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28. LIQUEFAZIONE DELL'ARIA: PARTE I 1. INTRODUZIONE La operazione di liquefazione rappresenta il primo stadio del processo industriale di separazione per distillazione dell'aria nei suoi componenti. Tuttavia, la tecnologia delle basse temperature utilizzata è di rilevante interesse anche in altri settori industriali, quali ad esempio il trasporto e lo stoccaggio di gas liquefatti (metano, ammoniaca, etc). La separazione dell'aria nei suoi componenti è relativamente "facile" in termini exergetici, perché i prodotti, cioè i componenti puri, possiedono una entalpia libera di poco superiore a quella della materia prima. Considerando l'aria come una miscela binaria di azoto (79% in moli) ed ossigeno (21%), a T = 300 K e nella ragionevole ipotesi di comportamento ideale, l'unico contributo è quello entropico. Risulta pertanto: G = T S = 300 1.987 [0.79 Ln(0.79) + 0.21 Ln(0.21)] = 306 cal mole 1 (28.1. 1) che corrispondono a circa 10.6 kcal kg 1 (PM medio = 28.8 g mole 1 ). In effetti, le maggiori difficoltà derivano dalla necessità di operare a temperature molto basse. Ad esempio, a P = 1 atm le temperature di ebollizione dei componenti sono: azoto, T eb = 195.8°C = 77.4 K, e ossigeno, T eb = 182.9°C = 90.3 K. I cicli frigoriferi a compressione di vapore (CF) rappresentano il metodo tradizionale per la produzione di freddo. Nel caso ideale (ciclo di Carnot percorso all'inverso tra le temperature T B e T A ) il coefficiente di prestazione (coefficient of performance, COP) si esprime in modo semplice in funzione delle temperature estreme del ciclo: COP = T B /(T A T B ) (28.1. 2) e, con T B = 77.4 K e T A dell'ordine di 300 K, vale circa 0.35. Nella pratica, i CF sono realizzati con il ciclo Rankine, il cui COP, che dipende dal fluido utilizzato e dalle condizioni operative (cioè dalla "forma" del diagramma T-S e dalla zona del diagramma che viene utilizzata), è, in prima approssimazione, pari a circa la metà di quello del ciclo ideale. Pertanto, dal punto di vista termodinamico, la liquefazione dell'aria si potrebbe ottenere con un ciclo Rankine con un COP dell'ordine di 0.2. Questa soluzione è tuttavia poco pratica dal punto di vista impiantistico. Innanzitutto, il T ottenibile con un CF è limitato ad alcune decine di gradi dalla necessità di operare all'interno nella zona liquido - vapore, cioè lontano sia dalla zona in cui il

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Page 1: ariali

28. LIQUEFAZIONE DELL'ARIA: PARTE I

1. INTRODUZIONELa operazione di liquefazione rappresenta il primo stadio del processo industriale di

separazione per distillazione dell'aria nei suoi componenti. Tuttavia, la tecnologia delle basse temperature utilizzata è di rilevante interesse anche in altri settori industriali, quali ad esempio il trasporto e lo stoccaggio di gas liquefatti (metano, ammoniaca, etc).

La separazione dell'aria nei suoi componenti è relativamente "facile" in termini exergetici, perché i prodotti, cioè i componenti puri, possiedono una entalpia libera di poco superiore a quella della materia prima. Considerando l'aria come una miscela binaria di azoto (79% in moli) ed ossigeno (21%), a T = 300 K e nella ragionevole ipotesi di comportamento ideale, l'unico contributo è quello entropico. Risulta pertanto:

G = T S = 300 1.987 [0.79 Ln(0.79) + 0.21 Ln(0.21)] = 306 cal mole1 (28.1.1)

che corrispondono a circa 10.6 kcal kg1 (PM medio = 28.8 g mole1). In effetti, le maggiori difficoltà derivano dalla necessità di operare a temperature molto basse. Ad esempio, a P = 1 atm le temperature di ebollizione dei componenti sono: azoto, Teb = 195.8°C = 77.4 K, e ossigeno, Teb = 182.9°C = 90.3 K.

I cicli frigoriferi a compressione di vapore (CF) rappresentano il metodo tradizionale per la produzione di freddo. Nel caso ideale (ciclo di Carnot percorso all'inverso tra le temperature T B e TA) il coefficiente di prestazione (coefficient of performance, COP) si esprime in modo semplice in funzione delle temperature estreme del ciclo:

COP = TB/(TA TB) (28.1.2)

e, con TB = 77.4 K e TA dell'ordine di 300 K, vale circa 0.35.Nella pratica, i CF sono realizzati con il ciclo Rankine, il cui COP, che dipende dal fluido

utilizzato e dalle condizioni operative (cioè dalla "forma" del diagramma T-S e dalla zona del diagramma che viene utilizzata), è, in prima approssimazione, pari a circa la metà di quello del ciclo ideale. Pertanto, dal punto di vista termodinamico, la liquefazione dell'aria si potrebbe ottenere con un ciclo Rankine con un COP dell'ordine di 0.2.

Questa soluzione è tuttavia poco pratica dal punto di vista impiantistico. Innanzitutto, il T ottenibile con un CF è limitato ad alcune decine di gradi dalla necessità di operare all'interno nella zona liquido - vapore, cioè lontano sia dalla zona in cui il fluido di lavoro diventa solido, sia dal suo punto critico. E' inoltre opportuno utilizzare un rapporto di compressione non troppo elevato e una pressione inferiore non troppo bassa (per evitare operazioni sotto vuoto).

Quindi, nel caso in esame, per realizzare il notevole T (oltre 220 K), sarebbero necessari 5 o 6 cicli in serie, che dovrebbero essere operati con fluidi diversi, sempre più volatili al diminuire della temperatura. I candidati potrebbero essere: ammoniaca (Teb = 34°C), etilene (104°C), metano (162°C), azoto (196°C), idrogeno (253°C), elio (269°C). Questi cicli dovrebbero utilizzare compressori operanti a bassa temperatura, e risulterebbero di dimensioni molto diverse, perché il H molare di evaporazione (HV) diminuisce al diminuire di Teb.

Infatti, in base alla regola di Trouton (verificata con buona approssimazione da fluidi non polari), il rapporto HV/Teb vale circa 21 cal mole1 K1, valore che rappresenta, all'incirca, la differenza di entropia tra il vapore saturo a 1 atm e il relativo liquido saturo. Ad esempio, si passa

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28. Liquefazione dell'aria: parte I, pag 2

dal HV = 1.34 kcal mole1 per l'azoto a HV = 24 cal mole1 per l'elio. La differenza è meno marcata ma sussiste anche in termini di cal g1.

In conclusione, la liquefazione dell'aria deve essere realizzata con cicli termodinamici di concezione diversa, che utilizzano la espansione irreversibile (laminazione isoentalpica) oppure reversibile (isoentropica) di gas non ideali.

2. ESPANSIONI IRREVERSIBILE E REVERSIBILESe un fluido viene fatto espandere in condizioni adiabatiche (Q = 0) e senza scambi di

lavoro con il mondo esterno (L = 0), la entalpia finale è uguale alla entalpia iniziale (se si trascurano le energie esterne). Per un gas ideale, la condizione H = cost garantisce la isotermicità del processo. Per gas non ideali, la presenza di forze tra le molecole determina una dipendenza della entalpia anche dalla pressione, e quindi la espansione irreversibile produce una variazione di temperatura. Ad esempio, in presenza di forze attrattive si compie un lavoro interno per allontanare le molecole, e quindi una espansione adiabatica produce una diminuzione di temperatura.

La variazione di temperatura generata da una espansione irreversibile è misurata dal coefficiente di espansione isoentalpica (o di Joule-Thomson):

H = (T/P)H (28.2.1)

il cui andamento in funzione delle variabili operative si può ricavare dal diagramma P-T (figura 1), nel quale sono riportate alcune curve isoentalpiche. In particolare si osserva un campo di H positivo e un campo di H negativo, separati da una curva di inversione dell'effetto Joule - Thomson, e una notevole variabilità di H all'interno della zona di interesse tecnologico (H > 0).

La legge di dipendenza di

partire dalla relazione (cfr appendice):

dH = cp dT + [V T (V/T)p] dP (28.2.2)

in cui (V/T)p è il coefficiente di dilatazione a pressione costante. Imponendo la condizione di isoentalpicità (dH = 0), risulta:

H = [T (V/T)p V]/cp (28.2.3)

Per un gas ideale, per il quale V = RT/P, si ricava: (V/T)p = R/P e quindi: H = 0. Per un gas reale risulta invece V = zRT/P, e il coefficiente di dilatazione vale:

(V/T)p = (R/P) [z + T (z/T)p] (28.2.4)

Sostituendo nella (28.2.3) si ricava:

Figura 1. Diagramma T-P per l'aria.

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28. Liquefazione dell'aria: parte I, pag 3

H = (RT2/cp P) (z/T)p (28.2.5)

Il valore di H dipende dunque dalla variazione di z con T, a pressione costante, e non direttamente dall'essere z < 1 (forze attrattive tra le molecole) o z > 1 (forze repulsive). Dal diagramma z-P-T (figura 2) si osserva che a pres-sioni ridotte PR basse o moderate risulta (z/T)p

> 0 e quindi H è mag-giore di zero, mentre il comportamento opposto si osserva ad alta PR e bassa temperatura ridotta.

Per la produzione

di freddo, una espansione reversibile è più efficiente di una espansione irreversibile, perché il lavoro esterno si somma al lavoro interno compiuto contro le forze tra le molecole. Il coefficiente di espansione isoentropico viene definito in analogia con H come:

S = (T/P)S (28.2.6)

mentre dalle equazioni riportate nella appendice si ricava la relazione:

S = (T/cp)(V/T)p (28.2.7)

Per un gas ideale, risulta S = V/cp > 0. Poiché è inoltre:

S = H + V/cp (28.2.8)

risulta in ogni caso S > H, mentre la differenza tra i due coefficienti è minima a bassa temperatura, quando il volume molare è piccolo. La differenza S H si valuta in modo semplice dal diagramma T-S, che riporta sia le curve isoentalpiche che le isoentropiche.

La (28.2.3) e la (28.2.7) possono essere esplicitate utilizzando una equazione di stato, quale l'equazione viriale:

z = 1 + B(T)/V + C(T)/V2 + .... (28.2.9)

o la equazione di van der Waals (nelle due forme equivalenti):

(V b)(P + a/V2) = RT z = V/(V b) a/RTV (28.2.10)

Figura 2. Diagramma genera-lizzato z-P-T. (da: G. M. Barrow, Physical Chemistry, McGraw Hill, 1961).

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28. Liquefazione dell'aria: parte I, pag 4

o le numerose equazioni da questa derivate, come la Redlich-Kwong:

(V b)[P + aT0.5/(V2 + bV)] = RT z = V/(V b) a/[RT1.5(V + b)] (28.2.11)

In effetti, si ottengono forme analitiche molto complesse oppure soluzioni in forma numerica, che sono di uso pratico solo se si dispone di valutazioni sperimentali dei valori e della dipendenza dalla temperatura dei parametri (coefficienti viriali: B, C, etc, oppure covolume, b e parametro di attrazione, a).

3. CICLO LINDEAnche se si considera l'impianto per la liquefazione dell'aria come una scatola nera, si

osserva che, per produrre aria liquida (condizioni L) a partire da aria in condizioni ambiente (condizioni 1), è necessario estrarre energia perché risulta HL < H1.

Il modo più conveniente di ottenere questo risultato consiste nel realizzare una compressione isoterma, cioè nel riportare l'aria compressa alla temperatura iniziale con uno scambiatore ad acqua (figura 3). Infatti, a tempe-ratura costante, l'entalpia dell'aria compressa (fino a pressioni di circa 400 atm), è minore dell'entalpia dell'aria a pressione atmosferica, come si può osservare dal diagramma H-T.

Non è conveniente comprimere a pressioni maggiori, poiché l'effetto Joule-Thomson si inverte (H < 0). D'altra parte, poiché H assume valori notevolmente inferiori ad 1 K atm1, è impossibile ottenere aria liquida laminando aria nelle condizioni 2. E' quindi necessario un pre-raffreddamento dell'aria compressa che si può ottenere recuperando il freddo in uno SC (figura 3) attraverso il riciclo della frazione di aria non liquefatta.

Il ciclo Linde (anno 1895) utilizza questi due criteri (estrazione di energia a temperatura ambiente e recupero termico). Le condizioni di funzionamento (figure 4 e 5) si possono determinare con i seguenti vincoli: (a) sono assegnate le condizioni iniziali e quelle di fine compressione; (b) il serbatoio produce aria liquida satura e vapore saturo; (c) lo scambiatore SC è ideale, cioè consente un recupero totale. Pertanto il T alla estremità calda è nullo, cioè: T5 = T2 = T1, e quindi H5 = H1.

In queste ipotesi, l'equazione di bilancio di materia viene utilizzata per definire la frazione f di aria liquefatta, mentre il bilancio di energia sulla sezione a valle dei compressori fornisce:

f = (H1 H2)/(H1 H4L) (28.3.1)

Se H5 = H1, questa equazione non si modifica se l'aria a bassa pressione uscente dallo scambiatore non viene scaricata ma riciclata al compressore.

Figura 3. Ciclo Linde (schema).

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28. Liquefazione dell'aria: parte I, pag 5

Figura 4. Ciclo Linde nel piano T-S.

Figura 5. Ciclo Linde nel piano H-T.

Un valore indicativo di f si ricava supponendo di alimentare aria a pressione atmosferica a T1 = 300 K e di comprimere fino a 220 atm. In questo caso risulta H1 = 129, H2 = 120 e H4L = 25 [kcal kg1], e quindi f = 0.087. Il numeratore della (28.3.1) rappresenta la energia sottratta nella compressione isoterma (Q L = 9 kcal kg1) mentre il denominatore rappresenta la differenza di entalpia tra aria alimentata e aria prodotta.

La frazione di aria liquefatta diminuisce se si opera a pressione minore e/o se si rimuove la ipotesi c), cioè se introduce uno SC reale (a T finito). In questo caso, la (28.3.1) si scrive:

f = (H1 H H2)/(H1 H H4L) (28.3.2)

in cui H è il "freddo non recuperato", pari a H = H1 H5. Evidentemente, la entalpia della corrente in uscita, H5, può variare tra H1 e H2, e, corrispondentemente, f varia (in modo non lineare) tra 0.087 e zero. La frazione di aria liquefatta risulta minore del valore ideale anche se si considera uno SC non adiabatico: in questo caso, il flusso termico esterno q compare infatti con il segno meno al numeratore della (28.3.2).

La frazione f non è una misura di efficienza né in senso termodinamico né in senso economico, perché non contiene informazioni sul valore dell'aria prodotta o sui costi di produzione.

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28. Liquefazione dell'aria: parte I, pag 6

E' quindi innanzitutto necessario calcolare il lavoro di compressione. Il valore minimo si ottiene ipotizzando compressione isoterma. Con la espressione valida per gas ideali, si ottiene, per kg di aria che circola al compressore (questa base di calcolo è assunta in tutti i calcoli seguenti):

L = (R T1/PM) Ln(P2/P1) (28.3.3)

Con PM = 28.8 g mole1, risulta L = 111.6 kcal kg1. Un indice di prestazione immediatamente legato ai costi di esercizio del ciclo è il consumo

specifico di energia, pari a C = L/f. Nel caso in esame risulta C = 111.6/.087 = 1.283 Mcal per kg di aria liquida prodotta, che corrisponde a 5.37 MJ, cioè 1.49 kWh per kg di aria liquida.

Altri indici di prestazione utilizzati sono il COP e il suo rapporto al COP del ciclo di Carnot equivalente (efficienza). L'utile termodinamico è rappresentato dalla energia sottratta nella unità di tempo, pari al prodotto W f (H1 HL), dove W è la portata di massa (kg s1). Più controversa è la definizione della spesa termodinamica: infatti, secondo alcuni Autori, accanto al lavoro L dovrebbe essere considerata anche l'energia Q sottratta nello SC di alta temperatura, il cui costo unitario è minore di quello del lavoro meccanico ma non trascurabile e crescente nel tempo, a causa dei sempre più rigorosi vincoli ambientali. Nella ipotesi più semplice risulta:

COP = f (H1 H4L)/L = 0.081 (28.3.4)

che corrisponde a una efficienza del 23% circa.Indici di prestazione molto peggiori corrispondono alla ipotesi di compressione adiabatica,

per la quale L = 266.3 kcal kg1. In effetti, un valore più realistico di L si ottiene considerando che la compressione da 1 a 220 atm si deve realizzare con più di uno stadio adiabatico, inserendo degli SC per riportare la temperatura al valore T1 prima di ciascuna compressione. Utilizzando ancora la espressione valida per gas ideali, risulta:

N k R T1 P2 (k 1)/(N k) L = 1 (28.3.5) (k 1) PM P1

Ad esempio, se si usano N = 4 stadi con un ugual rapporto di compressione (pressioni intermedie: 1, 3.85, 15, 57, 220 atm) e si pone uguale a 1.4 il rapporto k tra i calori specifici, si ottiene L = 135.2 kcal kg1, che riduce il COP a 0.067. L'uso di 4 stadi corrisponde a un rapporto P2/P1 = 3.85, e a un rapporto volumetrico pari a:

(V2/V1) = (P2/P1)1/k = 2.62 (28.3.6)

Applicando l'esponente (k 1)/k al rapporto P2/P1, si stima per la temperatura di fine compressione il valore 441 K = 168°C. Rapporti P2/P1 maggiori di 6 sono inusuali, per evitare un eccessivo aumento della temperatura del gas e della sua densità (che determina le velocità di efflusso).

E' lecito chiedersi se sia corretto calcolare L con le formule valide per gas ideali. La risposta può essere data per via grafica, se si dispone di un diagramma di stato esteso fino alla zona di interesse, oppure per via analitica. Infatti, se si dispone della equazione di stato, è possibile (anche se molto laborioso) calcolare la differenza di entalpia tra due punti di cui sono note le pressioni, ma non le temperature, che sono determinate dalla condizione di entropia costante. Una risposta approssimata si può dare osservando che, nel campo di variabili ridotte considerato (all'incirca PR <

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28. Liquefazione dell'aria: parte I, pag 7

5 e TR > 2) le massime deviazioni dell'entalpia rispetto al comportamento ideale (riportate come (H° H)/TC nei testi specializzati), sono dell'ordine di 2 kcal kmole1 K1, che, essendo la temperatura critica pari a 132.4 K, corrispondono a circa 10 kcal kg1. Pertanto, l'errore commesso con la ipotesi di idealità è dello stesso ordine di grandezza della incertezza derivante dalla definizione del numero di stadi della compressione.

La analisi del ciclo Linde può essere completata da un bilancio di energia sullo SC:

H2 H3 = (1 f) (H5 H4V) (28.3.7)

che, in condizioni adiabatiche, con recupero totale nello SC, e considerando che a 1 atm risulta H4V

= 75 kcal kg1, fornisce H3 = 70.7 kcal kg1, che corrisponde a T3 = 166 K = 107°C. Un recupero non totale nello SC (H5 < H1) comporta un aumento di H3 e quindi un ciclo

meno efficiente. Inoltre, se H5 < H1, la definizione utilizzata di COP deve essere modificata perché il ciclo sottrae anche la energia (1 f) (H1 H5) ad una temperatura T5 minore di T1. Per ottenere un COP correttamente confrontabile con una macchina di Carnot occorre sommare questo termine al numeratore della (28.3.4) e considerare che la macchina ideale corrispondente (che ha un COP notevolmente maggiore di 0.35) è costituita da due cicli inversi di Carnot in parallelo, il primo dei quali sottrae f (H1 H4V) a T4 = 78 K, mentre il secondo sottrae (1 f) (H1 H5) a T5. Tuttavia, se l'aria a T5 non viene utilizzata, un COP così definito è corretto da un punto di vista teorico, ma poco utile dal punto di vista pratico.

La pressione massima deve essere scelta in base ai risultati di una ottimazione che tenga conto anche dei costi di impianto. Tuttavia, il COP sopra determinato, che rappresenta il valore massimo teorico, consente un confronto di massima tra il ciclo Linde e il ciclo Rankine. Il primo è meno efficiente, ma è preferibile perché molto più semplice dal punto di vista impiantistico. D'altra parte, alcune semplici modifiche consentono di migliorare notevolmente il COP del ciclo Linde.

APPENDICE: DERIVAZIONE DEI COEFFICIENTI DI ESPANSIONELa equazione (28.2.2) che viene qui riscritta per comodità:

dH = cp dT + [V T (V/T)p] dP (28.A.1)

si può derivare nel modo seguente. L'entalpia, considerata come funzione di temperatura e pressione, ammette il differenziale esatto:

dH = (H/T)p dT + (H/P)T dP (28.A.2)

La derivata (H/T)p è, per definizione, il calore specifico a pressione costante cp. Per esplicitare la derivata (H/P)T, dal primo principio della Termodinamica per sistemi PVT chiusi:

dE = dQ P dV (28.A.3)

e dalle definizioni di entalpia (H = E + PV) e di entropia (dS = dQ/T), si ottiene per sostituzione la ben nota relazione:

dH = T dS + V dP (28.A.4)

Eliminando il termine dH tra la (28.A.4) e la (28.A.2), risulta:

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28. Liquefazione dell'aria: parte I, pag 8

dS = [(H/T)p/T] dT + [(H/P)T/T V/T] dP (28.A.5)

Questa espressione è del tipo: dS = fT dT + fp dP, per cui i due coefficienti rappresentano rispettivamente (S/T)p e (S/P)T. Utilizzando la indipendenza delle derivate seconde dall'ordine di derivazione, si uguaglia (fT/P)T a (fp/T)p. Con alcuni passaggi algebrici, si ottiene:

(H/P)T = V T (V/T)p (28.A.6)

che, sostituita nella (28.A.2) (insieme alla già nota: (H/T)p = cp), fornisce infine la (28.A.1). In modo analogo, per sostituzione nella (28.A.5) si ricava:

dS = (cp/T) dT (V/T)p dP (28.A.7)

da cui si ottiene facilmente la (28.2.7), imponendo dS = 0.