pata magazine - mar 09

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MARZO 09 MAGAZINE

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Art and Design Magazine

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MARZO 09MAGAZINE

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in copertina: Gabzdil Libertiny - honeycomb vases - 2007

3 NEWPATAROBERTO MARONE

4 FERNANDO BRIZIOLUCA SPAGNOLO

7 EVA ZEISELSANJA PUPOVAC

8 ALEX FRADKIN: BUNKERSIGNAZIO LUCENTI

13 PEPSI, OH BOY!!DEJANA PUPOVAC

16 RESIGNROBERTO MARONE

20 ECAL ALLA DESIGN LIBRARYLUCA SPAGNOLO

24 COSMIC THINGIGNAZIO LUCENTI

27 MAURIZIO CATTELAN, ED ELUANAROBERTO MARONE

28 SUSUMU KOSHIMIZULUCA SPAGNOLO

33 ALICE WANGIGNAZIO LUCENTI

35 DON’T MISS A SECANDREA AZZARELLLO

36 MADE MY BEESIGNAZIO LUCENTI

40 BRANCUSI VS PHILIPPE STARCKROBERTO MARONE

IN QUESTO NUMERO

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NEWPATAEDITORIALE

Chi ci segue attraverso il sito già sa che il 2009 è partito all'insegna di alcune novità. Soprattutto di una nuova veste grafica strutturata e pensata per una lettura dei contenuti diversa, più leg-gera e fruibile. L'altra grande novità che vi annunciamo è che pros-simamente sarà online, udite udite, una versione in inglese del magazine. D'al-tronde, internet non è per sua natura "monoglotta" e

avere un sito solo in italiano ci sembrava un ossimoro.Per questo motivo questo numero sarà l'ultimo numero solo in italiano, dal prossimo, cari lettori, ladies and gentle-men, sarete in compagnia di americani e cinesi. Nel bene. E nel male.

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L'elogio del difetto, dell'imper-fezione e della casualità è di Fernando Brizio. Se i penna-relli Giotto macchiano i fogli e le dita, lo stesso possono fare sui vestiti e sui vasi; meglio se bianchi come la carta. La macchia è imprecisa e incon-trollabile, ma colorata e uni-forme. Del decoro possiamo vederne l'artefice, e l'artefice è protagonista del progetto stesso e della sua realizza-zione formale.Il compimento dell'opera è lasciato all'incontro tra

materiali, che si svela nel lento assorbimento di colore da parte del tessuto o della ceramica. Un'altra storia sono i vasi ancora duttili e malleabili, caricati sulla jeep che ne conferisce la forma finale a forza di scossoni e curve strette. Jeep vases.Anche qui il caso e l'inco-gnita dettano legge, ma ad una velocità differente.

FERNANDO BRIZIOLUCA SPAGNOLO

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EVA ZEISELSANJA PUPOVAC

Eva (con la figlia): un disegno di donne gentili che, come i pinguini, sono una specie a rischio di estinzione.

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Nell’ultima frontiera trac-ciata dalla conquista dell’ovest, nell’attuale terri-torio che si estende intorno alla baia di San Francisco, succede che l’incessante attività sismica e gli smot-tamenti dovuti alle piogge fanno emergere dal suolo costruzioni di altre epoche. Si tratta di bunker e strut-ture belliche che riaffiorano dal mare della California,

vecchi corpi deposti sulle spiagge o aggrappati a colline in disfacimento. Rimandano a un passato che spesso è più immagi-nario che reale, a una storia rimossa e parallela, fatta di spettri e di guerre. Quelli più antichi risalgono agli inizi dell’ottocento ed erano stati costruiti per difendersi dal Messico. Osservandoli si riesce a ripercorrere tutte

le tappe salienti della sto-ria recente: guerra civile, prima e seconda guerra mondiale, guerra fredda. È quasi poetico il fatto che la terra con regolarità rigur-giti queste metafore solide a raccontare la costante attesa del nemico, l’ango-sciosa identità di un’intera nazione.Il fotografo Alex Fradkin li ha fotografati e raccolti in

un libro di prossima pub-blicazione: Bunkers: Ruins of War in a New American Landscape.

ALEX FRADKIN: BUNKERSIGNAZIO LUCENTI

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PEPSI, OH BOY!!

Pepsi ha un nuovo logo. Un logo che ha riportato le bollicine dentro lo storico marchio.Ci sono molte cose che sono state dette con il lan-cio di questo rinnovamento grafico, communicativo e anche politico. Il nuovo logo è un logo 'Obame-sco'. Il nuovo logo PEPSI esce con la campagna e la

vittoria di Obama, il nuovo logo dagli stessi colori della bandiera e del bollino di Obama promette il rinfre-sco come riciclo.Un refresh più fresh di quelli di prima. Refresh eve-rything.Sempre in sintonia con il clima di speranza che porta la vittoria del presidente nero, la comunicazione del

marchio di questa bevanda scura, porta un messaggio semplice ma importante che la pubblicità rivolta alle masse sembra aver dimen-ticato: felicità, ottimismo, amicizia. Che si uniscono sotto la bandiera dello stesso marchio. La cam-pagna della pepsi riprende degli elementi vincenti della pubblicità degli anni pas-

sati. Unisce quel metodo pubblicitario che puntava alla semplicità e alla qualità negli anni novanta (primi piani in bianco e nero di persone sorridenti, ritratti di persone comuni, dis-setate e felici) con l'am-mirabile sinuosità e rigore grafico sperimentale degli anni settanta: il marchio si semplifica, ricorda quasi

DEJANA PUPOVAC

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un simbolo delle olimpiadi giapponesi. La scritta pepsi è sottile. La lattina è perlata più che metallizzata. E non cè traccia di quelle pre-potenze di capacità com-puterizzata, di effetti spe-ciali, plastici, naturalistici e sovvranaturali, di quella confusione che si è creata in questi anni dove gli stru-

menti per comunicare sono diventati l'aspetto princi-pale e decisivo della qualità della comunicazione.La pepsi ha fatto un passo indietro facendo un passo avanti. E' tornata indietro come per tentare di ricre-are questi anni che sono andati storti. New York è tappezzata di parole di otti-

mismo e di gioco su sfondo colorato, ogni 'O' rappre-sentata dal tondino del nuovo marchio. Sui palazzi e sotto terra si legge OH BOY, POP, TOGETHER...La voglia di seguire, come abbiamo seguito le bolli-cine che ci scoppiavano sul viso e dentro lo sto-maco, un prodotto non per

la sua qualità nutrizionale ma per il suo messag-gio di umanità e amore è quasi irresistibile. E ci ricor-diamo quell'emozione che la pubblicità ci provocava una volta, quel desiderio di appartenere ai bambini Benetton, di bere la coca come i ragazzi americani, di avere una famiglia Barilla e

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di portare le mutande Cal-vin Klein sotto i blue jeans strappati. Non so perchè quella pubblicità fu forte, convincente, libera e sexy. Pepsico è una grandissima azienda e io non pretendo di conoscere i metodi e meccanismi, buoni o mal-vagi che siano, del suo mondo operativo. Io, la Pepsi non la bevo nean-che, è un prodotto mal-sano. Allora perchè mi fa sentire di buon umore que-sta sua nuova immagine? Perchè, pur non beven-dola, sento le bollicine che mi fanno lacrimare gli occhi mentre leggo OPTIMISM su sfondo rosa?The answer, my friend, is blowing in the wind...

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RESIGNSuona strano, lo so, ma succede che ogni tanto ricercando in giro ci si imbatte in progettisti ita-liani. Non che la qualità qui da noi manchi, ma la quantità, quella, non c'è dubbio. La vitalità dei blog, dei musei, delle associazioni, e di tutta la filiera degli altri paesi, tende a squadernare un ventaglio di possibilità al quale noi opponiamo invece dei rari e isolati campioni. Per lo più batti-tori liberi, fuori campo.

E così finisce che girando su un blog tedesco scopri che qui dietro, a Faenza, ci sono dei ragazzi bravis-simi.Giocano sull'idea di riuso (non a caso si chiamano Resign) costruendo delle anomalie visive incon-suete che superano il pre-supposto, forse logoro, del riciclo, fino a lasciare a queste ipotesi ancora sperimentali una sugge-stione spiazzante.Succede vedendo la cat-tedra/balcone fascista, e

lo sgabello per gli scac-chi. L'albero di sci appen-diabiti, la lampada con le ruote e, forse il più bello di tutti, le due sedie per fare una sedia.Non so se questo sia design, ne se sia arte, resta il dato piacevole e confortante che un gruppo di ragazzi di talento muova qualcosa, spostando qualcos'altro.

ROBERTO MARONE

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ECAL ALLA DESIGN LIBRARYIeri sera alla Design Library a Milano c'è stato un incontro con Pierre Kel-ler, il preside della ECAL, l'Ecole Cantonale d'art de Lausanne, o University of Art and Design Lausanne (da notare come in fran-cese il termine design non compaia).E non c'era nessuno, solo quattro gatti fortunati. Colpa della pioggia? Poco importa, chi non è venuto non potrà mai capire la differenza che

passa tra una scuola tri-ste come il Politecnico di Milano e una scuola che sforna talenti già dai primi anni di corso. Per tutto il tempo Keller, con il suo italiano dal for-tissimo accento tedesco ha parlato di giovani, del loro potenziale, di quanto sia più bello vedere un designer di 30 anni che non uno di 40, di come nella sua scuola si dia libertà totale alla proget-tazione, "basta sedie o

armadi, quelli li possono disegnare dopo! Quello che i nostri studenti fanno all'interno dei laboratori, molto probabilmente non potranno farlo una volta usciti di qui!", è una que-stione di approccio al progetto, lavorare con la testa, inventare, imparare le nuove tecniche e tec-nologie. Keller, sicuramente non privo di un grandissimo spirito imprenditoriale, porta in giro i lavori dei

suoi studenti, organizza mostre presso le gallerie più importanti del mondo (Galerie Kreo per esem-pio), le quali riconoscendo un certo valore alle opere, non si tirano indietro a metterle in produzione (per serie limitate). La qualità dei progetti è altis-sima, si sperimenta sem-pre e ovunque, si passa dalla progettazione di sgabelli per mungere le mucche, all'utilizzo del pane come materiale, dal tavolo per terremoti con

LUCA SPAGNOLO

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tanto di kit di sopravvi-venza, alle casette per uccelli. Cose che qui in Italia, e sicuramente a Milano, verrebbero etichettate

come frivole o inutili e rim-piazzate dal progetto per-fettissimo di una caldaia.Insieme a Keller c'era Ale-xis Georgacopoulos. La prima volta che si sono

incontrati Alexis aveva 24 anni e a scuola gli insegnavano a disegnare rasoi e flaconi di detersivi, "cose di una tristezza infi-nita" dice Keller, Ora Ale-

xis ne ha 32 ed è profes-sore presso l'ECAL.Eeeeh si Luca, ma il Poli-tecnico, la tradizione, i maestri...

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COSMIC THINGIGNAZIO LUCENTI

Damián Ortega con l’in-stallazione "Cosmic Thing" del 2002, espone un mag-giolino della Volkswagen scomposto.L'artista messicano (ma lavora a Berlino) inizia la sua carriera come vignettista di satira politica ed evidente-mente, nella sua sensibilità di artista ha tenuto da parte quel senso di gioco e di assurdità deflagrante che

faceva parte del suo prece-dente bagaglio professio-nale.Il suo lavoro ha a che fare con gli oggetti di consumo, e ciò è particolarmente evi-dente quando prende un maggiolino e ne realizza un esploso come quelli che si trovano sui manuali d’istruzioni. Smontando un’automobile e mettendo in sospensione su dei fili

tutti gli elementi, ottiene il risultato di un’immagine corto-circuito in cui convi-vono l’idea comune che si ha solitamente di quell’og-getto (i pezzi sono i mede-simi, non sono una ripro-duzione e anche l’ordine spaziale è sostanzialmente rispettato) e uno schema logico che lo descrive con-cettualmente (o sarebbe meglio dire tecnicamente).

Per questa caratteristica fa la stessa impressione delle tassidermie di formaldeide realizzate da Hirst, nella loro surreale rappresentazione di un corpo-tassonomia. Ci si muove insomma sulla linea precaria (sempre di più a dire il vero) che corre tra realtà e rappresentazione della stessa. Tra vita e cata-logazione.La scelta del soggetto poi,

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non è casuale ma fa parte di quel sottotesto sati-rico/politico presente nelle opere di Ortega di cui si diceva poco sopra. L'au-tomobile della Volkswagen, infatti, in Messico è uno dei simboli più forti della occidentalizzazione e del benessere economico rag-giunto dal paese. C’è quindi il gusto dell’allusione ironica in questa rappresentazione a pezzi del modello econo-mico Messicano che ricorda in parte il finale esplosivo del film Zabriskie Point in cui Antonioni fa saltare in area una serie di prodotti di con-sumo. Se però nel film del ‘70 la deflagrazione arriva anarchica e liberatoria, nel lavoro di Ortega è invece letteralmente “da manuale”, ordinata e razionale.Qualche anno più tardi Ortega dovendo esporre in Italia decide di ripresen-tare lo stesso meccanismo, cambiando il soggetto. In Italia il ruolo non può che toccare alla Vespa. Tra i due momenti però qualcosa è cambiato, se la prima volta si assisteva a un’immagine surreale ma sostanzial-mente statica, stavolta il processo di decostruzione è rappresentato attraverso tre istantanee che ne resti-tuiscono il movimento. La vespa esplode o si ricom-pone a seconda del senso di lettura, restando in uno stato sospeso di crisi che, per la situazione eco-nomica attuale, appare molto appropriato.

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MAURIZIO CATTELAN, ED ELUANAROBERTO MARONE

Non credo che Catte-lan, crocifiggendo una donna a un lettino, si riferisse a Eluana. E forse nemmeno all'eu-tanasia. Certo è che questo lavoro in questi giorni

butta fuori una energia diversa, forte, nella quale io non riesco a non pensare a quanto l'idea di crocifissione, di pena, di costrizione, appartenga total-mente e forse persino esclu-sivamente al mondo cattolico. Che sia una invenzione loro, figlia della loro idea di soffe-renza, di colpa e di privazione. Figlia del loro concetto deli-rante di vita, e della loro paura ossessiva della morte. Perchè solo così si può arri-vare a capire la caparbietà con cui difendono l'idea straziante per cui un umano attaccato a delle macchine da 17 (dicias-sette) anni possa definirsi vita. E avere paura, persino paura,

che quel corpo morto possa morire. E solo la loro idea di privazione della altrui libertà (vecchia di secoli) può arrivare a conce-pire che questa delirante idea sia La Verità, la logica unica e inappellabile da imporre agli altri, da perseguire con foga culturale e addirittura politica. Al punto persino di ledere la libertà di una famiglia, la dignità di quella persona, e la libera coscienza che il resto del paese (minoritario o mag-gioritario che sia) coltiva per se stesso. Voi siete liberi di coltivare que-sta vostra idea di cosa sia la vita, di chi la dona, il con-cetto di dolore, di morte, e il vostro senso di colpa innato da espiare con improbabili sofferenze. A noi queste cose non interessano. La crocifis-sione non ci appartiene. E non vogliamo che appartenga ai nostri figli.

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Giappone. Mono-ha si tra-duce in italiano come "scuola delle cose". Le cose sono gli elementi della natura, terra, rocce, carta, legno, vege-tali, acqua. Per molti versi e fondamentalmente per capirsi meglio, non è altro che la trasposizione dell'Arte povera nel Giappone dei fine '60.Nobuo Sekine potrebbe esserne il precursore, Susumu Koshimizu e Kat-suro Yoshida i suoi complici nell'aver scavato nell'ottobre del 1968 una grossa buca,

scavando con le loro stesse forze nella terra, per poi ricreare con la stessa mate-ria, a pochi metri un cilindro perfetto.La materialità delle cose, la sottolineatura di ciò che è inerente alla materia, ma non per questo visibile e la forza dell'essere natura, porta al centro il lavoro di Koshimizu. Uno dei suoi primi lavori, 1969, forse il più famoso, Paper, porta in un museo un grosso sacchetto di carta giapponese, le cui dimen-

sioni portano già la nostra mente altrove, ma poi all'in-terno scopriamo, in forte contrasto con il contenitore (per la sua dimetricalmente opposta matericità), una roccia.E pensiamo che la carta e la roccia fanno parte di mondi diversi, che la carta è fragile, la roccia troppo dura e pesante, il sacchetto potrebbe rompersi, non potrebbe mai essere alzato, il loro destino, se si vuole l'integrità di uno e la stabi-lità dell'altro elemento, è di

SUSUMU KOSHIMIZULUCA SPAGNOLO

CASSETTOAlcuni gioielli del passato da rispolverare

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rimanere li, fermi immobili, in una disturbante armonia, per sempre. Un altro lavoro, Paper Bag, utilizza la carta come supporto per comunicarci una diversa possibilità di interpretazione,

quasi come se la carta smet-tesse di sentirsi un derivato della cellulosa, e desiderasse l'aspetto di una superfice marmorea. Ma basta il nostro passaggio, un leggero sposta-mento d'aria a svelarci tutta la sua leggerezza.

Una roccia spaccata in due da un taglio netto all'interno del Museum of Modern Art di Tokyo è semplicemente un modo per esporre una roccia in quanto roccia e in quanto fragile. Un modo diverso di guardare alla scultura.

From surface to surface è la variante del tema. 14 modi diversi di trattare lo stesso materiale, le stesse dimen-sioni in maniera sempre diversa. Come le varie possi-bilità di immaginare una scala a pioli di Cildo Meireles.

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Sempre di forme simili si tratta durante un installazione del 1983, dove diversi tavoli, pre-sentano piani e strutture sem-pre diversi. I piani sono sempre d'ostacolo all'utilizzo che di solito se ne fa; è difficile appoggiarci le cose. Le superfici sono defor-

mate, a volte rivelano la loro natura, il loro passato, altre volte solo il loro presente, facendoci capire cosa può averle ridotte così. Superfici complesse e mai superficiali.Domo arigatò Susumu Koshi-mizu!

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ALICE WANGIGNAZIO LUCENTI

Alice Wang dice di inte-ressarsi a quei bisogni che le grandi multinazio-nali potrebbero non essere in grado di soddisfare. L’obiettivo è di realizzare un piccolo scarto in quegli oggetti che per tradizione o per conformismo formano un fronte compatto in qual-che modo disumano. Quale oggetto migliore su cui esercitarsi, allora, della sveglia. Col suo suono

fastidioso ogni mattina ci introduce a tutta la serie di doveri che ci attendono. Che si manifesti con un trillo acuto o attraverso una suoneria più o meno elabo-rata risulta sempre spietata, implacabile e puntuale. Ogni giorno ci addestra a rispondere ai suoi stimoli, modellando il nostro stile di vita su un ritmo meccanico.Alice Wang propone due modelli più morbidi gio-cando sul modo di inte-

ragire con l’oggetto ma conservandone intatta la funzione.Tyrant, il primo modello, si collega al telefono cellulare del proprietario e inizia a chiamare casualmente uno dei contatti presenti sulla rubrica a intervalli di tre minuti.Perfect Sleep invece è dedicata a tutti quelli che hanno uno stile di vita che gli consente di dormire quanto vogliono. Questa,

infatti, permette di decidere il numero di ore che si vuole dormire e non l’ora in cui ci si deve svegliare. Con il progetto Asimov’s firt law tocca invece alla bilan-cia, altro oggetto per defi-nizione preciso, inflessibile, cattivissimo. Il progetto si compone di tre modelli:White Lies, permette all’uti-lizzatore di mentire a se stesso, ponendosi lontano dal display il peso apparirà

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inferiore, in questo modo la persona potrà avvicinarsi ogni giorno alla verità.Half Truth ha il display posto sul lato, in modo tale che chi si pesa non possa vedere direttamente il risultato. La comunicazione è affidata invece alla responsabilità di un partner, che avrà a disposizione l’intelligenza e la sensibilità di cui è dotato per decidere di volta in volta se dire la verità o alterarla.Open Secrets, infine, invia un sms con il valore del peso a un numero scelto in precedenza. Chi riceve il messaggio potrà deci-dere se rivelare il segreto o tenerlo diplomaticamente per sé.

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DON’T MISS A SECANDREA AZZARELLLO

L'artista che inserisce spa-zio, genere e potere in un parallelepipedo di due metri e cinquanta per un metro e quaranta, alto quasi un paio di metri. L'azione dell'ar-tista, espressa in installa-zioni come questa, è una conquista anche fisica di libertà, contestazione di potere politico o mediatico. Riflette inoltre sull'influenza dei media nella definizione ed imposizione dei ruoli nella società, creando strut-ture ed ambienti che rileg-gono in maniera dissacrante alcuni miti contemporanei e rivelano i legami esistenti tra strutture architettoniche e strutture di potere.Concentrare una riflessione

o riflettere per concentrarsi attraverso oggetti, forti della pratica quotidiana. Questo e' il vero valore dell' opera, che sa inevitabilmente evi-denziare il sottile punto di equilibrio fra creazione artistica e distruzione "arti-stica".Siamo liberi di pensarla come vogliamo, ma la sod-disfazione che quest'opera trasmette ha il sapore dei vecchi valori e il "nostro pro-dotto interno lordo" cresce inesorabilmente di fronte a tanta seduzione.

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MADE MY BEES

Made by Bees vases fa parte del progetto di tesi di Tomas Gabzdil Libertiny. (Design Aca-demy Eindhoven).Il progetto nasce da una rifles-sione critica nei confronti della società dei consumi. Al valore economico-funzionale e a quello metaforico che si cela dietro il desiderio di possesso di beni materiali, in un contesto fatto di eccessi (di disponibilità, di lusso, di tecnologia) e obso-lescenza programmata, viene contrapposta una visione pri-mordiale e archetipa.

La rozza cultura del tutto ha un prezzo, contrapposta alla natura esile, transitoria e pre-ziosa di prodotti effimeri il cui valore è il risultato del tempo necessario per crearli e dall'im-pegno laborioso di migliaia di organismi che vi contribu-iscono. Il tentativo è quello di ribaltare valori negativi per una società industriale, quali il primitivo, la fragilità e la cadu-cità in valori positivi, creando oggetti inusabili.

IGNAZIO LUCENTI

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Gabzdil Libertiny. (Design Aca-Libertiny, con questo progetto, si pone in continuità con un utilizzo fortemente metaforico dei materiali naturali, tipico di alcune correnti dell'arte con-temporanea quali ad esempio l'arte povera (Penone su tutti) e in particolare con il lavoro di Joseph Beuys. Attraverso l'uso di sostanze prodotte

direttamente da organismi animali e in seguito alla non riproducibilità meccanica del processo di costruzione, l'og-getto assume una valenza quasi sacra. Libertiny da l'avvio ad un pro-cesso di produzione che è anche un processo di crescita spontaneo, ma non lo con-

trolla, esso va avanti in modo autonomo seguendo dei meccanismi naturali prevedibili solo in piccola parte.Honeycomb vases sono rea-lizzati collocando all'interno di un alverare una struttura in cera d'api ottenuta tramite stampo. Attorno a questa impalcatura le api iniziano a costruire una serie di minute

architetture. Ogni vaso per essere prodotto ha bisogno di una settimana e del lavoro senza sosta di 40 mila minu-scole operaie. Ogni vaso inol-tre è diverso all'altro in base ad un progetto che sta solo nella mente delle api.

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ROBERTO MARONE

BRANCUSI VS PHILIPPE STARCK

DALLA CANTINAun vecchio articolo riportato alla luce

Spesso su questo sito ci siamo occupati dell'eco che alcune immagini riverberano nella storia dell'estetica. O comunque alcune similitudini che segnano la storia del nostro guar-dare. E così, rigirandomi fra le dita un po' le opere di Brancusi, mi continuava a venire in mente Starck. E non è normale. E così continuavo a ripassare quel romanticismo fran-cese, quell'aspirazione all'immateriale, quella fissazione (si fissazione) per la "sembianza", e continuavo a pensare a quel richiamo sempre innato verso una sorta di grembo aurorale della forma. E facendolo, sono finito per cercarne, e forse trovarne, il filo rosso del loro linguaggio.