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Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali (www.storiaglocale.it) Direttore: Gino Massullo ([email protected]) Comitato di redazione: Rossella Andreassi, Antonio Brusa, Oliviero Casacchia, Renato Cavallaro, Raffaele Colapietra, Gabriella Corona, Massimiliano Crisci, Marco De Nicolò, Norberto Lombardi, Sebastiano Martelli, Massimiliano Marzillo, Gino Massullo, Giorgio Palmieri, Roberto Parisi, Rossano Pazzagli, Edilio Petrocelli, Antonio Ruggieri, Saverio Russo, Ilaria Zilli Segreteria di redazione: Marinangela Bellomo, Maddalena Chimisso, Michele Colitti, Antonello Nardelli, Bice Tanno Direttore responsabile: Antonio Ruggieri Progetto grafico e impaginazione: Silvano Geremia Questa rivista è andata in stampa grazie al contributo di:

Provincia di Campobasso

MoliseUnioncamere

Unioncamere Molise Redazione e amministrazione: c/o Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Campobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Abbonamento annuo (due numeri): € 25,00. Per abbonamenti internazionali: paesi comunitari, due numeri, € 37,00; paesi extracomunitari, due numeri, € 43,00. I ver-samenti in conto corrente postale devono essere effettuati sul ccp n. 25507179 inte-stato a Ass. Il Bene Comune, Campobasso Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore fornisce la massima riservatezza nel trattamento dei dati forniti agli abbonati. Ai sensi degli artt. 7, 8, 9, D. lgs. 196/2003 gli interessati possono in ogni momento esercitare i loro diritti rivolgendosi a: Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Cam-pobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Il garante per il trattamento dei dati stessi ad uso redazionale è il direttore responsabile

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Migrazioni

Novembre 2011

Argilli / Casacchia / Chieffo / Chiodi / Colucci / Costa / Crisci / De Clementi / De Luca / De Martino / Di Rocco / Di Stasi / Faonte /

Izzo / N. Lombardi / T. Lombardi / Marinaro / Martelli / Massa / Massullo / Melone / Palmieri / Pazzagli / Pesaresi / Piccoli / Pittau /

Presutti / Ruggieri / Scaroina / Spina / Tarozzi / Verazzo

In copertina: Berga, Gli emigranti, tecnica mista, tela, 110 x 140 cm, 2012 © 2013 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune Tutti i diritti riservati Registrazione al Tribunale di Campobasso 5/2009 del 30 aprile 2009

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Indice 9 Migrazioni, dal secondo dopoguerra ad oggi

FACCIAMO IL PUNTO 17 L’emigrazione meridionale nel secondo dopoguerra

di Andreina De Clementi

1. I limiti della riforma agraria 2. Forme e tempi dell’esodo 3. Il sorpasso meridionale 4. I quartieri italiani 5. Il polo europeo 6. L’inarrestabile cataclisma 7. Ruoli e percorsi di genere 8. L’impiego dei risparmi e delle rimesse 9. Il futuro nel passato

37 Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione

di Michele Colucci

1. Le posizioni dei partiti e dei sindacati all’indomani della guerra 2. Le sinistre 3. La Democrazia cristiana

IN MOLISE

51 I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali

di Norberto Lombardi

1. Cade lo steccato del Molise «ruralissimo» 2. Esodo e spopolamento 3. Vecchie traiettorie transoceaniche 4. Nuovi approdi transoceanici 5. La scoperta dell’Europa

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6. La svolta europea 7. Molisani nel mondo 8. Le reti associative 9. Le leggi e le Conferenze regionali 10. Studi e rappresentazioni dell’emigrazione dei molisani 11. Conclusioni: quasi un inizio

107 Appendice: Le associazioni di Molisani in Italia e nel mondo

a cura di Costanza Travaglini 117 L’esodo dal Molise tra il 1952 e il 1980. Nuove destinazioni e riflessi

socio-economici di Cristiano Pesaresi

1. Il quadro d’insieme 2. Le principali destinazioni nell’intervallo 1962-68 e le condizioni socio-

economiche del Molise 3. Le tendenze degli anni 1972-80 e le condizioni socio-economiche del Molise

131 La mobilità silente: i molisani nei percorsi globali

di Oliviero Casacchia e Massimiliano Crisci

1. La mobilità residenziale dagli anni novanta ad oggi 2. Concetto e fonti della mobilità temporanea di lavoro 3. I flussi temporanei per lavoro 4. Alcune conclusioni

151 L’immigrazione nel Molise: presenze, aspetti sociali e occupazionali

di Renato Marinaro e Franco Pittau

1. Il Molise nell’attuale quadro nazionale dell’immigrazione 2. I dati principali sulle presenze 3. Gli indicatori sociali 4. Le statistiche occupazionali 5. Immigrazione e integrazione 6. L’emergenza del 2011: l’accoglienza dei flussi in provenienza dal Nord Africa 7. Conclusioni: potenziare le politiche migratorie e la sensibilizzazione

165 Letteratura come autobiografia: la scrittura di Rimanelli tra le due

sponde dell’oceano di Sebastiano Martelli

Indice

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INTERVISTE 185 Testimonianze d’altrove: domande per alcuni giovani diplomati e

laureati che hanno lasciato il Molise negli ultimi anni a cura di Norberto Lombardi

IERI, OGGI E DOMANI

205 Risorse umane

Tavola rotonda a cura di Antonio Ruggieri

RIFLESSIONI 247 Dal globale al locale. Riflessioni sul progetto territorialista

di Rossano Pazzagli

1. Ritorno al territorio 2. Il territorio come bene comune 3. Urbano e rurale 4. Nuovi sentieri nell’orizzonte della crisi

253 Territorialità, glocalità e storiografia

di Gino Massullo

1. Comparazione e contestualizzazione 2. Territorialità e glocalità

WORK IN PROGRESS

261 Identità, emigrazione e positivismo antropologico

di Paola Melone

1. Introduzione 2. Considerazioni concettuali 3. La corrente del positivismo antropologico 4. L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: la classificazione etnica e gli

stereotipi culturali 5. Conclusioni

275 Donne e corporazioni nell’Italia medievale

di Jacopo Maria Argilli

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DIDATTICA 289 Tra “buona pratica” e teoria efficace. Quando la Storia aiuta la persona,

stimola il gruppo, sostiene un popolo di Clara Chiodi e Paola De Luca

1. Primi giorni di scuola 2. Cognizione e metacognizione 3. Dal bisogno educativo all’azione didattica

STORIOGRAFIA

297 Fra storiografia e bibliografia. Note sui “libri dei libri”

di Giorgio Palmieri

1. Un “libro dei libri” 2. Altri “libri dei libri” 3. I “libri dei libri”

MOLISANA

307 Almanacco del Molise 2011

Recensione di Antonella Presutti 313 Salvatore Mantegna, Giacinta Manzo, Bagnoli del Trigno. Ricerche

per la tutela di un centro molisano Recensione di Clara Verazzo

316 I di Capua in Molise e il controllo del territorio. Note a margine della

presentazione del volume curato da Daniele Ferrara, Il castello di Capua e Gambatesa. Mito, Storia e Paesaggio di Gabriella Di Rocco

321 Abstracts 327 Gli autori di questo numero

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WORK IN PROGRESS

Identità, emigrazione e positivismo antropologico

di Paola Melone

1. Introduzione

Il presente articolo è frutto di una ricerca in corso nell’ambito del dottorato di ricerca in “Relazioni e Processi Interculturali” istituito presso l’Università del Molise. La ricerca indaga il problema dell’identità tra i giovani e tra le genera-zioni a New York, focalizzandosi sul caso molisano come rappresentativo del-l’emigrazione meridionale. Durante il suo svolgimento sul campo, il lavoro si è orientato anche verso la formazione degli stereotipi culturali caratterizzanti l’identità italo-americana contemporanea, allo scopo di comprendere come i ca-ratteri etnici, storicamente connotativi gli emigrati italiani, si siano sviluppati nell’ambito dell’esperienza migratoria. L’indagine si basa su una metodologia qualitativa di taglio etnografico, che rispetta le caratteristiche tecniche proprie della ricerca sul campo, con finalità di tipo esplorativo e descrittivo.

Si discute, da un punto di vista storico-sociologico, l’esclusione culturale di una parte della popolazione italiana ritenuta non antropologicamente idonea al processo di formazione della nuova nazione. Si esaminano, quindi, le dif-ferenze razziali e etniche che emergono tra i meridionali e i settentrionali avvallate dalla comunità scientifica attraverso il positivismo antropologico, che plasma un’idea di Meridione come terra popolata da barbari e criminali.

L’analisi, dunque, si inserisce in un continuum storico, al fine di far luce su un periodo della storia italiana complesso, in cui prende avvio la stigmatiz-zazione della cultura meridionale che, poi, si rifletterà anche nei paesi d’emi-grazione, in particolare, negli Stati Uniti, dove il numero dei meridionali è preponderante.

2. Considerazioni concettuali

In questo paragrafo si descrivono i concetti chiave caratterizzanti il presen-te lavoro quali, quello di cultura, di identità, di pregiudizio e di stereotipo, strettamente collegati tra di loro.

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Il concetto di cultura, in continua evoluzione, si collega originariamente con quello di identità. Tylor1 nel 1871 definisce cultura quel complesso in-sieme, quella totalità che comprende il sapere, le credenze, le arti, la morale, il diritto, i costumi e tutte le altre capacità e abitudini che l’uomo fa proprie in quanto membro di una società.

L’antropologo Bronislaw Malinowski concepisce la cultura come l’insieme dei manufatti, dei beni, dei processi tecnici, delle idee, delle consuetudini e dei valori propri di ciascuna società; essa è l’apparato attraverso il quale l’uomo, messo nelle condizioni migliori, affronta i problemi concreti che in-contra, adattandosi all’ambiente al fine di soddisfare i suoi bisogni. In questa formulazione Malinowski pone l’accento sul carattere organicistico della cultura, intesa come un insieme integrato, in cui ogni singola parte partecipa per garantire il funzionamento del tutto. Egli, quindi, ritiene che ogni cultura sia formata dall’insieme delle risposte che ciascun gruppo. in maniera pro-pria ed originale, elabora per soddisfare bisogni esistenziali di diverso tipo: i bisogni primari quali, il mangiare, il dormire e il riprodursi, i bisogni secon-dari come, l’organizzazione economica e politica e i bisogni culturali, cioè le credenze, le tradizioni e il linguaggio2.

Geertz, prendendo le distanze dalla definizione di Tylor e di Malinowski, propone un concetto di cultura in senso semiotico, intesa come un testo co-stituito da un complesso di simboli significanti che sono prodotti, adoperati ed interpretati durante lo scambio sociale all’interno del gruppo3. Sempre in ambito antropologico, e di conseguenza, in un’ottica multidisciplinare, in quello sociologico, si parla di «pattern» intendendo con questo termine ela-borato da Ruth Benedict il sostrato affettivo ed ideologico di ciascun popolo, che si pone come modello ai membri della comunità e ne plasma lo stile di vita. Il modello culturale è, quindi, l’impronta di ogni cultura, il suo spirito su cui si plasmano modelli particolari di pensiero e di azione quali, i valori le istituzioni, le pratiche, le credenze della società4.

In generale, secondo il punto di vista dell’antropologia e delle scienze so-ciali, la cultura determina la nostra identità, il nostro modo di essere. A pro-posito, le teorie dell’interazionismo simbolico5 hanno fornito enormi contri-buti alla studio dell’identità. In particolar modo, secondo la prospettiva adot-tata da Luckmann, la definizione stessa di identità passa attraverso la defini-zione del sistema. Ed è il sistema, non il soggetto, a realizzare solo una parte

1 Edward Burnett Tylor, The origins of culture, Harper & Row, New York, 1958. 2 Bronislav Malinowsky, Argonauti nel pacifico.Riti magici e vita quotidiana nella società

primitiva, 2 vol., Bollati Boringhieri, Torino, 2004. 3 Clifford Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, Il Mulino, 1987. 4 Ruth Benedict, Modelli di cultura, Feltrinelli, Milano, 1970. 5 Herbert Blumer, Symbolic Interactionism, University of California, Berkeley, 1969.

Melone, Identità, emigrazione e positivismo antropologico

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delle possibilità offerte dall’ambiente6. Da qui nasce l’affermazione di Re-motti7 secondo il quale definire l’identità di ciascuno comporta contempora-neamente la definizione di ciò che si è e di ciò che non si è, o che non si può essere; prendere, cioè, una parte e rifiutare al contempo un’infinità di altre possibili identità. Pertanto, quando si afferma il concetto di identità si affer-ma anche quello di alterità. Identità, quindi, come dimensione intersoggetti-va e relazionale, come struttura di codici, cornice all’interno della quale l’in-dividuo si muove e orienta le proprie azioni dotate di senso di riferimento allo specifico contesto. In sostanza, definire l’identità antropologicamente e sociologicamente permette di inserire l’individuo nella realtà attraverso un procedimento di riconoscimento di sé e contemporaneamente dell’altro.

Questo punto di vista, permette di introdurre gli altri due termini quali, pregiudizio e stereotipo. Dal latino prae, “prima” e iudicium, “giudizio” la parola pregiudizio si riferisce alla formulazione prematura, basata su una co-noscenza parziale o indiretta, della realtà, quindi il pregiudizio si fonda, pre-valentemente, su un atto di ignoranza, nel senso, di ignorare la cultura del-l’Altro. Nelle scienze sociali, per pregiudizio si intende un atteggiamento particolare verso una categoria o un gruppo di persone che si forma nelle re-lazioni intergruppo e che, in situazioni particolari, porta al razzismo. In que-sto caso, si parla specificatamente di pregiudizio razziale per intendere quel atteggiamento negativo verso una razza o un gruppo che si sviluppa quando gruppi minoritari entrano in contatto con quelli predominanti. Il pregiudizio razziale è uno dei più importanti sul piano storico-sociale per i problemi sca-turiti (emarginazione, discriminazione, violenza). Spesso, alla base del pre-giudizio razziale vi sono ragioni economiche e utilitaristiche inerenti la di-stribuzione e l’acquisizione di diritti e delle risorse quando queste sono scar-se e limitate, scatenando, così, il conflitto sociale.

In antropologia, il pregiudizio poggia su una visione etnocentrica propria di ogni cultura. In psicologia si intende per pregiudizio l’opinione preconcetta concepita non per conoscenza diretta di un fatto, di una persona o di un gruppo sociale, quanto piuttosto in base alle opinioni comuni o alle voci. G.W. Allport sostiene che un concetto errato diventa pregiudizio quando ri-mane irreversibile anche di fronte alla evidenza empirica, cioè a nuovi dati conoscitivi8. In questo modo, per esempio, se si ritiene che gli emigrati siano portatori di destabilizzazione sociale è difficile che tale opinione possa cam-biare di fronte a persone emigrate che in tutta evidenza si comportano in modo differente dal comune pregiudizio.

6 Berger, P. L. Luckmann, T. The Social Construction of Reality: A Treatise in the Sociol-ogy of Knowledge, Garden City, New York 1966.

7 Francesco Remotti, Contro l’identità, Laterza, Bari, 2001. 8 Gordon Willard Allport, The nature of the prejude, Addison-Wisley Pub. Co., 1954.

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Il pregiudizio si compone di tre componenti: la componente cognitiva, che rappresenta l’insieme dei concetti e della percezione che si ha nei confronti di un oggetto o di una classe di oggetti; la componente affettiva, che consiste nei sentimenti che si hanno nei confronti di un oggetto o di una classe di og-getti; ultima, la componente comportamentale, ossia il tipo di azione che ri-volgiamo nei confronti di un oggetto o di una classe di oggetti. Il pregiudizio è, quindi, un particolare atteggiamento di risposta negativa nei confronti di una persona qualora appartenga ad una determinata categoria di persone. Quando il pregiudizio sfocia in un comportamento specifico si parla di di-scriminazione. La discriminazione può avere come effetti un attacco all’auto stima del soggetto discriminato, che sentendosi inferiore è indotto a pensare di non valere nulla. L’altra conseguenza può essere l’insorgere di una qual-che volontà di fallire. In questo caso, ci si comporta in modo tale da convali-dare i pregiudizi secondo quella che in sociologia è stata definita la profezia che si auto adempie, che si verifica quando si creano le condizioni per cui il soggetto discriminato si comporta come ci si aspetta.

Infine, il termine stereotipo indica una credenza o a un insieme di credenze in base a cui un gruppo di individui attribuisce determinate caratteristiche a un altro gruppo di persone. In psicologia sociale lo stereotipo corrisponde ad un’immagine semplificata di una categoria di persone e di eventi, condivisa generalmente a livello sociale. Lo stereotipo si accompagna al pregiudizio, quindi, essi sono degli schemi mentali che si utilizzano per valutare o preve-dere il comportamento di una persona o di un gruppo. Questa tendenza rien-tra nella categorizzazione delle oggetti e dei gruppi; pertanto, si ritiene che quel gruppo avrà probabilmente le caratteristiche proprie di quella categoria. Anche lo stereotipo si basa su una conoscenza limitata e falsa della realtà, trascurando cioè tutte le possibili differenze che potrebbero invece essere ri-levate tra i diversi componenti della medesima categoria. Lo stereotipo e il pregiudizio hanno una vita inserita nella storia e nelle generazioni, come nel caso degli italiani emigrati negli Stati Uniti e dei loro figli nati in America.

3. La corrente del positivismo antropologico

Il positivismo antropologico nato all’indomani dell’Unità d’Italia può essere definito come una corrente di pensiero che attribuisce determinate caratteristi-che morali e psicologiche innate ai meridionali, a cui si fa riferimento per so-stenere la tesi dell’inferiorità. Marta Petrusewicz9, afferma che prima dell’Uni-

9 Marta Petrusewicz, Before the Southern Question: “Native” Ideas on Backwardness and Remedies in the Kingdom of two Sicilies, 1815-1849, in Jane Schneider (ed.), Italy’s “South-ern Question”. Orientalism in One Country, New York 1998.

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tà gli intellettuali meridionali, sebbene, si mostrino abbastanza severi nel criti-care il loro paese, ponendo le basi per la nascita della Questione Meridionale, non manifestano ancora quel sentimento di inferiorità che li caratterizza, inve-ce, dopo l’Unità. Claudia Petraccone sostiene che con la scuola antropologica il dibattito sulla Questione Meridionale si sposta su un piano razziale, diven-tando esclusivamente questione dell’inferiorità del Mezzogiorno

[…] dibattuta come il più grave problema che l’Italia, alle soglie del XX se-colo, doveva affrontare. Da quel momento i politici se ne impadronirono: es-sa diventò parte importante dei loro programmi e dei loro discorsi, ma anche oggetto di strumentalizzazione e di propaganda politica10.

Il positivismo antropologico si concentra prevalentemente sugli aspetti bio-

logici e somatici della specie umana. Esso usa nei suoi studi metodi quantita-tivi quali, la statistica, l’antropometria, la morfologia, la craniometria e la fi-siognomica.

Uno dei maggiori esponenti del positivismo antropologico è stato, come è noto, Cesare Lombroso medico, antropologo, criminologo e giurista nonché docente ordinario di psichiatria e di antropologia presso l’Università di Pavia. Egli formula la teoria antropologica del criminale nato basata sull’anomalia anatomica cosiddetta «fossetta occipitale» presente solo nei soggetti che mani-festano comportamenti devianti come, per esempio, nel caso del brigantaggio.

Nel 1862, Lombroso viene inviato in Calabria dall’esercito piemontese come medico militare nella repressione del brigantaggio. Egli si dedica, quindi, allo studio del fenomeno effettuando l’autopsia sui briganti uccisi e misurando la forma e la dimensione del loro cranio.

Nell’atavismo Lombroso individua la causa del comportamento deviante, consistente in una peculiare forma di arresto dello sviluppo cerebrale che si manifesta, per l’appunto, nella presenza della «fossetta occipitale». A questa, Lombroso aggiunge altre caratteristiche che generano la devianza quali le grandi mandibole, i canini forti, gli incisivi mediani molto accentuati, i denti in soprannumero, gli zigomi sporgenti etc… A queste caratteristiche, poi, e-gli unisce gli aspetti di carattere ambientale e sociale quali, la miseria e la poca istruzione. Pertanto, secondo Lombroso il criminale può essere facil-mente identificabile sia dalle anomalie genetiche sia dalle condizioni di con-testo socio-culturale. La combinazione di questi due fattori produce l’azione deviante e criminale.

Un altro illustre rappresentate del positivismo antropologico è Alfredo Ni-ceforo. Egli definisce il brigantaggio come una forma propria delle società

10 Claudia Petraccone, Le due Italie. La questione meridionale tra realtà e rappresentazio-ne, Laterza, Milano 2005, p. 87.

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selvagge e primitive, dominate dalla violenza in quanto prive della capacità di organizzarsi socialmente secondo regole e comportamenti condivisi. Se-condo lo studioso, infatti, il brigantaggio è indice del processo di civilizza-zione della società e denota lo stadio di organizzazione politica raggiunto. Niceforo afferma che queste condizioni sono tutte presenti nel Meridione all’indomani del progetto unitario. Egli adduce le cause dell’anomia esisten-te all’arretratezza e alle barbarie dovute sia al malgoverno «spagnulo e bor-bonico» sia all’esistenza di due distinte razze presenti in Italia, quella dei «mediterranei» al Sud e nelle isole e quella degli «arii» al Nord fino alla To-scana. Tali stirpi, presentando caratteristiche fisiche e psicologiche diverse, determinano anche comportamenti sociali diversi: nel Nord hanno portato all’avanzamento sociale, politico, culturale e economico, nel Sud, invece, hanno provocato l’arresto del processo di civilizzazione11.

Infine, Giuseppe Sergi è un altro antropologo e etnologo degli anni a ca-vallo tra Otto e Novecento riconosciuto a livello internazionale. Egli asse-risce che la differenza fondamentale tra gli «arii» e i «mediterranei» risiede nella conformazione cranica. È la forma del cranio, dunque, a determinare il diverso comportamento tra le due razze. La differenza antropologica si riflette, poi, nel comportamento psicologico che negli «arii» dell’Italia set-tentrionale è più pratico, funzionale e mira all’efficienza, nei «mediterra-nei» dell’Italia del Sud, invece, è più emotivo, rabbioso, visionario e porta all’indolenza12.

Sergi, ritenendo che la civiltà debba essere importata in diversi modi, affi-da al Nord il compito di civilizzare il Sud per liberarlo dalle barbarie e porta-re il progresso. Solo in questo modo, si evita il mescolamento di elementi indigeni e primitivi e la razza più operosa e produttiva del paese ha il merito di promuovere un’opera di civilizzazione della società italiana. Così facendo, al processo di unificazione politica si aggiunge quello antropologico di uni-ficazione delle due razze, necessario per formare un’identità nazionale etno-graficamente omogenea.

In realtà, sembra che la tesi dell’inferiorità meridionale serva a giustificare la mancata unione del popolo italiano, in quanto ci si accorge che lo Stato sorto nel 1861 non coincide affatto con la nazione, intesa come entità etnografica. Ciò significa che all’identità politica appena realizzata non corrispondeva quella culturale. Il positivismo antropologico ha, dunque, in quel contesto, il compito di avvallare “scientificamente” ciò che già emerge nell’opinione pub-blica: le caratteristiche biologiche e culturali dei meridionali come impedimen-to alla formazione della nazione. Nell’ambito del dibattito tra studiosi di ma-trice positivista e meridionalisti (Niceforo, Sergi, Colajanni, Rossi, Ciccotti,

11 Alfredo Niceforo, L’Italia barbara contemporanea, Remo Sandron Editore, Milano 1898. 12 Giuseppe Sergi, Arii e Italici: attorno all’Italia preistorica, Bocca, Torino1898.

Melone, Identità, emigrazione e positivismo antropologico

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Lombroso, Salvemini, Fortunato)13, quindi, si riscontrano opinioni differenti, spesso contrastanti tra loro. A questo proposito, Napoleone Colajanni, medico e professore docente di antropologia e statistica, si oppone alla teorie dell’infe-riorità dei meridionali, ritenendo che le cause della criminalità e del sottosvi-luppo siano da rintracciare nelle condizioni economiche e sociali del Mezzo-giorno e non nei tratti culturali, etnici e razziali. In particolare, egli vede nella scuola antropologica la conferma della colonizzazione che si è venuta a creare nel Sud con l’unificazione del paese. Colajanni, quindi, mette in guardia la classe dirigente italiana di fronte alle conseguenze dannose che le teorie posi-tiviste possono arrecare allo sviluppo del Meridione, dove prefigura uno sce-nario simile a quello dei paesi colonizzati14.

Senza dubbio, l’istituzionalizzazione del pregiudizio determina l’esclu-sione della cultura meridionale dalla formazione dell’identità nazionale, ri-flettendosi anche negli Stati Uniti, dove nel frattempo gli italiani, in partico-lare i meridionali, emigrano numerosi.

4. L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: la classificazione etnica e gli stereotipi culturali

Tra il 1820 e 1921 giunsero negli USA il maggior numero di persone con a-

scendenza europea: circa 34 milioni di persone non regolarmente distribuite nel corso del tempo, ma, tra la prima e la seconda ondata migratoria. Queste ondate portano nella società americana gruppi di emigrati molto diversi tra lo-ro. Infatti, con il primo flusso tra il 1820 e il 1860 emerge la figura del-l’immigrato «colonizzatore» o «pioniere», che viaggia spesso con l’intero nu-cleo famigliare, in cerca di nuove terre da coltivare. Si tratta di scandinavi, in-glesi, irlandesi, olandesi, tedeschi danesi che, oltre, a detenere un basso tasso di analfabetismo, presentano anche affinità culturali, linguistiche e religiose con il gruppo W.A.S.P. (eccetto gli irlandesi che sono di religione cattolica). Tali affinità culturali, senza dubbio, facilitano i processi di insediamento nella società americana che, ancora in fase di assestamento, ha bisogno della mano-dopera emigrata per accrescere il proprio sviluppo economico, principalmente nel settore primario. Quindi gli emigranti si riversano nell’agricoltura e popo-lano le zone rurali, evitando di affollare i centri urbani.

Durante la «Seconda Immigrazione», avvenuta tra il 1880 e il 1924, giun-sero gli italiani15 (meridionali, in particolare), greci, polacchi, ungheresi, rus-

13 Vito Teti, La razza maledetta, origini del pregiudizio antimeridionale, Manifestolibri, Roma 2011.

14 Napoleone Colajanni, Settentrionali e meridionali, M&B Publishing, Milano 2000. 15 Tra il 1892 e il 1924 si sono calcolati 22 milioni di emigrati europei. Tra questi 4 milioni

sono italiani e 3,5 milioni sono meridionali.

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si, boemi e, in numero ridotto, spagnoli, portoghesi, messicani e altri gruppi minori di giapponesi e cinesi. Essi sono per la maggior parte contadini, cat-tolici, poco istruiti e non anglofoni. Sono circa quattro milioni gli italiani che tra il 1880 e il 191516 arrivano negli Stati Uniti. Tra questi l’88% circa pro-viene dalle regioni del Mezzogiorno, quali la Campania, la Sicilia, la Cala-bria, la Basilicata, il Molise e la Puglia. Nell’ambito delle politiche migrato-rie statunitensi è fondamentale considerare il tipo di classificazione etnica attribuita ai primi emigrati italiani, basato sulle teorie che emergono nella comunità scientifica internazionale.

Infatti, dal 1870 il dibattito scientifico internazionale è dominato da una nuova disciplina, l’eugenetica, che sulla base dei principi darwiniani dell’e-voluzione biologica sostiene la selezione e la riproduzione solo di quelle raz-ze considerate idonee. Il promotore dell’Eugenetica è Francis Galton che compie diversi studi, in particolare, sulle impronte digitali usate per classifi-care il patrimonio genetico dei vari gruppi.

In questo clima xenofobo, l’immigrato della seconda ondata viene visto come destabilizzatore sociale perché portatore di differenze culturali che o-stacolano il processo di assimilazione e sopratutto, perché antropologica-mente diverso dai WASP. Il governo statunitense, allora, prende diverse ini-ziative per arrestare il flusso proveniente da quei paesi reputati non antropo-logicamente idonei o pericolosi per la naturale evoluzione del gruppo WASP. Inoltre, nel 1910 è emanato il Mann Act, un regolamento che vieta i rapporti sessuali e i matrimoni tra gruppi etnici diversi. Tale regolamento, la cui violazione prevede fino a dieci anni di carcere, proibisce le relazioni ses-suali extraconiugali, condannando chiunque trasporti fuori dei confini dello Stato o all’estero una donna o una ragazza, anche se consenziente, allo scopo di prostituzione o corruzione o di altri fini giudicati riprovevoli e immorali. Come afferma Rauty:

Alla base del Mann Act non c’era solo la paura che le nuove realtà sociali contaminassero la radice etnica statunitense e diffondessero “corruzione” e dissoluzione morale: l’obiettivo era più ampio, legato alla percezione del ve-nire meno dei confini nelle relazioni tra gli individui tracciati dalla cultura vittoriana nel corso del nuovo strutturarsi del rapporti di potere tra i sessi e l’emergere di una nuova autonomia comportamentale (soprattutto da parte delle donne)17.

16 Prima del 1870 il numero degli italiani all’estero è esiguo: nel 1855 solo 968 italiani vi-

vono a New York, di questi il 40% sono professionisti, appartenenti alla piccola classe media italiana e provenienti dalle regioni dell’Italia settentrionale.

17 Raffaele Rauty, Prefazione, in William Isaac Thomas, Gli immigrati e l’America. Tra il vec-chio e il nuovo mondo, edizione italiana a cura di R. Rauty, Donzelli Editore, Roma 2000, p. 8.

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Ciò determina, chiaramente, l’emarginazione dei nuovi gruppi etnici e, tra questi, i meridionali sono il capro espiatorio dell’allarme etnico caratterizzante la società ospitante di allora. Nell’espletamento delle pratiche migratorie si classificano gli emigrati italiani sulla base delle teorie del positivismo antropo-logico. In particolare, nei registri di arrivo a Ellis Island, a New York, si ripor-tano distinzioni tra «Italian South» e «Italian North», considerando i primi in-feriori e geneticamente predisposti alla violenza e al crimine. I siciliani, poi, sono classificati come «non-white», perché di pelle scura. Nel Dictionary of Races or Peoples pubblicato dal governo americano nel 1910 si descrivono i meridionali sulla base degli studi fatti in Italia nell’ambito della corrente an-tropologica positivista. Essi sono ritenuti intellettualmente inferiori, dotati di una fervida immaginazione, sporchi, ignoranti e inclini per natura e cultura al-la devianza. Si fanno riferimenti anche al brigantaggio, considerato quasi com-pletamente debellato, eccetto in qualche parte della Sicilia. Nelle accademie americane molti studiosi analizzano “scientificamente” la razza meridionale per avvallare la tesi dell’inferiorità. Tra questi si menziona Edward Ross, pro-fessore di Sociologia all’Università del Wisconsin che nel 1914 pubblica un documento intitolato Italians in America, dove si afferma, a proposito degli italiani del Nord, che «As immigrants their superiority to other Italians is ge-nerally recognized». In particolare, Ross sostiene che nelle vene delle «grandi menti» dei Piemontesi, dei Lombardi e dei Veneziani scorre sangue nordico, ossia celtico, gotico, lombardo e germanico. Mentre, gli altri italiani del Sud sono di razza scura, mediterranea con una considerevole percentuale di sangue greco, saraceno e africano nei calabresi e siciliani18. Le teorie del positivismo antropologico, dunque, tacciano la cultura meridionale, generando un profon-do pregiudizio nei loro confronti sia in Italia sia negli Stati Uniti, dove le futu-re generazioni di italo-americani scontano il peso della storia appartenente al loro gruppo di appartenenza.

Il pregiudizio verso gli italiani, caratterizzante la prima fase dell’esperienza migratoria negli Stati Uniti, di certo non favorisce il processo di integrazione del gruppo emigrato, specialmente, delle generazioni successive di italo-americani che cercano di prendere le distanze da una cultura di origine stig-matizzata e socialmente considerata pericolosa. Nel corso del tempo, la di-scriminazione nei confronti degli italiani del Sud si irradia in tutta la società americana, propagandosi attraverso la stampa, il cinema e la televisione, che forgiano un’immagine dell’emigrato italiano meridionale come gangster, mafioso, violento, machista, orientato solo all’interesse dei propri famigliari ecc… Per esempio, il film The Godfather, un cult per generazioni di italo-americano richiama i fattori salienti dell’identità italo-americana.

18 Edward A. Ross, Italians in America, University of Wisconsin, Wisconsin 1914.

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Tra i programmi televisivi più recenti, ricordiamo The Jersey Shore e The Sopranos. Il primo è un reality, simile al Grande Fratello, che segue le vi-cende di otto giovani coinquilini mentre sono in vacanza estiva sulla costa atlantica dello Stato del New Jersey, denominata Jersey Shore. Il programma ha ricevuto diverse critiche da parte della comunità italo-americana per aver usato, a scopo promozionale, il termine «Guido»19 in riferimento ad alcuni membri del cast.

Il secondo programma, The Sopranos, è una serie televisiva che racconta le vi-cende «mafiose» della famiglia Soprano, di origine e cultura italo-americana. In uno dei dialoghi, il fidanzato americano della figlia dei Sopranos, dopo aver as-sistito ad un ennesimo episodio violento commesso per rivendicare un torto su-bìto da uno dei membri della famiglia, afferma con sgomento: «Sono come ani-mali. Questo è il modo con cui sei cresciuta?» Lei, allora, coscientemente, ribat-te: «Tu parli di queste persone come farebbe un professore durante una lezione di antropologia, ma, la verità è che esse hanno portato questi modi per risolvere i conflitti dal vecchio mondo, nella povertà del Mezzogiorno, dove la più alta au-torità era corrotta». Il riferimento al contesto di appartenenza riportato in questo dialogo pone l’accento sulle condizioni dell’Italia del Sud prima dell’emigra-zione, invitando a riflettere sui fattori storici e culturali propri del Mezzogiorno, quindi, dell’emigrante meridionale.

A questo proposito, Pinto afferma che i valori, le abitudini, le pratiche reli-giose e culturali trasmesse dai primi emigranti italiani alla prima e, in parte, alla seconda generazione di italo-americani (nati in America) appartengono, prevalentemente, alla cultura meridionale. Conseguentemente, l’immagine dell’italo-americano interiorizzata sia dalla comunità italo-americana sia da quella americana è stata plasmata sulla base di questo patrimonio culturale, stigmatizzato a monte. Come afferma lo stesso autore, tale situazione non ha favorito né l’inclusione culturale e sociale degli italo-americani nella società americana, né le relazioni tra gli stessi italiani, che intanto conti-nuavano ad affluire numerosi negli Stati Uniti, e gli italo-americani, nati negli Stati Uniti. I primi evitavano il dialogo con gli emigrati o i loro figli perché percepiti colpevoli di aver creato un’immagine deleteria dell’Italia e della cultura italiana all’estero, i secondi rifiutavano l’appartenenza alla cultura italiana in quanto oggetto di scherno. Questi sentimenti hanno ac-compagnato la trasmissione del patrimonio culturale d’appartenenza per lungo tempo tanto che l’identificazione con il proprio gruppo è stata moti-vo di conflitti e sofferenze personali20. Tale situazione ha prodotto una per-

19 Il termine «Guido» è usato per indicare, in modo discriminatorio, sia l’estrazione rurale e operaia, sia l’attitudine machista degli italoamericani.

20 Domenico Pinto Analisi del gruppo etnico italoamericano il caso di Brooklyn, tesi di lau-rea, Università degli Studi di Trento, a.a. 1984/85.

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cezione ambivalente del patrimonio culturale italiano all’estero, rafforzata anche a causa della teoria del «familismo amorale» di Banfield21. Il concet-to è stato coniato dallo stesso autore per spiegare l’arretratezza sociale ed economica che caratterizzava Montegrano22, un paese della Basilicata, do-ve Banfield svolse uno studio sul campo dal 1954 al 1955. L’autore giunse alla conclusione che la mancanza dello spirito associativo e il conseguente sottosviluppo economico riscontrato a Montegrano erano provocati da una forma mentis propria nella cultura meridionale, orientata a perseguire l’interesse immediato della propria famiglia, senza tenere in considerazio-ne quello più ampio della società. Inoltre, Banfield dichiarò che la sua teo-ria poteva estendersi a tutto il Meridione come pure ad altre aree del Medi-terraneo e del Medio Oriente. La teoria del «familismo amorale» scatenò un acceso dibattito tra gli studiosi sia italiani sia stranieri. Tra questi Sil-verman23 attribuì all’opera di Banfield diverse critiche quali, la scarsità del-le descrizioni e un’analisi circoscritta al paese della Lucania e, quindi, non applicabile in altri contesti vista l’assenza di studi precedenti a favore della sua ipotesi. Ma, sopratutto, secondo Silverman la causa di determinati comportamenti etici e sociali andava ricercata nel sistema economico del Mezzogiorno, in special modo, nella sua organizzazione agricola e nella struttura sociale e, non nella dimensione culturale. In Italia, si ricorda la critica mossa da Giulio Bollati che ritiene come le generalizzazioni e cate-gorizzazioni culturali siano insensate oltre che scientificamente errate in quanto «Ogni discorso sull’indole, la natura, il carattere di un popolo appa-re come un’equivoca combinazione di conoscenza e di prescrizione, di scienza e di comando. Quello che un popolo è (o si crede che sia) non si distingue se non per gradi di dosaggio da ciò che si vuole debba essere»24.

La doppia percezione del patrimonio culturale italiano all’estero, consoli-data anche dallo studio di Banfield, vedeva, dunque, l’Italia come una terra, da una parte, colma di bellezza, arte e storia, dall’altra, popolata da «paesa-ni» con estrazione contadina e privi di senso civico25.

Ai problemi sostanzialmente di assimilazione, di razzismo e di emarginazio-ne della prima immigrazione, si sono aggiunti quelli delle seconde generazioni e della loro doppia identità, i figli degli immigrati, che immigrati non erano e Aquello italiano e quello americano, non completamente accettati dalla cultura

21 Edward C. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, Il Mulino, Bologna, 1976. 22 Nome fittizio usato dall’autore per indicare Chiaromonte, piccolo centro della Lucania. 23 Sydel F. Silverman, Agricultural Organization, Social Structure and values in Italy:

Amoral Familism Reconsidered, American Antrhopoligist Review, New Series Vol. 70, No 1, Feb., 1968.

24 Giulio Bollati, L’italiano, in Ruggero Romano, Corrado Vivanti (a cura di), Storia d’Ita-lia, I caratteri originali, vol. 1, Einaudi, Torino, 1972, cit., p. 958.

25 Luconi Stefano, Matteo Pretelli, L’immigrazione negli Stati Uniti, il Mulino, Bologna, 2008.

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americana, neanche si identificavano in quella italiana perché percepita come un fardello da cui liberarsi. La discriminazione subita ha costretto le prime e seconde generazioni di italo-americani, a mimetizzarsi nella società america-na, per esempio, cambiando ufficialmente nomi di marcata origine meridiona-le quali, Filomena in Philly, Tonino in Tony etc. Tuttavia, come afferma sem-pre Pinto il modello ideal-tipico dell’assimilazione, che doveva condurre alla scomparsa dei modelli culturali divergenti, non si è realizzato pienamente, an-zi, ha prodotto dei risultati controversi: la non completa assimilazione alla cul-tura americana e, allo stesso tempo, la nascita di sentimenti di rifiuto verso le proprie radici e la propria cultura di appartenenza, causando uno stato di ano-mia e spaccature intergenerazionali profonde, durate per lunghi anni e superate solo con l’avanzamento sociale e politico26. Oggi, le nuove generazioni di ita-lo-americani vivono la doppia (a volte, multipla) appartenenza in maniera di-sinibita e non conflittuale, manifestando segni di apprezzamento e di interesse verso un patrimonio culturale storicamente minato da pregiudizi e discrimina-zioni razziali che, nella società americana contemporanea, sembrano persistere solo nei racconti, nelle storie di vita e nei mass media, in quanto sedimentati nella memoria collettiva.

5. Conclusioni

Con l’Unità d’Italia si modificano le relazioni sociali e si forma la perce-zione degli italiani come popolo etnicamente disomogeneo, diviso da incon-ciliabili differenze che si intende annullare per affermare la cultura nordica, vista come portatrice di civiltà nel Sud del paese dominato, invece, dalla barbarie. Il pregiudizio contro i meridionali si riversa anche nei paesi di emi-grazione, in particolare, negli Stati Uniti, dove si diffonde lo stereotipo del meridionale deviante. Tale situazione condiziona i primi processi di inseri-mento nella società ospitante dove i meridionali sono considerati etnicamen-te diversi dai settentrionali. A questo proposito, si è posto l’accento su come il patrimonio di origine trasmesso alle seconde e, in parte, alle terze genera-zioni di emigrati italiani sia prevalentemente di matrice meridionale. La stigmatizzazione di tale patrimonio, inoltre, ha generato sentimenti di repul-sione verso la propria appartenenza, creando profonde fratture generazionali, superate con la mobilità sociale del gruppo italo-americano.

Nel momento in cui si parla di cultura meridionale il riferimento è alla cul-tura mediterranea, intesa come un’unità interculturale formata durante la sua evoluzione storica dai diversi popoli che si affacciano nel Mare Nostrum.

26 D. Pinto, Analisi del gruppo etnico italoamericano il caso di Brooklyn, cit.

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Quindi, essa è depositaria di antichi saperi, che affondano le radici nelle di-verse culture, stratificate nel corso delle varie epoche e dominazioni.

Senza dubbio, sarebbe stato più proficuo integrare la diversità culturale presente nella società meridionale/mediterranea all’interno del modello na-zionale. Così facendo, si sarebbe promosso lo sviluppo del nuovo Stato ita-liano sulla base di un’identità plurale.

Finito di stampare nel mese di gennaio 2013

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