occhio all'arte (novembre 2015)

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno IX N° 88 novembre 2015 Mensile d’informazione d’arte n in mostra: Impressionisti. Tête-à-tête n manga: il ritorno di Corto Maltese “Sotto il sole di mezzanotte” www.artemediterranea.org n cinema: Correndo con le forbici in mano n dedicato a: Concorso “Occhio all’Arte” 2015 Angela Buffa, 1° premio

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Page 1: Occhio all'Arte (novembre 2015)

A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno IX N° 88 novembre 2015

Mensile d’informazione d’arte

nin mostra: Impressionisti. Tête-à-tête

nmanga: il ritorno di Corto Maltese“Sotto il sole di mezzanotte”

www.artemediterranea.org

ncinema:Correndo con le forbici in mano

ndedicato a: Concorso “Occhio all’Arte” 2015

Angela Buffa, 1° premio

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Mensile culturale edito dallaAssociazione Arte Mediterranea

via Dei Peri, 45 ApriliaTel.347/1748542

[email protected]. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007

FondatoriAntonio De Waure, Maria Chiara

LorentiCristina Simoncini

AmministratoreAntonio De Waure

Direttore responsabileRossana Gabrieli

Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

RedazioneMaria Chiara Lorenti, Cristina

Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Eleonora Spataro, Stefania Servillo

CollaboratoriLuigia Piacentini,Patrizia Vaccaro,

Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Greta Marchese, Giulia Gabiati,

Valerio Lucantonio, Martina Tedeschi, Marilena Parrino, Nicola Fasciano,

Maria Centamore, Giuseppe ChitarriniTiziano Anderlini

Responsabile MarketingCristina Simoncini

Composizione e Desktop Publishing

Giuseppe Di Pasquale

Stampa Associazione Arte Mediterranea

via Dei Peri, 45 Aprilia

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche

parziale senza il consenso dell’editore

Sommario

Concorso “Occhio all’Arte” 2015Impressionisti. Tête-à-tête

Alexia SinclairBella Kotak

“Tutti i figli di dio danzano” di Haruki Murakami Gallerie d’Italia, Piazza della Scala, Milano

Memoria delle mie puttane tristi Correndo con le forbici in mano

Sotto il sole di mezzanotteHellboy

Il villaggio degli spaventapasseriIl Castello di Fontainebleau

Nuova stagione al Teatro dell’AngeloStatue inquietesul filo di china

n

•••

Per sponsorizzare “Occhio all’Arte” Telefona al 347.1748542

Sono in distribuzione la 1a e 2a lezione del DVD sulla

pittura ad olio

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dedcato an

di Maria Chiara Lorenti

L’influenza tra uomo e ambiente ha caratterizzato l’opera di Angela Buffa che ha vinto il primo premio del concorso indetto da Occhio all’Arte: “Nutrire il pianeta: Aprilia e l’EXPO

2015 (punti d’incontro e peculiarità, tra presente, passato e futuro).La premiazione, avvenuta il 29 settembre presso la sede dell’associazione Arte Mediterranea, ha voluto ringraziare soprattutto tutti coloro che hanno partecipato a tale manifestazione, aderendo all’invito di esprimere visivamente la loro opinione artistica sul tema proposto. Tra le opere pervenute sono state selezionate le tre che, secondo la giuria competente, hanno maggiormente colpito l’attenzione, a volte anche discostandosi in parte dal tema. Oltre ad Angela Buffa, il secondo premio è stato assegnato a Paolo Boccardi per l’opera grafica “mela bacata”, ove il soggetto esprimeva con sintesi ed ironia il concetto del concorso, il terzo invece ha gratificato il simbolo stesso della nutrizione mondiale, che per Cristina Agostini consiste in una madre africana che allatta contemporaneamente due gemelli. Inoltre la giuria

ha ritenuto meritevoli di menzione le opere di Mauro Guerrani, Danila Nasoni e, l’unica che si è cimentata con una interpretazione astratta, Laura Siconolfi.Tornando all’opera vincitrice, ciò che si evince maggiormente è l’atmosfera onirica, sospesa nel tempo, di cui è pervaso il dipinto:tre contadini, protagonisti assoluti di una storia infinita, ove l’uomo da secoli compie sempre gli stessi gesti, ripetendo con umiltà lo stesso identico rito atto a fecondare la terra. Per Angela Buffa dipingere è una catarsi sul mondo reale, è la libertà di evadere dai doveri della vita, è affrancarsi dalla quotidianità per ritrovarsi ad essere se stessi, liberi da vincoli e dalle convenzioni. Affascinata dalla poesia del colore, si lascia trasportare dal piacere di far parte del mondo dell’Arte, attratta da tutto ciò che è fuori dall’ordinario sa trasformare la realtà in sogno e rendere l’ovvio inusuale, con una speciale sensibilità, mascherata dalla forza di un carattere volitivo e deciso, che stempera nella passione per la pittura.

Concorso “Occhio all’Arte” 2015Aprilia e l’EXPO premiati i vincitori

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in mostranImpressionisti. Tête-à-tête Capolavori dal Musée D’Orsay di Luigia Piacentini

Parigi ha innumerevoli musei e tra i più celebri spunta proprio il Museo D’Orsay. Situato nel cuore della città, lungo la Senna, di fronte ai giardini delle Tuileries, il museo è posto all’interno

della vecchia stazione d’Orsay, un edificio costruito per l’esposizione universale del 1900, per intenderci la stessa per cui venne costruita anche la Tour Eiffel. Per i primi anni del ‘900 la stazione fu un punto di riferimento per gli spostamenti su rotaia fino alla Francia sud-occidentale. Dal 1939 la stazione copriva solo tratti periferici della città e fu adibita a vari usi: centro di spedizione dei pacchi per i prigionieri durante la guerra, funse da centro di accoglienza dei prigionieri nel periodo della Liberazione e servì da set per molti film. All’inizio degli anni ’70 stava per essere demolita e sostituita da un grande albergo di lusso, ma, per fortuna, fu inserita nell’elenco straordinario dei Monumenti Storici. Il primo dicembre 1986, François Mitterrand, all’epoca Presidente in carica, inaugurò il nuovo museo

che aprì le proprie porte al pubblico il 9 dicembre dello stesso anno. Il Museo D’Orsay ospita l’arte prodotta nei decenni compresi tra il 1848 ed il 1914. A Roma, dal 15 ottobre 2015 al 7 febbraio 2016, viene presentata la mostra “Impressionisti, tête-à-tête” nell’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano. L’esposizione traccia un ritratto della società parigina della seconda metà dell’Ottocento, attraversata dai grandi mutamenti artistici, culturali e sociali di cui gli impressionisti furono esponenti e testimoni. La mostra, curata da Xavier Rey, direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay, e da Ophélie Ferlier, conservatore del dipartimento di sculture del museo, focalizza l’attenzione sui sessant’anni della pittura francese dal 1860 al 1919. Anni di cambiamenti, di novità, di nuove espressioni artistiche tra cui l’impressionismo, dove grandi personalità hanno segnato quest’epoca. Gli stessi artisti sono il fulcro della mostra che propone il Complesso del Vittoriano: Manet, Renoir, Degas, Bazille, Pissarro, Cézanne, Morisot. Attraverso le numerose tele e le dieci sculture sarà possibile immergersi nella Parigi di fine Ottocento, in piena belle époque parisienne dove la vita era brillante e le aspettative del Novecento piene di gioia e speranza. Le opere scelte mettono in luce gli aspetti innovativi del movimento artistico ed evidenziano, allo stesso tempo, le connotazioni delle singole personalità. Gli impressionisti volevano riprodurre su tela le sensazioni e le percezioni visive che il paesaggio comunicava loro nelle diverse ore del giorno, con una luce particolare, avvolgendo le figure che esprimono tutta la loro maestosità. La mostra è il palcoscenico di questo grande spettacolo che è l’impressionismo con la sua positività ed un nuovo modo di vedere e fare arte. Per chi ha già visitato il Museo D’Orsay e non ne ha mai abbastanza, per chi ancora deve ammirare la Ville Lumière, questo è un ottimo motivo per avvicinarsi all’esposizione e perché no, forse dopo troverete il tempo anche per prontare un volo, ovviamente destinazione Parigi!

Il Musée D’Orsay quando era la Stazione d’Orléans.

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fotografianAlexia SinclairL’artista australiana che rielabora l’idea stessa di arte

A lexia Sinclair è un’artista nel senso più completo del termine, le sue opere sono un insieme di digital painting, fotografia e “messinscena”, l’effetto finale

è però un dipinto dall’aura scultorea.Ogni opera che propone è un insieme di molteplici scatti uniti con maestria con l’utilizzo di photoshop, i set sono allestiti nei dettagli, il suo stile è altamente originale, simbolico e barocco. Il risultato finale è così evocativo da far pensare esclusivamente alla parola “arte”. Le sue foto parlano da sé e sono parte di interi cicli di narrazione che riproducono favole o vite di personaggi controversi della storia, lo studio dettagliato della Sinclair

e le sue doti tecniche ed immaginative ne fanno un’artista unica ed imperdibile, per gli amanti del genere conoscerla è davvero un “must”.Alexia Sinclair è molto versatile, i suoi lavori sono esposti in gallerie d’arte e sono vincitori di numerosissimi premi, allo stesso tempo, però, collabora alla creazione di pubblicità e spot commerciali; ancora una volta l’arte e la vita reale si intrecciano nella maniera più naturale possibile: attraverso il lavoro e la comunicazione.Per maggiori informazioni sull’artista e le sue opere: https://alexiasinclair.com

di Stefania Servillo

THE ATTIC, 2013 VARIOLA VERA, 2014

Bella Kotak

B ella Kotak è nata in Kenya ed attualmente viaggia per il mondo creando scatti visionari.Fin da piccolissima è stata affascinata dall’idea di

poter imprimere un’immagine in qualcosa di tangibile che durasse per sempre: la fotografia è stato uno strumento

ideale.Lei stessa definisce i suoi scatti come femminili, floreali, magici ed eterei e certamente non è possibile darle torto osservando le sue opere sul sito www.bellakotak.com.

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Delos, Tempio di Isis

occhio al libron“Tutti i figli di dio danzano” di Haruki Murakami Un terremoto di emozioni in sei racconti differenti di Giulia Gabiati

“Y oshiya si tolse gli occhiali e li ripose nel loro contenitore. Danzare non è male, pensò. Non è niente male. Chiuse gli occhi, e sentendo

sulla pelle la luce bianca della luna, da solo, cominciò a danzare. Inspirò profondamente, e poi espirò. Poichè non gli veniva in mente una bella musica che si adattasse al suo stato d’ animo, danzò in accordo col fruscio dell’ erba e il fluttuare delle nuvole. A un tratto si rese conto che qualcuno lo stava guardando. Riuscì a percepire distintamente di essere nel campo visivo di qualcuno. La sua pelle, le sue ossa, lo captarono. Ma di questo non gli importava nulla. Chiunque fosse, se voleva guardare, guardasse pure. Tutti i figli di Dio danzano!”Su un campo da baseball nelle periferie di Tokyo c’è Yoshiya. Sta ballando. Su nessuna musica precisamente, ma in armonia con la terra. Non ricorda perchè è finito lì, sa soltanto che dopo aver inseguito a lungo un uomo, presumibilmente suo padre, ne perde le tracce. Poi c’è Junko, ma lei appartiene ad un’ altra storia. È la storia di

una ragazza che ama il fuoco e i falò. Come il suo amico Miyake, un uomo sulla quarantina, che decide di rimanere a vivere nei pressi di una piccola cittadina sulla costa del giappone, per poter raccogliere tutto ciò che il mare restituiva alla spiaggia e dar vita a dei falò perfetti, liberi, capaci di rivelare i sentimenti più profondi. “La forma del fuoco è libera, chi la guarda può vederci qualunque cosa. Se lei guardando il fuoco prova una sensazione di pace, è perchè la sensazione di pace che ha dentro ci si riflette. Capisce cosa intendo?”, ma sono solo due dei sei personaggi che prendono vita nelle storie di Murakami. Il libro “Tutti i figli di Dio danzano” racchiude sei racconti, ognuno dei quali vede sullo sfondo il tragico terremoto che nel 1995 distrusse la città di Kobe. Ogni protagonista è accomunato all’ altro per aver perso qualcosa: amori, amicizie, forse anche un po se stessi. Yoshiya non ha mai conosciuto suo padre, Junko si sente vuota ed è pronta a morire. Poi c’è Komura che è appena stato lasciato da sua moglie. Ma tutti alla fine della loro storia riusciranno a cogliere qualcosa di nuovo dalla loro vita, un nuovo amico, una risposta, uno sconosciuto senso di pace. In sole 120 pagine Murakami riesce a trasportarci in sei piccoli microcosmi di emozioni, introducendo ogni personaggio come se fosse un vecchio amico. Il suo stile intimo e delicato si fonde con una semplicità sconvolgente che riesce a proiettarci senza difficoltà in mondi sconosciuti. I sentimenti, le paure, le debolezze che caratterizzano i personaggi sono così comuni che sviluppare un senso di empatia non è poi così difficile. Con la percezione che ogni parola sia perfettamente al posto giusto Murakami ci sorprende ancora, riconfermandosi come uno dei migliori scrittori contemporanei.

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musein

di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

Gallerie d’Italia, Piazza della Scala, MilanoGioielli d’Italia, numero 1

Pietro Consagra, “Bifrontale” - Pietra di lana del Caucaso, 1976

A nche le Banche hanno un cuore e si lasciano coinvolgere dal turbinio di emozioni, pensieri, turbamenti dei comuni mortali solo, però, se

veicolate da pregevoli creazioni artistiche! Ebbene sì, anche gli istituti di credito, in genere, possiedono dipinti e sculture di tutto rispetto, gelosamente custodite e, quindi, sottratti alla godibilità dei comuni mortali! Le occasioni, per poterli ammirare sono rare e, in genere, esclusive. L’Italia, si sa, è il Paese dalle mille sfaccettature, dalle più svariate contraddizioni, dove avviene tutto ed il contrario di tutto, per cui non c’è da meravigliarsi se esistono, anche, spazi espositivi magnifici che ospitano pregevoli collezioni artistiche, patrimoni di banche, cui possono accedere, gratuitamente, in qualunque mese dell’anno, tutti coloro che lo desiderano! Con il nome di Gallerie d’Italia, presenti a Milano, Vicenza e Napoli, si vuole indicare, appunto, un polo museale, ospitato in palazzi storici di grande fascino, che offre emozioni e cultura. Partiamo da Piazza della Scala, da una delle tre gallerie, che ha sede in tre palazzi, Palazzo Anguissola, Palazzo Brentani, Palazzo della Banca Commerciale Italiana, e che ospita valide testimonianze delle correnti artistiche più significative, dell’Ottocento e del Novecento, di proprietà della Fondazione Cariplo e Intesa San Paolo. Dimore, del ’700, di nobili famiglie

milanesi, Anguissola e Brentani, i primi due, degli uffici di una banca, il terzo, meritano attenzione da parte del visitatore per la loro bellezza intrinseca. Architetture interne armoniose ed accoglienti, soffitti finemente decorati, vetrate liberty, caldo mogano per le porte e l’arredamento d’epoca, modernità e raffinatezza nel design … scalinate imponenti … un chiostro! A ciò si aggiunga la gratuità dell’ingresso, dell’audio-guida, del servizio guardaroba, la pulizia, il percorso espositivo ben curato, la gentilezza e la competenza del personale che, su richiesta e sempre gratuitamente, agevola una lettura più consapevole di ogni singola opera della ricchissima collezione dei due istituti di credito. Uno spazio culturale così pregevole, inoltre, accoglie mostre temporanee ed eventi di varie discipline, soprattutto concerti.

Sergio Dangelo, “La plue, le beau temps”, 1953

Atanasio Soldati, “Composizione”, 1961

Sergio Dangelo, “La plue, le beau temps” 1953

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occhio al libronMemoria delle mie puttane tristi Gabriel García Márquez chiude il sipario dei suoi romanzi di Martina Tedeschi

“N itidi, ineluttabili, risuonarono allora i rintocchi della mezzanotte, e ci si avviò verso l’alba del 29 agosto …” . Erano iniziati

così i suoi novant’anni, in una stanza che non era la sua ad ascoltare i rumori esterni del primo mattino. Aveva deciso che per quel suo compleanno, meta inaspettata, sarebbe stato in compagnia di una donna, pardon, un’adolescente vergine per regalarsi un’ultima folle notte d’amore. Si era preparato con cura e presentato alla casa di Rosa Cabarcas, noto spazio per amorosi appuntamenti dove aveva passato tutti i suoi anni più “attivi”, pieno di emozione e di aspettative. Una volta entrato nella stanza, trovandosi davanti quel corpo nudo di bambina addormentato sulle lenzuola umide di quel caldo agosto, aveva avuto tutt’altro che il bisogno impellente di averla; si era seduto nudo accanto a lei e l’aveva guardata, accarezzata, e aveva cantato piano per lei tutta la notte, vegliando sul suo sonno. Come si poteva pensare che fosse l’ inizio di un amore? Piuttosto, la magra consolazione di un uomo giunto all’epilogo della sua lunga vita da giornalista e don Giovanni, passato tra le gambe di decine e decine di donne senza conoscerlo mai, l’amore. Era, forse, una dolce attenzione per lenire la solitudine? No, era un qualcosa di autentico che stava diventando pian piano un amore da mal di stomaco e attacchi d’ ira. Da doni e ore passate in silenzio. Con Memoria delle mie puttane tristi (titolo originale Memoria de mis putas tristes) Gabriel García Márquez, scrittore, giornalista e saggista colombiano, mostra ai suoi lettori gli effetti senza età di quel motore che ha incalzato pagine e pagine di romanzi, fin dai nostri primi ricordi. La storia di un sentimento nuovo che nasce dove tutto ormai è arido e fermo, in attesa della morte. Quello di Márquez è stato un tentativo, riuscito, di cavare un filo di leggerezza da un tema di per sé malinconico e scabroso, con la semplicità di uno stile scorrevole e ricco di amara armonia. Ed è stata proprio

questa sua peculiarità a riaccendere l’ interesse per la letteratura latinoamericana e a renderlo popolare e vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1982. Nate dalla sua penna sono anche le opere L’amore ai tempi del colera (1985) e Cent’anni di solitudine (1967), votata come secondo capolavoro in lingua spagnola più importante mai scritto, preceduto solamente dal famoso Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes. L’ultimo romanzo pubblicato da Mondadori nel 2004, dieci anni prima della morte dell’autore, è proprio Memoria delle mie puttane tristi con il quale vuole congedarsi da una carriera pregna di meritati riconoscimenti letterari, per chiudere definitivamente il sipario nel 2014 quando, ad 87 anni, ci lascia con il ricordo di un’ illustre carriera.

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“Dove saremmo senza la nostra dolorosa infanzia?”, è con questa breve citazione del dottor Finch che potremmo aver già esaurito tutto ciò che di

certo c’è da dire su questa storia. Bizzarra davvero, a tratti inverosimile, questa è la vita di Augusten Burroughs: uno scrittore statunitense realmente esistito, alla cui biografia il regista Ryan Murphy attinge a piene mani per raccontare un’esistenza davvero tragicomica. Già conosciutissimo per le sue serie tv tra cui compaiono titoli come: Glee, American Horror Story o Scream Queens (ma ricordiamo anche il film Mangia, Prega, Ama), nel 2006 Murphy produce il suo primo lungometraggio vantando un cast di attori davvero notevole. Annette Benning, Gwyneth Paltrow, Evan Rachel Wood, Joseph Cross, Brian Cox, Jill Clayburgh, sono la schiera prescelta per dar voce ai personaggi che popolano la gioventù travagliata di Augusten: matti in carne ed ossa. Quelli veri, quelli da rinchiudere. Ancora lungi dall’essere il brillante scrittore che poserà la penna sul New York Times, il Guardian e il London Times, il giovane Burroughs (Joseph Cross) ripercorre i fatti salienti della sua infanzia, ripescandoli nel lato oscuro degli anni ‘70. La base di partenza di Augusten già di per sé, è il caso di dirlo, è una storia difficile. Nato dalla combinazione poco vincente tra una talentuosa e nevrotica madre - una poetessa in erba ossessionata dall’idea di essere destinata a trascorrere la sua vita a fare cose grandiose, più che a educare il figlio - e un padre più attaccato alla bottiglia che alla famiglia, Augusten non è certo il tipico adolescente americano. Egli

è inoltre consapevole della sua omosessualità dall’età di tredici anni e sebbene questo non cambi di molto le cose, di certo non le semplifica. Malgrado la comicità con cui vengono narrati eventi altrimenti traumatici, quando i suoi genitori si separano tutto cambia per sempre, ed egli è pronto per passare dalla padella alla brace. Senza l’ombra di una spiegazione, Augusten finisce in casa dei Finch, ceduto in adozione al folle psichiatra della madre: il dottor Finch, per l’appunto. Ed è qui, in una vecchia e decrepita villa vittoriana, discutibilmente rosa, che perdiamo ogni contatto con la realtà. Seppur benevola, la presenza dei suoi nuovi familiari non fa che aggiungere caos al caos. A nessuno dei cinque Finch importa come sia il mondo li fuori: nel tempio del benessere mentale il gatto Freud ha un’intensa vita spirituale e davanti alla tv si mangiano crocchette per cani. La macchina per l’elettroshock? Un passatempo infantile. Pile altissime di piatti incrostati sono parte dell’arredamento insieme all’albero di Natale, piantato in soggiorno nessuno ricorda più da quando. Se Augusten pensava di aver conosciuto la follia, è perché probabilmente non aveva mai messo il naso fuori dall’ambiente, se non proprio accogliente, quantomeno sicuro, di casa sua. Perché è la realtà il mondo più difficile in cui vivere, quello in cui dobbiamo confrontarci con gli altri e interrogarci, capire se i matti siamo noi o il prossimo. Per questo vivere, avere dei sogni e gambe per realizzarli… è più o meno come correre con le forbici in mano: solo i più fortunati arrivano al traguardo senza farsi nulla.

Correndo con le forbici in manoC’è qualcosa di profondamente sbagliato in questo film di Greta Marchese

cineman

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manga&con

di Valerio Lucantonio

P robabilmente la notizia della pubblicazione di una nuova storia del marinaio più famoso del fumetto italiano, nato dalla poderosa e poetica mente

di Hugo Pratt, sarà suonata ad una buona parte dello zoccolo duro dei sostenitori del Maestro di Malamocco come una bestemmia (tenendo anche conto di questo periodo in cui l’arte sembra appoggiarsi sempre di più al passato e alla riproposta di molte delle idee e delle saghe più riuscite ed amate degli ultimi decenni); ma il bello è che lo stesso ‘papà’ di Corto prima di lasciarci rivelò che non gli avrebbe creato alcun problema se qualcuno avesse voluto proseguire l’epopea del più romantico dei gentiluomini di ventura, aggiungendo un ennesimo tassello al mosaico delle avventure del Maltese.Sulla base di questa ormai vecchia dichiarazione, e sulla lettura di questa nuova, trentesima storia di Corto, è quasi lecito supporre che se Pratt si fosse trovato tra le mani ‘Sotto il sole di mezzanotte’ la sua reazione probabilmente sarebbe andata ben oltre il non provare disturbo; ovviamente in positivo, dato che questo nuovo racconto grafico è, grazie alla meticolosità e alla fedeltà degli autori, sommate ad una giusta e misurata dose

di modernità e freschezza, un degno erede delle storie originali, che non ha nulla da invidiare loro. In questo volume, oltre ad una fantastica prefazione di Tristan Garcia ed un interessante dietro le quinte, ricco di schizzi e tavole, troveremo una perfetta sintesi di ciò che è stato Corto Maltese finora: i testi di Juan Diaz Canales (Blacksad) riescono ad incastonare tra loro tutti i temi dentro ai quali Corto è nato e, a quanto pare, continua a vivere: la guerra, la libertà, l’onirico e l’avventura tornano ancora una volta ad intrecciarsi e a trovare il loro comune denominatore nel nostro protagonista, come anche i personaggi: chi eccentrico, chi assurdo, chi semplicemente umano, alcuni di loro fanno l’occhiolino agli aficionados, mentre altri risultano delle figure mai incontrate prima nella saga. Il tutto farcito dal tratto di Pellejero, che riempie di gioia il lettore che può finalmente ritrovare Corto senza storcere il naso, dato che i disegni si rifanno allo stile di Pratt in maniera quasi religiosa, prendendosi poche, ma giuste licenze quando necessario, come d’altronde fanno la trama e l’ambientazione che si inseriscono fluidamente nella poetica e nella logica delle storie di Corto.

Sotto il sole di mezzanotteIl ritorno di Corto Maltese

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Dopo essersi già cimentato in Blade II con il genere che pare spadroneggiare senza rivali negli ultimi anni, Guillermo Del Toro decide di non dirigerne il seguito per potersi dedicare

ad un altro adattamento fumettistico, quello di Hellboy; e se con il lungometraggio precedente il regista messicano era riuscito ad estrapolare ciò che c’era di buono nella non molto brillante saga del Diurno e a farne un film d’intrattenimento di tutto rispetto, con questa nuova opera tocca livelli quasi mai raggiunti da altri “super hero movies”, grazie anche alle validissime premesse del fumetto di Mignola.Questo primo Hellboy però deve la maggior parte della sua qualità ad un saggio lavoro da parte del regista, che ha saputo barcamenarsi tra i compromessi con la produzione (inserendo forse a malincuore uno o due cliché, che sono gli unici difetti della pellicola) e ha creato un perfetto equilibrio tra gli elementi originari de “Il seme della distruzione” e quelli originali, inseriti da lui in sceneggiatura, che cambiano alcune dinamiche e mettono alcuni personaggi sotto una nuova luce, permettendo al fan di non trovare la semplice riproduzione di ciò che aveva letto su carta, e al neofita di potersi godere un film d’intrattenimento anche non sapendo niente del personaggio.La storia infatti inizia nello stesso modo, per poi prendere

una direzione diversa senza, però, perdere il gusto del dark e dell’horror grazie ad un uso magistrale di effetti digitali e non (uno dei maggiori pregi di Del Toro, che vedrà la sua massima espressione ne “Il labirinto del fauno”, capolavoro della sua filmografia), e allo stesso tempo aggiungendo ed esasperando la componente ironica.La maestria registica delle riprese, sempre dinamiche e curiose di scoprire e mostrare dettagli e punti di vista in puro stile fumettistico, contamina anche la fotografia (che sa in certe scene ricreare le luci e i colori delle tavole di Mignola) e il montaggio impeccabile delle sequenze che non lascia mai calare il ritmo e l’attenzione dello spettatore.Va menzionato anche il buon lavoro svolto da Ron Perlman che, nonostante l’età, interpreta un Hellboy leggermente diverso dalla controparte cartacea, creandone un’alternativa validissima.Le uniche pecche della pellicola sono un antagonista che esce sconfitto dal confronto con quello delle graphic novel, lasciando un po’ d’amaro in bocca, e un finale forse troppo scontato che comunque porta già una possibile fine alla storia, anche se Del Toro da vero fan della serie, dopo aver già diretto il seguito nel 2008, sta cercando di realizzare la conclusione che potrebbe rendere questa trilogia di cinecomics la migliore mai fatta.

di Valerio Lucantonio

HellboyIl cinecomic perfetto

cineman

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di Cristina Simoncini

curiosARTn

Bambini seduti dietro le loro scrivanie in una classe, sguardi fissi sulla loro insegnante; un gruppo di persone anziane chiaccherano mentre aspettano l’autobus;

sulla riva del fiume, un ragazzo con un berretto da baseball si appoggia contro una catasta di legna tagliata.Viste da lontano sono innocenti istantanee della vita nelle zone rurali del Giappone. Ma, a ben vedere, gli abitanti di questa remoto villaggio di montagna rivelano una verità più oscura. Essi sono ricordi inanimati di una comunità un tempo fiorente che, come migliaia di altre in Giappone, è sull’orlo dell’abisso dell’estinzione.La creatrice delle bambole, Tsukimi Ayano, dice che esse hanno avuto vita come spaventapasseri per un campo di verdura che ha provato senza successo a coltivare dopo il ritorno a Nagoro, sull’isola sud-occidentale di Shikoku, dopo decenni di vita nella metropoli di Osaka.In poco tempo, Ayano ha iniziato a usare bambole a grandezza naturale per sostituire i vicini che erano morti o trasferiti. Altri, come gli attenti alunni dell’aula, sono modellati sui membri della sua famiglia.A 65 anni, Ayano è considerata giovane per gli standard di Nagoro; suo padre, ottantacinquenne, è il membro residente più anziano. Le 160 bambole sparse per il villaggio superano la popolazione umana, che è scesa da circa 300 di quando era una bambina, a soli 35, oggi. Ci sono altri 200 pupazzi nei villaggi vicini che, come Nagoro, hanno visto le loro popolazioni precipitare negli ultimi decenni.“Portano indietro i ricordi, in particolare quelli delle persone che sono morte”, ha detto Ayano delle bambole, le cui forme riempiono gli spazi lasciati liberi dalle loro controparti umane - osservando i prodotti di una bancarella di ortaggi, appoggiati contro un albero o in attesa alla fermata dell’autobus per recarsi alla grande città più vicina, a 90 minuti di distanza.Ricorda la vecchia signora che veniva per il tè, e il vecchio cui piaceva bere sakè e raccontare storie. “Li guardo e penso alla loro personalità “, “Alcuni sono ancora vivi, ma non abitano più qui, quindi mi auguro solo che stiano bene.”Nagoro è un microcosmo di un cambiamento apparentemente irreversibile che minaccia di mutare il carattere stesso del Giappone nei decenni a venire. La demografia distorta del paese è stata evidenziata, recentemente, dai dati che dimostrano che il numero dei neonati è sceso ad un livello record, l’anno scorso.Il Giappone sta rovesciando il modello tradizionale della popolazione a forma di piramide, con pochi e tardivi matrimoni contrassegnati da un basso tasso di natalità, e con l’aumento di una popolazione anziana sostenuta da una dieta tradizionale a basso contenuto di grassi e dall’assicurazione sanitaria universale.Entro il 2060, quattro giapponesi su dieci saranno di età superiore ai 65 anni.Il governo stima che il tasso di natalità in declino e il rapido invecchiamento abbiano lasciato più di 10.000 villaggi in tutto il Giappone in lotta con lo spopolamento. Quelli che non riescono ad attrarre nuovi residenti un giorno potrebbero somigliare a Nagoro, dove un altro fondamento della vita civile, la scuola primaria, è stata chiusa due anni fa.“Per quanto mi piacerebbe che il villaggio tornasse in vita, accetto che ciò non succederà”, ha detto Ayano. “Fra 10 o 20 anni, non ci sarà più nessuno... E’ molto triste, ma i tempi stanno cambiando e dobbiamo accettare il fatto che questo è come le cose andranno a finire”

Il villaggio degli spaventapasseriIn un vecchio villaggio giapponese le bambole sostituiscono gli abitanti

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Il Castello di FontainebleauA pochi km da Parigi la dimora preferita dai sovrani francesi

di Tiziano Anderlini

E siste in Francia, ad appena 60 km da Parigi, un palazzo che era la meta preferita dei più importanti sovrani francesi, il palazzo sorge nel paese di

Fontainebleau, dal quale prende il nome ed è circondato da 30 ettari di giardini prolungati da un’immensa foresta di altri 80 ettari, tutto ciò costituiva il terreno di caccia di questi monarchi, mentre oggi giorno offre una grande diversità di paesaggi: monti, gole, rocce, pianure,una flora e una fauna di una ricchezza eccezionali.Nato su una costruzione medievale, questo castello divenne la residenza amata dai sovrani francesi a partire da Luigi VII, Filippo II e Luigi IX (siamo in un periodo tra la fine degli anni del 1100 e l’ inizio degli anni del 1200), con il passare dei secoli subì continui ampliamenti ed ebbe il punto di massimo splendore durante in Rinascimento, sotto il dominio di Francesco I (regnò dal 1515 al 1547) e poi nel XVII secolo con il regno di Enrico IV. Questi monarchi per renderla magnifica chiesero l’aiuto dei più importanti artisti del tempo, tra i quali spiccano Leonardo Da Vinci, Rosso Fiorentino, Michelangelo, Benvenuto Cellini.Grazie all’apporto, al genio di questi artisti e alla lungimiranza dei sovrani oggi possiamo visitare uno dei palazzi più belli di Francia, che conta 1900 stanze, con muri e i soffitti ornati da pannelli lignei, intagli dorati, affreschi, stucchi, arazzi e dipinti. I pavimenti in parquet sono realizzati con i legni più pregiati, i camini sono impreziositi con stupende decorazioni rinascimentali.Il XIX secolo,fu il periodo più brutto per questa reggia, infatti fu vittima della crisi della nobiltà scatenata dalla rivoluzione francese. Molti mobili, prodotti di alto artigianato e altri interni furono venduti, non solo per recuperare fondi destinati al Paese, ma anche come moto di rivolta contro la dinastia borbonica, in un periodo dove la divisione sociale era altissima e c’era chi non aveva il pane per sfamarsi e chi viveva in mezzo al lusso più sfrenato.La ripresa ci fu con Napoleone che si riappropriò del

palazzo per restituirlo alla gloria che meritava, a lui si devono le ultime modifiche strutturali che possiamo vedere anche oggi, fatte per adattarlo alla vita quotidiana, l’ imperatore infatti amava molto questa dimora, tanto che arrivò a designarla solennemente “prima residenza imperiale” e ne fece il suo ultimo rifugio prima dell’abdicazione nel 1814, firmata proprio in una delle tante stanze, che è possibile visitare.Oggi il Castello di Fontainebleau è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, seppur meno caotico, conosciuto e frequentato della Reggia di Versailles, risulta essere altrettanto bello e degno di essere visitato, dopotutto se nonostante la sua lontananza da Parigi, continuava, con il passare dei secoli, ad essere la residenza preferita dai più importanti sovrani francesi, vuol dire che i suoi pregi erano e sono molto apprezzati.Tra tutti gli ambienti spiccano sicuramente, per interesse, gli appartamenti di Napoleone, la Galleria Francesco I, la Biblioteca e la Sala del Trono che ha l’unico trono conservato in Francia nel suo luogo storico.

architetturan

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Nuova stagione al Teatro dell’Angelo Occhio al palcoscenicon di Rossana Gabrieli

L’autunno rappresenta l’appuntamento più atteso dagli amanti del teatro, che pregustano le sorprese in cartellone offerte dai molti palcoscenici che

arricchiscono la capitale.Da molti anni, ormai, il Teatro dell’Angelo regala ai suoi spettatori appuntamenti artistici di notevole interesse per originalità e qualità.Si parte con “Il monello”, celeberrimo film di Charlie Chaplin, adattato per il teatro e vincitore di numerosi premi: “Un racconto muto, ma incredibilmente comunicativo, in cui movimento, mimo, musica e divertenti gag toccano il cuore”.Andrà in scena fino al 25 ottobre.A seguire, “Pensieri così”, “Zoo di vetro”, “Io, Woody e le donne”, “In nome del papa re”; “Nuda a cruda”, “Gente di facili costumi”, “Io e Napoli”, “Centomila, uno, nessuno”, “Un americano a Parigi”.Da settembre a maggio, il Teatro dell’Angelo saprà piacevolmente intrattenerci, offrendoci spettacoli che intrecciano tradizione e novità, commedia e dramma, in compagnia di artisti come Antonello Avallone (che è anche direttore artistico del Teatro dell’Angelo), Pamela Villoresi, Giuseppe Pambieri, Anna Mazzamauro, soltanto per citare alcuni tra i tanti nomi, tutti di grande prestigio ed esperienza artistica.Da notare che il Teatro dell’Angelo festeggia quest’anno la sua decima stagione e che “…il filo conduttore delle scelte di questa stagione…è ancora e semplicemente il teatro, il teatro nel suo significato originale, quello di trasmettere emozioni, di denunciare problemi sociali, di affrontare le tematiche dell’uomo di oggi, di essere al servizio della memoria storica di un Paese”.E questo è il Teatro che vogliamo continuare a vedere.

La percorrono migliaia di persone ogni giorno perché lambisce una delle piazze più famose al mondo, piazza Navona, e rappresenta una parte importante del centro storico di Roma.

Ed è anche una strada centralissima disseminata di statue e fontane interessanti e con una storia di peregrinazioni difficilmente conosciute al grande pubblico. Stiamo parlando di Corso Vittorio Emanuele II e, per cominciare il racconto, di buona parte delle statue presenti, o meglio della irrequietezza logistica di alcune di esse, partiamo da Largo Tassoni dove, quasi nascosto tra quattro piante d’arancio che fioriscono d’inverno, sorge il monumento di Terenzio Mamiani della Rovere. La sua collocazione originaria, però, era un’altra: piazza Sforza Cesarini, duecento metri più avanti, dove si può vedere, tuttora, la statua dell’abate siciliano Nicola Spedalieri (progetto dello scultore Rutelli). Filosofo siciliano, prete, professore e giurista, Spedalieri (o meglio, la sua statua) prima era però in piazza Sant’Andrea della Valle, dalla quale venne trasferita poco più di cinquant’anni fa per ragioni di viabilità. Cinquanta metri più avanti di piazza Sforza Cesarini, stavolta sulla sinistra, ecco Piazza della Chiesa Nuova e … altra statua, altro trasloco. Qui nei primi anni del secolo scorso fu sistemato il marmo raffigurante Pietro Trapassi, meglio conosciuto con il nome di Metastasio, un grande poeta di Roma, nato in via dei Cappelari dove a ricordo, è posta una targa sulla sua casa natale. La statua, opera di Emilio Gallori, proveniva, irrequieta anche questa, da piazza San Silvestro, dove fu inaugurata nel 1886 e da dove traslocò, probabilmente per intralcio al traffico di allora. La fontana che oggi è in piazza sant’Andrea della Valle, proviene dalla preesistente piazza Scossacavalli, che sorgeva dinnanzi a Santa Maria in Traspontina. Con l’apertura di via della Conciliazione, nel 1937, piazza Scossacavalli

fu cancellata e anche la statua fu asportata per problemi legati al traffico. Finì nei magazzini comunali da dove sembrava non doversi più muovere fino al 1957 quando fu ripescata inaspettatamente e collocata nella posizione attuale. Per approfondire le storie della fontana presente nella stessa piazza e di tantissime altre curiosità disseminate nei paraggi del nostro percorso scrivere a Minello all’indirizzo: [email protected]

Roma insolitan di Minello Giorgetti e Nicola Fasciano

Statue inquiete

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sul filo di china

nAprilia“Angela Buffa - Mostra personale” Sala Manzù, fino all’8 novembre

nRoma“Manzu’. Le donne e il fascino della figura” Ostia antica, fino al 6 novembre“Food – dal cucchiaio al mondo”MAXI, fino al 9 novembre“Nutrire l’Impero. Storie di alimentazioni da Roma e Pompei”Museo dell’Ara Pacis, fino al 15 novembreK & K – František Krátký e Pavel Kopp, due sguardi sull’Italia. Un secolo di fotografia nelle immagini di due boemiMuseo di Roma in Trastevere, fino al 30 novembre Olivo Barbieri. Immagini 1978-2014MAXXI, fino al 15 novembre“Lo stato dell’arte: l’arte dello Stato” Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, fino al 29 novembre“Raffaello, Parmigianino, Barocci. Dialettiche dello sguardo e metafore della visione” Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2016“Henry Moore”Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano, sino al 10 gennaio 2016“Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano. 1900 - 1940”Palazzo delle Esposizioni, fino al 17 gennaio 2016“Fotografia. Festival Internazionale di Roma 2015”MACRO, fino al 17 gennaio 2016“Balthus a vialla Medici”Villa Medici, fino al 24 gennaio 2016“Dal Musèe d’Orsay. Impressionisti tête a tête” (Articolo a pag. 6)Complesso del Vittoriano, fino al 7 febbraio 2016“Impressionisti e capolavori della Phillips Collection di Washington”Palazzo delle Esposizioni, fino al 14 febbraio 2016“James Tissot (1836-1902)”Chiostro del Bramante, fino al 21 febbraio 2016“Tesori della Cina Imperiale”Palazzo Venezia, fino al 28 febbraio 2016

nBergamo“Malevič”GAM e C., fino al 17 gennaio 2016

nFirenze““Nel segno dei Medici. Tesori sacri della devozione granducale” Museo delle Cappelle Medicee, fino al 3 novembre

Carlo Dolci 1616- 1687” Galleria Palatina di Palazzo Pitti, fino al 15 novembre“Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana”Palazzo Strozzi, fino al 24 gennaio 2016“Il mondo che non c’era. Arte precolombiana nella collezione Ligabue”Museo Archeologoco Nazionale, fino al 6 marzo 2016“Un palazzo e la città” Museo Salvatore Ferragamo, fino al 3 aprile 2016

nTrieste “Dagli impressionisti a Picasso” Palazzo Ducale, fino al 10 aprile 2016

nMilano“Damian Ortega Casino” Fondazione Hangar-Bicocca, fino al 8 novembre“La Grande Madre” Palazzo reale, fino al 15 novembre“Sculture idedite del Rinascimento lombardo”Galleria Lorenzo Vatalaro, fino al 23 dicembre“Giotto, l’Italia”Palazzo reale, fino al 10 gennaio 2016 “Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei” Palazzo reale, fino al 10 gennaio 2016 “Da Raffaello a Schiele”Palazzo Reale, fino al 7 febbraio 2016

nMonza “Nomachi. Le vie dell’anima” fotografia Villa reale, fino al 8 novembre

nPadova “Il giovane Casorati. Padova, Napoli e Verona” Musei Civici agli Eremitani, fino al 10 gennaio 2016“Fattori”Palazzo Zabarella, fino al 28 marzo 2016

nTrieste “El Greco in Italia - Metamorfosi di un genio” Casa dei Carraresi, fino al 10 aprile 2016

nTrieste “Ippolito Caffi. Dipinti di viaggio tra Italia e oriente” Museo storico del Castello di Miramare, fino al 8 dicembre

Eventin

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Potete trovare la vostra copia di “Occhio all’Arte” presso i seguenti distributori:Aprilia: Biblioteca Comunale (Largo Marconi), Comune di Aprilia - Palazzo di vetro (p.zza dei Bersaglieri), edicola di p.zza Roma, Casa del libro (Via dei Lauri 91), Abbigliamento Alibi (via Marconi 52), Banca Intesa (via delle Margherite 121), edicola di Largo dello Sport, edicola di p.zza della Repubblica, teatro Spazio 47 (via Pontina km 47), palestra Sensazione (via del Pianoro 6), Ottica Catanesi (Largo Marconi 8), Bar Vintage (via Di Vittorio), Caffè Culturale (via Grassi)Lavinio mare: Bar Lavinia (p.zza Lavinia 1) - Anzio: Biblioteca comunale (Comune di Anzio)Nettuno: F.lli Cavalieri (P.zza IX Settembre)

Alexia Sinclair “THE SECRET GARDEN”, 2015