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PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA Facoltà di Filosofia Gli appunti del corso TEOLOGIA FILOSOFICA tenuti da P. Terence Walsh

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Filosofía de la religión, teología filosófica. Apuntes del curso

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Page 1: Teologiafilosofica Walsh

PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANAFacoltà di Filosofia

Gli appunti del corso

TEOLOGIA FILOSOFICAtenuti da P. Terence Walsh

Ernest MiroslawCollegio Diocesano “Redemptoris Mater”

Roma 1997

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I. LA TEOLOGIA FILOSOFICA E LA TEOLOGIA RIVELATA

1. C’è un rapporto tra Dio di metafisica e Dio della fede?Non è ovvio che quello che pensa la filosofia sia lo stesso che pensa la fede, né che

qualsiasi idea di Dio abbia qualcosa di comune con il vero Dio. Oggi ci sono due tendenze di Dio:- totalmente trascendente - se Dio è troppo trascendente e se non si fa presente a noi attraverso i simboli, allora non c’è la possibilità della mediazione e noi non lo concepiamo:

è troppo irraggiungibile: non è ancora Dio perché abbiamo bisogno di un Dio che si manifesti.

- totalmente immanente - se Dio è troppo immanente al mondo, allora non è più Dio della misericordia e dell’amore.

2. Cos’è la Teologia Filosofica?A. La Teologia Filosofica è quella parte della filosofia che vuole descrivere il problema di Dio. Se Dio è l’origine e fine di tutto che esiste, allora non è un problema né per se stesso, né per la persona che crede in lui. Dio diventa un problema quando la persona si chiede se quello in che crede è vero, cioè, se corrisponde ad una realtà fuori della soggettività umana? Se non si può giustificare la fede attraverso un’oggettività dell’evidenza empirica dei sensi perché tale evidenza non c’è, allora dove si può trovarla? B. Il trascendente non si dà come oggetto nel mondo, ma attraverso una mediazione simbolica: il rapporto tra soggetto e trascendente viene dato dalla fede che è razionale già dall’inizio. L’uomo è consapevole di ciò che fa: il suo atto di autocoscienza non è il punto di partenza per la teologia, ma è la pretesa che quest’atto sia vero (contro lo scetticismo). Come esseri pensanti vogliamo e dobbiamo sapere se questo che crediamo è vero e perché è vero?! C. Una delle condizioni della verità di fede è che il trascendente ci si rivela attraverso i simboli: come allora un nome di Dio può diventare un’idea di Dio? Per arrivare alla credenza razionale all’idea di Dio, dobbiamo cominciare con la fede ai nomi di Dio (un nome di Dio esige una riflessione e deve diventare un’idea di Dio che non è più soggettiva bensì oggettiva e sta al di là del soggetto). Questo momento critico non è Fede, bensì un semplice atto di pensare e di riflettere sulle condizione d’essere di questa Fede: questo momento critico è la Filosofia!D. Teologia: perché è un discorso razionale su Dio, Filosofica: perché riflette criticamente sulle condizioni di possibilità del rapporto tra Dio e uomo: esiste Dio fuori delle nostre rappresentazioni?; è Dio conoscibile da noi, dalla ragione finita? Non ci interessa se c’è o non c’è una prova di esistenza di Dio (secondo Walsh non c’è!), bensì in quale Dio crediamo, a quale Dio pensiamo, di quale Dio cerchiamo l’esistenza? Ci sono molti dei o ci sono molte concezioni di Dio unico? Questa è una problematica sulla concezione di Dio, la quale concezione nasce in un determinato contesto storico: credere in Dio senza averne una concezione è una credenza vuota; come per criticare una concezione di Dio bisogna farlo all’interno di un contesto culturale.E. Il compito della teologia filosofica è di giustificare la pretesa che Dio trascendente può essere capito, conosciuto e sperimentato dall’uomo nel mistero di Cristo. Il pericolo della fede religiosa è che l’interpretazione del discorso simbolico viene utilizzata per creare un mondo immaginario: la filosofia deve domandare la fede se l’esperienza religiosa che rende intelligibile la vita umana, può rendere conto della trascendenza divina (la religione è una forma di vita: senza l’autocritica, nessuna forma di vita può durare).

Secondo Kierkegaard la fede è certa e fa senso in se stessa: non ha bisogno della critica della ragione. Però non si può uscire dalla ragione: fare senso implica che si entri nel discorso di autocritica, dove la ragione esamina e valuta.

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3. Nome - idea.A. Il Dio che vogliamo conoscere può essere inteso come:

- nome: esperienza religiosa - noi chiamiamo Dio con dei nomi attraverso l’esperienza;- idea: riflessione filosofica - l’idea di Dio è solamente pensata. Queste due concezioni possono coincidere e unirsi, oppure non coincidono e sono parallele.

H. Krings: l’uomo si rende consapevole di un’essenza razionale sopra di sé, e nello stesso tempo si sente relazionato con questa trascendenza attraverso la sua razionalità. Però la razionalità divina supera quella umana in quanto Dio ha dato all’uomo la ragione che non gli consente di raggiungerlo. S. Tommaso: il Dio che si è rivelato nella Bibbia come la fonte della vita (ens realissimum et perfectum, la causa prima, indipendente) può essere provato dalla ragione umana! B. Il problema: come la causa metafisica può fondare la libertà?; come la libertà può essere causata o fondata da fuori? Per Krings: la libertà deve avere un’autofondazione, altrimenti è causata e determinata. Per Heidegger: la tradizione metafisica cristiana “cosifica” l’essere: l’uomo diventa un oggetto determinato, Dio diventa un oggetto che determina. Emergono tre problemi: la personalità di Dio; la relazione fra Dio e il mondo; l’esistenza del male e della sofferenza nel mondo causato da un potere supremo.

4. Sviluppo della teologia filosofica nella storia della filosofia.A. La teologia filosofica è vecchia quanto il pensiero filosofico: dall’inizio la filosofia si è intesa come la scienza che investigava la realtà nella sua totalità e la natura divina era il punto di vista da cui si poteva comprendere la natura come totalità. La teologia filosofica nasce con la critica della mitologia: la cultura greca era diventata sospettosa con se stessa e di fronte al discorso della molteplicità degli dèi: la filosofia cercava il principio d’unità (cosmos = arché), invece la mitologia dava la molteplicità.B. La filosofia presocratica cercava ciò che è all’origine di tutto, il divino che dà il principio d’ordine, e lo trovava nell’acqua, nel fuoco, nell’aria, nella terra. Per Anassagora Dio è l’intelletto, cioè il nous: illimitato, autocrate, non mischiato, potente (manca la volontà). Con Platone e Aristotele nasce l’esigenza di porre accanto allo studio del mondo un’effettiva concezione di Dio: nasce il termine “teologia”, in Platone ancora legato col mito, mentre in Aristotele definito come metafisica delle cause prime dell’essere (Primo Motore, la causa prima del movimento, il Pensiero del Pensiero; fisica -> ontologia - metafisica -> teologia)C. In S. Tommaso la conoscenza di Dio è possibile attraverso la ragione: lui concilia la filosofia che prende i suoi principi dalla ragione, con la teologia che prende i suoi principi dalla fede. 1. A: La teologia filosofica parte dai principi della ragione (identità, non-contraddizione).

T: La teologia rivelata parte dalla fede e dalla rivelazione: la verità dell’Essere di Dio è la sua trascendenza che sorpassa la ragione umana.2. A: I mezzi di conoscenza nella filosofia sono le manifestazioni pubbliche e ripetibili.

T: I mezzi di conoscenza nella teologia sono gli eventi e personaggi storici non ripetibili.3. A: Dio è il primo motore e ordinatore; è un ens; per l’ontologia l’essere in quanto essere è

l’Ens Comune che hanno tutti gli oggetti creati.T: Dio è personale e creatore; è un super-ens; c’è una separazione tra l’essere di Dio e l’essere creato: l’Essere divino è l’unico.

4. A: Lo strumento di conoscenza è la ragione.T: Lo strumento di conoscenza è la ragione elevata dalla grazia (fede); la filosofia non sorpassa né raggiunge la grazia.

5. A: La ragione può raggiungere la felicità nella polis.

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T: La natura umana può raggiungere la felicità che è Dio al di là della ragione: il fine ultimo dell’uomo è di conoscere Dio così com’è.II. L’ARGOMENTO DELLA PROVA COSMOLOGICA E LA SUA CRITICA

1. Cos’è una prova dell’esistenza di Dio?A. Principale obiettivo della teologia filosofica è sempre stato quello di sottoporre a critica la pretesa del teismo (teismo = esiste un Dio personale, spirituale, immateriale, presente dappertutto, onnipotente, sciente, perfettamente buono, fonte dell’obbligazione morale, immutabile, eterno, necessario, sacro, degno d’adorazione e di preghiera) a partire dai dati dell’esperienza o dalle verità concettuali: la ragione vuole valutare se il teismo è vero. B. Le prove dell’esistenza di Dio di tipo cosmologico hanno le seguenti caratteristiche:

- nascono dalla necessità di spiegare il mondo a partire dall’esperienza;- non sono deduttive (le premesse sono analiticamente vere e valide da fare la conclusione certa in qualsiasi mondo possibile: non c’è opzione, è semplicemente vero, p.e.: tutti gli uomini sono mortali, sono un uomo, allora sono mortale), ma induttive secondo il

principio della certezza probabile (la conclusione non è necessariamente vera, ma ha una probabilità di verità, p.e.: quasi tutti Romani sono cattolici, sono Romano, allora sono cattolico);

- sono a posteriori: le premesse sono delle sensazioni;C. Le prove dell’esistenza di Dio di tipo ontologico hanno le seguenti caratteristiche:

- partono da verità concettuali vere in ogni caso;- sono deduttive in senso pieno;- sono a priori: le premesse sono delle verità concettuali.

D. Il problema con le prove di Dio sta nelle premesse: la forza di convincere viene dalla forza delle premesse chiare ed accettabili!

2. AnassagoraA. Premesse: 1.- l’intelletto è alcunché di illimite e di autocrate e a nessuna cosa è mischiato, ma è solo, lui in se stesso; 2.- sull’intera rivoluzione l’intelletto ebbe potere sì da avviarne l’inizio; 3.- tutte le cose l’intelletto ha conosciuto, tutte ha ordinato”. B. Critica: Dio come persona possiede l’intelletto, però gli manca la volontà!

3. AnassimandroA. Premesse: 1.- ogni cosa o è principio o deriva da un principio; 2.- dell’infinito non c’è principio, ché sarebbe il suo limite; 3.- è ingenerato e incorruttibile, in quanto è un principio; 4.- esso non ha principio ma sembra essere esso principio di tutte le altre cose; 5.- esso è il divino perché è immortale e indistruttibile.B. Critica: la 4 premessa non è valida: l’infinito deve essere reale per determinare le cose, per poter causare non può essere un concetto astratto o matematico, ma un Essere reale, esistenziale. Non è chiaro per niente che l’infinito esista realmente!

4. PlatoneA. Lo scopo della prova è la confutazione dell’ateismo: l’esistenza degli dei è necessaria per sostenere l’autorità dello stato e delle leggi che non sono state inventate dai politici (relativismo delle leggi agli uomini: non c’è obbligo), ma dagli dèi.

Premesse: 1.- certe cose sono in movimento (kinesis = movimento fisico e spirituale); 2.- esistono due tipi di movimento: comunicato da un altro Motore o che muove se stesso; 3.- il movimento comunicato implica il movimento che muove se stesso: altrimenti non ci sarebbe un punto di partenza del movimento perché le cose che sono mosse da un altro implicano un motore

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anteriore (il “no” al regresso infinito che è irrazionale); 4.- soltanto qualcosa che muove se stesso potrebbe sorgere dallo stato di riposo; 5.- esiste un movimento che muove se stesso: l’anima.B. Critica: un primo motore è necessario affinché non ci sia il regresso all’infinito: questo primo movimento o è inserito nel tempo e in tal caso la prova fallisce perché implica creazione dal nulla (rifiutata dai Greci), o dovrebbe essere coeterno. L’anima è vita, in quanto si sviluppa e cambia, per cui deve essere inserita nel tempo a differenza del bene: se l’anima fosse divina, dovremmo dare un limite temporale a ciò che è eterno, il che è impossibile. Secondo Aristotele, il movimento può e deve essere eterno: l’argomento di Platone sul Primo Motore fallisce. Walsh è interessato non della prova, ma della concezione di Dio che emerge da essa. Dio è:

- statico: Bene - assoluto, trascendente, immobile, eterno, ecc.- dinamico: Anima - creatore, principio vivo di tutte le cose, ecc.

5. AristoteleA. Aristotele vuole dimostrare contro Platone che anche l’anima che muove se stessa deve avere una causa: deve essere mossa da qualcosa che si muove senza di essere mosso. Quel qualcosa deve essere una sostanza-ousia e un atto-energheia, cioè il Dio-Theos.

Bisogna capire la distinzione fra potenza e atto: l’essere può essere predicato in molti sensi perché una cosa è qualche volta potenzialmente, qualche volta attualmente. La potenza è il principio di una cosa, in una cosa, che fa la cosa capace di essere cambiata: è la fonte di movimento di una cosa. L’atto è l’espressione della realtà piena di una cosa: una cosa esiste pienamente in atto. Il cambiamento tra la potenza e l’atto: una cosa cambia non dal nulla all’essere, ma dall’essere potenziale all’essere attuale! Qualsiasi potenza deve essere preceduta dall’atto: ciò che cambia ed è l’inizio del movimento è l’atto; ciò che viene cambiato ed è mosso è la potenza. Secondo Platone anima muove altre cose quando si muove a se stessa. Aristotele lo rifiuta: la fonte del movimento muove altre cose senza muoversi se stessa; perché l’anima muovi se stessa, essa ha bisogno di un atto che muove senza essere mosso, cioè, di Dio.

Il movimento è: locale: un corpo si muove da un luogo ad un altro; qualitativo: il cambio dal caldo al freddo; quantitativo: il cambio di quantità, p.s.: la crescita o la diminuzione.B. Premesse: 1.- ogni cosa in movimento è mossa da qualcosa (il movimento è un cambiamento che è un processo di attualizzazione della potenza di una cosa che non può attualizzarsi da sola, allora deve essere mossa da un atto che deve esistere); 2.- questa stessa cosa o è in movimento oppure no (o accettiamo il regresso all’infinito, cioè l’incubo, o il Primo Motore che muove senza essere mosso); 3.- si è in movimento o è mossa da sé o è mossa da altro (la cosa mossa da sé non può essere la prima); 4.- i membri di una serie di cose, ciascuno essendo mosso da altro, devono alla fine essere in movimento soltanto in riferimento a qualcosa mossa da se stessa (fin qua Platone: non ci può essere il regresso infinito: senza il Primo Motore niente sarebbe in movimento perché i motori intermedi non causano); 5.- i membri di una serie che muovono se stessi e di cose mosse da un altro devono essere in movimento solo in riferimento ad un Motore che muove senza essere mosso (Platone non basta: lo concezione dell’automovimento è impossibile perché ci sono almeno due parti nell’anima: la parte che muove, cioè atto, e la parte che è mossa, cioè potenza; l’automovimento presuppone la composizione atto-potenza); 6.- il Primo Motore deve essere completamente immobile ed eterno perché il movimento in se stesso è continuo ed eterno (il Primo Motore è immateriale, incorporeo ed eterno; esiste fuori universo).

Altre premesse dalla Metafisica: le sostanze sono tre: fisiche (animali), materiali eterne (stelle), immateriali eterne (nous, intelletto, Dio): 1.- se tutte le sostanze sono deperibili, tutte le cose sono deperibili; 2.- il tempo e il movimento non sono deperibili; 3.- deve esserci qualche sostanza imperitura, indistruttibile, senza la quale non ci sarebbe il movimento (argomento non valido se non si è prima provata l’eternità del movimento); 4.- questa sostanza, eterna (eterna

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non vuol dire fuori dal tempo, ma perpetua) ed immateriale (la materia è principio di potenza, quindi l’atto puro è privo di materia), deve essere in atto puro. C. Il problema: perché il movimento deve essere eterno?

Prima prova esplicita di Aristotele: l’eternità del movimento dipende dall’eternità del tempo la quale è spiegata dal fatto che ogni istante è sempre preceduto da un prima e seguito da un dopo; quindi il tempo è illimitato. Critica: se fosse vero ci troveremmo di fronte ad una petizione di principio: si usa il tempo come presupposto, mentre esso è conseguenza del movimento.

Seconda prova esplicita di Aristotele: il movimento è eterno perché non può essere stato creato, né può essere distrutto; infatti l’una e l’altra cosa, a loro volta implicherebbero movimento. Critica: potremmo ipotizzare un’autodistruzione che elimini il movimento.

Argomento implicito valido nella Metafisica: la chiave è la relazione tra atto e potenza e che l’atto è sempre anteriore alla potenza: 1.- se c’era un tempo senza movimento, quindi il movimento era potenziale e abbisognava qualcosa immobile e in atto per causare il movimento; 2.- ma per aver potuto causare il movimento in un dato tempo, ci sarebbe richiesto un cambiamento di ciò che era in atto; 3.- ma la capacità di cambiare implica la potenza e l’atto immobile non possiede potenza; 4.- quindi l’atto non può cambiare per cominciare a causare in un dato tempo il movimento potenziale; 5.- quindi o il movimento è coeterno con l’atto o non può mai essere attualizzato dall’atto; 6.- ma c’è movimento; 7.- quindi il movimento è eterno.D. Natura dell’atto puro: come il Primo Motore causa il movimento?

Il Primo Motore, essendo una causa finale, muove senza essere mosso, nella misura in cui è amato o desiderato dal primo cielo. Esso ha una vita mentale: la vita di Dio è pensare; l’intelligenza di Dio pensa se stesso; il nous divino può pensare ciò che è più eccellente, esso è l’attività contemplativa che pensa se stesso. Il Dio è volto, piegato verso se stesso: non contempla il mondo ma se stesso. Alla fine però Dio è anche il bene: è fonte dell’ordine dell’universo.E. Conclusione: Dio ha due livelli della divinità: il bene trascendente e il nous immanente. Teismo: Dio buono, eterno, ma non è una persona, né il creatore dell’universo che gli è coeterno. Per Aristotele la religione non ha senso perché Dio se ne frega degli uomini e pensa a se stesso.

C’è una grande differenza tra la causa dell’universo e la ragione dell’universo:- causa - indica una relazione fisica tra A e B: fra causa ed effetto c’è una necessità fisica; risponde alla domanda “come?”;- ragione - indica una relazione logica tra A e B: fra causa ed effetto c’è una necessità

logica; risponde alla domanda “perché?”.

6. Tommaso: la 1ª via - del movimentoA. Premesse: 1.- qualcosa si muove nel mondo (è una prova dal moto, dalla fisica, dall’esperienza); 2.- qualcosa in movimento è mossa da altro perché: a)- cose in movimento non posseggono in atto il termine del movimento, ma solo in potenza, mentre chi muove, muove in quanto in atto, b)- causare il movimento significa trarre qualcosa dalla potenza all’atto, c)- qualcosa non può essere potenzialmente e attualmente rispetto alla stessa qualità e allo stesso tempo, d)- qualcosa che si trova nel processo di movimento non può muoversi da sé, me deve essere mossa da altro (l’analisi della distinzione tra atto e potenza: è certo che la potenza non può attualizzarsi da sola, ma solo da un altro); 3.- ma quest’altro è mosso da altro, ecc.; 4.- ma la serie di cose mosse da altro non può essere infinita perché se non ci sarebbe una causa prima, quindi neanche una seguente: le cause intermedie sono efficaci solo se c’è una prima causa; 5.- quindi ci deve essere una prima causa del movimento la quale non sia mossa da altro e tutti riconoscono che è Dio.B. Critica: Tommaso conclude che Dio è immobile, che muove senza essere mosso, è immateriale. Però, è vero che non si può avere una cosa che muove da se stessa?, p.e.: l’anima senza parti che non si muove ma può muovere le altre parti? Movetur può significare o “in

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movimento” o “è mosso”. Anche la relazione tra atto e potenza non è valida: un uomo che ingrassa i buoi non deve essere se stesso grasso!C. Forse c’è l’equivoco con la parola “prima”: invece di essa ci dovrebbe essere “anteriore”, p.e.: non: “se il Primo Motore smette di muovere, nessuna cosa sarà mossa”, bensì: “se l’anteriore motore smette...”. Argomento di Newton: un corpo che non sia sottoposto all’azione di nessuna forza permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo, uniforme. Questa legge non pretende di spiegare l’origine del movimento, ma spiega il movimento attuale nello spazio, senza ricorso ad un altro motore, cioè sulla base dei corpi stessi. Argomento di Einstein: non è che i corpi abbiano una tendenza naturale di rispettare la legge di Newton. I corpi, o meglio le onde e le particelle, sono guidati per un campo dalla struttura dello spazio e del tempo che è determinata dalla distribuzione della materia nell’universo. La pretesa della prima via non è valida per Aristotele: le relazioni causa-effetto nel mondo erano asimmetriche, mentre adesso sono simmetriche e così si può spiegare la loro relazione senza ricorrere al Primo Motore: a)- la materia che dà la struttura spazio-tempo è eterna, b)- le leggi dello spazio e del tempo sono valide per l’universo a causa della volontà di Dio. Il giudizio di Suarez: l’argomento di Tommaso è importante nel provare che esiste qualcosa di immateriale nella realtà: dalle premesse materiali, la conclusione deve essere materiale.

7. Tommaso: la 2ª via - della causa efficienteA. Premesse: 1.- osserviamo nel mondo le cause efficienti (la causa efficiente non produce soltanto il cambiamento ma anche l’essere stesso: causare l’essere esige un agente, soltanto Dio che è la causa prima può creare l’essere); 2.- una cosa non può causare se stessa perché dovrebbe precedere se stessa che è impossibile (la distinzione tra atto e potenza, essere ed esistenza: questa distinzione non si trova in Dio: la prima causa non causata); 3.- una serie di cause non può essere infinita (reductio ad absurdum); 4.- ci deve essere una causa prima che tutti chiamiamo Dio.B. Critica: mentre la prima via tratta la causa efficiente del movimento in vista dell’effetto, la seconda via tratta la causa efficiente dell’essere delle cose dal punto di vista dell’agente: per Tommaso la causa efficiente della seconda prova è un agente sostanziale, un procreatore, non semplicemente un motore. Contro la seconda prova possiamo adoperare gli stessi argomenti della critica della prima via: il regresso infinito, equivoco della parola “prima”.

8. Tommaso: la 3ª via - del possibile e del necessarioA. Premesse: 1.- vediamo nel mondo cose la cui esistenza non è necessaria, ma solo possibile: vediamo lo loro generazione e corruzione; 2.- ma tutte le cose non possono essere meramente possibili: a)- se una cosa è meramente possibile, dunque un tempo non esisteva, b)- se tutte le cose possono non esistere, dunque in un dato momento nulla ci fu nella realtà, c)- ma se in un dato momento non ci fu niente anche ora non esisterebbe niente, d)- ma questo contraddice l’esperienza, e)- e quindi tutte le cose non possono essere meramente possibili: bisogna che ci sia qualcosa di necessario; 3.- un essere necessario ha la causa della sua necessità in altro o in sé; 4.- la serie delle cose necessarie che hanno la causa della loro necessità in altro non può essere infinita; 5.- quindi deve esistere un essere che sia di per sé necessario e sia causa di necessità per gli altri.B. Critica: Tommaso considera la sua prova fisica e non logica, in quanto usa espressamente i termini “generazione” e “corruzione” (la possibilità logica = quando la non-esistenza di una cosa è possibile o pensabile senza contraddizione; la necessità logica = quando l’esistenza di una cosa è necessaria, e la sua non-esistenza potrebbe ad una contraddizione). Le premesse non sono logiche ma fisiche: un essere necessario non subisce né la generazione né la corruzione! Come sappiamo che tutte le cose possibili corrompono, forse è pensabile un essere

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che subisce un cambiamento e non si corrompe: non sembra tanto valido che il corruttibile deve corrompersi, cioè che una natura che possiede la potenza di non esistere si corromperà: nella logica modale dover essere non segue mai a poter essere: se una cosa è, è possibile, non al contrario.

“Un tempo” può significare o prima della generazione e dopo la corruzione. Errore logico nello spostamento di qualificazione: “perché tutte le cose non esistono un tempo, esiste un tempo quando non esiste niente”; contraesempio: “perché tutte le vie conducono a qualche luogo, c’è un luogo a cui ogni via conduce!”. Non c’è qui la possibilità logica, bensì fisica. Aliquando significa un momento nel tempo dopo creazione: non può significare un tempo prima della creazione perché renderebbe la prova superflua: implicherebbe l’idea di creazione dal nulla, cioè di un creatore e così daremmo per scontato ciò di cui vogliamo dimostrare l’esistenza (Dio).

Argomento prova che c’è qualche cosa, qualche essere necessario, ma non è necessariamente Dio che è quest’essere (lo può essere p.e.: l’universo).

9. La prova cosmologica di LeibnizA. L’esistenza di Dio esprime una necessità logica e metafisica, ma non naturale o fisica: nulla può esistere senza Dio. Le cose dipendono dalle idee, le idee dipendono dall’idea di Dio che è ultima e basilare. Il principio della metafisica di Leibniz è la teoria delle monadi: la monade è una sostanza semplice che costituisce i corpi, indivisibile, impartibile, l’atomo di natura, impossibile e dissolvere, non deperibile naturalmente, non formata attraverso la composizione atto-potenza. L’esistenza delle monadi esclude l’esistenza di un principio che le crea: esse non vengono create né annientate! La monade non ha l’inizio né la fine.

La realtà è costituita dall’infinità delle monadi tra le quali non c’è un’influenza reciproca: alla gerarchia delle monadi sta Dio che prestabilisce l’armonia tra di esse (l’universo è caratterizzato dalla pienezza, dalla continuità e dalla gradazione lineare). Le monadi entrano nell’esistenza come scintille divine: in quest’ottica nasce il principio di ragion sufficiente che vuole mostrare l’intelligibilità della realtà. Per questo la prova di Leibniz non è di tipo fisico né logico, bensì metafisico: le prime domande sono: “perché esiste il mondo e non il nulla?”, “perché questo mondo, con queste leggi, e non un altro?”. B. Due principi presupposti: principio di non-contraddizione: giudichiamo falso ciò che implica contraddizione e vero ciò che è opposto o contraddittorio al falso; principio di ragion sufficiente: nulla succede senza ragione: ogni evento ha una causa, tutte le cose hanno un fine, tutte le cose hanno ragione della loro intelligibilità (perché bolle l’acqua? perché voglio il tè - causa finale, e perché c’è fuoco - causa sufficiente). Leibniz comincia da filosofo ma finisce da teologo: niente succede senza ragione (filosofia, fisica), la ragione è divina (teologia, metafisica). Secondo Kant il principio di Leibniz non ci dice niente della realtà: trascendente è la realtà in sé al di là della conoscenza umana; trascendentale è ciò che costituisce in noi i presupposti della possibilità di conoscenza, ma non ci dicono niente della cosa in sé. Per Leibniz però, l’esistenza del mondo deve avere una base razionale: la ragione sufficiente deve essere un Dio assolutamente necessario metafisicamente e non logicamente. Le domande “perché il mondo esiste anziché nulla?”, “perché il mondo essendo così esiste anziché altrimenti” cercano la ragione del mondo, non la causa efficiente. Se l’universo è razionale, e nostra ragione può cogliere questa razionalità, ci deve essere un fondamento ultimo dell’universo. La pretesa di Leibniz è che la realtà e la mente sono razionali: per dimostrare questa razionalità necessitiamo la prova metafisica, non logica.C. Premesse: 1.- qualcosa esiste; 2.- ci deve essere una ragione perché qualcosa esista anziché nulla; 3.- questa ragione sufficiente non può essere trovata né nella singola cosa del mondo né nell’aggregato delle cose né nella causa efficiente delle cose: a)- perché le cose del mondo sono contingenti, b)- il mondo è semplicemente la conglomerazione di tali cose contingenti,

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e quindi è contingente esso stesso, c)- le cause efficienti sono soltanto gli stati precedenti delle cose e pertanto non spiegano perché ci sono quegli stati, cioè quel mondo; 4.- quindi ci deve essere fuori del mondo una ragione sufficiente per l’esistenza del mondo; 5.- questa ragione deve essere un essere metafisicamente necessario, un essere la cui ragione sufficiente si trova in esso (Dio). D. Com’è che Dio è la ragione sufficiente del mondo? L’argomento metafisico di Leibniz, e la sua conclusione che arriva ad affermare l’esistenza di Dio non come causa ma come ragione, è più forte delle prove fisiche di Aristotele e di Tommaso. Il mondo consiste in un insieme di esseri compossibili: ci deve essere una ragione sufficiente perché questo mondo di compossibili esista: la compossibilità è la prima scelta di Dio: quale mondo creare? Per creare, Dio consente che alcuni mondi esistano e altri no! E’ il caso che anche Dio ha bisogno di una ragione sufficiente per scegliere un mondo possibile per crearlo! Questa ragion sufficiente non è la volontà di Dio ma la sua bontà: il principio del migliore. Dio ha agito nella migliore maniera possibile: il contrario riduce e nega la bontà e la bellezza del mondo (siamo vicini ai Greci che cercavano il principio dell’ordine nel cosmo). La metafisica valutativa di Leibniz: dalla fisica si passa alla metafisica attraverso il valore: il valore del mondo è la ragione per cui ciò che esiste nel mondo, esiste. Com’è Dio di Leibniz: necessariamente intelligente, nous, che sa scegliere il mondo migliore attraverso la sua saggezza: tutti i mondi possibili esistono nella mente divina; è sufficiente un solo Dio come la ragione del mondo: esso costituisce l’unità del mondo.E. Critica: perché l’universo deve avere un perché?, perché non possiamo fermarci con l’universo come un atto nudo e crudo: l’universo semplicemente esiste. Chi garantisce che Dio abbia in sé la sua ragione, e non debba invece trovarla in qualcosa di esterno a Lui?, è forse il bene la ragion sufficiente per Dio?, come allora può esserci un essere necessario che contiene la sua ragione sufficiente? (Kant chiama la prova leibniziana “un’illusione trascendentale”, in quanto l’essere necessario cui arriva la prova cosmologica deve essere presupposto mediante la prova ontologica (ens realissimum = dall’idea di Dio se ne ricava la sua esistenza reale).

E’ un errore nel dedurre la contingenza dell’intero mondo da quella dei singoli esseri contingenti, e allora l’esistenza dell’essere necessario non è logicamente necessaria ed esso potrebbe non esistere (per Anselmo però non è possibile pensare la non-esistenza di Dio). L’idea della ragion sufficiente nel mondo può essere a posteriori o apriori: per Kant però, le idee di Dio e di mondo dono semplici idee trascendentali che non ci dicono nulla né di Dio in sé, né del mondo in sé, e quindi non è possibile affermare l’esistenza su argomenti a posteriori.

L’intuizione che porta Leibniz ad affermare che l’universo debba avere una ragione sufficiente è che la vita umana deve avere un senso: tale intuizione però esprime una concezione del mondo “pre-filosofica”, la quale non toglie la possibilità di pensare che l’universo si autogiustifichi. Infatti, la conclusione valida di Tommaso è che l’esistenza del mondo richiede qualcosa di permanente perché qualcosa duri nel tempo. Tommaso lo interpreta come Dio, cioè come sostanza la cui esistenza implica l’essenza, e questo passaggio è sbagliato perché si deve concludere che l’universo abbia derivato la sua esistenza dal nulla. Invece si può pensare l’universo come un organismo che sa organizzarsi da sé.

Due critiche a Leibniz: sullo stato del principio di ragion sufficiente e sulla natura dell’Essere necessario che è un essere sufficiente in sé, senza la relazione metafisica con altro. Se manca il principio primo allora perché esistiamo? Ponty dice che se la premessa di Leibniz è la contingenza, non diventa la ricerca della ragion sufficiente della contingenza, diventa una contraddizione, perché la conclusione annulla le premesse.

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III. L’ARGOMENTO DELLA PROVA ONTOLOGICA E LA SUA CRITICA

1. La prova dalla verità di AgostinoA. Presupposti e metodo: Dio è più accessibile nell’esperienza interiore, senza ricorrere al mondo empirico: nell’anima s’incontra la memoria di Dio. La ricerca di Dio consiste in un movimento verticale, contrapposto a quello orizzonatale che è verso il mondo. Intus est ego foris: Dio abita dentro di uomo, uomo che cerca se stesso fuori di sé non si trova, né trova Dio. B. Tillich e due modi di avvicinarsi a Dio: cosmologico: l’uomo scopre uno sconosciuto quando incontra Dio, l’incontro è accidentale perché l’uomo e Dio non si appartengono essenzialemente: non c’è nessuna certezza di ciò che si incotra in questo modo, ci sono delle affermazioni probabili; ontologico: l’uomo scopre se stesso quando scopre Dio, scopre qualcosa come lui ma che lo trascende e da cui può essere allienato; il metodo invece serve per superare l’alienazione dell’uomo dal proprio essere. Il metodo cosmologico senza quello ontologico, conduce ad una separazione distruttiva tra filosofica (Dio della filosofia è l’essere puro, Primo Motore, ens realissimum, ecc.) e religione (Dio della religione è personale e misterioso): il primo cerca l’idea di Dio, cioè afferma soltanto la sua esistenza, il secondo cerca il nome di Dio, cioè conosce Dio come persona. Quale è la natura di relazione fra Dio e essere?, come si può unire Dio e l’essere dopo la separazione fra nome e idea?, come si dice e che significa “Deus est”? Per Tillich l’approccio ontologico comincia con Agostino, secondo cui Dio è verità e questo è il presupposto di ogni interrogazione o ricerca di Dio nascosto ma presente. Agostino si ispirava della reminiscenza dell’anima da Platone: c’è una vita anteriore, una pre-esistenza dell’anima che contemplava le forme eterne della realtà (Menone rispondeva alle domande di geometria come se le già sapesse). Secondo Agostino, Platone ha torto, perché l’anima non può trovare la verità da sé, bensì deve essere illuminata da Cristo. La verità è presente nell’anima, perché Cristo è presente nell’anima: in questo senso imparare e pensare vogliono dire ricordare.C. L’anima si perde cercandosi fuori di sé: lì non può trovare la felicità. La felicità è qualcoa che tutti desiderano, essa è legata concetto la verità. Per poter cercare questa verità dobbiamo averla conosciuta, quindi bisogna usare la memoria del presente che sta nell’anima. Possiamo trovare Dio in sé se entriamo in profondo di noi. Il nostro compito non è tanto di provare l’esistenza di Dio, ma di trovarlo! La ricerca presuppone la realtà, la presenza della cosa cercata. Secondo Tillich, Dio si fa presente come una verità incondizionata (Bonaventura, sec. XIII: Dio è presente nell’anima stessa ed immediatamente conoscibile). L’esistenza di Dio diventa una certezza: Deus est, Deus est esse (la Bibbia cessa di essere una contemplazione e diviene una raccolta delle proposizione vere). Il punto di partenza dell’approccio ontologico è la coscienza umana: l’autotrascendenza è l’apertura della mente al fondamento ultimo di se stessa. Per Agostino si può conoscere non soltanto la verità soggettiva, ma anche la verità oggettiva, reale in sé: prima si conosce o invoca Dio? Concetto di mediazione: si comincia con la lode di Dio, invocando la sua persona, si conosce Dio poco a poco. Il punti di partenza dunque, è l’esistenza dell’anima, cioè della soggettività relativa all sua fonte - Dio. Per Tommaso l’anima è meno conosciuta che il corpo; per Agostino al rovescio: la pretesa di conoscere Dio deve passare per l’anima nella quale sta la nostra capacità di dare i giudizi veri. E’ Dio stesso che ci aiuta a conoscere la verità unica, secondo i desideri degli uomini che lo cercano: credo ut intelligam, intelligo ut credam.

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D. La fede guida la ragione verso la verità: posso sapere che esisto (contro lo scetticismo). Bisogna trascendere la ragione per raggiungere ciò che si trova al di là dell’uomo, questo però non significa la scoperta di Dio: Dio non è ciò a cui la mia ragione sia inferiore; ma è ciò a cui niente sia superiore. La verità, a sua volta, è ontologicamente primaria e ha tre caratteristiche: necessità, immutabilità, eternità. La ragione degli uomini deve avere le regole della verità, della sapienza e della morale: non si tratta dei giudizi soggettivi: c’è una verità oggettiva e universale!E. L’argomento: 1.- la ragione scopre delle verità (necessarie, immutabili ed eterne) di cui non sa dare una spiegazione: tali verità sono matematiche e logiche (la verità è superiore di tutte le menti: essa trascende la mente ed è più eccellente di essa); 2.- le caratteristiche di queste verità sono presenti anche nei giudizi morali (per fare un giudizio impieghiamo le norme di verità superiore alla nostra mente); 3.- i caratteri di necessita, eternità e immutabilità delle verità provano due cose: a)- non possono venire dal mondo sensibile, b)- non sono un’invenzione dell’uomo che è temporale, contingente e mutevole; 4.- l’uomo non crea le verità, ma le trova: la ragione deve sottomettersi a esse; 5.- la trascendenza delle verità rispetto alla ragione postula la necessità di una luce che le illumini: Cristo, cioè Dio trovato come Verità eterna, immutabile e necessaria.

E’ chiaro per Agostino, che quando la mente scopre la verità, scopre l’esistenza di Dio, perché l’essere che la mente scopre deve essere immutabile, necessario ed eterno. Così la verità sarebbe Dio, il che non è vero, perché le due cose non equivalgono. Però, l’esistenza della verità prova l’esistenza di Dio che a sua volta è sostenuta dalla fede e dal ragionamento. Quando la mente vede una verità, l’anima concepisce un essere al di là, trascendente, immutabile, eterno e necessario. In questo senso c’è la differenza tra la verità logica che viene raggiunta dalla nostra ragione, e la verità ontologica che è il Dio stesso, la luce che ci illumina e che si trova al di là della nostra mente (la possiamo raggiungere trascendendo la mente): Dio appare la causa dell’esistenza delle verità conoscibili dalla ragione finita. F. Critica: la prova ontologica cerca di conciliare la ragione con la fede, l’esperienza con la speculazione, l’idea di Dio con il nome di Dio. Agostino vuole intensificare la fede attraverso la ragione che la spiega: la comprensione filosofica nutre la fede. Il punto debole è il passaggio non dimostrato dalle verità alla Verità-Dio. Infatti, per l’uomo moderno l’argomento di Aristotele non trova il terreno fertile: il razionalismo e lo psicologismo introdotti da Kant a Freud affermano che la soggettività umana costituisce la realtà; l’approccio mistico, invece, postula che la soggettività umana riflette la realtà del trascendente. Agostino trova il Dio di Gesù Cristo!

2. La prova ontologica di AnselmoA. Come Agostino, Anselmo pensa che Dio si possa trovare e provare non guardando fuori di sé (prova cosmologica), ma guardando dentro di sé (prova ontologica). A differenza però di Agostino, il quale arriva a Dio tramite la mediazione delle verità (da un lato reali, dall’altro eterne e necessarie), Anselmo sostiene che si può provare Dio solo sulla base dell’idea o concetto di Dio correttamente inteso. La fede e la ragione formano insieme la sapienza umana: normalmente la fede precede la ragione, ma la fede non può convincere nessuno se non attraverso la ragione. La ragione è indipendente dalla fede, la fede non è indipendente dalla ragione. B. Proslogion: la fede che cerca l’intelligenza. 1.- Anselmo cerca di intendere che Dio esiste come crediamo e che Dio è quello che crediamo: c’è la corrispondenza tra la natura di Dio e la nostra concezione di Dio. Dio è qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. Questo concetto dipende da idea di Dio, senza il ricorso all’esperienza reale: questa idea è logica; 2.- anche l’insipiente, che non ha nessuna esperienza di Dio, può concepire Dio come idea perché essa è logica: “quando lui ode ciò che io dico, intende ciò che sente dire, e ciò che intende è nel suo intelletto, anche se egli non intende che ciò esiste” (p.e.: quando il pittore premedita ciò che sta per fare, egli lo ha nell’intelletto, ma non intende ancora che esiste ciò che non ha ancora fatto); 3.- è

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vero però che l’essere nell’intelletto non è uguale all’essere nella realtà, infatti, se Dio esiste nel solo intelletto, si può pensarlo esistente anche nella realtà e questo allora sarebbe maggiore; 4.- ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore esiste nella realtà: deve esistere, perché se pensassi che “non esiste”, allora “esistere” sarebbe una cosa più perfetta.

Critica: dalla distinzione tra idea (esse in intellectu) ed esistenza (esse in re) segue che l’esistenza nella realtà è per Anselmo una perfezione rispetto all’esistenza meramente ideale. Secondo Walsh però, il concetto di Dio non riceve nessuna perfezione ulteriore se oltre ad essere pensato esiste anche nella realtà. Sarebbe meglio per noi e per Dio che Dio esistesse, ma per la perfezione del concetto non ha nessuna importanza. Walsh segue la critica di Kant a Anselmo: “l’esistenza non è un predicato reale, non è un concetto di qualcosa, l’essere vuol dire il porre di una cosa come esistente in sé”; invece Anselmo pensa che l’esistenza sia un predicato reale della cosa. Walsh: è un errore perché si confonde il piano logico con quello ontologico: il concetto resta uguale sia quando il soggetto c’è, sia quando non c’è! L’esistere non è un predicato reale, come p.e.: ringhiare (esempio dei tigri). L’esistere non appartiene al soggetto, ma gli viene da fuori. Kant: non si può redurre l’esistenza da un concetto perché l’esistere non è un predicato!

La definizione di Dio data da Anselmo è analitica; affermare l’esistenza di Dio però, è un giudizio sintetico, escluso dall’esperienza. Anche Tommaso dice “Dio esiste”, e la sua affermazione è di per sé nota, cioè evidente. La proposizione però è nota di per sé, ma non per noi!, intendiamo i termini soltanto verbalmente: Dio è il suo essere, ma noi ignoriamo l’essenza di Dio. Dunque, la proposizione rimane un concetto e non una esperienza. Qui dobbiamo affrontare due tipi di conoscenza di Dio: razionale: concetto, idea di Dio; esistenziale: presenza, esperienza di Dio in cui possiamo partecipare, conoscere e amare.

Alla difesa di Anselmo si può dire che forse la sua affermazione non era intesa come analitica, ma come premessa di un argomento nel contesto di una preghiera per convincere l’insipiente. Se la proposizione fosse stata solo analitica non avrebbe avuto bisogno di un argomento dimostrativo: sembra che l’argomento dipenda da una premessa esistenziale, il risultato di un’esperienza di Dio, quindi non puramente concettuale.C. Argomento: 1.- se ciò di cui non può pensarsi una cosa maggiore esiste, quindi non potrebbe non esistere, sia nella realtà, sia nel pensiero: Dio è un essere necessario e non contingente: se esiste, esiste necessariamente; se fosse contingente, non sarebbe maggiore; 2.- tutto ciò che può essere pensato esistente e non esiste, potrebbe non essere sia nella realtà, sia nel pensiero; 3.- perciò se può solo essere pensato il concetto di Dio; 4.- l’esistenza di Dio non è contingente, quindi o esiste Dio necessariamente, o la sua esistenza è logicamente impossibile. Ma la sua esistenza non è impossibile perché si può pensarlo: allora Dio esiste necessariamente.

Per Walsh questo argomento è un sillogismo disgiuntivo: 1.- Dio non è contingente; 2.- se non è contingente, allora o è necessario o impossibile logicamente; 3.- Dio non è logicamente impossibile; 4.- allora Dio è logicamente necessario. Per Walsh la forma è valida, l’unico problema è la confusione tra la necessità ontologica e quella logica. La necessità ontologica viene dalla realtà: Dio è in realtà eterno, illimitato, trascendente, un essere che non può non esistere. La necessità logica viene dal concetto e dai termini: ne deriviamo una proposizione analitica “se Dio esiste, esiste eternamente e a sé”, non ne deriva che “Dio esiste in realtà”. Kant: dire “se Dio esiste, esiste necessariamente” è un controsenso, perché potrebbe anche non esistere. D. Conclusione: Proslogion è la fede che cerca l’intelletto: la ragione rappresenta un aiuto per arrivare a contemplare il volto di Dio, ed a capire ciò che si crede. Però Dio non si può trovare solo con la ragione: è necessario il concorso delle emozioni, della preghiera e della volontà. Dopo la

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caduta di Adamo, c’è una asimmetria tra l’uomo che cerca Dio e Dio che è cercato: siamo incapaci di raggiungere il volto del Signore. Come si può arrivare a Dio senza averlo visto? C’è la differenza tra ciò che si intende di Dio: idea, e ciò che Dio è: nome. Alloqium tra Dio e l’anima: l’anima si sforza e cerca Dio, Dio si fa scoprire e si rivela; nella preghiera domandiamo Dio e aspettiamo la risposta. Questa collaborazione tra Dio e l’anima fa della filosofia una specie di preghiera. 3. La prova ontologica di CartesioA. Il metodo è difficile: quando il pensiero vuole cominciare da se stesso, il dubitare sistematico che può dubitare tutto tranne se stesso, come si raggiunge la realtà al di là di questo dubbio? Da dove viene l’idea di Dio? Io sono una cosa che pensa, res cogitans; come e perché questa cosa pensa Dio? L’idea di Dio: sommo, eterno, infinito, onnisciente, onnipotente e creatore di tutte le cose che sono fuori di lui; da dove viene? Cartesio segue l’ordine della ragione di dubitare: l’idea di Dio non sorge da sola, ma viene dai nomi che sono le esperienze teologiche. Per la prima volta, dalla Teologia (nomi) si passa alla Metafisica (l’io che pensa i nomi). Il cogito: il pensiero assoluto: trattare i nomi di Dio secondo la ragione!B. I problemi del tempo: il nome singolo di Dio si riferisce ad un aspetto di Dio, alla sua essenza o ad una manifestazione di Dio?; i nomi sono contraddittori tra loro (Dio giusto non vuol dire Dio misericordioso)? L’audacia di Cartesio domanda quale nome può dare la metafisica del cogito a Dio? Cartesio separa il discorso metafisico dalle sue radici religiose e teologiche!C. Prima meditazione: l’idea di un Dio onnipotente che può fare qualsiasi cosa che abbia voglia, perfino di ingannare il cogito. Paura di Cartesio: Dio può essere mascherato da un genio maligno, come l’avversario della ragione umana: “gli sarebbe facile far sì ch’io mi inganni”. Però io sono res cogitans e Dio non può negarlo: “mi inganni pure che ne abbia il potere, tuttavia non potrà mai far sì ch’io non si annulla fin quando penserà di essere qualcosa”. Cartesio vacilla: il suo Dio può fare qualsiasi cosa, però il mio cogito lo limita perché lui non può falsificarlo! Ci vuole dunque un argomento che provi l’esistenza di Dio e che lui non sia il genio maligno. Ricorso al lume naturale secondo il quale non posso dubitare ch’io esista: sono una cosa che pensa: la premessa è che le mie idee rappresentano cose che esistono fuori di me, e anche se da ciò non segue che esistano veramente, esse contengono la maggiore realtà (dal nulla non si fa niente).D. Seconda meditazione: non avrebbe potuto qualche Dio ingannevole causare i miei pensieri? O io stesso in qualche maniera non avrei potuto autoingannarmi?E. Terza meditazione: il cogito non può causare i pensieri più perfetti dello stesso cogito! Ogni idea deve avere una causa efficiente adeguata che possa fornire un contenuto all’idea stessa. Tale causa adeguata si riscontra nell’idea di perfezione che non può venire da me, che sono un essere imperfetto e finito. E’ facile concludere qui sull’esistenza di Dio basata sulla perfezione: la chiave è di trovare un’idea di cui il cogito non possa essere causa. “Con il termine Dio intendo una certa sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente, affatto potente, dalla quale da parte io stesso e dall’altra tutte le altre cose esistenti siamo stati creati. La percezione dell’infinito precede quella del finito”. “Come mi renderei conto infatti che dubito, che desidero, che mi manca qualcosa, che non sono del tutto perfetto, se non vi fosse in me l’idea di un ente più perfetto, raffrontandomi al quale riconoscere i miei difetti?” L’idea di Dio è innata in me; il suo contenuto pensato invece, viene causato dalla realtà formale e reale di Dio: io comprendo l’idea di Dio attraverso la stessa facoltà concetto la quale capisco me stesso: con la mia razionalità. Dio ci giova come uno specchio dove contempliamoci: “io” sono un “io” in relazione con un “altro” che è Dio perfetto.

Critica: se veramente l’idea di Dio fosse innata, allora sarebbe un’idea chiara e distinta, però io non so comprendere l’infinito, di cui idea che posseggo è confusa e può perfezionarsi e accrescere! L’accrescere è il segno di imperfezione, ma l’idea di Dio che ho non

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può essere in potenza da poter perfezionarsi, perché in Dio non c’è nulla di potenziale. Cartesio si difende: il dubbio non sarebbe possibile se non ci fosse un’idea della perfezione. E no! Per poter dubitare non ci vuole l’esperienza della perfezione, ma di un errore!F. Alla fine della terza meditazione Cartesio passa dall’esistenza obbiettiva dell’idea, all’esistenza reale dell’io, cioè da un argomento ontologico verso un argomento cosmologico: “non potrebbe darsi che io sono come sono, se Dio non esistesse”.

Questo argomento crolla in quanto è basato sul dualismo della res cogitans dal corpo. Il cogito diventa il modello per poter concepire Dio, non più Dio che è il modello per il cogito (totalmente opposto ad Agostino e alla prospettiva cristiana: Cartesio rompe con la tradizione dei nomi di Dio che vengono legati alla rappresentazione dei sensi). Dio diventa generato dal nostro pensiero: il pensatore è più potente da Dio! Dio onnipotente non può negare il cogito! Non c’è più la relazione “cogito” - “altro”, bensì il cogito si relaziona con se stesso! La prova di Dio non è seria: forse Cartesio l’ha fatta per placare il vescovo di Parigi (bene dixit, bene vita latuit). G. Per Walsh, Cartesio non è ateo. Per Cartesio era importante l’idea di Dio, ma non Dio stesso: lui mette l’idea di Dio in relazione con il cogito affermando che tutti e due sono una sostanza: Cartesio rompe la tradizione che sostiene che Dio non fosse una sostanza, perché “sostanza è ciò che è sotto gli accidenti”. Infatti, per Agostino, Dio non possiede gli accidenti, dunque non può essere descritto come una sostanza: e meglio dire essenza. Per Cartesio sostanza = res per sé sussistente (Dio, cogito, pietra). Dio però è una sostanza infinita, immensa, incalcolabile, incomprensibile (non è negazione del finito, né un’idea logica della mente), cioè un concetto ontologico, reale, che fa possibile l’esperienza dell’essere degli oggetti finiti che vengono dall’Infinito. Paradosso: possiamo sapere metafisicamente l’Infinito di Dio, ma non lo comprendiamo: se Dio è infinito e incomprensibile, nessun predicato può determinare la sua essenza e Dio rimane al di là di ogni predicato. Un’altra incoerenza: anche se non si può predicare su Dio, Descartes lo fa: Dio è infinito, onnipotente e sommamente perfetto. Il predicato “infinito” annulla tutti gli altri predicati: non possiamo dare nessun predicato sull’Infinito (teologia negativa: la dotta ignoranza). Sotto la maschera dell’incomprensione, la ragione ha una pretesa di poter progredire nella conoscenza di Dio: l’ignoranza ingannatrice, non dotta.

IV. L’ARGOMENTO DELLA PROVA DAI GRADI DI PERFEZIONE E LA SUA CRITICA

1. PlatoneA. Questa prova si fonda sulla esperienza della nostra vulnerabilità. Filosofare per Platone significava investigare o prendere in esame il proprio carattere e allo stesso tempo cercare di scoprire la verità. L’eros costituisce il nostro carattere umano di essere finito, vulnerabile; l’eros nasce dalla mancanza, dalla necessità di relazionarsi. I due aspetti dell’eros: il desiderio e la mancanza, ci conducono all’alto e all’altro dove si incontra il bello in sé, il bene in sé (bello = bene). B. Simposio è un discorso erotico: l’eros diventa l’oggetto della riflessione filosofica e l’oggetto della lode (ognuno che fa un discorso sull’eros deve avere qualcosa di erotico). Non c’è la possibilità di disinvoltura parlando sull’eros che determina il nostro carattere: ci vuole una conoscenza di se stesso molto profonda per poter parlare oggettivamente di ciò che siamo. Per Socrate, l’eros è molto meno di un Dio, ma comunque qualcosa degno di lode: l’eros diventa una potenza intermedia, un demone, tra gli uomini e il divino. Infatti, per Platone l’eros è sempre l’amore di una cosa o una persona; è una relazione intenzionale fra l’oggetto e il soggetto; è epitimia, cioè desiderio che nasce dalla mancanza; è bisognoso e indigente: non possiede ciò che

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desidera, non è bello né buono, ma cerca e desidera il bello e buono. Platone: “la vita filosofica è erotica in quanto la ricerca della verità e non il possesso dottrinale della verità”. L’eros è una passione che spinge l’uomo a realizzare la sua essenza, cioè cercare l’autonomia razionale per essere indipendenti. Però ciò che vogliamo per la nostra realizzazione va oltre il nostro orizzonte: qui sorge la follia erotica che rompe la nostra visione di essere autonomi e indipendenti. La passione erotica appare come qualcosa di divino che ci controlla e conduce.

C. L’iniziazione di Socrate: il presupposto negativo della filosofia che dà l’impulso per cercare la verità è il riconoscimento di allontananza dalla verità, cioè il sapere di non sapere. Diotima: l’iniziazione all’eros, all’amore, è come l’iniziazione alla filosofia che è la sapienza e la mancanza: come l’eros non è né bello né brutto, né divino né non-divino, ma è un intermedio, così la filosofia non è né bella né brutta, ma è un intermedio tra l’ignoranza e la sapienza. Infatti, Eros mitico era figlio di Poros - intelligenza e di Penia - povertà: sia l’eros che la filosofia nascono dalla povertà e dalla mancanza di sapienza, ma hanno le armi di intelligenza. L’eros è l’abbassamento degli dèi pagani: in questo senso, Socrate e Diotima sono degli atei perché servono la verità.

La concezione degli dèi da Socrate: erano felici, gioiosi e pienamente indipendenti. Dunque l’eros non può essere né un Dio né un uomo: è un grado intermedio tra la divinità e l’umanità; è un demone. Fra l’uomo e Dio c’è una frattura (dualismo di Platone): l’eros cerca l’unità dell’essere! E’ un amore demoniaco che ci spinge verso il trascendentale e resta sempre insoddisfatto. Diotima: “l’eros riempie lo spazio vuoto tra l’uomo e il divino, sicché tutto risulta connesso in se stesso”. D. L’ascesa al bello: la prova del bello divino (l’eros non è la felicità, ma ci conduce ad essa): 1.- il primo grado della scala dell’Eros è l’amore della bellezza dei corpi: bisogna passare oltre, per non rimanere schiavo della bellezza dei corpi che non sazia (il punto è contemplare il corpo bello, non il corpo bello); 2.-3.- il secondo e il terzo grado sono l’amore della bellezza delle anime, delle attività umane e delle leggi; 4.- il quarto grado è l’amore della bellezza delle conoscenze: liberazione dal bello singolo verso il vasto mare del bello; 5.- il vertice della scala dell’Eros è la visione del Bello-in-sé: qui finiscono le doglie dell’ascesa. E. Diotima nega la bellezza mondana nel divino: il Bello-in-sé è eterno, mai relativo, senza qualità, integramente bello; invece la bellezza umana è contemporanea, relativa e composta. La contemplazione del Bello è esistenziale (il concetto del bello non è qualche cosa pensata, ma è una realtà concreta), fondata sull’esperienza dell’amore: l’amato è ciò che l’amante non possiede: se fosse suo, non sarebbe amato. L’eros nasce dalla mancanza, sarebbe autosufficiente se l’amante fosse lo stesso con l’amato (oggi non c’è un vero eros: l’amante vuole possedere l’amato; la tecnologia distrugge l’eros). L’amante che non possiede l’amato, produce un’esaltazione di esso, ha un rispetto verso esso e riconosce la sua superiorità: questo costituisce la trascendenza dell’amato. La mania dell’eros è conoscere l’amato: l’eros non è orientato verso ciò che è normale e ordinario, ma cerca sempre ciò che rompe i confini del cogito, del razionale. L’eros cerca il Bello totale, non temporale; un Tutto, un Ente compiuto in sé, una Bellezza compiuta in sé. L’eros è interessato che ci sia una sostanza bella in sé, non se ne frega della bellezza di qualcosa che è il suo accidente. Il Bello si rivela nell’istante, in un battere d’occhio: il tempo svanisce, l’istante rimane (la presenza di Beatrice per Dante). Noi siamo biologici, ma dobbiamo guardare al di là (un po’ di pessimismo).

Non si tratta di dimostrare l’esistenza del Bello divino. Alla base del concetto del bello c’è l’eros, cioè una passione: se c’è la passione, allora deve esserci qualcosa che la soddisfa. La passione dimostra l’esistenza del bello al di là.

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F. Il filosofo è fortunato perché raggiunge la conoscenza del bello e rimane unito ad esso. Questo amore però, non è un amore tra due persone: il bello non è una persona. C’è qui un distacco tra la visione platonica e quella cristiana nel senso dell’amore tra le persone. Dunque si deve ammettere la differenza tra il bello e il bene: il bello si può contemplare; il bene non si può contemplare perché è al di là. G. Critica di Freud: il desiderio di eros è falso perché nasce soggettivamente (p.e.: la religione nasce da un desiderio infantile). Platone: la ragione ha fallito per comprendere il mistero dell’eros che si manifesta come una potenza sovrarazionale e ha la sua meta al di là. Oggi, purtroppo, la scienza vince l’eros che è sempre collegato con il pensiero ontologico. 2. Tommaso: la 4ª via - dai gradi che si riscontano nelle coseA. Premesse: 1.- nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado maggiore o minore, secondo che si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; 2.- vi è una qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente: ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente; 3.- ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere: il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore; 4.- vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell’essere, della bontà e di qualsiasi perfezione, e questo chiamiamo Dio.

Per Gilson, questa prova è la più perfetta. B. Critica di Walsh: non è il caso che il fuoco caldissimo causi le mie mani quando le strofino. Come si può identificare il sommo di un genere che è sempre ideale, con Dio che è reale? Ci saranno i gradi relativi del caldo, ma non il caldo in sé! Sicuramente esiste la cosa migliore nell’insieme delle cose, ma perché essa deve essere Dio?C. Vediamo il platonismo di Tommaso: come il più caldo partecipa di più alla forma pura del caldo in sé, così tutto partecipa in qualche maniera in Dio - il più perfetto di tutto, la perfezione in sé. Però, il Dio in sé non ci serve come il criterio per la nostra predicazione o per poter conoscere le cose, perché non possiamo contemplarlo! Non c’è nessun predicato, nessun valore della proposizione: “Dio è sommamente x”.

3. Tommaso: la 5ª via - dal governo delle coseA. Premesse: 1.- ci sono le cose del mondo che benché prive di coscienza e di intelligenza, operano per un fine per conseguire la perfezione: la teleologia delle cose; 2.- ciò che è privo d’intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente; 3.- vi è dunque qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest’essere chiamiamo Dio. B. Critica: come sempre la conclusione è valida: sono le premesse da essere criticate: non segue che ci sia un fine universale per tutte le cose, o che ci sia un Essere che le diriga verso un fine. Il fine è ciò per cui l’impeto dell’agente tende: tale fine potrebbe essere non risultato dell’intelletto, ma della causa meccanica, p.e.: l’acqua non intende quando congela, ma congela secondo la sua natura meccanicamente; oppure l’esistenza dell’occhio viene spiegata attraverso l’evoluzione naturale (Darwin): per spiegare un processo meccanico o una tendenza naturale, non ci vuole il concetto dell’agente che dirige le cose verso il fine. Ciò che è vero è che si può aggiungere una spiegazione teleologica alla prova: si può spiegare la pioggia sulla base meccanica, ma ciò non esclude che la pioggia sia ordinata da un Agente . Neanche la premessa tomista che “le cose da se stesse non formano un disegno, e perché un disegno c’è nella natura, allora le cose l’hanno ricevuto da un Creatore”, non è valida: la regolarità può essere il segno di un meccanismo, p.e.: il computer che non è intelligente, non sbaglia; invece l’uomo è intelligente, ma sbaglia; quindi non sempre c’è la consequenzialità mezzo-fine.

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C. Hume: la debolezza della quinta via è “il disegno” che necessita un “disegnatore”. Ma non c’è nessun disegno: c’è invece l’abitudine. Se vediamo una casa, pensiamo all’uomo che l’ha fatta; però pensare tutto l’universo come ordinato ad un fine posto da un’Intelligenza è frutto di un’applicazione analogica errata della nostra esperienza del mondo. Non si può trasferire una conclusione basata sulle parti all’insieme: Hume nega l’analogia e buona notte! Di Dio non sappiamo niente: lo scetticismo; sappiamo soltanto che Dio c’è: l’agnosticismo.

V. LA CRITICA AL CONCETTO DELLA PERSONALITA’ DI DIO

1. E’ Dio una persona?A. Abbiamo visto che per la filosofia antica Dio non è personale, è intelletto-nous, causa potenza, ragione, fine, bello, ecc. Per i Greci Dio doveva essere uno, l’arché dell’universo. Il concetto di persona prosopon, indicava per i Greci una maschera, ovvero una manifestazione velata dell’uomo nel mondo (la maschera sociale che presenta l’essenza di un uomo agli altri uomini e che non risponde alla realtà in sé). Tale concetto non ha nulla a che fare con la sostanza spirituale individuale: Dio non era una persona. Anche se c’era un filone che vedeva un Dio personale come un individuo spirituale che ha la capacità di pensare, Plotino lo negava: il più alto nella realtà, tohen, era uno che non pensa, perché il pensare può essere concepito attraverso la differenza tra il pensatore (soggetto) e il pensiero (oggetto). La cultura antica non ha distino la persona come un’individualità spirituale da ciò che era sotto (ipostasi): l’individuo era un certo “questo”.B. Per il cristianesimo, una persona può essere salvata soltanto da un’altra persona. Se la salvezza consiste in una vita nuova dopo morte in qualche maniera personale, questo sarà possibile se la realtà divina che ci salva non si una energia impersonale, ma una realtà personale: la salvezza, come l’amore, è una relazione fra due persone. Ma forse siamo noi che ci proiettiamo la salvezza: essendo noi personali, vogliamo trovarci davanti ad una persona che ci salva: se Dio non è una persona, allora non è il Dio di Gesù Cristo. Nella tradizione cristiana la persona si identifica con l’individualità, nel conteso della Trinità e della personalità di Gesù Cristo dio-uomo. Boezio: persona è una sostanza individuale di natura razionale, cioè una sostanza che pensa (Cartesio). Per cristianesimo dunque, “persona” è: una sostanza, individuale, razionale, relazionale.C. Oggi il concetto viene ripensato sulla base del concetto dell’autocoscienza: essere persona = essere cosciente di sé.

2. Locke e SpinozaA. Una persona è un essere pensante e intelligente che possiede la ragione e identità, e può considerare se stesso come se stesso nei diversi tempi e nei diversi luoghi. La persona è cosciente di essere un sé e lo stesso sé sempre (la legge d’aborto in USA si basa su questa definizione: il feto non è cosciente di sé).B. Secondo i Padri, le Persone Divine vengono intese secondo il modello delle relazioni interiori: la memoria - Padre, l’intelligenza - Figlio, la volontà - Spirito. Contro questa definizione si rivolta Spinoza: l’attributo di pensiero a Dio lo farebbe finito come noi, perché l’atto di pensare e di volere presuppongono un oggetto opposto al soggetto. Questa relazione distrugge l’identità assoluta della sostanza divina: l’oggetto determina il soggetto come pensante e volente. La sostanza divina non può avere una personalità perché è universale, indeterminata,

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aperta (pensiamo alla definizione di Dio infinito e immenso nella terza meditazione di Cartesio). Spinoza: omnis determinatio est negatio: solo questa indeterminazione del divino garantisce l’assolutezza e l’infinità della sostanza divina; purtroppo Dio diventa impensabile per noi: è privo di personalità, di vita, non si relaziona, non vuole bene, ecc. D’altra parte, la concezione di Spinoza non può spiegare la relazione fra la sostanza divina e la sua molteplicità di attributi.

3. FichteA. Fichte intende persona come una relazione tra l’io (soggetto) e non-io (oggetto). In questo senso Dio non è una persona, perché il non-io opposto all’io presuppone una preesistenza di qualcosa: l’io diventa cosciente di sé soltanto grazie al rapporto con un non-io che è prima di esso. Dunque Dio non è una relazione tra Dio e non-dio: non sarebbe né infinito né creatore se fosse concepito come persona.B. Dove si può formare il fondamento della nostra fede nell’ordine divino del mondo? Certamente non nel mondo fisico (il mondo è, perché è; è così perché è così); invece, se in tutto quello che contempliamo vediamo il riflesso della nostra attività interiore (morale), il fondamento della fede viene dal nostro concetto di un mondo sovrasensibile: un tal mondo esiste - dove? - io stesso sono sovrasensibile, io sono libero moralmente di porre un fine di me stesso, il concetto viene da me; io sono assolutamente attivo: l’ordine morale del mondo è l’identità del dovere e del potere in me (sollen = kännen). Ne segue che il concetto di personalità di Dio ha il valore di legge morale: non nel senso dell’obbligo di fare qualcosa, ma nel senso di personificazione della volontà di Dio che esce dalla libertà. L’idea di personalità di Dio è un antropomorfismo, cioè l’espressione della legge morale è il risultato di un “io voglio” il quale manifesta la libertà di agire per un fine morale. Così Dio diventa finito: Dio esprime la relazione tra “io voglio - l’oggetto posto da me”; Dio messo nella relazione “soggetto - oggetto” è sempre finito. Non si può pensare Dio sulla base dell’ordine morale, perché esso è qualcosa di posto da noi. C. Fichte fu accusato di essere ateo per la negazione di personalità di Dio: non c’è bisogno di Dio personale per garantire l’ordine morale, basta la realizzazione delle leggi morali dalla nostra parte e il bene supremo è garantito. Non ci vuole un altro Bene supremo - Dio. Questa relazione diventa l’essenza della religione: religione = morale. Il vero credente dice: “credo nella possibilità della realizzazione della legge morale”, cioè nel costante miglioramento di specie umana. Voglio fare -> posso fare -> devo fare; potere = dovere. D. Anche se per noi è una cosa naturale che Dio sia una persona, un Bene supremo, per Fichte è un assurdo: persona è un “io” in relazione con un “non-io”, cosciente di sé in quanto in relazione. L’io puro, in se stesso, senza rapporto con l’oggetto, il puro pensare, non operare la morale, che non raggiunge la realtà è un sogno di un sogno. L’essenza vera di Dio non può essere concepita: stiamo davanti all’assoluta incomprensibilità di Dio. Come mai Dio, in cui c’è la negazione di ogni relazione soggetto - oggetto, è il fondamento di ogni relazione?E. Conclusione: l’unità assoluta non può essere posta né come l’essere (oggetto) né come pensare (soggetto), perché sarebbe il risultato di un’astrazione: il soggetto senza l’oggetto non è niente e viceversa. L’assoluto resta in sé incomprensibile e chiuso: Dio viene inteso come negazione della personalità, dell’io mediato dall’oggetto; nell’unità assoluta non c’è la tensione “pensare - essere”, valida per la moralità umana.

4. FeuerbachA. E’ sempre la relazione alla base della coscienza personale. Un Dio non personale, senza relazioni, senza la possibilità di soffrire, senza intelligenza, senza volontà, senza sentimenti non è sufficiente per noi. L’essenza del cristianesimo: “soltanto un essere che comprende in sé

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l’uomo intero, può soddisfare l’intero uomo”. Perciò la coscienza dell’uomo nella sua totalità è la coscienza della Trinità. L’esistenza per noi vuol dire essere autocoscienti: se non sono autocosciente della mia esistenza, non esisto. Il mistero della Trinità manifesta la nostra coscienza: Dio deve essere autocosciente, allora deve relazionarsi. La relazione io-tu si trova nella Trinità (Padre - Figlio). La religione è la coscienza di questa relazione, poiché l’io non può essere un io nella solitudine dell’esistenza: “possiamo pensare da soli, ma possiamo amare solo con un altro. Nell’amore siamo dipendenti: l’amore è un bisogno dell’altro essere”.B. Il pensiero crea un Dio solitario, cioè autosufficiente; ma la religione (amore, sentimento) pone un altro Figlio nella solitudine di Dio: “il figlio afferra al cuore”. I dogmi della Chiesa sono i desideri del cuore: l’essenza del cristianesimo è l’essenza del sentimento umano: Dio ci ama. Però, “il sentimento è un sogno con gli occhi aperti”, la religione è un sogno della coscienza sveglia: però Cristo è un Dio conosciuto personalmente, invece un Primo Motore non può sentire misericordia, non può salvarci. C. Contraddizione tra la concezione di Dio della ragione e quella del cuore: Dio è l’essere umano, ma nondimeno deve essere sopraumano; è l’essere astratto, però deve essere concepito come personale; è un Dio universale, e nello stesso tempo personale! Feuerbach ritiene una insanabile contraddizione teologica: l’uomo deve pensare l’opposto di ciò che immagina - Dio unico, ed immaginare l’opposto di ciò che pensa - Dio trino.D. La concezione di Feuerbach è chiaramente contro Cartesio: la natura di Dio è quella della nostra immaginazione resa obiettiva, espressa, sviluppata; la concezione dell’infinità nella religione è quantitativa: Dio possiede tutto quello che possiede l’uomo in maniera infinita.

Per essere persona ci vuole la relazionalità con l’altro, una relazionalità erotica (Platone): Cristo è una persona attraverso la relazionalità con Dio, nella persona di Cristo c’è una relazionalità tra l’anima umana e il Logos divino. Nella Trinità la relazione costituisce l’essere, le personalità del Padre e del Figlio (Vittore: persona è una esistenza, cioè lo stare fuori di sé ricevuto da un altro). E. Duns Scoto intendeva persona nel senso più forte: una relazione a Dio che è unica e costitutiva dell’uomo come persona. Nell’uomo ci sono due possibilità di esistenza: racchiuso in sé contro Dio; aperto a Dio nella devozione.

5. HegelA. Dio non deve essere pensato come una persona in relazione ad un’altra persona; la definizione dell’assoluto è un’identità dell’identità con la non-identità. Appartiene al senso della persona il darsi ad un altro, cioè si inizia con una non-identità dove si trova se stesso. Dio deve essere pensato come soggetto e non come sostanza: Dio non è una sostanza fissata in sé, ma è spirito, quindi si relaziona fuori di sé verso l’altro. Il punto centrale in Hegel è l’autodonazione, darsi all’altro reciproco: il soggetto attraverso l’oggetto si scopre soggetto: S --> O --> S.B. Libertà per Hegel è autorivelazione: Dio si rivela perché in se stesso è spirito, quindi è spirito solo in quanto è spirito per l’altro: la persona è persona solo per un’altra persona. Questo vuole dire che la relazionalità personale mi costituisce come persona, esattamente come la relazionalità al Figlio costituisce il Padre come Padre. L’unità personale e reale di Dio è concepita come identità delle differenze: è Dio stesso che per farsi persona, pone il Figlio; il Padre rimane con se stesso proprio mediante la relazione con il Figlio. Per Hegel Dio è una forma eterna ed universale che cerca di distinguersi, diventare: non è immobile ed immutabile. Aristotele: “l’amico è un altro da sé”; Hegel: “la verità della personalità è ritrovata nell’immersione nell’altro”. In quest’ottica si può concepire Dio come personalità, come fondamento delle differenze del mondo finito: Dio si trova in rapporto col mondo, la relazione al Figlio e al mondo costituisce Dio come persona (non substantia spiritualis, bensì actus purus), l’uomo può

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relazionarsi con Dio che gli permette di essere persona. Personalità vuole dire l’essenza spirituale dell’uomo e costituisce la possibilità di rapporto con l’altro. In quest’ottica l’argomento teologico dei nomi divini esprime bene la personalità misteriosa di Dio: il nome vuol dire che non è una cosa, ma una relazione, non c’è un solo nome di Dio, ma più. C. Il problema di Hegel è il panteismo: l’altro di Dio è semplicemente la manifestazione di Dio, non c’è differenza fra Padre e Figlio. Tutto è autodeterminazione di Dio che ritorna in Dio come Assoluto e che quindi assorbe ed annulla tutte le diversità: è evidente che diventa allora impossibile parlare di creazione.

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VI. LA RELAZIONE FRA DIO E IL MONDO

1. IntroduzioneA. Il problema del rapporto Dio-mondo è stato affrontato sia in modo filosofico: il punto di partenza è il mondo, contingente, di cui si ricerca un principio necessario, che in modo teologico: si parte da Dio che si rivela nella sua Parola come trascendente e non può assolutamente essere dedotto a posteriori dalla ragione umana limitata. Però, secondo Walsh, sia al livello filosofico che teologico, la relazione Dio-mondo deve essere biunivoca: non si può pensare il mondo senza un Principio Primo, e neanche si può pensare Dio senza il mondo. La classica concezione teista aveva paura di limitare l’idea di Dio qualora avesse affermato la sua impensabilità senza il mondo: relazione asimmetrica: Dio -> mondo: l’esito di questo rifiuto portava all’impossibilità di poter affermare la soggettività di Dio. E’ stato Hegel di fatto ad affermare la biunivocità della relazione fra Dio e non-Dio: relazione biunivoca: Dio -> mondo, mondo -> Dio. B. Il concetto di mondo: nella concezione filosofica il mondo non è una cosa completa, è una realtà compiuta; è una costruzione, non è una cosa fissata. Mondo è una realtà che circonda l’uomo a cui l’uomo stesso può aprirsi per incontrarsi con l’insieme della realtà. Per Heidegger il mondo è la permanente possibilità di domanda sull’essere che l’uomo può e deve porre: l’uomo in quanto “esserci” trova il mondo come possibilità di manifestazione dell’essere. Il mondo è un progetto, un da fare.

2. Il monismoA. Il monismo designa una dottrina che vuole spiegare la realtà sulla base di un unico principio immanente ad essa, negando la molteplicità degli esseri indipendenti, e sottolineando la loro dipendenza dall’Uno. Due forme del monismo: tutto ciò che esiste è esemplificazione di un solo tipo di essere, la sostanza; tutti gli esseri diversi sono riconducibili all’uno assoluto: ciò che è materiale, è reale; ciò che è spirituale, è reale; né la materia, né lo spirito sono reali: il monismo tende ad eliminare uno dei termini del rapporto, p.e.: nell’opposizione Dio-mondo si elimina il mondo; nell’opposizione spirito materia si elimina la materia, ecc.B. La forza del monismo ha le radici nello spirito di ricondurre la molteplicità ad un elemento di unità e semplicità. Perché l’uomo cerca l’unità? L’essere in quanto tale è uno e questo è il principio ontologico che risulta dalla ricerca ed è il punto di partenza della metafisica. C. La controprova del monismo è la molteplicità delle persone: siamo molti, diversi e liberi. Il monismo non spiega la libertà.

3. Il panteismoA. Il panteismo è fondamentalmente la negazione di qualsiasi distinzione tra Dio e il mondo; o l’affermazione dell’unità tra Dio e il mondo: la sostanza e l’essenza di Dio è la stessa sostanza e la stessa essenza di tutte le cose. Viene annullata la libertà dell’uomo e la molteplicità delle cose. B. La tendenza pancosmistica: assorbire il Dio nel mondo; la tendenza panenteistica: tutto si trova in Dio, il mondo è una modalità della rappresentazione divina. Il panteismo ha un principio impersonale: l’essere che abbraccia tutto non può essere personale (personale è la relazione di uno con l’altro senza affogarlo).C. Esempi de panteismo: l’emanatismo di Plotino: dall’idea dell’Uno assoluto emana tutto; l’idealismo tedesco e il romanticismo tedesco: una visione dell’insieme onnicomprensiva dello spirito e del mondo. Però, il fondamento panteista non spiega la personalità né la complessità della realtà. Esso non può essere vero: nella vita dell’uomo c’è una separazione tra desiderio e fine, una tensione tra il desiderio dello spirito verso il fine, il bene e il bello.

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4. Il dualismoA. Il dualismo riduce la realtà a due principi originari, temporali, relati tra di essi. Dal dualismo radicale, con due principi radicalmente opposti, avremmo due mondi: il dualismo radicale non ci interessa; come il panteismo radicale ci fa perdere Dio. B. La questione è il problema dell’unità della realtà: come mai due principi diversi formano una realtà? Se abbiamo due pirncipi: il bene e il male, come mai adesso siamo buoni, e domani cattivi? La mescolanza dei due principi da formare un’unica realtà è la contraddizione del dualismo. Inotre, non è possibile affermare due Assoluti: c’è un Assoluto solo. C. La teoria del dualismo risponde al problema dell’alienazione dell’uomo nel mondo e dal mondo: l’uomo si pone la domanda “quale è l’origine dell’unità tra molte e diverse cose nel mondo?” Il mondo non è semplice, non è uno; un’arché sola non va bene e nasce il dualismo. Parmenide: immutabilità - movimento, infinitudine - finitezza. Platone: idee - il divenire; non c’è il dualismo dei principi ma l’opposizione degli elementi del mondo: l’origine è il bene. La filosofia cristiana è opposta al dualismo: c’è l’unico Dio creatore. Sorge la domanda: come si collega l’identità di Dio e la diversità del mondo?

5. Tre modelli per spiegare l’argomento della relazione Dio-mondo: creazionismoA. Tesi: solo l’assoluto è reale, il finito è un’ilussione.

Critica: la tesi contraddice l’esperienza reale dell’autonomia dell’infinito come relazione tra le sostanze reali. Il finito è un fatto, se fosse un’illusione, allora da dove verrebbe quest’illusione? L’assoluto è pensato come concetto derivato dal finito.B. Tesi: solo il finito è reale, l’assoluto è un’ilussione.

Critica: il finito diventa assoluto, la totalità di ciò che è. Non si pensa la realtà del finito nella propria indipendenza: l’essenza del finito non può essere autofondata, esso è solo un momento dell’assoluto, di un processo di totalità. C. Tesi: la relazione fra finito ed infinito è quella della creazione in cui tutti e due possono conservare la propria indipendenza. La tesi creazionista afferma che il rapporto Dio-mondo si risolve nel lasciare realmente distinti ed indipendenti i due termini del rapporto, pur affermando che Dio è trascendente e che il mondo è veramente indipendente solo in quanto dipende da Dio. Il creazionismo si distanzia sia da Platone: il bene mantiene l’essenza e l’esistenza del mondo; il Dio creatore è un Demiurgo che trova la materia pre-esistente che deve collaborare con la necessità pre-eistente che limita la sua creazione; sia da Aristotele: il mondo e il tempo sono eterni. Secondo la Bibbia Dio crea il mondo dal nulla e crea anche il tempo, lineare e non ciclico (progresso e regresso, novità). La possibilità delle cose nuove è la possibilità della persona in natura. Il mondo non emana dalla essenza divina, ma esce dalla sua volontà, di cui natura è agapé e non eros! Dio non ha dovuto creare il mondo per completare la sua natura: la Trinità in sé è già l’amore compiuto. Se Dio non aveva bisogno di creare, allora la teoria della reazione spiega la nostra dipendenza da Dio. Come spiegare però il Dio prima e dopo creazione? Agostino: l’eternità di Dio non è una successione temporale di momenti; forse il mondo non è stato creato nel tempo, ma col tempo; forse prima della creazione non c’era tempo!

Critica: nella stessa Trinità il Figlio è stato generato: questo noi lo intendiamo come un evento avvenuto in un tempo determinato, cosa che non si concilia con l’eternità ed immutabilità di Dio; è difficile intendere come un Dio eterno potrebbe avere relazione fuori di sé col mondo: come Dio immutabile potrebbe agire sul mondo?

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6. Relazione Dio-mondo secondo la visione di WalshA. Un Dio eterno, non temporale, potrebbe avere una relazione col mondo? Secondo Tommaso Dio rimane la causa attiva del mondo, costante dell’essere del mondo, non solo al primo atto della creazione. Kant: non è possibile osservare il mondo nella sua totalità, osserviamo invece degli stati delle cose instabili: c’è una differenza tra l’instabilità degli stati e l’instabilità dell’essere. Ma l’essere stesso è instabile? La risposta dipende dal concetto dell’essere che abbiamo (Mück: qualsiasi domanda e risposta su Dio richiede qualche contesto nel quale viene posta). C’è una relazione tra Dio e l’essere nella realtà: essa è assolutamente unica (sui generis relatio). Su quale argomento fondiamo la relazione di Dio col mondo? L’essere e storico (Heidegger), si sviluppa (Jonas); non concepiamo però come Dio influisce al mondo (sia per crearlo, sia per sostenerlo). Come possibile che lo stesso Dio sta trascendente e immanente nello stesso tempo?B. La soluzione: il mondo creato è voluto da Dio. Il discorso sul rapporto Dio-mondo è basato sulla soggettività divina: nella Bibbia la creazione è concepita come un atto personale di Dio a favore di un’altra persona, esso non è un atto solitario, ma interpersonale (bara = creare; bara vuol dire una relazione: il mondo esiste per l’uomo; bara è un atto spontaneo, libero, che costituisce l’altro come altro). La creazione non è una produzione delle cose. La creatura è un risultato dell’amore personale che chiama dal nulla. Dio è benevolo: vuole fare il bene all’altro; allora Dio non è simmetrico: tutto comincia con Dio, c’è un atto di bene-volenza. Questo implica la distinzione tra Dio e il bene: in Platone c’è la separazione del Bene dal Bello; in Leibniz c’è la separazione tra ragion sufficiente e causa meccanica; in Jonas il bene è quasi trascendente all’essere: Dio si fa impotente volendo il bene dell’altro, il bene che vuole Dio è quasi un suo compito (gabe = dono, aufgabe = compito). Se Dio vuole il mondo, l’ha voluto da sempre e secondo la sua essenza, perché c’è unità tra volontà ed essere. Inoltre, Dio pone il bene fuori di sé perché noi lo realizziamo.C. Affermiamo dunque la libertà intrinseca di Dio davanti alla creazione, di fronte all’essere e al non essere del mondo. Questa libertà concretamente intesa significa la libera autodeterminazione di porre l’atto di libertà cui conseguenza è l’essere del mondo. Questo implica la coeternità del mondo. Dio vuole eternamente, liberamente il mondo; Dio non diviene diverso in se stesso attraverso la creazione; Dio si può incarnare - lui è la donazione dall’eterno, la sua essenza è donarsi: grazia vuol dire intersoggettività o reciprocità, mutualità, comunione. Creazione, grazia sono atti d’amore che implicano il partnership: Dio offre -> uomo risponde -> Dio reagisce. Possiamo mantenere così l’immutabilità divina anche quando Dio si relaziona col mondo. Tommaso: Deus amat nos tam quam aliquid sui. Nella creazione Dio diviene altro in altro, ma rimane se stesso in se stesso.

VII. IL PROBLEMA DEL MALE E LA SOFFERENZA: TEODICEA E IL BENE

1. Introduzione: il male assoluto: la sofferenza degli innocentiA. L’esistenza del male ci fa pensare che Dio non esiste o non è buono (Epicuro, Sartre, Hume); e almeno, ci fa cambiare la nostra concezione di Dio (Jonas): il dualismo è inevitabile: il bene e il male sono dei poteri divini in continuo combattimento reciproco (manicheismo).B. Per Platone Dio non è né principio né causa del male: il male proviene sia dalla materia che dall’uomo: il male non è reale, è un’apparenza. Per Plotino il male è l’alienazione crescente delle cose dalla loro origine. Per il cristianesimo il male non è metafisico, bensì storico, fondato sulla libertà umana e Dio lo permette. Agostino: le cose che sono, sono buone, il male

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non è una sostanza, non è un essere, il male è contronatura, perché tutta la natura è bene e il male è tendenza al non-essere, al nulla, è privatio bonum. Tommaso: si malum est, Deus est.C. Il male diviene visibile solo in rapporto al bene. Il male, privazione del bene, serve per conoscere il bene. Perché pensiamo che il male sia cattivo: si può farlo soltanto sulla base dei valori, dove si trova il Bene; il male è la libertà, la possibilità di farlo ci concede un’esperienza più profonda della realtà del bene (felix culpa). D. Leibniz: Dio deve scegliere il miglior mondo possibile secondo il criterio del bene. Il bene si trova al di là del Nous e dell’essere (Platone): la scelta di Dio viene determinata dall’esistenza del bene. L’ottimismo di Leibniz è vicino al determinismo e al pessimismo: se questo mondo è il migliore, non c’è niente più da fare perché non c’è la vita eterna (questo mondo è migliore? sic!). In Leibniz (anche Cartesio, Spinoza, Fichte, Hegel) non si prende sul serio la negatività reale del male, il quale diventa un momento del progredire. Lasciamo perdere il male al livello del pensiero: quando si incontra il male al livello esistenziale (la sofferenza senza senso), la risposta che i male sia un momento transitorio ci sembra sia perversa sia sterile, e ci concede alla resignazione del pessimismo. D’altra parte c’è l’esigenza di un amore che discolpa attraverso la propria sofferenza: lo spirito deve sforzarsi per realizzare il bene.

Il male non dovrebbe esserci, il bene dovrebbe esserci.E. Schema classico del dilemma del male nel teismo: come il male può essere compatibile con Dio? Se Dio è responsabile di tutto ciò che succede (teismo), deve essere anche la causa del male! Non accettiamo la affermazione della teologia che la volontà di Dio è imperscrutabile, perché così Dio diventerebbe per noi irrazionale. Invece, la ricerca di Dio presuppone l’intelligibilità del mondo, cioè che la mente umana possa capire le ragioni delle cose. Dunque, se il male non si può definire se non in modo negativo come privazione di bene o tendenza al nulla, diventa prioritario partire dalla domanda più difficile della filosofia (secondo Walsh ovviamente): cos’è il bene in sé, cos’è il male in sé, perché il male è cattivo e il bene è buono?

2. JonasA. Il saggio di Jonas non pretende di essere la spiegazione del male, ma una teologia speculativa: la ragione non è in grado di conoscere Dio se non attraverso l’esperienza del mondo e del male; l’impostazione di Jonas è hegeliana: pensare un concetto col rigore significa la connessione di esso con gli altri concetti. Dunque, non si può pensare a Dio senza pensare ad Auschwitz: non basta spiegare quella tragedia dicendo che è una specie di castigo di Dio, dovuto alla violazione dell’alleanza o a qualche peccato; non basta neanche dire che Dio l’ha permesso perché ciò sarebbe incompatibile con l’idea del Dio di Israele, Signore della storia. E’ necessario allora lasciarsi sconvolgere, ripensare Dio secondo le categorie dell’impensabile. Si tratta di pensare il nome di Dio (l’esperienza) attraverso concetti nuovi, per giungere, forse, ad una nuova idea di Dio. Allora, davanti allo scandalo di sofferenza, la concezione di Dio della storia fallisce (secondo Walsh, non secondo me). Dio viene smascherato: abbiamo bisogno del mito per farci pensare il trascendente impensabile - torniamo a Platone. B. Jonas afferma: “in principio il fondamento divino dell’essere decise di rimettersi al rischio della molteplicità infinita del divenire” (ci fa ricordare: “in principio Dio creò il cielo e la terra”, oppure “in principio era il Verbo”). Il “principio” è dunque ciò che dà inizio all’essere, esso è la negazione: dà e poi si ritira, si nega per dare inizio all’altro, come la marea che si trattiene con un atto di rispetto verso la spiaggia, affinché la spiaggia possa esistere (la marea lascia la sua impronta sulla spiaggia). Per Jonas questo vuol dire che Dio non tenne nulla per sé: affinché il mondo fosse, e fosse per se stesso, Dio deve aver rinunciato al proprio essere, deve essersi spogliato della propria libertà (ci fa ricordare: “Dio spogliato della propria divinità”). Dio

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si autonega separandosi dal bene e si coinvolge nell’avventura del mondo da lui creato: il Dio assoluto, creando, diventa non assoluto e si immanentizza nel mondo. C. Essendosi Dio separato dal bene autonegandosi per creare l’uomo libero, il bene che si trova a questo punto al di là dell’essere stesso di Dio, diviene compito della libertà dell’uomo e senso della sua vita, ed al tempo stesso di Dio la riconciliazione di sé concetto se stesso.

Come conseguenze abbiamo: il Dio sofferente che deve autonegarsi nel momento della creazione; il Dio al divenire perché in quanto coinvolto con l’uomo nel tempo, non possiede un’essenza eterna: l’amore fa spogliare Dio di se stesso; Dio non è onnipotente, soffre e si prende cura del mondo in quanto coinvolto con esso: Dio deve collaborare con l’uomo al superamento della lacuna tra mondo e bene. D. Da tre attributi di Dio pensabili contemporaneamente Jonas toglie uno: che togliamo? La Bontà assoluta, l’Onnipotenza, o la Comprensibilità assoluta di Dio? Non si può dire che Dio sia incomprensibile: tale concetto contraddice la possibilità stessa della Rivelazione. Dopo Auschwitz dunque, dobbiamo annullare l’onnipotenza: se Dio onnipotente ha permesso Auschwitz, non potrebbe essere buono. Ma siccome Dio è buono e l’ha dimostrato già attraverso l’autonegazione, Dio non è onnipotente! Dio non è intervenuto ad Auschwitz non perché non voleva farlo, ma perché non poteva farlo! Allora chi è responsabile per il male? Esso viene dal nulla: se Dio, autonegandosi nella creazione, ha creato l’uomo libero ed ha rinunciato alla sua assolutezza, il male si comprende come condizione della libertà. E’ il rischio del nulla che Dio ha corso autonegandosi per amore dell’uomo: quando Dio si contrae, ciò che rimane al suo posto è il nulla, da cui deriva il male come condizione di possibilità della libertà. Questo concetto di Dio che lascia l’uomo libero per l’amore è l’unico pensabile per Walsh.

3. PlatoneA. Cos’è il bene? Il bene apre al reale, lo illumina. Il reale è l’oggetto autentico dell’eros: la passione dell’eros vuole il reale. Questo è il bene: condurci alla realtà. Quando l’eros raggiunge il reale, questo è la prova del bene: non vogliamo una consolazione falsa, un’idea di Dio falsa: vogliamo un Dio vero! Funzione critica della filosofia è distruggere idee false su Dio. B. Repubblica: la nostra relazione al Bene è soprattutto di conoscenza, cioè quando siamo in relazione col Bene conosciamo qualcosa. Il Bene è quindi il valore più altro, ma non un’idea chiara e distinta: non c’è una definizione precisa del bene. C’è però una relazione importante fra il Bene ed le cose buone: parliamo delle cose buone, come se conoscessimo il Bene che non possiamo spiegare! Socrate non parla direttamente del Bene, ma dei suoi frutti, cioè degli oggetti belli e buoni, i quali possiamo riconoscere attraverso l’idea del Bene formale. L’idea del Bene è formale, non ha contenuto: il Bene in sé è autocoscienza di sé. Pur non essendo il Bene l’essere, esso causa l’essere degli oggetti buoni.C. Critica del relativismo: una cosa è buona quando io la dico così.

4. NietzscheA. Critica di Schopenhauer a Leibniz: il nostro mondo è il peggiore dei mondi possibili, è guidato da una volontà cieca, che vuole qualcosa, ma non importa che. L’unica salvezza o fuga è il rifiuto o la negazione della volontà, cioè dell’eros che ci spinge verso l’oggetto, verso l’amato.B. Nietzsche: la negazione della volontà non esiste: l’essenza dell’uomo è la volontà, invece la resignazione è l’atteggiamento degli schiavi. La vita è il volere: bisogna creare i nuovi valori attraverso l’io voglio. Nichilismo è quell’ovvio contro umano stesso, l’aborrimento dei sensi, la paura della bellezza, il fuggire dalla volontà. Il “no” alla vita è una porcheria dei deboli, e che viene dalla paura di trovare il vuoto nell’eros: la tortura è la mancanza della volontà, dell’eros.

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C. L’unica prova di Dio è la sovranità del Bene su di noi: esiste il bene (Madonna e Lourdes). Il bene di un altro è più grande del mio bene: non c’è né piacere né felicità se il bene non raggiunge il suo fine.

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