cappadoci
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PatristicaTRANSCRIPT
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Questione trinitaria:
da Nicea (325) a Costantinopoli (381).
1. Sviluppi dottrinali nei secoli III e IV
Tra la fine del III secolo e l‟inizio del IV, la dottrina del Logos appare dominante
in Egitto e ben rappresentata in area siropalestinese e in Asia Minore. La posizione di
Origene è ben nota. In funzione anti-monarchiana/modalista, lo scrittore alessandrino
caratterizza Padre Figlio (Logos) e Spirito Santo come tre ipostasi (hypostaseis), cioè tre
entità divine individuali sussistenti, disposte in ordine verticale, cioè digradante, di
perfezione: il Logos è subordinato al Padre, lo Spirito Santo al Logos. L‟unità di Dio
che Origene considera in relazione soltanto al Padre e al Figlio, si realizza su base
dinamica: il Padre e il Figlio sono due quanto all‟ipostasi ma una cosa sola (Gv 10,30)
quanto all‟armonia, alla volontà1.
Intorno al 320 il presbitero alessandrino Ario, antico discepolo di Luciano di
Antiochia, comincia a diffondere una sua interpretazione della dottrina delle tre ipostasi
di stampo fortemente subordinazionista: il Logos Figlio di Dio non solo è altro rispetto
a Dio Padre quanto all‟ipostasi, come recitava la formula delle tre ipostasi, ma è anche
estraneo, rispetto a lui, per natura e sostanza: creato direttamente da lui prima dei tempi
per presiedere alla creazione, interviene, per volere del Padre, per creare tutti gli esseri
che costituiscono l‟universo mondo. Questo radicale subordinazionismo, che accosta il
Figlio di Dio più alla creazione che a Dio Padre, è considerato inaccettabile da
Alessandro, il vescovo di Alessandria, e Ario viene condannato e costretto ad
allontanarsi dalla città. Ma trova appoggi fuori dell‟Egitto, e di fronte al dilatarsi del
contrasto, Costantino convoca a Nicea, in Asia Minore, un concilio (325), il primo
ecumenico perché vi convengono vescovi da tutto l‟Oriente, tra centocinquanta e
duecento; pochissimi, per altro, vengono dall‟Occidente. La presenza dell‟imperatore dà
al concilio il massimo di ufficialità, e le sue decisioni assumono autorità di legge. Gli
esponenti della dottrina del Logos sono la maggioranza, ma divisi tra i radicali, che sono
dalla parte di Ario, e i moderati, che appoggiano Alessandro. Quest‟ultimo pertanto, per
poter prevalere, fa fronte comune con i monarchiani presenti, tra cui emerge Eustazio di
Antiochia e Marcello di Ancira. Ario è condannato, deposto ed esiliato nell‟Illirico
insieme con pochissimi che gli sono fedeli fino all‟ultimo, mentre i suoi sostenitori più
influenti, Eusebio di Nicomedia ed Eusebio di Cesarea si uniformano alla volontà di
1 Origene, Contr. Cels. 8,12.
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Costantino, che per sanzionare la sconfitta di Ario impone la sottoscrizione di una for-
mula di fede, il simbolo, o credo, di Nicea. Nella stesura di questo testo i monarchiani,
decisivi ai fini dell‟esito del concilio, fanno valere la loro forza e impongono sia la
formulazione che il Figlio è homoousios (della stessa sostanza, consostanziale) col Pa-
dre, sia l‟identificazione di ousia con ipostasi. Ousia (essenza, sostanza) è termine di
significato ambiguo, perché può indicare sia una entità individuale (prima ousia) alla
pari di ipostasi – per esempio un singolo cavallo - sia un intero genere di individui
(seconda ousia) - per esempio, tutto il genere dei cavalli -. Lo stesso Dionigi di
Alessandria intende il termine homoousios in questo senso generico, ma nel simbolo
niceno l‟uguaglianza ousia/ipostasi impone di dare a homoousios significato
individuale: il Figlio partecipa della stessa ousia, cioè della stessa ipostasi, del Padre.
È una formulazione inaccettabile da parte degli assertori delle tre ipostasi trinitarie:
essi sono costretti a sottoscrivere la formula di fede perché questa è la volontà di
Costantino, ma le attribuiscono significato monarchiano. Perciò molti di loro sono
convinti che il prezzo che si è dovuto pagare per ottenere la condanna di Ario sia stato
troppo alto.
Costantino constata subito, forse anche per pressione di alcuni suoi familiari, che
il concilio si è spinto troppo oltre in senso antiariano, e alcune intemperanze di
vescovi, che si sono dimostrati particolarmente ostili nei confronti di Ario ed Eustazio,
lo confermano in questa convinzione. Si mostra pertanto favorevole a un rieqilibrio
della situazione politico-religiosa, che comporta una reazione in senso antiniceno. La
reazione, iniziata subito dopo la chiusura del concilio, si svolge, tra il 326 il 360, in tre
distinte fasi, tutte e tre determinate da mutamenti nella situazione politica, a conferma
del significato decisivo che la volontà del principe ha ormai assunto anche quanto a
decisioni di carattere dottrinale.
Nella prima fase, che si prolunga fino alla morte di Costantino (337), l'imperatore
non permette che si riapra il contenzioso dottrinale, ma non si oppone a che gli
esponenti antiniceni, capeggiati dai due Eusebio, estromettano, mediante una serie di
concili locali e sotto varie accuse, i principali avversari di Ario: insieme con molti altri
vengono deposti ed esiliati Eustazio di Antiochia (326), Atanasio di Alessandria
(335), che nel 327 è succeduto ad Alessandro, Marcello di Ancira (336). Quest‟ultimo
è condannato in quanto monarchiano radicale, contro gli altri vengono avanzate accuse
di carattere disciplinare. Ario stesso, a seguito della presentazione di una generica
formula di fede, è riammesso nella comunione ecclesiale (335), ma muore subito dopo.
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La morte di Costantino (337) dà inizio alla seconda fase della reazione antinicena.
Infatti, a conclusione di una serie di fatti sanguinosi che portano allo sterminio di quasi
tutti i familiari di Costantino, i due figli superstiti, Costante e Costanzo, si dividono tra
loro l‟Impero, che pure rimane giuridicamente e amministrativamente unitario: Co-
stanzo assume il governo dell‟Oriente, Costante dell‟Occidente. Questa nuova siste-
mazione politica consente ad Atanasio, Marcello e altri esuli - che, tornati dall‟esilio
alla morte di Costantino, sono stati nuovamente scacciati dalle loro sedi - di rifugiarsi in
Occidente, dato che l‟orientamento del vescovo di Roma, capace di condizionare
l‟atteggiamento di tutto l‟Occidente, è loro favorevole. In effetti, come abbiamo già
rilevato, la posizione dottrinale della Chiesa di Roma è ostile alla dottrina delle ipostasi,
ormai dominante in Oriente; dato quest‟orientamento di massima, non è difficile a
Marcello e ad Atanasio convincere il vescovo di Roma, Giulio, che i loro avversari sono
antiniceni in quanto ariani.
L‟assimilazione degli antiniceni ai veri e propri ariani appare piuttosto forzata,
dato che gran parte dei vescovi antiniceni è anche antiariana, e la visione distorta della
situazione orientale, di cui Marcello e Atanasio convincono papa Giulio, pesa in modo
decisivo su tutto il prosieguo degli eventi. Un concilio di vescovi occidentali, tenuto a
Roma (341), assolve Marcello e Atanasio dalle condanne inflitte loro in Oriente; ma i
vescovi orientali, riuniti ad Antiochia (341), respingono l‟accusa, mossa contro di loro,
di essere ariani, rifiutano di accettare l‟assoluzione di Marcello e Atanasio, e
propongono una formula di fede (seconda formula di Antiochia) irreprensibilmente
ortodossa, che condanna le principali proposizioni ariane, ma tace sull‟homoousios e
propone nuovamente una dottrina, di stampo origeniano, impostata sulla distinzione di
tre ipostasi trinitarie, unificate in un solo Dio dalla comune volontà e operazione.
Dato questo dissidio, per iniziativa dell‟imperatore Costante, si convoca un nuovo
concilio ecumenico (343) a Serdica (odierna Sofia, in Bulgaria), vicino al confine con
la parte orientale dell'Impero. Dato che gli occidentali considerano riabilitati Marcello e
Atanasio e li vogliono presenti ai lavori, mentre gli orientali sono contrari, non si trova
accordo per una riunione congiunta dei vescovi occidentali e orientali: questi ultimi si
allontanano subito, si fermano a Filippopoli, nella parte orientale, riaffermano la validità
della recente professione di fede antiochena, un po‟ ridotta di dimensioni, e condannano
i capiparte dell‟episcopato occidentale; dal canto loro gli occidentali si riuniscono a
Serdica da soli, condannano i capiparte orientali e pubblicano una lunga formula, in cui
professano la loro fede in una sola ousia e ipostasi del Padre e del Figlio. Per la prima
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volta, nel corso della storia, le cristianità d‟Oriente e d‟Occidente sono ufficialmente
divise l‟una dall‟altra dalla solenne condanna conciliare. Alcune aperture successive
degli orientali presso Giulio e Costante non sortiscono alcun risultato positivo. Co-
munque Costanzo nel 346, alla morte di Gregorio il Cappadoce (il vescovo filoariano
che è stato istallato con la forza ad Alessandria nel 339), autorizza Atanasio a rientrare
in sede. È un‟iniziativa del tutto personale, perché la condanna che il concilio di Tiro ha
inflitto ad Atanasio nel 335 non viene revocata: perciò la sua situazione permane
incerta. Tuttavia egli può rientrare ad Alessandria.
La terza fase ha inizio nel 350 quando, soppresso Costante da un pronunciamento
militare e sconfitto l‟usurpatore Magnenzio, Costanzo riunisce tutto l‟Impero nelle sue
mani, e subito pensa ad unificarlo anche sotto l‟aspetto religioso sulla base di una
formula compromissoria che escluda, da una parte il nicenismo, dall‟altra l‟arianesimo
radicale. In un primo momento egli solleva di nuovo la questione di Atanasio: lo fa
espellere da Alessandria e sostituire dall‟ariano Giorgio e nei concili di Arles (353),
Milano (355) e Béziers (356) costringe a sottoscriverne la condanna l‟episcopato
occidentale, riluttante ma non disposto a eroismi; pochi, che rifiutano, sono deposti ed
esiliati (Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari, Ilario di Poitiers); anche il vescovo di
Roma, Liberio, esiliato in Tracia, finisce per sottoscrivere. In un secondo momento,
tramite i vescovi filoariani Valente di Mursa (Osijek, Croazia) e Ursacio di Singidunum
(Belgrado), passa all‟aspetto dottrinale della questione, ma la formula che viene pub-
blicata a Sirmio (Szerém, Serbia) nel 357, pur non formalmente ariana, è di tono
talmente subordinazionista da sollevare opposizione in Oriente e Occidente.
In Oriente Basilio di Ancira e Giorgio di Laodicea presentano una nuova
formula compromissoria sul concetto di homoios kat’ousian (homoiousios, simile
secondo la sostanza, donde il nome di omeousiani con cui vengono designati i suoi
sostenitori), che sembra escludere insieme l‟arianesimo e il nicenismo. In un convulso
susseguirsi di veri e propri colpi di scena si giunge, per volere di Costanzo, a un nuovo
concilio ecumenico, diviso in due sedi, gli occidentali a Rimini, gli orientali a Seleucia,
detta l‟Aspra, in Isauria (Asia Minore). I concili si svolgono a Rimini, tra l‟estate e la
fine del 359, e a Seleucia, in autunno: le maggioranze, nicena a Rimini e omeousiana a
Seleucia, sono costrette, per diretta azione di Cosanzo, a sottoscrivere una formula di
fede, sanzionata dall‟immediatamente successivo concilio di Costantinopoli (360), che
definisce Cristo Figlio di Dio homoíos, simile al Padre secondo le Scritture. La formula
è sufficientemente generica per poter essere interpretata in ogni senso, ma di fatto è
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recepita come di tendenza filoariana. Perciò, quando di lì a poco (362) Costanzo muore
e l‟Impero passa nelle mani del cugino Giuliano - che, pagano qual è, si disinteressa
della questione - le parti sconfitte tornano ad alzare la testa.
In Occidente il quadro politico-religioso si semplifica, almeno in parte. Siamo
infatti in presenza di una cospicua maggioranza nicena e di una consistente minoranza
ariana, forte soprattutto nell‟Illirico e in Pannonia, sì che la politica di neutralità,
inaugurata dall‟imperatore Valentiniano favorisce di fatto i niceni. Sotto la guida prima
di Ilario di Poitiers ed Eusebio di Vercelli, successivamente di Ambrogio di Milano e
di Damaso di Roma, gradualmente essi si impongono sulle posizioni ariane, che verso il
380 sono ridotte a poche città dell‟llirico.
In Oriente, invece, il panorama dottrinale appare più variegato: niceni,
omeousiani, sostenitori dell‟homoios sottoscritto a Rimini e Costantiopoli (omei), ariani
radicali. Nel concilio d’Alessandria del 362 Atanasio rilancia l‟homoousios niceno, che
Melezio di Antiochia, già di simpatie omee, accetta interpretandolo come homoios
kat'ousian, mentre gli ariani radicali, sotto la guida di Eunomio, prendono le distanze
dagli omei. Inoltre, estesosi il dibattito dottrinale anche allo Spirito Santo, la diversità di
opinioni fraziona ancora di più il quadro dottrinale. Di fronte a questa confusa
situazione l‟imperatore Valente, cui il fratello Valentiniano ha affidato la parte orientale
dell‟impero, consigliato dal vescovo di Costantinopoli, Eudossio, un omeo di evidenti
simpatie ariane, riprende la politica centrista di Costanzo, ma con modesto successo.
Soltanto nel 370, quando Basilio diventa vescovo di Cesarea di Cappadocia, la
crisi si avvia a soluzione anche in Oriente. Infatti Basilio svolge una capillare azione
politica tesa a riunire in un fronte unitario gli antiariani di ascendenza omeousiana e
omea sulla base di una formula dottrinale, anch‟essa compromissoria, ma di forte
spessore dottrinale: Padre Figlio e Spirito Santo sono tre quanto all‟ipostasi (persona)
ma un solo Dio quanto alla ousia (sostanza, essenza, natura). Eliminato ogni residuo
subordinazionista, le tre ipostasi sono collocate su un perfetto piano di uguaglianza
quanto a sostanza potenza dignità. Questa formulazione, poiché interpreta l’homoousios
niceno dando a ousia significato non individuale ma generico e perciò distinguendo
l‟ousia unica di Dio dalle tre ipostasi individuali (neonicenismo), era molto lontana dal
nicenismo tradizionale, fondato sull‟assimilazione di ousia a ipostasi, per cui afferma
una sola ousia e una sola ipostasi della Trinità (veteronicenismo): la formula basiliana
dunque emargina, oltre agli ariani radicali, in senso opposto anche i niceni tradizio-
nalisti.
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Basilio muore nel 379, prima di veder coronata la sua opera, ma, succeduto
Teodosio a Valente, ucciso dai Goti nella battaglia di Adrianopoli, il concilio di Co-
stantinopoli del 381, da lui voluto e approvato, sanziona il successo dell‟azione politica
e dottrinale di Basilio: viene infatti riconfermata la validità del simbolo niceno del 325,
che professa il Figlio homoousios col Padre, integrato da una parte finale riguardante lo
Spirito Santo, e l‟homoousios è interpretato in base alla formula «una ousia, tre
ipostasi». Questa formulazione s‟impone anche in Occidente (una natura divina in tre
persone), dove il concilio di Aquileia (381) liquida le ultime reliquie dell‟arianesimo
nell‟Illirico. Resta in piedi un contenzioso di carattere politico, alimentato soprattutto
dallo scisma di Antiochia, e l‟arianesimo, che il goto cristiano Wulfila diffonde tra i
Goti e altre popolazioni barbariche, tra non molto ritornerà vitale in Occidente, ma l‟a-
spetto dottrinale della vicenda non sarà più modificato, e il dogma trinitario è
definitivamente sanzionato dalla formula basiliana.
2. L’elaborazione dottrinale di Basilio e degli altri Cappadoci
Nel 362, Atanasio, appena rientrato dal suo terzo esilio, convoca ad Alessandria
un sinodo importante, al quale prendono parte circa 20 vescovi, in maggioranza
egiziani. Le decisioni adottate dal concilio ci sono note grazie al Tomus ad Antiochenos,
una lettera sinodale, indirizzata dai padri sinodali ad Eusebio, Lucifero, Asterio,
Cimazio e Anatolio. Il testo autorizza l‟utilizzo in ambito trinitario di formule differenti:
una ipostasi o tre ipostasi. Il termine “ipostasi” è qui inteso sia nel senso di
sostanza/ousia sia come sinonimo di realtà sostanziale individuale. Nel primo caso si
può parlare di una sola ipostasi in Dio; nel secondo, invece, di tre ipostasi. E, in tale
accezione, il termine consustanziale sarebbe compatibile sia con l‟affermazione di una
sola ipostasi, sia con quella di tre ipostasi in Dio.
Atanasio, da parte sua, rimane fedele alla definizione di una sola ipostasi. Basilio
di Cesarea e gli altri Cappadoci operano invece una distinzione tra ipostasi e ousia, che
consente di giungere alla formulazione: una ousia e tre ipostasi (non prima del 375).
2.1. L’evoluzione dottrinale di Basilio
Basilio manifesta inizialmente una doppia reticenza, sia verso il consustanziale sia
verso la formula delle tre ipostasi. In effetti, nella lettera 361, databile al 359 o al 360-
362, manifesta forti perplessità circa l‟uso del termine consustanziale, al quale egli,
sulla base dell‟espressione «lumen de lumine» contenuta nel simbolo niceno, preferisce
la formula «simile secondo la sostanza ()», rivelando così la sua
appartenenza allo schieramento omeusiano. Egli avverte l‟insufficienza
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dell‟affermazione dell‟unità sostanziale, sospetta di sabellianismo, e sente l‟esigenza di
contemperarla con quella del «totalmente simile secondo la sostanza»2.
Nel Contro Eunomio, la sua prima opera dottrinale composta nel 363-364, egli
utilizza il termine «consustanziale» solo 5 volte e, di queste, solo una in ambito
trinitario. Nella lettera 52, scritta dopo il 370, egli si mostra ancora prudente, ma più
favorevole nei confronti del termine distintivo di Nicea. Ciò significa che nel frattempo
egli si è progressivamente convinto della necessità di difendere la natura divina del
Figlio e, pur invitando a usare con cautela il termine consustanziale, lo approva e ne
giustifica l‟utilizzo in campo teologico, onde evitare il pericolo del triteismo o del
modalismo. A tal proposito, egli mostra di aver maturato la convinzione che la retta fede
poggia sua due capisaldi indisgiungibili: il consustanziale e la dottrina delle tre ipostasi.
Per evitare da un lato il pericolo del sabellianismo, dall‟altro quella
dell‟anomeismo, il vescovo di Cesarea si fa interprete di una posizione che include le
due formule e propone una una nuova sintesi: «tre ipostasi consustanziali nell’unità
della divinità». In Oriente, il termine “ipostasi” non viene subito recepito come
sinonimo di “persona” (), perché per i greci „persona‟ fa riferimento alla
rappresentazione scenica o letteraria, e, quindi, alla maschera del personaggio teatrale.
Per i latini, invece, lo stesso termine è molto più pregnante, avendo assunto significato
giuridico, per cui comprendono le tre ipostasi come sinonimo di tre sussistenze.
Basilio, nella lettera 70, composta all‟inizio dell‟episcopato, nell‟estate del 371, si
mostra pienamente convinto della necessità di difendere la formulazione delle tre
ipostasi per equilibrare il consustanziale, dal momento che gli occidentali, e papa
Damaso in particolare, hanno inteso il termine ipostasi come sinonimo di sub-stantia e
non di sub-sistentia. In risposta a questa posizione unilaterale, egli ribadisce con
fermezza la necessità di confessare la dottrina delle tre ipostasi accanto alla
affermazione dell‟unità di sostanza in Dio3. Ma egli è altresì convinto che confessare le
tre ipostasi non sia sufficiente per arginare la deriva sabellianista, per cui nella lettera
214, databile al 376, egli intuisce la soluzione del problema, stabilendo che il rapporto
che sussiste tra sostanza e ipostasi è il medesimo che intercorre tra comune e
particolare. Ipostasi definisce ciò che è proprio della paternità, della filiazione e della
santificazione. Da questo punto di vista, le ipostasi del Padre e del Figlio sono
interpretate come «relazioni». Egli postula così il concetto delle tre persone sussistenti.
2 Lett. 9,3 (Yves Courtonne, Saint Basile, Lettres, t. I-III, Paris 1957,1961,1966; d‟ora in poi, Courtonne, I,39).
3 Cf. Lett. 210, 3-5 (Courtonne, II,192-196).
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In tal modo, egli giunge a identificare l‟identità di sostanza con il consustanziale,
e a sottolineare, al tempo stesso, la distinzione delle persone.
Nella lettera sinodale redatta da Amfilochio d’Iconio, dopo il sinodo tenuto in
questa città nell‟autunno del 377, si precisa che la retta fede si basa sia sulla dottrina
delle tre ipostasi sia sull‟affermazione dell‟unità di natura divina. In tale documento, per
la prima volta vengono espressamente equiparati i termini “ipostasi” e “persona”.
Infine, nella lettera 236, scritta nel 376, il Presule spiega all‟amico Amfilochio
che la differenza che intercorre tra sostanza/ousia e ipostasi è la stessa che sussiste tra il
comune e il particolare. Da ciò deriva che c‟è una sola sostanza nella divinità, ma tre
ipostasi che indicano le proprietà di ciascuna persona: paternità, filiazione e
santificazione. Unità e distinzione delle persone, aventi ciascuna delle proprietà
particolari, sono ormai chiaramente definite.
2.2. La formula di Basilio: «mia ousia - treis hypostaseis
()».
Basilio propone, dunque, una netta distinzione fra e . La sua
formula mia ousia - treis hypostaseis) si imporrà in
Oriente come soddisfacente soluzione del problema trinitario e sarà recepita al concilio
di Costantinopoli (381).
Il Vescovo cappadoce distingue in ambito trinitario fra una ousia divina, che è
comune al Padre e al Figlio, e le note individuanti che diversificano il Padre e il Figlio
in maniera da essere ciascuna una persona. Basilio afferma: «Ousia sta in rapporto a
hypostasis come il comune al particolare». La Lettera 38, che riflette la dottrina trinitaria dei
Cappadoci (sia di Gregorio di Nissa sia di Basilio), contiene i termini della questione.
In questo testo, interpretando il pensiero di Basilio, il Nisseno approfondisce in
senso filosofico il significato dei termini: spiega in senso aristotelico il come
genere e l' (o ) come individuo o segno individuante ().
Quando si dice «uomo» si indica ciò che è comune; quando si dice «un certo uomo» si
fa riferimento a un individuo particolare con i suoi tratti distintivi sia dal punto di vista
fisico sia dal punto di vista del carattere; si designa cioè quella specifica persona, unica
e irripetibile4. Si vanno così precisando i concetti basilari:
Ousia (esprime l‟elemento comune (), il sostrato
(), l'essenza e l'unità sostanziale in Dio; rappresenta quindi l'essere
4 Cf. Gregorio di Naz., Ep. 38,3
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sostanziale che il Figlio e lo Spirito Santo possiedono in comune con il Padre, indicando
ciò che v'è di comune tra loro: divinità, natura, sostanza.
Hypostasis () indica invece nella Trinità ciò ch‟è proprio, individuale,
specifico, quindi l‟esistenza distinta del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la loro
particolare maniera di esistere, e corrisponde al concetto latino di persona.
Nella Trinità c‟è quindi un‟ousia (=sostanza, natura divina) articolata in tre
ipostasi distinte (=persone).
Più articolata è la riflessione di Gregorio Nazianzeno, il quale, nella sua
formulazione trinitaria, cerca di conciliare la posizione occidentale dell‟essenza una con
quella orientale delle tre ipostasi/persone:
«Quando io dico: Dio, venite inondati dal bagliore di una sola luce e di tre luci: tre
per ciò che concerne i caratteri propri () oppure le ipostasi - se così si vogliono
chiamare -, o le persone () (non disputiamo sui termini, visto che le sillabe ci
conducono al medesimo pensiero); una sola luce, per quel che si riferisce alla sostanza o
alla divinità. Infatti vi è qui divisione indivisa, per così dire, e congiunzione senza
separazione. Una è la divinità nei Tre (), e i Tre sono Uno
(): essi nei quali è la divinità, o, per esprimermi più chiaramente, essi che sono
la divinità»5.
Così concepita, la formula: una essenza divina in tre ipostasi, equidistante sia dal
divisionismo degli ariani (tre ipostasi e tre ousie della divinità digradanti ed eterogenee
tra loro) sia dall‟unitarismo dei monarchiani (una sola sostanza e una sola ipostasi della
Trinità)6, finirà per imporsi in Oriente come formula ortodossa.
2.2. Le proprietà delle singole persone divine. La formulazione dottrinale di Gregorio Nazianzeno e del Nisseno.
I Cappadoci hanno approfondito la dottrina delle tre ipostasi sotto il profilo della
Trinità immanente, e non semplicemente economica, intendendo con questo termine le
manifestazioni delle tre esistenze/persone divine nell‟opera creatrice, salvatrice e
santificatrice.
La riflessione è, iniziata da Basilio è portata avanti da Gregorio di Nazianzo e da
Gregorio di Nissa.
5 Gregorio di Nazianzo, Disc. 39, 11 (SC 358,170-173).
6 La formula risente dell‟influsso stoico e ricalca la terminologia trinitaria di Apollinare di Laodicea.
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Nell‟opera Contro Eunomio, Basilio afferma chiaramente che «il generato e
l‟ingenerato» non sono sostanze, ma «sono proprietà distintive
() considerate nella sostanza che guidano verso la nozione
chiara e distinta del Padre e del Figlio»1. Quindi, chiarisce che cosa intende per
proprietà:
«Le proprietà infatti, come se fossero caratteristiche e forme considerate nella
sostanza, distinguono ciò che è comune grazie alle caratteristiche particolari, ma non
scindono l‟uguaglianza di natura della sostanza. Ad esempio, è comune la divinità, ma sono
proprietà la paternità e la filiazione»7.
Per proprietà si dovrebbe intendere la bontà, la giustizia, la santità; ma l‟autore
include anche la paternità e la filiazione, identificando di fatto il termine con il concetto
di relazione. Ne consegue che le ipostasi divine si distinguono unicamente per le loro
proprietà relative.
In continuità col pensiero di Basilio, il Nazianzeno individua il distintivo ()
delle tre persone divine nella innascibilità () nella generazione () e
nella processione / invio/emissione8.
«Non essere generato (), essere generato () e
procedere (), caratterizzano il Padre, il Figlio e Colui che viene chiamato lo
Spirito santo, in modo da salvare la distinzione delle tre ipostasi nell'unica natura e maestà
della divinità. Il Figlio non è il Padre, poiché non vi è che un unico Padre, ma è ciò che è il
Padre. Lo Spirito santo, pur procedendo da Dio, non è il Figlio, poiché non vi è che un
unico Figlio, ma è ciò che è il Figlio. I Tre sono uno () per quanto concerne la divinità e
l'uno è tre () in personalità (). Evitiamo così l'unità di Sabellio e la
triplicità dell'odiosa eresia attuale» (l‟arianesimo)9.
L‟innascibilità è una caratteristica di per sé negativa, distinta dalla paternità, che è,
invece, positiva. E tuttavia questa nozione non manca di affascinare, poiché esprime la
concretezza ipostatica di Colui cui spetta il primato nell‟ambito della Trinità e che
appare, pertanto, come il principio senza principio, la fonte di tutto ciò che esiste,
comprese le due ipostasi divine che sono Dio da Dio, l‟una per generazione e l‟altra per
processione.
7 Cf. C. Eunom. 2,28 (CSh 305,118; trad. di D. Ciarlo, Eunomio, Apologia. Basilio di Cesarea. Contro
Eunomio [Collana di testi patristici, 192], Città Nuova, Roma 2007,288.
8 Gregorio di Nazianzo, Disc. 25,16 (SCh 284,198): «La proprietà di essere ingenerato (agennesía) è propria al
Padre: quella di essere generato (génnesis), al Figlio; quella di essere inviato (ékpemphsis), allo Spirito
Santo». Il termine processione, intraducibile quando è applicato al soggetto (próodos), è fondamentale nell
suo impianto dottrinale: «Come [comprendere] il non-generato (tò agénneton), il generato (tò gennetòn) e
colui che procede (tò proïón), una natura, tre proprietà (persone), unico Dio (che é) al di sopra di tutti,
(agisce) per mezzo di tutti ed (é) in tutti» (Disc. 26,19: SCh 284,270).
9 Greg. Naz.. Disc. 31 (Disc. teol. V), 9 (SCh 250,292).
11
In tale prospettiva, lo stesso Gregorio di Nazianzo, prendendo posizione nei
confronti dei diversi schieramenti dottrinali (omoousiani, omeusiani e filoariani), allora
presenti all‟interno della Chiesa, chiarisce la dottrina della tripersonalità del Dio unico
(Padre Figlio e Spirito Santo), attestata dalla fede e dalla prassi battesimale10, e precisa
infatti che i Tre (), pur essendo distinti quanto alle ipostasi (
), sono uno (= una cosa sola) per natura.
«E, in effetti, essi sono uno () non quanto all‟ipostasi (), ma
quanto alla divinità ()»11.
Conseguentemente nelle relazioni trinitarie unità e distinzione si armonizzano.
«L‟Unità è adorata nella Trinità () e la Trinità è ricapitolata
nell‟Unità ()»12.
Caratteri distintivi delle tre Persone divine sono considerati rispettivamente: la
non generazione (, la generazione (e la processione
().
Infatti, «il Padre è padre, e senza inizio (): infatti non proviene da alcuno
(). Il Figlio è Figlio, e non è privo di inizio (): infatti,
proviene dal Padre (). Se, però, tu intendi l‟origine come temporale
(), allora Egli è privo di inizio (), perché è Lui che ha
creato il tempo e non è sottomesso al tempo. Lo Spirito Santo è veramente () lo
Spirito che proviene () dal Padre, ma non come il Figlio: infatti, non proviene per
generazione (), ma per processione (), se mi è consentito introdurre
termini nuovi per esigenze di chiarezza. Il Padre non cessa di essere ingenerato
() per il fatto che ha generato (), né il Figlio cessa di
essere generato (), perché deriva dall‟ingenerato () –
come potrebbe, infatti? -, e lo Spirito Santo non si trasforma nel Padre o nel Figlio, per il
solo fatto che procede () e per il fatto che è Dio (), anche se questi empi
non lo accettano»13.
Conseguentemente, l‟uso delle preposizioni, applicate dalla Scrittura alle tre
Persone divine, risulta intercambiabile, per cui il diverso rapporto di origine del Figlio e
dello Spirito Santo non compromette l‟unità divina e l‟identità delle singole Persone,
che si caratterizzano per le loro proprietà individuali (): il Padre è senza
inizio (); il Figlio, che ha origine da Lui () per generazione
10 Gregorio riprende il metodo, seguito da Basilio nel trattato De Spiritu Sancto.
11 Or. 6,22 (SCh 405,174-177).
12 Ibid.
13 Or. 39,12 (SCh 358,172s).
12
(), non è privo di inizio (); e lo Spirito Santo deriva dal Padre per
processione ().
Quindi, Gregorio di Nazianzo, superando le reticenze di Basilio, definisce Dio e
homoousios anche lo Spirito Santo. Nell‟ambito delle relazioni divine lo Spirito è in
psizione mediana () tra l‟ingenerato e il generato e, in quanto intermediario, è
partecipe dei due, cioé del Padre e del Figlio; collocato a mezzo fra i due, non è
dissimile da loro, anzi è, come loro, consustanziale. Si giunge così ad una formulazione
sufficientemente chiara del mistero trinitario: uguaglianza e unità di Dio in tre persone.
Con tale formulazione dottrinale i Cappadoci hanno gettato le basi del mistero
trinitario: tre persone - una sola essenza, recuperando e armonizzando la tradizione
origeniana delle tre ipostasi e la tendenza unitaria di Atanasio. La loro interpretazione
riconosce esplicitamente la tensione unità-trinità di Dio propria della fede battesimale.
2.3. Le relazioni di origene: il modo di ricevere l’ousia tramite la generazione (Figlio) e la processione (Spirito Santo).
Occorre inoltre precisare che, secondo i Cappadoci, le ipostasi (esistenze
triadiche), corrispondenti alla paternità, alla filiazione e alla santificazione, si
caratterizzano come distinti modi di esistere (). Il Nazianzeno
afferma in proposito:
«Il nome di Padre non definisce la sostanza, o sapientissimi, né l‟attività, ma una
relazione (), cioé il modo in cui il Padre è in rapporto con il Figlio o il Figlio con il
Padre»14.
Il nome „Padre‟, dunque, non indica la sostanza (ousia) e neppure l‟azione
(), ma la relazione (), che si stabilisce tra le persone divine15. Si
formula così un concetto per certi versi assimilabile alle relazioni sussistenti (vedi, S.
Tommaso), concepite però in maniera dinamica. Analogamente il Figlio e lo Spirito
santo si distinguono per la loro relazione di origine, cioé per il loro modo di ricevere
l‟: il Figlio nasce dal Padre senza mediazione alcuna attraverso la generazione;
invece lo Spirito Santo procede dal Padre per la mediazione del Figlio. Ma queste
esistenze triadiche sono un solo Dio, perché partecipi della stessa essenza/natura divina.
«Come infatti il Figlio è secondo al Padre per ordine, poiché viene da lui, e per
dignità, perché è principio e causa del fatto che quegli gli è Padre e perché tramite il Figlio
si accede e ci si accosta a Dio Padre (cf. Ef 2,18), ma non è secondo per natura, perché in
entrambi una sola è la divinità, è così evidentemente anche per lo Spirito Santo: se sottostà
14 Gregorio di Naz., Disc. 29,16 (SCh 250,210).
15 Storicamente la dottrina delle relazioni è stata introdotta per la prima volta da Gregorio Nazianzeno.
13
al Figlio per ordine [148] e dignità – per acconsentire anche su questo – non sarà più
verosimilmente di una natura estranea»16.
Nel Discorso 31, dedicato allo Spirito Santo, il Nazianzeno precisa il concetto di
processione (=invio, emissione, spirazione).
«Tu mi chiedi: cos'è dunque la processione ()? Dimmi tu cos'è
l‟innascibilità () del Padre, e io ti spiegherò, in termini di natura, cos‟è la
generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo. Così entrambi usciremo di
senno, volendo curiosare nei misteri di Dio»17.
Infine, il Nisseno precisa che lo Spirito Santo procede dal Padre «attraverso il
Figlio - ». Conseguentemente, la terza persona deriva principalmente al
Padre come dalla sua «causa», ma attraverso la mediazione del Figlio, col quale rimane
in costante relazione.
L‟articolazione trinitaria, che include la distinzione delle persone, suppone, in
ogni caso, l‟esistenza di un principio primordiale, da cui le singole ipostasi traggono
origene:
Il Padre ingenerato è l‟ipostasi primordiale, l‟unica , la fonte di tutto, colui
che possiede «principalmente» la divinità.
«C‟è infatti una potenza () che sussiste senza generazione () e
senza principio (), che è causa della causa di tutti quanti gli esseri. Infatti dal Padre
viene il Figlio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, e con il quale sempre viene
concepito come inseparabilmente associato (
da:ideare,essere pensato insieme) lo Spirito Santo»; quindi,
aggiunge: «E Dio poi, che è al di sopra di tutti, è il solo ad avere un tratto distintivo per così
dire straordinario della propria ipostasi, essere Padre e sussitere () senza
provenire da nessuna causa ()…»18.
Emerge qui il personalismo teologico dei Padri greci, che considerano il Padre
come l‟ primordiale, il centro unificatore del mistero trinitario19.
Il Figlio e lo Spirito Santo invece partecipano della natura divina in modo
«derivato», attraverso la generazione e la processione, in quanto traggono origine dal
principio primo della divinità: il Padre. «Per questo l‟Oriente si è [sempre] opposto alla
16 Basilio, C. Enom. 3,1 (SCh 305,146-149; trad. Ciarlo,305).
17 Gregorio Naz., Disc. 31,8 (SCh 250,290). Il testo sottolinea la portata del termine che assume
qui significato tecnico, parallelo a (generazione) per il Figlio.
18 Basilio, Ep. 38,4 (Forlin Patrucco I,182-185).
19 Cf. E. Bailleux, Le personalisme trinitarie des Pères grecs, in «Mélanges de science religieuse» 1 (1970) 3-
25.
14
formula Filioque, che pareva infirmare la monarchia del Padre»20. Conseguentemente
tutto ciò che il Figlio opera, lo fa in quanto lo riceve dal Padre.
La preoccupazione di affermare l‟unità divina (monade) è condivisa anche da
Gregorio Nazianzeno:
«Si salvaguardi dunque, come dissi, un solo Dio e si faccia risalire il Figlio e lo
Spirito santo a una sola causa prima () senza fonderli insieme né confonderli,
conformemente a quello che io chiamerei l'unità e l'identità di movimento e di volontà della
divinità, e l‟identità dell'essenza. Si salvaguardino inoltre le tre ipostasi, senza scorgervi né
fusione né separazione né confusione, in modo da evitare che tutto venga distrutto da coloro
che esaltano l'unità più di quanto sia conveniente. Si salvaguardino inoltre le proprietà
individuali (): quelle del Padre, condiderato e definito (al tempo stesso) senza
principio e principio (principio, in quanto causa, sorgente e luce eterna); quelle del Figlio,
che non è assolutamente senza principio, ma è invece principio di tutte le cose...
Il Padre è dunque senza principio (): il suo essere non dipende da alcuna
cosa né all'esterno né al suo interno. Ma, amettendo che il Padre sia la sua causa, il Figlio
non è senza principio, poiché, in quanto causa, il Padre è principio () del Figlio. E se
d'altro canto tu intenti il principio come qualcosa che dipende dal tempo, allora anch'egli (il
Figlio) è senza principio, poiché il Signore del tempo non ha inizio dal tempo»21.
Le relazioni di origine delle tre persone divine rispecchiano chiaramente un ordine
gerarchico: al vertice si colloca il Padre, causa e origine di tutto, arché anche del Figlio.
2.4. Synousia e mutue relazioni in ambito trinitario
Gli stessi Padri cappadoci definiscono quindi, non senza esitazione, le mutue
relazioni tra le persone divine: la loro inter-relazione e cooperazione all’opera della
salvezza.
Già Atanasio aveva sottolineato l‟unità della Trinità, affermando il perfetto
accordo delle persone divine in ordine alle operazioni salvifiche e, quindi, l‟unità
dell‟energia divina.
«[…] la Trinità è santa e perfetta, riconosciuta Dio nel Padre, nel Figlio e nello
Spirito Santo. Essa non è mescolata con nulla di estraneo o di estrinseco; non consta di
Creatore e realtà prodotta, ma tutta intera crea e produce. È identica in se stessa, indivisibile
nella natura, unica nella sua operazione. Il Padre infatti opera ogni cosa per mezzo del
Verbo nello Spirito santo, e così è mantenuta l‟unità della Santa Trinità»22.
20 V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1985, p. 53.
21 Gregorio Naz., Disc. 20,7 (SC 270,70-73).
22 Atanasio, Ep. Serap. 1,28,2 (PG 26,596 A; trad. it., Atanasio, Lettere a Serapione. Lo Spirito Santo, a cura di
E. Cattaneo [Collana di testi patristici, 55], Città Nuova, Roma 1986,94).
15
Lo stesso concetto è ripreso e approfondito da Gregorio Nazianzeno con
l‟immagine dei tre soli uguali che diffondono una sola luce («dalla luce che è il Padre
comprendendo la luce che è il Figlio nella luce dello Spirito Santo»)23 e con l‟immagine dell’«unico
Dio che nei suoi tre splendori fa muovere il mondo»24.
Possiamo dire che il Padre il Figlio e lo Spirito Santo condividono la synousia,
cioé l’essere comune, la stessa natura/essenza divina. I Padri cappadoci cercano in tal
modo di spiegare, anche se in maniera non ancora del tutto soddisfacente, l‟unità e
l‟uguaglianza divina all‟interno della Trinità.
Da ultimo, in conformità con la tradizione origeniana e atanasiana, gli stessi Padri
sono concordi nell‟attribuire le funzioni ad extra, ossia l’opera creatrice, salvatrice e
santificatrice, a tutte e tre le persone divine; in tal modo riconoscono che un‟unico
volere e un‟unica (attività - operazione) guidano le persone divine. A questo
proposito, le distinzioni sono minime: Basilio distingue una causa originaria (Padre),
una causa creatrice (Figlio) e una causa perfezionatrice (Spirito santo); analogamente il
Nazianzeno qualifica le tre persone divine rispettivamente come causa () di tutto
(il Padre), artefice e creatore (: il Figlio), e perfezionatore (: lo
Spirito santo); infine, Gregorio di Nissa spiega che ogni iniziativa divina parte dal
Padre, è progettata per mezzo del Figlio e si compie nello Spirito Santo. Ne consegue
che il Padre compie l‟opera creatrice attraverso la mediazione del Figlio e quella
santificatrice per mezzo dello Spirito Santo. Per la stessa ragione, al Verbo divino va
attribuita la nostra adozione a figli; allo Spirito Paraclito la nostra divinizzazione. Ma
questa specificità non impedisce che la grazia proceda dal Padre per mezzo del Figlio
nello Spirito Santo.
Per concludere, possiamo riassumere la formulazione trinitaria dei Cappadoci con
le parole del Nazianzeno:
«Per noi ortodossi c'è un solo Dio e una sola divinità e quelli che derivano dall'Uno
ritornano a Lui, anche se noi crediamo nei Tre»25.
Dall‟impostazione trinitaria dei Padri cappadoci emerge un dato certo: «Nella
tradizione della Chiesa d‟Oriente non vi è posto per una teologia e, ancor meno, per una
mistica dell‟essenza divina. Per la spiritualità orientale il fine ultimo, la beatitudine del
Regno celeste non è la visione dell'essenza, ma soprattutto la partecipazione alla vita
23 Gregorio di Nazianzo, Disc. 31,3 (SCh 250,278-280; trad. it. di Moreschini, I cinque discorsi... p., 162).
24 Gregorio di Naz., Carmen I.I.III, vv. 41ss (PG 37,411).
25 Gregorio di Naz., Disc. 22,14 (SCh 270,302).
16
divina della Santa Trinità»26. Pertanto, partendo dalla rivelazione del Dio-Trinità,
l‟interesse principale dei Padri orientali, da Basilio a S. Giovanni Damasceno, sarà volto
principalmente a ricercare le vie dell‟incontro e della comunione col Dio vivente nella
sua luce increata.
26 Lossky, La teologia mistica, 59.