di domande di scandaglio aiuta i clienti a guardare al di là delle ovvietà che hanno detto e a considerare le varie dimensioni e implicazioni. Possono assumere la forma di comunicazione sia verbale che non verbale, e che perfino un cenno del capo o un’espressione di interesse da parte del counselor può dare al cliente un incoraggiamento sufficiente per andare avanti. Una stimolazione o una guida troppo pronunciata, tuttavia, sia verbale che non verbale, rischia di esercitare un’indebita pressione sul cliente. Formulare domande troppo presto Benché alcuni clienti vengano in counseling aspettandosi che vangano loro rivolte delle domande, ce ne sono altri che desiderano e pretendono di parlare in prima persona delle questioni e dei problemi che li concernono. Spesso buona parte di quel che i clienti dicono all’inizio può sembrare incorente e pieno di circostanziati dettagli non necessari. Dal punto di vista del cliente, tuttavia, ciò è perfettamente logico perché il counselor è, dopo tutto, un estraneo la cui attendibilità, credibilità e rispetto non sono ancora stati stabiliti o confermati. Un modo per mettere alla prova questi aspetti è quello di rivelare molto poco all’inizio, e poi aprirsi a mano a mano di più via via che la fiducia aumenta. Quando i clienti parlano a ruota libera, sarebbe sbagliato e inopportuno interromperli per far loro domande; se vengono fatte interruzioni del genere, è probabile che il cliente se ne senta irritato e perda il filo di quel che stava dicendo.

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Talvolta i clienti arrivano alla prima seduta con un elenco di domande già pronto: in questo caso il counselor dovrebbe passare un po’ di tempo su queste cose con il cliente per facilitare la comprensione e costruire un rapporto. Le domande di apertura La cosa migliore è usare una breve domanda come modo per riconoscere la presenza del cliente e stabilire un contatto. Ad esempio:

vorrebbe cominciare dicendomi a che cosa sta pensando in questo momento? Prego, mi dica come posso aiutarla.

L’affermazione o la domanda iniziale dovrebbe essere aperta quanto basta per incoraggiare il cliente a parlare liberamente. Si tratta di una sorta di autorizzazione a parlare, e segnala al cliente che il counselor è là per ascoltarlo e aiutarlo Altre modalità di formulare domande Le domande che incoraggiano il pensiero critico I clienti possono essere incoraggiati ad autoformularsi le domande per migliorare le loro abilità innate di discriminare fra varie possibilità o corsi di azione. Alcuni modelli teorici del counseling pongono maggiore enfasi di altri sull’autoformulazione di domande da parte del cliente. Il counseling razionale emotivo di Ellis è un esempio di modello che valorizza tale abilità. In particolare, Ellis fa riferimento alle convinzioni irrazionali delle persone che causano problemi emozionali. Secondo Ellis, queste convinzioni irrazionali devono essere identificate e messe in discussione. L’abitudine al pensiero critico e all’autoformulazione di domande rende i clienti capaci di acquisire fiducia e indipendenza, due dei più importanti obiettivi del counseling. I clienti possono essere incoraggiati a guardare più da vicino alcune delle loro credenze e a stabilire se siano vere sul serio. In ogni caso, è evidente che per aiutare i clienti a sviluppare abilità di pensiero critico i counselor devono possedere qualche competenza in proposito o svilupparla nel corso della loro formulazione. Le domande che si riferiscono al passato e al futuro Nel modello psicodinamico del counseling, l’attenzione è focalizzata sulle esperienze infantili e i clienti possono essere incoraggiati, attraverso la formulazione di domande, a esaminare episodi remoti della loro vita, comprese le relazioni con i genitori e i fratelli. Le domande devono essere formulate soltanto quando sono rilevanti e suscettibili di far avere al cliente un insight. Per rivolgere domande aperte, l’empatia è considerata una componente essenziale. È necessario che i clienti considerino le conseguenze dei cambiamenti che stanno preparandosi a effettuare. Questo tipo di domande generalmente trova spazio in fasi avanzate del cuonseling, quando i clienti stanno ponendosi obiettivi per il futuro. Creare la giusta atmosfera emozionale L’esperienza emozionale che i clienti percepiscono quando vengono in counseling per la prima volta è uno dei fattori che determineranno il loro futuro impegno nel processo di autoesplorazione. Fin dalle battute iniziali del counseling, il counselor deve dimostrare la volontà di prestare al cliente tutta l’attenzione necessaria a far sì che questa comprensione profonda venga alimentata. Inoltre è opportuno che gli studenti divengano consapevoli del proprio linguaggio corporeo, del proprio tono di voce e del loro contegno generale quando formulano una domanda. Un modo per monitorare la comunicazione non verbale e il tono della voce è quello di videoregistrare le sedute perché diano un feedback.

CAP 5 MESSA IN DISCUSSIONE E CAMBIAMENTO Nel corso della vita di ogni persona, si manifesta il bisogno di cambiamento e di riassestamento (stadi di sviluppo legati all’età, nuove opportunità, eventi traumatici o stressanti).

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Questo avviene quando modelli di comportamento vecchi o disfunzionali non sembrano più sostenibili o giustificabili. Nella fase iniziale del counseling i clienti si dispongono a parlare del loro problema alla presenza di qualcuno (il counselor) che è pronto a concedere loro attenzione individuale, rispetto, comprensione e autentico sostegno. Le tecniche base dell’ascolto sono: parafrasi, riassunto, riflettere i sentimenti dell’utente e le domande aperte. Nella seconda fase si dà agli utenti tempo sufficiente per indagare e dar senso alle proprie difficoltà. C’è una nuova valutazione dei problemi e il susseguente sviluppo di alcuni incentivi per affrontarli. Spesso è la parte più difficile dell’intero processo. Il cambiamento appare spaventoso in quanto comporta una certa assunzione del rischio. Messa in discussione e confronto La messa in discussione può essere usata efficacemente solo da counselor onesti e con una buona consapevolezza di sé rispetto alla propria vita e ai rapporti con i loro clienti. La sensibilità, il tatto e una buona scelta dei tempi sono fondamentali. La messa in discussione dovrebbe evolvere dagli insight personali del cliente che si verificano nel corso del counseling. La parola confronto nel contesto del counseling non ha nulla a che vedere con l’aggressione, il biasimo o la censura, ma si utilizza per aiutare i clienti a identificare chiaramente aree della loro vita in cui esistono discrepanze e incoerenze (modi di essere del cliente o il suo comportamento in relazione agli altri, familiarizzare il cliente con gli aspetti positivi di sé). La messa in discussione funziona meglio quando origina dalla consapevolezza e dall’insight del cliente. I counselor devono incoraggiare i clienti a guardare più criticamente le loro situazioni problematiche, cosa che si può ottenere solo all’interno di una relazione empatica e di sostegno. L’aspetto più importante della messa in discussione efficace è che mette i clienti in condizione di guardare se stessi e i propri problemi in modi nuovi e diversi. Quando attraverso la messa in discussione riesce ad assumere altri punti di vista, il cliente si trova in una posizione di maggiore forza per affrontare i propri problemi con successo e rinnovata creatività. È importante aspettare che sia il cliente a innescare la messa in discussione; a volte i clienti lo fanno abbastanza rapidamente, specialmente se si trovano di fronte a un counselor che è molto capace di ascolto e capisce chiaramente ciò che tentano di dire. È possibile che alcuni utenti siano in grado di mettersi in discussione più di altri, ed è certamente vero che la capacità di riflessione e autocritica è di grande aiuto in questo. Tuttavia, molte persone che chiedono il counseling hanno perso il contatto con queste abilità, a causa della turbolenza emotiva che stanno sperimentando in quel momento. Gli utenti non dovrebbero mai essere messi in discussione per accelerare il processo di aiuto. La scelta del momento più propizio è un fattore importante nell’utilizzo di queste tecniche. Se i clienti vengono messi in discussione troppo presto, l’effetto sarà quello di attivare le difese che loro e tutti noi usiamo. Esse permettono di spiegare molto sulle ansie e sulle paure chi i clienti intendono mascherare. I meccanismi di difesa sono metodi psicologici e comportamentali inconsci che le persone usano per proteggersi da emozioni spiacevoli. Di tanto in tanto tutti noi sfruttiamo questi meccanismi, ma se finiamo per dipenderne e per basarci su di essi a lungo, potremmo avere dei problemi perché la troppa dipendenza ci impedirà di vedere le cose con chiarezza. L’umorismo Può essere usato come barriera per difendersi dall’intimità con gli altri. Queste sono le persone che tendono a fare una battuta o un commento quando sentono che un’interazione sta diventando troppo personale o emotiva. Molti lo utilizzano per difendersi contro la depressione e perfino la disperazione.

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Talvolta i clienti insistono con l’atteggiamento umoristico, una possibile ragione è che non hanno sviluppato una fiducia sufficiente nella relazione d’aiuto e non sono quindi disposti a rendersi vulnerabili e autentici di fronte al counselor. L’intellettualizzazione Un modo efficace per prendere le distanze da emozioni e sentimenti dolorosi è parlare dei problemi in termini freddi e astratti. Le persone che utilizzano l’intellettualizzazione come difesa contro sentimenti forti spesso sono convinte che le questioni emotive siano imbarazzanti e quindi debbano essere tenute nascoste. Questi individui tendono a imbarcarsi in lunghe discussioni su argomenti conflittuali in modo tale da svuotarli di qualsiasi sentimento reale. Vengono spesso fatte generalizzazioni astratte e prevale una svalutazione dell’esperienza e del contatto emotivo. Il riconoscimento dei sentimenti è importante per i clienti, al pari della comprensione e della capacità di integrare tutti gli aspetti dell’esperienza personale. Se si raggiunge questa integrazione, è meno probabile che i clienti facciano esclusivo affidamento sull’intellettualizzazione come modo di affrontare (spesso inefficace) i loro problemi. L’introiezione Si fa riferimento al processo di “assorbimento” delle opinioni, credenze, standard, atteggiamenti e comportamenti trasmessi da altre persone. L’interiorizzazione di valori genitoriali e sociali fa parte del processo di socializzazione che tutti noi sperimentiamo. L’introiezione è quindi un processo normale che può diventare un meccanismo di difesa , quando è usato come modo per evitare la responsabilità di sé. Gli individui che intromettano le opinioni e i valori degli altri, senza nemmeno cercare di metterli in discussione, molto probabilmente avranno difficoltà a raggiungere l’indipendenza totale e potranno avere molti problemi. A volte i clienti hanno subito per anni messaggi da parte dei genitori che erano, per esempio, negativi o perfino violenti. Ciò può condurre alla depressione, alla mancanza di fiducia e all’incapacità di prendere decisioni senza l’approvazione degli altri. Una delle convinzioni centrali dei principali approcci al counseling è che i clienti hanno le risorse necessarie per affrontare i propri problemi. La proiezione Descrive la pratica di attribuire proprie caratteristiche negativo o propri fallimenti ad altri. La mancanza di consapevolezza di sé ha l’effetto di allontanare le persone da se stesse e dai propri sentimenti. Quando ciò si verifica i problemi personali tendono a rimanere irrisolti. Questo talvolta si vede nel counseling con clienti che non sono in grado di ritenersi responsabili di alcuni dei sentimenti o tratti caratteriali che attribuiscono ad altri. Una delle conseguenze di nn mettere in discussione il cliente che sta chiaramente proiettando dei tratti caratteriali è che il comportamento e i problemi continueranno semplicemente a sussistere e causeranno ulteriori problemi di comunicazione. La negazione Un modo per negare gli aspetti sgradevoli o minacciosi della realtà è quello di negare semplicemente che esistano. La maggior parte delle persone la usa almeno occasionalmente. L’uso abituale della negazione porta all’evitamento di intere aree di esperienza personale. Nel lutto la negazione a lungo termine diventa problematica poiché inibisce la possibilità di riprendersi dopo la morte di una persona cara. Spesso vengono negati alcuni aspetti del Sé, ed è frequente vedere clienti che rifiutano i loro sentimenti, specialmente quando tali sentimenti sono intensi o minacciano di sopraffarli. La razionalizzazione È il processo attraverso cui alcuni aspetti inaccettabili di o disturbanti di Sé vengono giustificati cognitivamente. Le ragioni che vengono sollevate in questi casi non sono, naturalmente, le ragioni reali, ma hanno lo scopo di proteggere l’individuo da una realtà dolorosa.

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Queste giustificazioni servono a proteggere la persona dal senso di fallimento. I clienti usano spesso la razionalizzazione anche per giustificare comportamenti inaccettabili in se stessi o in altri. Un uso prolungato della razionalizzazione può ingenerare un autoinganno cronico. Quando ciò si verifica, è necessario che i clienti siano sollecitati a guardare le cose in termini più ralistici. Altri aspetti del comportamento difensivo I clienti che arrivano tardi all’appuntamento e quelli che desiderano andarsene in anticipo. Quando certi schemi di comportamento diventano abituali, il counselor ha la responsabilità di cercare di capire cosa ci sia dietro una particolare risposta del cliente. I counselor possono fronteggiare questo tipo di risposta, considerando più approfonditamente il loro atteggiamento verso il cliente e verificare se gli stanno trasmettendo silenziosamente particolari aspettative. I clienti si sentono sotto pressione, specialmente quando percepiscono che il counselor ha qualche difficoltà ad accettare o comprendere il problema cha stanno descrivendo. Il silenzio: benché il silenzio possa significare riflessione e pensiero, talvolta segnala invece un ritiro dal processo di counseling. Talvolta ciò si verifica quando un cliente ha la sensazione di essere sotto pressione, pressione che può essere il risultato di domande inopportune o intrusive da parte del counselor. Talvolta ai clienti viene “suggerito” di andare in counseling, da medici o da altri professionisti: naturalmente , quando avviene una cosa del genere, è possibile che manchi l’impegno del cliente fin dall’inizio. Quando manca l’impegno del cliente, possono evidenziarsi altre forme di ritiro come: mancate risposte, cambio di argomento o spostare l’attenzione. Talvolta un cliente rifiuta direttamente qualunque cosa il counselor dica. Quando si verifica una di queste forme di comportamento, il counselor dovrebbe affrontare l’argomento e parlarne apertamente per esplorare le cause che vi sono sottese. È importante il principio dell’ascolto attivo, empatia e rispetto. Anche quando i clienti perdono delle sedute o cancellano un appuntamento è necessario discuterne. Le conseguenza di non affrontare questioni del genere sono: confusione, fraintendimenti e perdita di tempo sia per il counselor che per il cliente. Abilità L’immediatezza Questo termine viene usato da Egan per riferirsi alla discussione di questioni che si verificano “qui e ora”, e che perciò riguardano direttamente la relazione tra counselor e cliente. L’immediatezza viene usata dal counselor per aiutare il cliente a comunicare in maniera diretta le sue preoccupazioni. La capacità di agire con immediatezza può essere anche usata per focalizzarsi in maniera più diretta sul rapporto tra cliente e counselor. Autorivelazione del cousnselor In alcune areee specifiche del counseling (esempio abuso di alcol e di droghe), l’autorivelazione viene frequentemente usata dal counselor (Egan). I membri di un gruppo di mutuo aiuto come gli Alcolisti Anonimi (AA) rivelano sempre molte informazioni su se stessi. Il successo e l’efficacia nel tempo di un gruppo AA come strategia di sostegno è una prova sufficiente di questo fatto. Quando i clienti hanno un problema di dipendenza da droghe o da alcol, il colloquio con ex alcolisti o ex tossicodipendenti li porta spesso a concludere che il loro problema non è insormontabile o senza speranza. I gruppi di mutuo aiuto sono ugualmente utili per i partecipanti che hanno avuto altre esperienze in comune.

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Nel counseling quando il cliente ha problemi che sono simili a quelli già sperimentati dal counselor, l’autorivelazione di ques’ultimo può essere opportuno e utile. Se le informazioni vengono fornite in modo casuale, il cliente può rimanere confuso e incerto rispetto agli scopi e al significato delle informazioni fornitegli (del tipo: “Sì, lo so, anche a me è successo questo”). Una quantità eccessiva di autorivelazione da parte del counselor produrrà sicuramente uno spostamento di attenzione su quest’ultimo e può anche avere l’effetto indesiderato di far sentire il cliente responsabile per il counselor. Quando si verifica questo scambio di ruoli, il cliente viene posto in una posizione insostenibile , in cui i problemi personali che lo hanno portato alla ricerca del colloquio vengono percepiti- per lo meno dal cliente- come insignificanti rispetto a quelli esposti dal counselor. Quando l’autorivelazione da parte del counselor è condotta in maniera controllata, abile e mirata ai bisogni del cliente, i suoi effetti saranno probabilmente positivi e terapeutici. L’autorivelazione può avere l’effetto di creare un “legame”, producendo una relazione più profonda e umana tra il cliente e il counselor. Questa relazione più ricca può incoraggiare una maggiore autorivelazione da parte del cliente, l’esempio fornito dal counselor può servire al cliente come punto di riferimento per affrontare in modo più deciso e costruttivo gli aspetti difficili e problematici del suo comportamento e del suo stile di vita. Il counselor deve valutare attentamente la quantità di informazioni e i tempi in cui esse vengono fornite. Inoltre, le informazioni non devono suscitare nel cliente una curiosità che lo distolga dal focus di attenzione desiderato. Il seguente è un sommario dei benefici dell’autorivelazione:

Attraverso l’autorivelazione il counselor dimostra di essere umano, comprensivo e di avere avuto esperienze di vita;

L’autorivelazione del counselor può far diventare il cliente più coraggioso nell’affrontare questioni difficili o dolorose;

L’autorivelazione del counselor può avvicinare il cliente e il counselor e ciò può dar luogo a una maggiore empatia da parte del counselor;

Il counselor che lavora nell’ambito di particolari aree di disagio, come la dipendenza, può fornire informazioni personali, basate su esperienze passate, utili al cliente.

I potenziali rischi includono: L’autorivelazione del counselor sposta l’attenzione dal cliente al counselor; Non può verificarsi il caso di due persone che abbiano esattamente la stessa esperienza; L’autorivelazione del counselor può causare preoccupazioni anche notevoli nel cliente; Il cliente può cominciare a sentirsi responsabile per il counselor; L’autorivelazione del counselor può causare confusione nel cliente, ce potrebbe non capire

perché gli vengano trasmesse informazioni personali; Il counseling non è una forma di scambio sociale, ma è piuttosto una particolare relazione

psicoterapeutica in cui i bisogni del cliente sono il focus primario. L’autorivelazione può creare uno squilibrio in questa relazione.

Il cliente può provare invidia se ha l’impressione che il counselor si stia vantando dei suoi successi personali.

Il counselor con problemi personali irrisolti può fare ricorso all’autorivelazione per evitare di ascoltare il cliente.

Gli studenti di counseling devono essere consapevoli che qualsiasi episodio di autorivelazione avrà degli effetti, positivi o negativi, sul cliente, che dipendono da vari fattori:

Il tipo di problema/problemi del cliente Le modalità temporali dell’autorivelazione del counselor; La quantità di informazioni fornite; Il livello e complessità delle informazioni fornite ; I motivi sottostanti all’autorivelazione;

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Il comportamento non verbale che accompagna l’autorivelazione. Questo comportamento deve essere congruente e coerente con la produzione verbale.

La capacità di guardare le cose in profondità L’empatia è essenziale perché si verifichi una comprensione reale tra il counselor e il cliente: quando manca l’empatia, manca anche la comprensione. L’empatia profonda può essere definita come una consapevolezza più intuitiva e profonda dell’esperienza di un’altra persona. Nella relazione psicoterapeutica, il counselor deve saper cogliere le difficoltà espresse o inespresse del cliente, e lo sviluppo e messa in atto delle capacità di empatia profonda è un modo efficace per raggiungere questo obiettivo. I bisogni del cliente sono dunque assolutamente prioritari nel counselig. Il compito del counselor è quello di ascoltare ciò che il cliente ha da dire, e di comprendere non solo la sua produzione verbale ma anche le sue preoccupazioni inespresse, specie quando queste sono al di fuori della sua consapevolezza immediata. Fornire informazioni al cliente Talvolta i clienti chiedono informazioni fattuali che potrebbero esser utili per affrontare più efficacemente i loro problemi. Vi sono molte situazioni di counseling in cui è perfettamente lecito fornire informazioni su risorse disponibili al cliente per affrontare più efficacemente problemi specifici. Un cliente con problemi associati ad abuso di alcol o di droghe può trarre beneficio da informazioni riguardanti gruppi di mutuo aiuto per persone che hanno lo stesso tipo di problema. I clienti che soffrono di grave depressione spesso si sentono rassicurati quando vengono informati che è disponibile un trattamento medico efficace per questa condizione. Oltre agli esempi appena visti, il cliente spesso ha bisogno di ulteriori informazioni per mettere in discussione alcune proprie convinzione nel counseling.

CAP 6 AZIONE E GESTIONE EFFICACE DEL COLLOQUIO

La richiesta di aiuto è già di per sé una prospettiva che intimidisce e richiede una grande dose di coraggio, oltre che un’attitudine a divenire attivi e propositivi nel gestire le difficoltà personali. Uno degli obiettivi principali del counseling consiste proprio nello sviluppo dell’indipendenza e dell’autonomia del cliente. È utile individuare nel counseling un momento iniziale, uno intermedio e uno finale; a tale riguardo si rivelano di particolare aiuto le fasi che derivano dall’approccio di Egan al problem-solving. La terza fase descritta da Egan riguarda l’azione e la gestione dei problemi . Ci si soffermerà in modo particolare su come i clienti possono affrontare i loro problemi attraverso l’impiego di strategie quali pianificazione di azioni, pensiero creativo, brainstorming, sviluppo di abilità di socializzazione e di assertività. L’autostima L’autostima di base può fortemente ridursi, o addirittura essere assente, quando nella vita di una persona si verifichi precocemente o ripetutamente un trauma o un danno emotivo. La consapevolezza di sé inizia a svilupparsi nell’infanzia e la sua evoluzione è il risultato diretto dell’interazione tra il bambino piccolo e l’ambiente immediatamente circostante. Sono i genitori, o chi primariamente si prenda cura del bambino, a rappresentare per quest’ultimo l’aspetto più significativo dell’ambiente. Se i rapporti che si instaurano in questa fase sono favorevoli, di amore e di supporto, il bambino è pronto a interiorizzare un senso positivo del sé; quando poi si provveda a far sì che l’ambiente immediatamente circostante conservi la sua funzione di supporto e nutrimento, l’individuo che cresca in tale contesto ha buone possibilità di mantenere e accrescere questa percezione positiva di sé. Nel corso della vita di ogni singolo individuo inevitabilmente si

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verificheranno eventi contrari, ma qualora sia stata precedentemente acquisita una fiducia in se stessi di base, si disporrà anche di appropriate strategie per reagire positivamente. Quando queste strategie si rivelano efficaci e consentono di superare le difficoltà, la sensazione di successo che ne consegue accrescerà ulteriormente in una persona la consapevolezza del proprio valore e la sua autostima. Sfortunatamente, non sempre i rapporti iniziali sono di amore e di sostegno. Un ambiente sfavorevole impedisce al bambino di essere in sintonia con se stesso, ogni ostacolo che dovesse presentarsi in seguito nel corso della vita contribuirà a peggiorare la concezione di sé. È evidente che molte persone cercano aiuto quando la loro autostima è fortemente diminuita. Il counseling è una forma di aiuto che contribuisce a ripristinare un equilibrio che sia stato sconvolto da precedenti esperienze negative. In un lavoro di McKay e Fanning, chiamato Self-esteem, viene riferito di una ricerca condotta in America da Zilbergeld, la quale indica chiaramente come la psicoterapia produca un effetto positivo e benefico nel favorire l’aumento dell’autostima. Secondo Zilbergeld la più importante funzione del counseling consiste nell’accrescere l’autostima dei clienti, questo consiste nello sviluppo della consapevolezza personale e nell’incremento della fiducia in se stessi, elementi che di per se stessi motivano realmente le persone a cambiare. È compito dei counselor far sì che si instaurino le giuste condizioni perché si verifichino tali cambiamenti. I clienti hanno bisogno di essere incoraggiati a formulare obiettivi per il futuro, a intraprendere azioni quando sia necessario e a sviluppare una serie di nuove strategie che permetteranno loro di confrontarsi più realisticamente con le difficoltà. Ovviamente il modo in cui le finalità e gli obiettivi possono essere perseguiti dipenderà, in qualche misura, dalla natura di problemi dei clienti e dalle risorse a loro disposizione. Gli obiettivi Ogni progetto ideato durante il counseling e ogni azione intrapresa dai clienti dovrebbero essere un risultato diretto di loro scelte personali. Le capacità del counselor in questa fase dovrebbero tendere a incoraggiare i clienti a riflettere attentamente prima di intraprendere qualsiasi azione, a sostenerli una volta che abbiano fatto le loro scelte, a monitorare ogni progresso o miglioramento ottenuto. Nella fase intermedia del counseling, i clienti dovrebbero aver considerato tutte le opzioni a loro disposizione, e dovrebbero aver deciso quali cambiamenti siano per loro necessari o quali desiderino operare. Pianificare l’azione e stabilire gli obiettivi costituiscono i successivi anelli della catena. In questa fase, assumono una particolare importanza le parole cosa e come: i clienti possono essere incoraggiati a considerare queste parole con attenzione, mettendole per iscritto ed elencando sotto di esse risposte appropriate. È bene incoraggiare i clienti a esprimere i loro obiettivi in termini positivi piuttosto che negativi (es: anziché dire “voglio perdere peso”, definire la propria ambizione in termini di risultati piacevoli e vantaggiosi). Questa tecnica può sembrare semplicista e ripetitiva, ma essa aiuta i clienti a esaminare i loro clienti a esaminare i loro problemi e le contromisure da adottare per risolverli. Domande da porsi in riferimento agli obiettivi:

Sono specifici per il singolo cliente? Sono stati scelti dal cliente? Sono meditati e pianificati? Possono essere valutati? Sono realistici? Quanto tempo occorrerà per raggiungerli? Sono chiari?

Pensiero creativo e immaginativo È difficile essere brillanti, immaginativi e creativi quando le proprie risorse mentali sono disturbate da sentimenti di sofferenza, infelicità o angoscia. I clienti spesso sperimentano una diminuzione della

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loro capacità immaginativa o creativa, e questa situazione può seriamente ostacolare l’identificazione di soluzioni nuove e originali per risolvere i problemi. Il counseling non è l’unico mezzo che permette ai clienti di recuperare alcune delle loro capacità creative, esso è indubbiamente utile, soprattutto perché offre un’attenzione e un aiuto personalizzati, importanti per chi sia impegnato a rischiare e a cambiare. La creatività, impiegata nel contesto di counseling si riferisce all’abilità del singolo individuo di sviluppare e realizzare appieno le proprie potenzialità. Essa implica anche una spinta verso la maturità, l’indipendenza e l’autonomia. Il pensiero immaginativo, l’originalità e il desiderio di avventurarsi in territori sconosciuti sono perciò strettamente collegati allo sviluppo del sé e alla crescita personale. Questa accresciuta consapevolezza di sé e la fiducia in se stessi saranno per i clienti di ausilio nel recuperare le innate capacità di giudizio e nel prendere decisioni permettendo loro, inoltre, di divenire più innovativi nell’accostarsi alla soluzione dei problemi e agli obiettivi. Approcci al pensiero creativo La creatività richiede determinazione e applicazione, produzione creativa non scaturisce dalla sola ispirazione ma, perché sia produttiva e dia risultati, esige fatica e perseveranza. Un approccio creativo alla risoluzione dei problemi richiede anche autodisciplina, organizzazione e spirito critico verso ogni idea che emerga durante le sedute. Il brainstorming è un approccio al pensiero creativo che si rivela efficace per molti clienti del counseling. Questa tecnica si basa sul principio di concepire con prontezza quante più idee possibili, senza prestare inizialmente alcuna attenzione alla loro idoneità o adeguatezza. La visualizzazione È un altro approccio al pensiero creativo e può essere usata dai clienti per immaginare come sarebbe il raggiungimento di obiettivi specifici. Egan utilizza il termine “scenari privilegiati” per descrivere la procedura che aiuta i clienti a creare raffigurazioni mentali di un futuro migliore. Senza dubbio non si tratta di una procedura semplice, poiché richiede concentrazione, realismo e un grande impegno per il conseguimento degli obiettivi. Imparare nuove abilità Molto spesso i clienti hanno bisogno di acquisire nuove abilità prima di poter agire nel perseguimento dei propri obiettivi. Il counseling basato sull’approccio cognitivo-comportamentale impiega una varietà di metodi, incluso lo psicodramma, la lettura di testi, prescrizione e tecniche assertive per aiutare i clienti nell’acquisizione di abilità. È possibile fornire ai clienti l’opportunità di sviluppare atteggiamenti e competenze in diversi campi, indipendentemente dall’orientamento prescelto. Anche il metodo centrato sulla persona viene, per definizione, adattato ai bisogni di ogni cliente. È quindi in grado di offrire una serie di attività di supporto, compreso l’incoraggiamento a sviluppare delle capacità in un qualsiasi campo in cui il cliente desideri migliorare. Incoraggiare Se i clienti devono sostenere uno sforzo per progredire e raggiungere gli scopi prefissati, avranno bisogno di tutto il sostegno, l’incoraggiamento e il feedback necessari. I clienti possono anche essere aiutati ad autoincoraggiarsi e tenersi costantemente sotto osservazione per tutta la durata di questa fase. Significa incoraggiare i clienti a essere più sicuri di sé e più fiduciosi nelle loro nuove capacità di affrontare la situazione. Significa anche aiutarli a individuare elementi di supporto nel proprio ambiente. È importante ribadire che il cliente deve sempre sentire gli obiettivi come propri. Un’altra ragione importante per incoraggiare i clienti è che spesso ciò dà loro la spinta necessaria per continuare, quando rinunciare sarebbe una prospettiva molto allettante. Per essere veramente efficace l’incoraggiamento deve mettere in evidenza le risorse personali e le qualità del cliente, e anche il lavoro che è già stato realizzato. Gli errori commessi possono essere

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discussi alla luce dell’esperienza, il counselor può aiutarli a capire che gli errori non implicano necessariamente il fallimento. Persone che possono aiutare Un altro metodo a cui si ricorre per sostenere i clienti nell’approccio alla risoluzione dei problemi consiste nell’aiutarli a individuare le risorse disponibili, che potrebbero essere utili al perseguimento dei loro obiettivi. Oltre ai mezzi materiali, anche persone, perché all’interno di ogni rete sociale vi è in generale chi spontaneamente presta aiuto a coloro che sono in difficoltà es quando i clienti presentano problemi specifici come la dipendenza da droghe o alcol, si può ricorrere al lavoro realizzato dai gruppi di supporto e di mutuo aiuto. Purtroppo, oltre alle persone che possono offrire aiuto, vi è anche chi potrebbe impedire i progressi di un cliete: è necessario, quindi, individuare ogni possibile ostacolo e formulare soluzioni volte ad affrontare le difficoltà che possono insorgere. Altri aspetti dell’ambiente Altri aspetti dell’ambiente in cui il cliente vive possono sia ostacolarne che incoraggiarne i progressi. Il lavoro stesso svolto da un cliente, ad esempio, potrebbe comportare dei problemi particolari nel processo di cambiamento e miglioramento. Problemi delle altre persone Un’importante realtà con la quale spesso i clienti devono confrontarsi consiste nel fatto che non sempre è possibile esercitare un controllo sulle altre presone o sui loro problemi, anzi è abbastanza raro che ciò avvenga. Una volta che i clienti abbiano compreso questa verità, diviene più semplice pianificare il futuro, poiché essi sono ormai consapevoli di dover accettare delle responsabilità innanzitutto per se stessi e per il proprio comportamento. Non è proficuo per i clienti impiegare troppo tempo a preoccuparsi dei problemi degli altri se non si sono occupati delle proprie difficoltà. Effetti sulle altre persone È importante anche considerare attentamente i costi che altre persono possono subire se i nostri obiettivi vengono raggiunti (es. un cliente che decida di divorziare, per esempio, dovrà considerare gli effetti che tale decisione avrà sulla sua famiglia, compresi i suoi figli). L’incapacità di considerare questioni significative di questo tenore avrà come risultato un’azione precipitosa e disorganizzata, votata al fallimento fin dall’inizio. Abilità di management del colloquio Definire dei contratti Il contratto può essere scritto o verbale e dovrebbe essere soggetto a incontri di verifica nelle varie fasi di progresso del cliente. Quando si desideri raggiungere più di un obiettivo, il cliente dovrebbe essere incoraggiato a stabilire un ordine di priorità. I clienti possono inoltre individuare i vantaggi e gli svantaggi delle varie proposte di cambiamento. L’utilizzo di contratti formali comporta svariati vantaggi: focalizzare l’attenzione direttamente sugli obiettivi che desidera raggiungere; aiutano a stabilire ordine e preparazione mentale prima di procedere a qualsiasi tipo di azione; il cliente acquista un senso di padronanza e di coinvolgimento, qualità essenziali per il raggiungimento degli scopi che si prefigge; è meno probabile che il cliente sottovaluti o sopravvaluti le proprie risorse quando queste vengono discusse in anticipo. Conclusioni del counseling È molto probabile che alla fine del counseling i clienti sentano tutta un gamma di emozioni conflittuali. I sentimenti del cliente in questa fase dipenderanno in una certa misura dal tipo di problemi per i quali ha iniziato il counseling. I clienti che avranno compiuto progressi reali, sentiranno ovviamente un senso di sollievo e di soddisfazione. Tuttavia, anche quando i sentimenti dominanti sono di successo e di realizzazione, è possibile che il cliente senta un certo grado di

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apprensione, dispiacere o perdita perché la relazione che l’ha aiutato ad arrivare a questa fase sta ora giungendo alla sua conclusione. La relazione di counseling, a differenza di altri tipi di rapporto, è destinata a finire. Uno degli scopi fondamentali del counseling è che, avvalendosi dell’aiuto che riceve nella relazione terapeutica, il cliente svilupperà fiducia in se stesso e autonomia nonché la capacità di affrontare efficacemente i propri problemi. I clienti devono essere consapevoli della durata del counseling, se non proprio dal principio, almeno un po’ di tempo prima delle sedute finali. L’ideale sarebbe coinvolgere completamente i clienti fin dall’inizio nella decisione sul numero di sedute di cui avranno bisogno per poter essere in grado di affrontare efficacemente i propri problemi. Stipulare un contratto fornisce in genere l’occasione per coinvolgere il cliente nella decisione sul numero di sedute a cui parteciperà. I contratti aiutano inoltre il cliente a focalizzare la sua attenzione sul limitato lasso di tempo a sua disposizione e possono quindi essere di grande aiuto anche nel motivare le azioni da intraprendere e il cambiamento. I clienti hanno bisogno di sapere che hanno compiuto progressi reali con le proprie forze prima di poter concepire una conclusione coronata da successo. Alla fine del counseling, si possono discutere con i clienti gli aspetti relativi ai vantaggi ottenuti grazie a esso. Prima di arrivare alla fase finale, sarebbe una buona idea passare un po’ di tempo con i clienti ad analizzare i cambiamenti positivi avvenuti in loro. Fine di ogni seduta Le sedute di counseling durano abitualmente da cinquanta minuti a un’ora e possono aver luogo una volta a settimana, quasi sempre lo stesso giorno. È tuttavia molto importante che le sedute comincino e finiscano entro l’orario prestabilito, indipendentemente dalla frequenza e dalla regolarità degli incontri. Se le sedute vengono protratte oltre il tempo stabilito ne risulterà quasi certamente un’atmosfera di stress e di fretta, con effetti dannosi sia sul counselor che sul cliente. Molti counselor destineranno un po’ di tempo a se stessi fra una seduta e l’altra per chiarirsi le idee, mettere in ordine gli appunti, andare in bagno o prendere un caffè. I counselor devono avere cura di sé se vogliono veramente essere disponibili ed efficienti nei confronti dei clienti. L’invio ad altri specialisti A volte i clienti vengono indirizzati al counseling da un medico di base, da uno psichiatra, da un collega o da un amico. In questi casi è necessario definire alcune informazioni relative al/la cliente e al suo problema. Il counselor deve comunque sapere perché è stato consigliato il counseling e come si sente il cliente circa la prospettiva di sottoporvisi. Aspetti importanti dell’invio sono:

Il cliente è stato consenziente nei riguardi del counseling o sente di non aver avuto scelta? Che aspettative ha nei confronti del counselor? Che tipo di aspettative gli sono state trasmesse dalla persona che lo ha indirizzato? L’approccio offerto è lo stesso consigliato al cliente? Come vede il ruolo del counselor la persona che lo ha consigliato?come un consulente o come

un esperto? Quali sono i problemi che il cliente sente di dover affrontare? Quali e quante informazioni il counselor deve condividere con il soggetto inviante? Quali sono

le regole del segreto professionale e della privacy? Il cliente è consapevole del fatto che le informazioni potrebbero essere condivise con altri?

I counselor talvolta non hanno il tempo di occuparsi di altri client, in questo caso devono dirlo chiaramente al soggetto inviante, se possibile prima che i clienti vengano indirizzati. L’indirizzare i clienti ad altri Anche i counselor hanno i loro limiti ed è per questo che devono spesso indirizzare i clienti ad altri soggetti o servizi che abbiano l’esperienza specifica o specialistica di cui il cliente può aver bisogno.

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L’ideale sarebbe che l’invio avvenisse durante la prima fase di counseling o non appena i bisogni individuali dei clienti divengono evidenti. Il processo di invio richiede tatto e sensibilità da parte del counselor per evitare che i clienti lo interpretino come un rifiuto. Non appena diventa evidente la necessità di indirizzare un cliente verso altri soggetti il counselor deve discuterla con lui in modo che la decisione sia presa di comune accordo, piuttosto che come qualcosa di imposto al cliente. Può succedere che il cliente non sia d’accordo con il consiglio di rivolgersi a qualcun altro. Uno dei motivi per cui è importante indirizzare il cliente ad altri all’inizio piuttosto che in una fase più avanzata del counseling è che, quando viene lasciato a uno stadio più avanzato, il cliente può essere riluttante ad abbandonare il rapporto che ha con un counselor per costruirne un altro con qualcuno che non ha mai visto. Se la fase di invio non viene gestita correttamente il cliente potrebbe arrivare a credere che i suoi problemi sono troppo difficili da affrontare per il counselor a cui si è rivolto per primo. Per evitare questo modo di pensare scoraggiante è necessario che il counselor individui con chiarezza i motivi dell’invio. I counselor dovrebbero anche essere disposti a riconoscere i propri limiti nei confronti dei clienti. Talvolta i problemi che un cliente sottopone al counselor sarebbero affrontati meglio da qualcuno che lavora partendo da una diversa prospettiva teorica. A volte sono i clienti stessi a chiedere esplicitamente di essere indirizzati ad altri perché sentono di potersi relazionare più facilmente, per esempio, con un counselor dello stesso sesso o di sesso opposto. I motivi di una tale richiesta sono molteplici e i counselor non devono interpretarla come un’accusa alla loro capacità professionale Le due domande più importanti che i counselor devono rivolgersi in relazione all’invio sono:

Che tipo di aiuto è il più valido per questo cliente? Dove è disponibile tale aiuto?

La condizione finanziaria dei clienti è un altro degli aspetti da considerare. Per esempio è inutile indirizzare un cliente a uno specialista se non può affrontarne la spesa.

CAP 7 E SITUAZIONI DI CRISI

La parola “crisi” viene generalmente usata per descrivere un grave evento, un momento critico o un periodo di grande pericolo e difficoltà nel corso della vita di un individuo. Il modo in cui ogni singola persona definisce o interpreta una crisi dipende da una molteplicità di fattori. Tali fattori includono le esperienze passate al pari delle strategie di fronteggiamento e della rete di sostegno che ogni persona ha a propria disposizione nel momento in cui accadono avvenimenti importanti. Forse il fattore più importante per definire la crisi è determinato dalla particolare percezione degli avvenimenti da parte di ogni singolo individuo. Ciò che più conta è il modo in cui la persona reagisce agli avvenimenti. Una definizione soggettiva di crisi dipende dagli infiniti modi di percepire gli avvenimenti da parte di ogni singolo individuo. Ci sono tuttavia alcune esperienze fondamentali che sembrano tipiche, indipendentemente dalle persone che ne sono state colpite. Avvenimenti particolarmente gravi come ad esempio l’aggressione, il furto con scasso, lo stupro, un lutto improvviso e disastri naturali. Un fattore cruciale per determinare il tipo di reazione a una crisi è la specifica configurazione di circostanze, diversa da individuo a individuo, entro cui questa crisi si verifica. Chi riceve un immediato appoggio sociale nei confronti della conseguenza derivante da una crisi starà meglio di chi viene lasciato solo a gestire la situazione. Quando accadono degli avvenimenti critici l’uno in prossimità dell’altro, è facile che le persone abbiano l’impressione di essere guidate da forze estranee al loro controllo. Tali impressioni possono in seguito dare origine alla sensazione di essere senza speranza, imbelli e disperati. Se a queste persone viene data la possibilità di esprimere i propri sentimenti, spesso affermano che il loro “mondo è andato in pezzi”, oppure fanno notare che “la terra si è aperta” sotto i loro piedi. Anche lo stato di equilibrio personale che molte persone mantengono senza troppa difficoltà si altera quando si è sottoposti a una condizione di crisi. Questo squilibrio è la causa della grande vulnerabilità

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che sentono le persone che affrontano un periodo di crisi. Caplan sostiene che la principale preoccupazione delle persone è quella di mantenere stabilità nel corso della loro vita: nel momento in cui tale stabilità viene minacciata o mandata in frantumi da una crisi, la reazione comune è un’intensa ansia. Il modo in cui le persone reagiscono a una crisi varia a seconda delle circostanze in cui la crisi si presenta. Ci sono comunque alcune reazioni identificabili che sono comuni nella maggior parte dei casi. La prima risposta è generalmente una reazione di shock, negazione, ansia, depressione, ira o disorientamento. Il pensiero può essere anche confuso o indebolito nel corso di un periodo di stress acuto, e la persona in crisi può impegnarsi in attività frenetiche nella speranza di riuscire a esercitare un qualche tipo di controllo su ciò che la circonda. Si possono avere però altre reazioni in risposta a un grande stress: l’immobilizzazione, la rassegnazione e la disperazione. Alcune persone più semplicemente si arrendono quando la loro capacità di tollerare lo stress viene sfidata e, quando questo accade, è di vitale importanza un qualche sistema di aiuto e di supporto. La crisi nell’età evolutiva I fattori più comuni che incidono nel corso di una crisi della nostra vita sono i cambiamenti o gli adattamenti che devono essere fatti nei periodi chiave. Adolescenza e pubertà L’adolescenza e la pubertà sono spesso considerati come un periodo importante di transizione e di cambiamento. Vengono prese molte decisioni, le scelte che riguardano la scuola, la carriera, attività sociali, relazioni e responsabilità. Avvengono cambiamenti fisici che spesso danno ai giovani la sensazione di sentirsi degli estranei all’interno del proprio corpo, l’interesse nei confronti del sesso, insieme ai cambiamenti psicologici e alle oscillazioni d’umore, sensazioni di disorientamento, incertezza e depressione. I potenziali problemi nel corso di questa fase di sviluppo sono: abuso di droghe, conflitti in famiglia, disordini alimentari, gravidanze indesiderate, l’andarsene di casa, tentati suicidi e abusi. Questi problemi vengono seguiti quotidianamente da counselor che lavorano in scuole e università. La maggiore età L’occupazione, la professione e la scelta della carriera sono particolarmente importanti in questa fase. È l’inizio di una relazione sentimentale duratura con un’altra persona. Tuttavia, separazione e divorzio sono ormai di routine; difficoltà economiche, solitudine, insicurezza e la necessità di prendersi cura dei figli sono tutte cose che esercitano forti pressioni sui giovani adulti. Tali pressioni vengono avvertite in modo maggiore nelle donne, le quali si trovano ad affrontare questa situazioni con sensi di colpa e ansia. La mezza età La mezza età è un periodo di transizione durante il quale le persone tendono a considerare da una diversa prospettiva molti aspetti della loro vita, e nel fare questo, molto spesso vengono introdotti cambiamenti radicali all’interno delle loro relazioni, della carriera e del loro stesso modo di vivere. Per le donne in menopausa segna sia un inizio sia una fine; la fine degli anni in cui possono avere bambini e, al tempo stesso, annuncia l’inizio dell’indipendenza e della libertà dalle responsabilità che si hanno nel mettere al mondo un bambino. Una crisi di mezza età può sorgere nella donna che avverte che la sua funzione principale nella via è ormai terminata. Oltre i sintomi fisici caratteristici della menopausa possono indebolire e provocare stress, ma i problemi sociali e psicologici della mezza età sono spesso molto più importanti. I figli maggiorenni che non riescono a trovare un lavoro, o che hanno bisogno di essere mantenuti all’università, influiscono su entrambi i genitori.

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L’età avanzata Le persone anziane hanno veramente molti problemi, la loro vita è difficile, impoverita e spesso dura. Molte persone anziane che non godono di buone condizioni di salute devono prendersi cura anche del proprio consorte malato, alcuni devono occuparsi dei figli adulti con una malattia psichiatrica che sono stati deistituzionalizzati. Una crisi psicologica può essere spesso accelerata in età avanzata quando un conoscente o amico della persona anziana muore. Sensi di colpa, ansia e disperazione a volte scaturiscono dal fatto che le persone più anziane riesaminano la loro vita nel tentativo di capire o dare un senso a tutte le esperienze che hanno vissuto. Gli stadi dello sviluppo psicologico di Erikson Il modello dello sviluppo psicologico di Erikson, mette in evidenza i principali problemi che si presentano a partire dall’infanzia in poi. Erikson credeva che questi fossero delle particolari sfide o crisi che dovevano essere affrontate stadio dopo stadio. Se queste sfide o crisi non vengono superate con successo, lo sviluppo psicologico e il progresso verranno ostacolati. Le scelte che vengono fatte in questi stadi sono molto importanti, infatti determineranno il modo in cui gestiremo, o non riusciremo a gestire il conflitto. Gli stadi sono i seguenti (vedi fotocopia). Il lutto Si tratta di crisi improvvise, inattese e dirompenti. Le reazioni in seguito alla perdita di una persona variano allo stesso modo in cui possono variare quando ci si trova ad affrontare una situazione di crisi inaspettata. Reazioni comuni nei confronti di un lutto sono:

La maggior parte delle persone rimangono scosse in seguito alla morte di un parente significativo o di un amico. Questo turbamento spesso è utile per proteggere queste persone dalla dura realtà di ciò che è realmente accaduto. Al turbamento possono, in seguito, seguire una profonda tristezza, struggimento, solitudine e rabbia, in seguito a una grave perdita si possono avere sensi di rimorso e colpa. Dopo un certo periodo si dovrebbe avviare un processo di ripresa e di riorganizzazione, vale a dire quando i ricordi riguardanti la persona perduta divengono più realistici, e la profonda tristezza che si era presentata nella fase iniziale del lutto diminuisce. La rabbia provata dalle persone colpite dal

Senso di colpa

tristezza

depressione

struggimento

solitudine

Ansia

shock

negazione

rabbia

rimorso

paura

disperazione

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lutto, dopo la morte di una persona cara, viene spesso sfogata sui parenti, i dottori, gli infermieri e chiunque altro doveva prendersi cura del deceduto. I counselor che lavorano con queste persone hanno bisogno di capire queste reazioni che, superficialmente, possono apparire esagerate, irrazionali o catastrofiche. L’esperienza del lutto può anche ingenerare sintomi fisici, insonnia, inappetenza e una serie di allucinazioni uditive e visive. Un altro effetto comune del lutto è la paura, che spesso si traduce in panico, terrore di essere soli, paura di uscire di casa, timore di impazzire.. Il processo di lutto è reso più difficile dal fatto che la morte permane un argomento tabù in molte culture. Bowlby precisa che l’intensità e la durata del dolore varia da una persona all’altra, aggiunge che esiste comunque un pattern molto chiaro che si manifesta nella maggior parte dei lutti. I quattro stadi descritti da Bowlby sono:

1. intorpidimento o insensibilità; 2. ricerca bramosa della persona cara che si è perduta; 3. disorganizzazione e disperazione; 4. riorganizzazione e guarigione

Il lutto complicato Le risposte al lutto dipenderanno anche, naturalmente, in qualche misura dalle circostanze della morte e dalla natura della relazione fra la persona morta e quella che ne porta il lutto. Una morte improvvisa o prematura è ovviamente più scioccante (per lo meno all’inizio) di una morte annunciata. Il dolore cronico o anormale si verifica soprattutto quando la relazione che esisteva fra il defunto e la persona colpita dal lutto era problematica o in qualche modo difficile. A un dolore anormale contribuiscono il senso di colpa, l’idealizzazione, un eccesso di dipendenza o divergenze irrisolte. Il lutto differito Quando insieme a una morte si verificano altri eventi critici, il processo dell’elaborazione del lutto può essere inibito o differito. C’è la tendenza a sopprimere i sentimenti dolorosi quando altri problemi premono per ricevere attenzione. Alcune persone riescono perciò a congelare il loro dolore per dedicarsi ai problemi urgenti che incombono. Ciò può funzionare per qualche tempo, ma dopo qualche tempo la persona colpita dal lutto può soffrire una serie di malattie fisiche o psicologiche fra cui infezioni, depressione e dipendenze. Le reazioni da anniversario Sono abbastanza comuni negli anni che seguono una morte, e tendono a essere più forti quando il dolore è stato inibito o soppresso. Gli anniversari e le altre date significative possono essere occasioni di grande tristezza per le persone colpite da un lutto. I counselor devono essere consapevoli dell’importanza degli anniversari, dei compleanni e di altri momenti significativi dell’anno come Natale o Capodanno per queste persone. Anche eventi come le nascite e i matrimoni possono innescare reazioni di grande dolore, e perfino piccole perdite possono attivare ricordi a lungo sepolti di tristezza e afflizione. Il suicidio Quando un parente, o un amico si suicida, la persona colpita dal lutto deve confrontarsi con un insieme di problemi quali: il forte shock subito, l’eventuale invadenza dei mezzi d’informazione, le illazioni e i pettegolezzi della comunità in cui risiede, la spiacevole esperienza delle indagini di polizia e, quindi, di una probabile inchiesta. La rabbia nei confronti del defunto può risultare intensa, logicamente il trauma maggiore è quello vissuto dalla persona presente all’atto suicida. Familiari e amici sperimentano frequentemente un profondo senso di colpa. Queste preoccupazioni e paure devono poter essere espresse e discusse apertamente con qualcuno che non ne sia emotivamente oppresso. Il counseling è di estrema importanza per chi ha subito una tale perdita.

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Situazioni di crisi e lutto: implicazioni importanti per il counseling In primo luogo, i counselor che hanno a che fare con i clienti in situazioni di crisi devono essere in grado di fronteggiare l’alto livello di sofferenza e l’urgenza delle circostanze prospettate. I counselor devono avere a propria disposizione ogni possibile risorsa, inclusa la più importante: una costante supervisione. La qualità e l’efficacia dell’aiuto che il counselor è in grado di dare dipendono dal suo equilibrio emotivo; un counselor in difficoltà sarà, ovviamente, incapace di aiutare un cliente in crisi e, sicuramente, aiuterà poco anche una qualsiasi altra persona, quali che siano le circostanze. Le persone in gravi difficoltà hanno, innanzitutto, bisogno di un aiuto pratico; hanno bisogno, inoltre, anche di informazioni: i counselor devono avere un’adeguata conoscenza di varie problematiche quali la tossicodipendenza, i tentativi di suicidio, la violenza familiare, i guai con la legge e le difficoltà economiche. All’insorgere di una situazione difficile, vanno identificate anche le risorse del cliente (famiglia, amici, comunità di residenza possono tutti venire coinvolti) oltre alle capacità individuali di gestire il momento critico. Vale la pena sottolineare l’importanza rivestita dall’aiutare i clienti a scoprire di possedere risorse proprie idonee ad affrontare il momento difficile, cosicché una volta riacquistata un po’ di fiducia, possano iniziare a controllare la situazione. Nelle fasi immediate o iniziali della crisi, il counselor deve adottare un approccio più proattivo all’aiuto di quanto si faccia normalmente. Uno degli aspetti che più sono suscettibili di rendere particolarmente acuta una situazione di dolore è l’incapacità di ricevere attenzione e comprensione quando si desidera dire come ci si sente. Le persone in crisi hanno bisogno di un’ancora di salvezza e di un aiuto immediato per riuscire a padroneggiare la situazione. I counselor possono ottimizzare l’aiuto identificando e concentrandosi per primi sugli elementi più importanti. I clienti suicidari, o quelli che comunque vivono una situazione di grave crisi, non sono in grado di trarre alcun beneficio dalle generiche rassicurazioni che tanto spesso vengono date quando si verificano problemi di lieve entità. Di fatto, la rassicurazione può essere assolutamente fuori luogo, perché tende a trasmettere alle persone che stanno soffrendo il messaggio che non le si sta prendendo sul serio. La rassicurazione, quindi, è inappropriata nel counseling con persone in crisi, poiché tende a distorcere la realtà e a dare l’impressione che il malessere del cliente sia preso sottogamba. Le persone in crisi hanno bisogno di un aiuto immediato per gestire problemi immediati. Spesso le persone in crisi hanno bisogno che si dica loro di prendersi cura di se stesse, di riposare di più, di mangiare e dormire a sufficienza. Quando le persone sono eccessivamente stanche, o emozionalmente prosciugate, non sono certo nella posizione di gestire i loro problemi o di esercitare un controllo sulla situazione. In seguito, quando la situazione immediata è stata gestita e si è riusciti a ristabilire una qualche forma di normalità, il cliente talvolta desidera discutere la crisi per comprendere o darsi ragione di quel che è accaduto. Sia il cliente sia il counselor hanno bisogno di lavorare insieme per esplorare questi aspetti.

CAP 8 IL COUNSELING DI GRUPPO

L’appartenenza al gruppo Noi tutti apparteniamo e comunichiamo nell’ambito di gruppi. Spesso le persone vivono in ambienti familiari che non contribuiscono allo sviluppo di una comunicazione efficace. Lo sviluppo e l’acquisizione delle abilità interpersonali è naturalmente un processo costante, perciò qualora siano stati proposti nella prima infanzia modelli di relazione errati o inefficienti c’è sempre la possibilità, in seguito, di ribaltare alcuni effetti attraverso un ulteriore training e mediante l’autoconsapevolezza.

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A scuola, attraverso l’interazione del gruppo, i bambini sviluppano e affinano le loro abilità comunicative e questo processo di conseguenza serve a insegnare le regole di cooperazione e di sostegno. Dalla scuola primaria al liceo, all’università, nel lavoro o nel matrimonio il compito di imparare a relazionarsi efficacemente agli altri prosegue. Possono sorgere numerosi problemi quando le occasioni di interagire all’interno di un gruppo diminuiscano, e questo talvolta accade, ad esempio, a quelle persone incapaci di procurarsi un lavoro. Le difficoltà e i problemi che possono derivare da questo genere di isolamento sociale sono complessi. Cos’è un gruppo? I numeri 3-4 sono il minimo necessario per formare un piccolo gruppo, e un massimo di 20-25 persone è spesso considerato il limite estremo. Ci sono alcune caratteristiche che i gruppi possiedono:

gli individui che compongono un gruppo sono consapevoli di farne parte e si aspettano di interagire gli uni con gli altri per un certo periodo, al fine di raggiungere alcuni obiettivi, concordati all’interno del gruppo e condivisi dai suoi membri;

ogni persona all’interno del gruppo ha un ruolo che aiuta a stabilire il comportamento individuale;

nel gruppo si instaurano relazioni affettive che indicano che i membri provano una serie di sentimenti reciproci i quali non sono mai statici ma tendono a evolversi nei vari stadi della vita di un gruppo

i componenti si adattano ad alcune norme, regole o modelli che sono spesso esplicitamente stabiliti e alcune volte solo sottintesi.

Il comportamento collettivo è molto differente da quello di ogni singolo membro che agisce separatamente.

Diversi tipi di gruppo All’interno dei servizi di assistenza medica e sociale si trova una vasta gamma di gruppi che ha scopi differenti. Gruppi di incontro Essi sono stati pensati da Carl Rogers e si rifanno alla sua filosofia centrata sulla persona, che richiama l’attenzione sulla crescita personale e la comunicazione efficace. Questi gruppi avevano l’intento di fornire le giuste condizioni per facilitare l’espressione di sentimenti autentici come la lealtà e l’onestà in un ambiente incoraggiante e non autoritario. Fù altresì incoraggiata l’espressione non verbale dei sentimenti e l’autocatarsi, ritenuta sommariamente benefica, divenne il tratto comune dell’esperienza dei gruppi di incontro. Una differenza essenziale tra i gruppi di training introdotti da Lewin e i gruppi di incontro caldeggiati da Rogers è che i primi non danno importanza alla crescita personale. Le persone che partecipano ai gruppi di training e ai gruppi di incontro decidono di farlo volontariamente e di solito non sono malate o emotivamente incapaci. I risultati desiderati sia nel training sia nel gruppo di incontro sono: migliori abilità sociali e di comunicazione, e il feedback che i partecipanti ricevono l’uno dall’altro spesso è efficace per il raggiungimento di questi obiettivi. Gruppi operativi I gruppi operativi (task groups) sono formati per rispondere a una particolare esigenza, per affrontare un compito o un problema specifico. Ad esempio per lavorare sulla ricerca o sui progetti della comunità o per diffondere iniziative e per formulare proposte. Nessun significato particolare è legato all’evoluzione della persona o alle capacità comunicative, sebbene l’esperienza dei gruppi operativi spesso accresca le potenzialità che i membri già possiedono. Gruppi di mutuo aiuto Fra i gruppi di mutuo aiuto il più famoso è il gruppo degli Alcolisti Anonimi, fondato nel 1935 in Ohio.

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Le persone in crisi e alla ricerca di mutuo sostegno da parte dei compagni di sofferenza spesso scoprono che i gruppi di mutuo aiuto sono il modo più efficace di affrontare le proprie difficoltà. Per ciascun individuo con un bisogno specifico è possibile intraprendere un lavoro di ricostruzione con un gruppo di mutuo aiuto e attirare così l’attenzione e il sostegno non sono dei membri del gruppo ma anche della società in generale. Quando le persone condividono uno stesso problema si alimenta un senso di solidarietà e comunione e attraverso l’appartenenza al gruppo e la comunicazione sono valorizzate le capacità di affrontarlo. La crescita personale e l’autoconsapevolezza sono il risultato della partecipazione a questi gruppi. L’idea che i membri possano aiutarsi e sostenersi reciprocamente senza l’intervento o l’aiuto degli esperti è costruttivo e serve ad accrescere l’autostima dei partecipanti. Quando le persone capiscono che possono affrontare i loro problemi attraverso l’impegno personale e attraverso la cooperazione con altri che condividono le stesse preoccupazioni, quasi sicuramente ne consegue un potenziamento individuale e un’accresciuta autostima. I gruppi di mutuo aiuto danno la priorità alla condivisione delle informazioni tra i membri. Importante è la possibilità che vengano dati consigli, discutere problemi pratici e il raggiungimento dei traguardi. Gruppi multidisciplinari Negli ospedali e nelle comunità ci sono numerosi cambiamenti per quanto riguarda l’assistenza multidisciplinare dei pazienti. La Carta dei Pazienti stabilisce che un infermiere dovrebbe essere assegnato a ciascun paziente dell’ospedale con la responsabilità di valutare e gestire la sua terapia. Questo infermiere è un case manager, cioè l’elemento fondamentale che fa da tramite tra dottori e il resto del personale che compone il team multidisciplinare. Gli altri membri del team possono includere il terapista occupazionale, il fisioterapista, gli assistenti sanitari. Le riunioni multidisciplinari avvengono a intervalli frequenti e sono importanti specialmente quando deve essere affrontata la riabilitazione del paziente. Il counseling e la psicoterapia di gruppo Un’esperienza comune tra i membri di un gruppo è quella di aver raggiungo una fase in cui sentono il bisogno di aiuto e sostegno per risolvere i problemi. Una dimensione importante dell’esperienza di gruppo è quella di aiutare i membri ad affrontare i loro problemi emotivi, psicologici e relazionali. Il gruppo diventa un mezzo di sostegno positivo nel quale esplorare e risolvere le difficoltà relazionali. Poiché un gruppo è composto da un numero di persone che dà e riceve feedback, esiste la possibilità che i singoli membri acquisiscano una dimensione di autoconsapevolezza e di capacità di penetrazione come risultato della loro partecipazione. Sebbene alcuni partecipanti possano essere riluttanti all’inizio a prendervi parte, questa riluttanza è risolta di solito quando l’esperienza dell’apertura, della compartecipazione e accettazione è comunicata loro e viene pian piano accettata. La differenza importante tra i gruppi di incontro e psicoterapia è che nei primi l’accento è posto sulla crescita e l’evoluzione individuali, mentre nei secondi è incoraggiato un approccio più terapeutico e volto alla risoluzione dei problemi. L’approccio è anche evolutivo, ciò richiede un impegno più prolungato, concentrato e intenso di quello che è generalmente associato sia al gruppo di incontro sia alla formazione. Le percezioni personali dei benefici o di quant’altro scaturisce dalla partecipazione al gruppo dipenderanno, dai problemi individuali, dalle aspettative e dalle esigenze personali. Un aspetto pratico del gruppo, citato frequentemente dai facilitatori dei gruppi, è che il tempo della terapia è abbreviato quando un numero di persone si incontrano in questo modo (Ellis). La terapia e il counseling sono ancora costosi per la maggior parte delle persone, ma se un gruppo ricevesse la terapia nello stesso modo momento diventerebbe possibile ridurre considerevolmente i costi e di conseguenza fornire un servizio che sia meno elitario di quanto è realmente. L’esperienza di gruppo incoraggia i partecipanti ad allargare e migliorare la sfera delle capacità interpersonali e sociali. Questo è il risultato della diretta interazione dei membri ma anche una risposta al modello di comportamento interno del gruppo. Probabilmente, nel contesto della

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composizione del gruppo, i membri possono essere più efficaci come terapeuti di quanto qualsiasi leader o facilitatore possa essere. Il motivo principale è che i membri spesso condividono un problema comune e in questo caso sarà sicuramente presente una forte solidarietà. È anche più incoraggiante e terapeutico capire che ci sono modi differenti di affrontare i problemi. Quando sono presenti esempi di perseveranza, creatività e decisione all’interno del gruppo, tutti i membri ne beneficiano. Nell’ambito della terapia individuale i clienti possono sviluppare un forte sentimento di transfert per il counselor, mentre nel gruppo tale sentimento tende a essere meno problematico e resistente, sebbene esista e si riferisca non solo a sentimenti che i membri provano per il leader ma anche alle relazioni stabilite tra gli stessi membri. I membri di un gruppo possono provenire da una grande varietà di ambienti e professioni. In questo caso c’è una possibilità più grande per l’accettazione, il sostegno e l’identificazione. Ciò è molto terapeutico per le persone che soffrono in particolare di solitudine e isolamento, ma è anche utile per quei membri che vogliono semplicemente creare modalità nuove e più efficaci di relazionarsi agli altri. Le difese sono usate anche dai componenti di un gruppo ma in questo contesto è meno probabile che siano mantenute poiché l’interazione del gruppo opera in modo efficace per metterle in discussione. La terapia di gruppo non sempre è un tipo di terapia appropriato. Ci sono persone che tendono a fare i massimi progressi in una relazione stretta e condotta insieme a un’altra sola persona. Un’ansia e una sensibilità eccessiva o una profonda depressione possono agire contro la partecipazione al gruppo, e i clienti che sono totalmente isolati probabilmente non beneficeranno della terapia di gruppo. Parimenti le persone che non sono attente alle esigenze degli altri e quelle che richiedono un’eccessiva quantità di attenzione per sé stesse possono incontrare grande difficoltà a integrarsi e ad accettare il gruppo. Un’eccessiva e intensa ostilità e difficilmente compatibile con il counseling di gruppo, e alcune forme acute di malattia mentale, come la paranoia o la schizofrenia, possono indicare che i clienti che ne soffrono sono così lontani dalla realtà da essere incapaci, almeno temporaneamente, di trarre qualche beneficio dalla partecipazione al gruppo. I clienti che con molta probabilità trarranno profitto dalla terapia sono quelli che hanno un certo entusiasmo e impegno verso il gruppo e quelli che hanno consapevolezza delle loro mancanze nella capacità di relazionarsi e di socializzare. È importante chi i membri possiedano una propensione all’autoconsapevolezza, all’autocritica, all’osservazione, alla riflessione e all’immaginazione. Abilità necessarie per il lavoro di gruppo Le abilità necessarie per lavorare con i gruppi comprendono quelle che vengono usate nel counseling individuale, ma poiché il leader di un gruppo deve gestire più di una persona alla volta sarà ovviamente molto più difficile monitorare le sessioni e prestare un’attenzione sufficiente a ciascun partecipante. I leader dei gruppi devono essere capaci di coordinare, connettere e monitorare i contributi di tutti i partecipanti. Devono mostrare rispetto ed empatia per tutti ed essere onesti rispetto ai loro sentimenti e azioni personali. È importante anche riuscire a far uso di esempi specifici, nonché la capacità di mettere in discussine con empatia quanto è stato detto quando è necessario. Un altro aspetto significativo è la chiarificazione dei commenti fatti dai clienti. Un leader esperto dovrà aiutarli a identificare e mettere in risalto le analogie e le connessioni quando si manifestano. I leader dei gruppi devono essere chiari sugli obiettivi del gruppo e dei compiti che vanno svolti nel suo ambito. Il leader dovrebbe valorizzare e accettare i contributi dei partecipanti, e riuscire a gestire sia il silenzio di certuni sia il tentativo di dominare le sessioni da parte di altri. La comunicazione non verbale è una dimensione importante del lavoro di gruppo e un leader competente dovrebbe riuscire a sintonizzarsi sui segnali non verbali e sulle sfumature che si manifestano all’interno del gruppo.

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La programmazione Bisogna prendere in considerazione alcune importanti questioni relative alla programmazione prima di dare avvio al lavoro del gruppo:

La composizione del gruppo. Per chi è il gruppo? Lo scopo del gruppo. Per che cos’è? Il luogo. Dove avvengono gli incontri? Le dimensioni del gruppo. Quanta gente? Il leader del gruppo. Uno o due? La frequenza, il numero degli incontri e la loro durata. Aperto o chiuso? Il programma di attività. Il monitoraggio. Come verranno monitorati i progressi del gruppo? La valutazione. Quale forma di valutazione verrà usata per il gruppo? Le risorse. Quali risorse sono necessarie e chi le fornirà? La supervisione ai leader.

La leadership del gruppo Nel lavoro di gruppo è abbastanza frequente che ci siano due leader che operano insieme. La coleadership presenta alcuni vantaggi rispetto alla leadership individuale, il più ovvio dei quali è che i counselor possono condividere le responsabilità e darsi sostegno reciproco. La presenza di un counselor più esperto costituisce una garanzia nel senso che i membri del gruppo sanno di non essere affidati solamente a un counselor alle prime armi. Inoltre il fatto di essere in due permette di offrire più tempo e attenzione individuale ai partecipanti, e da ciò traggono vantaggio soprattutto i clienti più ansiosi e vulnerabili. Tuttavia, non è affatto scontato che due persone lavorino sempre in perfetta armonia. Qualche disaccordo è inevitabile nella coleadership, benché questo non sia un problema insormontabile se i leader stabiliscono di comunicare liberamente sulle difficoltà che dovessero verificarsi. Qualunque problema irrisolto o tensione fra i leader trasparirà agli occhi dei partecipanti e getterà inevitabilmente un’ombra sul gruppo. Talvolta avviene che i partecipanti sfruttino il disaccordo che esiste fra i due leader, e ciò può verificarsi anche quando il conflitto fra i leader è dissimulato. Stili di leadership di gruppo Esistono grandi differenze fra i leader individuali rispetto al loro approccio generale al lavoro di gruppo e al modo in cui cercano di facilitare le sessioni. Lewin, Lippit e White identificarono tre approcci fondamentali che influenzano significativamente i membri del gruppo a cui i leader appartengono:

1. leadership autoritaria: un leader autoritario è colui o colei che tende a prendere la maggior parte delle decisioni in vece del gruppo. Questo approccio fornisce per certo una struttura e una direzione, ma lascia poche opportunità ai partecipanti di sviluppare indipendenza o autonomia. Questo stile di leadership presenta alcuni vantaggi, poiché i partecipanti sanno esattamente cosa fare e la confusione è ridotta al minimo.

2. leadership laissez-faire: incoraggia i membri a esprimere le loro opinioni, i punti di vista e i suggerimenti in qualunque stadio della vita del gruppo. Non ci sono regole fisse imposte al gruppo. Il vantaggio di questo approccio è che può indurre un senso di libertà e dare maggiori potenzialità al pensiero creativo. I membri del gruppo possono sentirsi privi di scopo e sconcertati da questo stile di leadership poiché viene dato un feedback troppo scarso e non c’è un evidente tentativo di coordinare il gruppo.

3. leadership democratica: un leader democratico avrà cura di includere tutti i membri del gruppo nel processo decisionale. Non mancherà di fornire una struttura e una struttura e una programmazione. Le caratteristiche principali dell’approccio sono la consultazione e la partecipazione. I membri del gruppo ricevono aiuto se e quando lo richiedono, e il feedback viene dato liberamente nel corso delle sessioni. Un leader democratico è flessibile e

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adattabile, e in linea di massima partirà dal presupposto che i partecipanti sono potenzialmente in grado di aiutarsi da soli. Il vantaggio di questo approccio è che i partecipanti vengono trattati da uguali, e che viene data loro l’opportunità di determinare le loro regole e i loro comportamenti. Ciò dà un reale senso di empowerment e tende ad aumentare l’autostima e la fiducia in sé stessi.

Lo stile di leadership dipende in larga misura dai tratti di personalità e dalle caratteristiche individuali dei counselor che scelgono di adottare questo tipo di aiuto. Indipendentemente dallo stile di leadership, comunque, i leader non potranno permettersi di trascurare la programmazione e una continua supervisione. I processi dei gruppi sono difficili e complessi, e senza gli elementi essenziali della programmazione e della supervisione è inevitabile che i partecipanti risentano di conseguenze negative. Problemi nella leadership Alcuni comportamenti manifestati dai leader possono essere problematici o disutili:

una programmazione scarsa o inadeguata e l’incapacità di essere espliciti sugli obiettivi del gruppo. Parlare troppo o interrompere i partecipanti quando stanno parlando loro. Usare un idioma specialistico che potrebbe confondere i membri, o dominare il gruppo e aspettarsi che i partecipanti accettino esclusivamente i punti di vista e le percezioni del leader.

Fare troppe domande, mostrare impazienza, noia o ostilità, privilegiare alcuni membri del gruppo e permettere loro di dominare gli altri sono tutte cose controproducenti nel lavoro di gruppo. Anche un leader che sia giudicante, condiscendente o troppo protettivo inibirà il lavoro di gruppo. Altri aspetti che denunciano scarse abilità di leadership sono mostrare disagio o restare in silenzio, prestare eccessiva attenzione a se stessi, offrire troppe interpretazioni o tirare conclusioni premature.

L’incapacità di gestire le situazioni in cui qualcuno sia preso di mira annulleranno i possibili benefici del lavoro di gruppo, ma anche porre un accento troppo insistito sulla catarsi creerà uno squilibrio. È necessario che il leader identifichi i problemi non espressi e li metta in discussione in modo costruttivo: in caso contrario nel gruppo serpeggerà la frustrazione e questioni importanti verranno trascurate.

L’incapacità di comunicare adeguatamente con il partner in caso di coleadership creerà ovviamente problemi ai lavori, e risulteranno distruttivi anche i comportamenti difensivi o risentiti, sia verbali che non verbali.

Nel contesto del lavoro di gruppo la maggior parte dei problemi più ovvi può essere evitata quando il leade si impegna nell’ascolto attivo e sensibile, rivolto alle parole che vengono pronunciate dai partecipanti, ma anche ai sentimenti e alle idee che restano non detti. È inoltre importante stabilire connessioni e legami fra i contributi individuali dei membri del gruppo, e ciò richiede la capacità di bilanciare i bisogni di ciascuna persona all’interno del gruppo. Stadi dello sviluppo dei gruppi Tuckman ha descritto i vari stadi o fasi attraverso i quali riteneva che i gruppi si sviluppino in un certo periodo di tempo:

1. formazione: i membri si riuniscono per formare il gruppo e sono impegnati nello stabilire l’obiettivo del lavoro da svolgere; hanno poi bisogno di stabilire relazioni con gli altri.

2. tempesta: cominciano a emergere le differenze di opinione e avviene spesso che i membri entrino in competizione o in conflitto aperto per conquistare determinati ruoli o posizioni: talvolta si formano dei sottogruppi e il leader viene criticato o viene messa in discussione la sua autorità.

3. istituzione di norme: si afferma una nuova vicinanza fra i partecipanti. In questo stadio sono frequenti la cooperazione, i legami affettivi e la condivisione delle esperienze; si fa strada una nuova prospettiva rispetto al gruppo e al suo funzionamento.

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4. esecuzione: si concentrano sul lavoro da svolgere insieme , i membri si sentono abbastanza fiduciosi nei confronti degli altri da esprimere le proprie opinioni che contrastano con quelle degli altri; è presente un alto livello di energia nel gruppo.

Gli individui e il gruppo Un gruppo è composto da più personae, i contributi individuali che daranno al gruppo saranno diversi l’uno dall’altro. I contributi dei membri del gruppo spesso servono a facilitare il lavoro del gruppo nel suo complesso. Ciascun membro del gruppo ha un ruolo al suo interno, e in certi casi i membri del gruppo possono rivestire diversi ruoli flessibili che possono essere usati in stadi diversi della vita del gruppo. I due esempi più ovvi di ruolo all’interno dei gruppi sono quelli di leader e di capro espiatorio. È importante per i counselor comprendere il significato dei ruoli che emerge quando alcune persone lavorano insieme. Comprendere porta ad accettare i contributi offerti dai membri del gruppo, e gli interventi che potrebbero sembrare altrimenti negativi o non apprezzabili possono ricevere il riconosciemento che meritano. Bales ha identificato alcuni tipi di comportamento dimostrati dai membri dei gruppi che possono essere rilevati pressocchè in ogni situazione di lavoro di gruppo:

dare informazioni formulare domande fare riassunti dare sostegno agli altri condividere esperienze essere spiritosi chiarire contributi fornire suggerimenti mostrare accettazione

Altri aspetti meno positivi identificati da Bales sono: chiusura sociale antagonismo escludere gli altri rifiutare il gruppo

Il compito del leader di un gruppo è quello di aiutare i clienti individuali a identificare i problemi che hanno in relazione al gruppo e di incoraggiare questi clienti a sviluppare modi più costruttivi di interagire con gli altri, sia all’interno del gruppo sia con il resto del gruppo.

CAP 9 PROBLEMI ETICI RIGUARDANTI IL COUNSELING

La British Association for Counseling (BAC) ha elaborato un proprio codice di etica e deontologia per i counselor. Riservatezza e segreto professionale La maggior parte delle persone che si rivolge al counseling lo fa nella speranza che ciò che confiderà verrà rispettato e che non sarà riferito a nessuno al di fuori della situazione di colloquio. Le questioni attinenti al segreto professionale dovrebbero essere chiarite con i clienti prima che il counselign abbia inizio. In situazioni di crisi o nelle emergenze, questo non è sempre possibile o utile. I clienti possono essere in uno stato emotivo di grave turbamento quando arrivano a richiedere l’intervento di counseling, quindi spesso non sono pronti ad assorbire cospicue quantità di informazioni pratiche fin dal primo momento. Nel caso in cui non sia possibile garantire un’assoluta riservatezza nell’ambito del counseling, il cliente dovrebbe esserne messo al corrente. Se ci sono valide motivazioni per pensare che il cliente possa nuocere a se stesso o a qualcun altro, allora gli dovrebbero essere chiariti i limiti del segreto professionale in riferimento al proprio caso specifico.

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Il counselor ha il dovere di discutere in modo approfondito il problema con la cliente e, eventualmente, nel caso in cui lo ritenga necessario, consigliarle un intervento professionale più specialistico. Se le informazioni riguardanti un cliente verranno comunicate a un supervisore, il cliente ha il diritto di saperlo per primo. Tuttavia si può rassicurare il cliente su un punto, ovvero che durante i discorsi tra il counselor e il supervisore la sua identità non verrà rivelata. I counselor che lavorano in un contesto multidisciplinare generalmente si accordano con i colleghi circa la quantità di informazioni da condividere relative al cliente. In pratica, ciò significa condividere informazioni di vitale importanza solo con il medico del cliente. Aiutare i clienti a intraprendere la difficile e spesso dolorosa strada dell’esplorazione di se stessi e dei propri problemi è un processo di cui la riservatezza costituisce un elemento fondamentale. Qualunque cosa possa intervenire a limitarlo, ostacolarlo o bloccarlo dovrebbe quindi essere evitata, se possibile. Transfert e controtransfert La parola transfert si riferisce a una tendenza comune delle persone a trasferire idee, convinzioni e attitudini dal passato al presente, e dal particolare al generale. Le immagini che i clienti trasferiscono dal loro passato sono, per loro natura, degli stereotipi; questo significa che esse sono inappropriate se applicate al rapporto che si crea all’interno del counseling. È importante sottolineare fin dall’inizio che le reazioni di transfert sono inconsce, per cui i clienti o i pazienti non decidono volontariamente di creare questo forte attaccamento alla persona che li sta aiutando. I sentimenti proiettati dal cliente sullo psicoterapeuta possono essere di ostilità, ansia, idealizzazione, aggressività, di amore profondo, di dipendenza come anche di critica o di biasimo ma, indipendentemente dalla loro esatta natura, sono delle ripetizioni e derivano dalle prime interazioni di cui il cliente ha avuto esperienza durante l’infanzia. Le persone diventano facilmente dipendenti da chi le aiuta in un momento di debolezza; questo è tanto più vero per i clienti che si rivolgono a un counselor, in quanto spesso esse sono riconoscenti anche per il più piccolo appoggio che venga loro fornito. In ragione della sua vulnerabilità e iniziale dipendenza dal counselor, le risposte del cliente rispecchieranno in generale le risposte che egli era solito dare alle persone dalle quali dipendeva nel passato. È ovvio che il grado di transfert prodotto in ciascun cliente dipenderà da una varietà di fattori quali, ad esempio, il livello di ansia raggiunto prima di arrivare al counseling. Il potenziale abuso del transfert Potrebbe risultare relativamente facile, per esempio, incoraggiare involontariamente quel tipo di dipendenza che va a scapito degli interessi e dai progressi del cliente. Esistono altre varie altre allarmanti possibilità da prendere in considerazione; come ad esempio quella di un abuso sessuale ed emotivo del cliente. Se il bisogno di affetto e amore da parte del cliente non viene soddisfatto al di fuori delle sedute di counseling, è molto probabile che egli rivolgerà le proprie attenzioni al counselor. Il compito di quest’ultimo è ovviamente quello di resistere a qualunque tipo di coinvolgimento non professionale con il cliente, continuando allo stesso tempo a fornirgli la migliore assistenza possibile per aiutarlo ad affrontare i suoi problemi. Persino ai counselor più coscienziosi capita di avere dei comportamenti che causano problemi alle stesse persona che essi desiderano sinceramente aiutare. Forse uno degli errori più comuni da parte dei counselor consiste nel prendere prematuramente la decisione di concludere la terapia. Tale situazione può comportare per il cliente un’enorme quantità di dolore e ansia. La mancanza di rispetto nei confronti dei clienti si può verificare in molti altri modi: i counselor che non rispettano l’orario di appuntamento, per esempio, sono sicuramente colpevoli di rompere il patto di fiducia.

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La mancanza di rispetto circa le tariffe: i counselor che applicano una tariffa da libero professionista dovrebbero assicurarsi prima dell’inizio della psicoterapia che i clienti siano al corrente delle loro condizioni di pagamento. I clienti dovrebbero inoltre sapere se le tariffe sono fisse o variabili e se esista la possibilità di usufruire di speciali agevolazioni. Ai clienti dovrebbe essere concesso un tempo sufficiente per acquisire informazioni riguardanti i vari aspetti del counseling:

qualifica del counselor; durata approssimativa del counseling; intenzione da parte del counselor di archiviare dati e informaizioni relativi al cliente e

possibilità concessa a quest’ultimo di prenderne visione; accordi sul trattamento (e se il cliente salta un appuntamento?) eventuale possibilità data al cliente di contattare il counselor tra una seduta e l’altra; dettagli sulle modalità di pagamento; particolari sull’eventuale attività scientifica o di ricerca in corso.

Il momento più appropriato per fornire tali informazioni al cliente è al più presto possibile. L’ideale sarebbe stilare un contratto ben chiaro con il cliente prima che le sedute di counseling abbiano inzio. Tale contratto potrà sempre essere aggiornato o rivisto attraverso un accordo reciproco. Il controtransfert Il controtransfert insorge nel counselor e riguarda quest’ultimo anziché il cliente. Anche i counselor sono soggetti a sentimenti, convinzioni e atteggiamenti che provengono direttamente dalle loro esperienze e relazioni passate. Il cliente può suscitare un vasto spettro di sentimenti nel proprio counselor, di questi alcuni possono essere piacevoli, altri meno. I sentimenti suscitati dal controtransfert possono diventare problematici, specialmente quando interferiscono con quello che è l’obiettivo primario della terapia, ovvero aiutare il cliente ad affrontare in modo più efficace le proprie difficoltà. I counselor spesso sono spinti a scegliere la loro professione perché essi stessi hanno sofferto nel passato. È, benché tale esperienza costituisca una dote quando la si utilizza per aiutare gli altri, è necessario che essa venga prima di tutto identificata in modo chiaro, capita e, se possibile, migliorata o risolta. È necessario avere un alto grado di consapevolezza di sé se si vuole affrontare con successo i problemi derivanti dal passato. E, a meno che si prendano delle adeguate contromisure attraverso un lavoro di crescita personale, la supervisione e il ricorso, se necessario, all’analisi personale, ci sono buone probabilità che il counseling con il cliente venga inficiato dai bisogni irrisolti e insoddisfatti del couselor. Una volta che le problematiche di controtransfert vengono identificate, è facile poi gestirle in modo che non inibiscano più i progressi del cliente. I counselor devono avere una certa comprensione dello stato d’animo dei propri clienti, ma tale valutazione deve essere proiettata verso l’esterno, verso il cliente, e non verso l’interno ovvero verso se stessi e le proprie esigenze. Le reazioni suscitate nel counselor spesso sono indicative delle reazioni che in genere il cliente provoca nelle altre persone. Se tale schema viene verificato durante il counseling, molto può essere fatto per aiutare il cliente a cambiare quegli aspetti del suo comportamento che gli causano problemi, specialmente nelle relazioni interpersonali. La supervisione: di cosa si tratta? Si tratta di un processo grazi al quale allo psicoterapeuta viene data l’opportunità di discutere il proprio lavoro con un collega esperto e preparato, al fine di individuare quelle aree problematiche che producono indecisione e, se necessari, fornire una linea direttiva. La supervisione costituisce una parte essenziale della cura del paziente, di conseguenza non può essere considerata come qualcosa di facoltativo, a cui il counselor fa ricorso quando e se ne ha voglia; è importante sia per i counselor esperti, sia per i tirocinanti.

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In quali modi la supervisione aiuta il counselor? La supervisione professionale aiuta il counselor in molti modi che risultano di grande importanza, mette nelle condizioni di poter guardare al proprio lavoro in modo più obiettivo, spassionato ed equo. Il sostegno, la guida e un diverso punto di vista sono i fattori che, messi a disposizione dal supervisore, rendono possibile un tale approccio. Dà inoltre al counselor l’opportunità di riflettere sul lavoro che sta svolgendo con i propri clienti. Il counselor può anche soffermarsi sul metodo e sulle strategie a cui sta facendo ricorso, evidenziare le difficoltà concrete o potenziali incontrate fino a quel momento e discutere l’appropriatezza degli incoraggiamenti dati o delle sfide lanciate. Il supervisore aiuta il counselor a fornire un servizio di qualità al cliente, vengono mantenuti gli standard e l’integrità professionali e al counselor viene offerta l’opportunità di crescere e svilupparsi personalmente e professionalmente nell’ambito delle abilità di counseling. La considerazione di tutte queste aree permetterà di porre in luce qualunque problema o difficoltà il counselor incontri nel lavoro con i clienti. I counselor dovrebbero poter vivere l’esperienza che per loro è più gratificante sia dal punto di vista intellettuale che da quello emozionale. Una supervisione efficace dovrebbe anche aiutare i counselor ad avere maggiore fiducia nelle loro capacità di lavorare in modo competente con i clienti; qualunque ansia che dovesse emergere nel lavoro con i clienti dovrebbe; qualunque ansia che dovesse emergere nel lavoro con i clienti dovrebbe essere affrontata e superata attraverso i contatto con il supervisore. In cosa differisce la supervisione dal counselig? La differenza più rilevante è che il compito del supervisore consiste nell’aiutare il counselor a comprendere e gestire questioni relative ai clienti. Il compito del supervisore è quello di aiutare il counselor a identificare i propri sentimenti di controtransfert in relazione al cliente e, se del caso, invitarlo a una psicoterapia personale. Un punto che la supervisone e il counseling hanno in comune è la riservatezza. Quanta supervisione? Secondo le raccomandazioni della BAC (British Association for Counseling) “..la quantità di supervisione dovrebbe essere proporzionale alla quantità di lavoro di counseling intrapreso e all’esperienza del counselor”. Oggi come oggi, in ogni caso, la BAC impone ai counselor un minimo di un’ora e mezzo di supervisione al mese. Questa regola dell’ora e mezzo si applica in situazioni di supervisione uno-a-uno, ma la supervisione trova attuazione anche nei gruppi e fra i pari. La relazione di supervisione È necessario che la relazione fra counselor e supervisore sia positiva se si intende trarne un reale beneficio. Sono importanti il rispetto, la fiducia reciproca, le analogie dell’approccio, il background formativo. I supervisori dovrebbero essere chiari sulla formazione, le qualifiche, l’approccio teorico, i metodi che usano e qualunque altro dettaglio che possa essere rilevante per il lavoro con i counselor. I metodi della supervisione sono:

1. supervisione uno a uno: supervisore e counselor; 2. supervisione di gruppo: con un leader qualificato; 3. supervisione tra pari: fra counselor; 4. supervisione eclettica: una combinazione degli altri tre metodi.