hanging in time

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IDENTITA’ CONTEMPORANEA

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Hanging in time: fotografie di Alessandra Baldoni, Silvia Noferi e Francesco Minucci. Durante la mostra, sarà presentato il marchio JesùLaFrench di Michele Moricci.

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Page 1: HANGING IN TIME

IDENTITA’ CONTEMPORANEA

Page 2: HANGING IN TIME

Hanging in TimePromossa e organizzata da:Associazione Culturale Heyart

Cura del CatalogoAssociazione Cuturale Heyart

Artisti: Alessandra BaldoniFrancesco MinucciSilvia NoferiMichele Moricci

Page 3: HANGING IN TIME

InformazioniLe misure delle opere sono espresse in centimetri e vanno intese altezza per base. Sotto le schede delle singole opere è indicata la cifra in euro relativa al valore dell’opera.La cifra in euro indica il prezzo di ciascun oggetto stabilito dal proprietario e pertanto NON deve essere intesa come stima, quotazione o valutazione commerciale e soprattutto NON riflette in alcun caso un’attribuzione di valori economici o artististi dell’ Associazione. Le opere sono suddivise per artista, in ordine alfabetico, e numerate.Per ulteriori informazioni relative alle opere, non presenti sul catalogo, è possibile contattare l’Associazione via email a [email protected] o telefonicamente ai seguenti recapiti:

Francesca 389 4751911

Page 4: HANGING IN TIME

Alessandra Baldoni“Le cose che vedi”

C’è un fotogramma, un pezzo di cinema che è entrato nell’archivio immaginifico delle ultime generazioni: è quella bambina dal cappotto rosso, così chiaramente stagliata, addirittura ritagliata, su una pellicola dalle tonalità dei grigi (nei colori ma anche nei contenuti) che in “Schindler’s List” è diventata emblema dell’infanzia rubata, perché dipinta di violenza e ingiustizia.Il simbolo, quando riconoscibile, diventa icona di valori assoluti che vale più del linguaggio scritto o parlato.Quando simbolo, linguaggio e immagine s’incontrano il racconto si fa mezzo unico e ineguagliabile per narrare storie che da personali diventano universali.Una bambina di spalle con un cappotto rosso e un uovo ai piedi su uno sfondo che è mare cielo e terra insieme, compongono un’immagine forte sia per contenuti che per impatto visivo: gli scatti di Alessandra Baldoni sono calamite che attraggono e respingono per loro fisica natura.C’è Cappuccetto rosso e il bosco, c’è Alice con i sogni racchiusi nella teiera del Cappellaio matto, c’è Biancaneve e la sua mela che è amore e morte insieme. Che siano eroine di fiabe dell’infanzia o donne infinitamente sole di fronte a spazi incontaminati, i soggetti sono composti dall’artista in inquadrature di inusitata bellezza.Gli attori sono personaggi consapevoli - non c’è finzione, compostezza semmai - in equilibrio tra solenne staticità corporea e sentita vibrazione emotiva.Il loro essere così enigmatico, per certi versi perverso, acquista la dolcezza di un animo irrequieto, sensibile e attento celato in quelle righe che come pagine di un diario accompagnano l’intimo viaggio dell’occhio della fotografa. I set di questo perturbante immaginario visivo sono campiture di una natura selvaggia e familiare: boschi, mare, prati, foglie secche in autunno, cieli contrastati, da pittura romantica.

Page 5: HANGING IN TIME

La cifra stilistica è la saturazione cromatica, a mettere in luce gli opposti (rosso-verde, luce-ombra, vita-morte, realtà-sogno) e la linea di demarcazione dell’orizzonte visivo. I soggetti sono così fortemente decontestualizzati da apparire in tutto il loro inquietante realismo: gli sguardi, quando non fuggono in pose di spalle, catturano l’attenzione di tutta l’estensione dell’inquadratura. Seppure non pensata per fini puramente ritrattistici, la forza dei loro occhi è riconducibile all’iperrealismo, per certi versi brutale, del grandangolo di Diane Arbus che, come poi il neorealismo cinematografico italiano, coglieva nei volti di persone comuni la cruda realtà. Ma Baldoni ha l’animo e lo spirito ben saldi nel suo tempo e non sono solo i contrasti digitali a ricordarlo, bensì quel senso di solitudine e irrequietezza, che nel XXI secolo prende corpo in forme di alto valore estetico. Le sue “messe in scena” più che tableux vivant ottocenteschi sembrano frammenti di uno story board di fine millennio, ovvero quadri di sapiente formalismo e disinvoltura visiva dove i dettagli, l’equilibrio e la compostezza dell’immagine non sono lasciati al caso; eppure anche quando l’ordine compositivo è estremo non si sfocia mai nel mero godimento estetico.Queste sceneggiature sono l’azione statica di una personale esperienza che Alessandra Baldoni vuole trasmettere e spiegare per garantirne universalità di senso.Siamo di fronte ad attori di sceneggiature incompiute che cercano qui la loro collocazione come pirandelliani soggetti di un teatro dell’assurdo.Ma non solo. C’è la natura, dai colori forti e i contrasti netti, su cui la figura umana si muove, solitaria, sempre pervasa da un senso di inquietudine e malessere.Immobili fanciulle vibrano su paesaggi di un’eco sublime (la quiete è solo apparente) con cieli minacciosi e drammatici o guardano con sfrontatezza l’osservatore. I lavori di Alessandra Baldoni sono il frutto di una ricerca che è spinta da una innata e recondita necessità di fermare l’attimo – “scelto” tra milioni di altri attimi - e di renderlo eterno con la sua “impressione”.

Page 6: HANGING IN TIME

La sua è un’emergenza più che un bisogno: la fotografia è, come lei stessa racconta in un’intervista, “il mezzo per immortalare il mondo, per raccontarlo e raccontarsi” come tutti i momenti che compongono le vite personali, laboratori di storie in continua evoluzione.È sempre il racconto l’oggetto e il fine di queste istantanee: scatole cinesi che sono contenitori e contenuto insieme nell’atto di svelare infiniti e differenti “s-punti di vista”.

Luca Beatrice

Page 7: HANGING IN TIME

1. “Impastami questa paura con il pane”50 x 60 cm dibond vetro cornice (bianca)

Euro 1300

Page 8: HANGING IN TIME

2. “Fino a te”50 x 60 cm dibond vetro cornice (bianca)

Euro 1300

Page 9: HANGING IN TIME

3. “Ti vedo mia negli occhi fessure dei sogni”50 x 60 cm dibond vetro cornice (bianca)

Euro 1300

Page 10: HANGING IN TIME

Francesco Micucci“Play”

“…Sono un clown e faccio collezione di attimi…” In straordinaria sintesi, Henri Schnier - ammaccato pagliaccio idealista di “Opinioni di un clown” (Heinrich Böll) - svela se stes-so: vertebre della sua esistenza sono gli istanti di vita dei per-sonaggi cui dà voce e corpo, le loro emozioni, contraddizioni, gioie e sofferenze, i loro tormenti d’a-more, le vanità e le presunzioni. Con le proprie creature, sa e deve identificarsi totalmente: con mae-stria, prepara ogni suo travestimento, impegnandosi in esercizi ginnici e facciali, deformando conti-nuamente il proprio volto e le proprie espressioni di fronte allo specchio, sino quasi a non riconoscer-si più e sentendo d’improvviso l’urgenza di correre a cercarsi nel viso della donna amata (nel riflesso delle sue pupille!), per ritrovarsi e riprendere coscienza di sé. E se la donna amata un giorno se ne va, lasciandolo solo, lui gli esercizi allo specchio non li può più fare, perché rischia di perdersi fra le sue tante maschere, naufragando nella malinconia di un universo svuotato di senso. O di troppo amaro senso pervaso… Un bravo clown, ilare e giocoso nell’accostarsi al pubblico, finisce immancabilmente per rivelare la propria natura di funambolo, in bilico costante fra la divertita e dissacrante frantumazio-ne di credo e certezze ed il baratro disperato del disincanto, l’oblio dei valori, la feroce tentazione del nichilismo. Un’allegria critica e pensosa - la sua, che, trovando magnifica espressione nell’ironia e nel gioco, riesce a coinvolgere lo spettatore in sorrisi e facezie, per poi condurlo ad un attento e commosso ascolto delle note più stridenti dell’esistenza. Al gioco, quale straordinaria opportunità di travestimento e critica, Francesco Minucci ha voluto dedicare gli scatti fotografici di PLAY. Negli scatti di Francesco (che, per formazione, è anche costumista e scenografo), dettagli ed elementi - a differenza di quanto può avvenire per toni e contrasti, da lui perfezionati come in camera oscura - non sono risultato di intervento digitale, bensì frutto di una ri-cerca molto accurata: i suoi allestimenti sono puntuali e scrupolosi, nulla viene lasciato al caso, se non quando il caso stesso si trova a dare un prezioso contributo alla visione.

Page 11: HANGING IN TIME

Racconta compiaciuto l’artista come lo scatto di BUM BUM STORY, al fine di creare un’ effetto guerra, fosse stato predisposto utilizzando fumogeni da stadio, che però, solo all’ultimo momento, il vento ha portato nella direzione della macchina fotografica, conferendo all’immagine un impatto visivo di particolare intensità; il soggetto è un bambino, figlio di amici di Minucci: parenti e conoscenti sono attori ricorrenti delle fotografie da lui scattate nella sua Grosseto e in provincia. Francesco ha voluto ritrarlo in tenuta militare: gli abiti gli stanno grandi, la guerra gli è scomoda e non è affatto adatta ad un bambino, che, per predisporsi ad essa, ha dovuto abbandonare a terra i propri giocattoli. Ciò nonostante, il bimbo rimane fermo e compito, conscio della responsabilità che gli è stata attribuita e dignitosissimo nel raffronto con il gigantesco manichino soldato a lui affiancato per contrasto, che, scelto dapprincipio per raffigurare emblematicamente la scarsa consapevolezza di quegli adulti che la guerra la scelgono, attualmente campeggia in casa di Minucci, appassionato collezionista di oggetti di modernariato, spesso immortalati nei suoi scatti. Il tema dell’infanzia, spogliata delle sue tradizionali connotazioni di gioiosità e spensieratezza e - piuttosto - vittima della distonia del mondo adulto e della sua violenza, è assai caro a Francesco, che lo riprende con lucida amarezza in in WHERE IS LUCILLA?, ritratto brutale della fiducia tradita e dell’innocenza violata: una bambola-bambina, in inquadratura frontale, teneramente indaffarata nel proprio gioco, è del tutto ignara dello sguardo gettato su di lei da un maniaco pedofilo, che, con testa d’orso mozzata fra le mani, la osserva, meditando piani scellerati. Lucilla è assolutamente inconsape-vole del pericolo: la sua ingenuità infantile non le permette di comprendere il rischio che corre. A far da scudo ad un crimine che potrebbe essere fatalmente messo in atto, un folto bosco di betulle, piante tradizionalmente associate a connotazioni di purezza, femminilità ed eleganza - sia in poesia, che in letteratura - amatissime in Russia, amiche e protettrici nel folklore e nelle fiabe, annunciatrici d’amo-re nei versi di Sergej Esenin, rasserenanti compagne per Pasternak, che, nella loro ombra serena e suggestiva, tanto amava scrivere e alla cui ombra ora giace, nel piccolo e frondoso cimitero di Pere-delkino; piante dalle giocose fronde, nelle rime indimenticabili di Robert Frost (When I see birches bend to

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left and right, across the lines of straighter darker trees, I like to think some boy’s been swin-ging them…), che, nell’osservarle mentre si curvano dolcemente sospinte dal vento, amava immagi-nare che sui loro rami ci fosse un bimbo a dondolarsi. Queste stesse betulle potrebbero ora divenire testimoni di una fra le violenze più inconcepibili e bru-tali. Altrettanto ambiguo il personaggio di OVER THE RAINBOW, fotografia ispirata al Mago di Oz, splendido racconto di un luogo meraviglioso - oltre l’arcobaleno - in cui i sogni diventano realtà. Un uomo, immerso nell’acqua sino alle ginocchia - ben coperto da sciarpa, guanti e cappotto invernale - nasconde il viso dietro ad una coloratissima girandola: vi si cela per facezia oppure per nascondpoco limpidi intenti? L’acqua lo scioglierà - neutralizzandolo come la cattiva Strega dell’Ovest, che imprigiona la piccola Dorothy, protagonista del racconto – oppure rimarrà egli indisturbato in attesa del misterioso ospite, che il salvagente pare annunciare? Particolarmente interessanti i dettagli di que-sto allestimento scenico-fotografico: il cappotto è un Loden originale anni 40/50 (trovato dall’artista nell’armadio del padre) e la girandola è di vecchio stile; entrambi rimarcano l’interesse di Minucci per il modernariato.Un tempo a cui nostalgico vorrebbe poter tornare l’anziano personaggio di LITTLE BOY, che, in compagnia anch’egli soltanto di un orsacchiotto di pezza, si reca ad un parco divertimenti - a giostre chiuse - e lì rimane in trepidante attesa dell’apertura. Tornare bambino, dimenticando la stanchezza di una vita che volge solitaria al termine, i rimpianti e il dolore delle assenze, fors’anche la malattia…

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1. “Bum bum story”67 x 100 cmdibond in alluminio

Euro 1500

Page 14: HANGING IN TIME

2.”Where is Lucilla”67 x 100 cmdibond in alluminio

Euro 1500

Page 15: HANGING IN TIME

3.“Over the rainbow”35 x 50 cmdibond in alluminio

Euro 750

Page 16: HANGING IN TIME

4.“Little Boy”70 x 105 cmdibond in alluminio

Euro 1500

Page 17: HANGING IN TIME

Silvia Noferi“Hotel Reveriè”

Hôtel Rêverie è il racconto di un luogo di transito, vecchio hotel alla periferia del centro di Firenze con le sue stanze svuotate degli arredi e delle storie che vi hanno soggiornato. La bella antica tappezzeria scollata dal tempo che le cose cambia, il poco mobilio logorato dall’usura, il marmo con venature bianche di quello che sembra essere un vecchio camino, i pavimenti ricoperti da teli di plastica impolverati diventano sfondi ideali per creare delle narrazioni evocative. La Noferi in questo contesto inserisce personaggi che si trasformano in attori di nuove storie e contemporaneamente testimoni surreali di una memoria che svanisce, tema quest’ultimo caro a molti esponenti della fotografia toscana. La luce che penetra morbida dalle alte finestre diviene protagonista assoluta delle opere fotografiche di Silvia Noferi contribuendo a sottolineare un’atmosfera onirica e dolcemente teatrale. Una giovane donna fatica a portar via la sua valigia ma sembra quasi che non riuscirà mai a compiere l’azione, proprio come la donna in controluce seduta in bilico su una vecchia sedia ci dà la sensazione che rimarrà lì per sempre, sembrano tutti vittime o fautori di una sospensione temporale e, nel silenzio che regna nell’opera Hôtel Rêverie, par di ascoltare un verso del poeta Alfonso Gatto: ” Dormire in un racconto, laggiù in fondo allo specchio in quest’albergo vecchio da mettere sul conto della morte”

Page 18: HANGING IN TIME

1.“Hotel Reverie”60 x 60 cm cornice (bianca) e vetro

Euro1200

Page 19: HANGING IN TIME

2.“Hotel Reverie”60 x 60 cm cornice (bianca) e vetro

Euro1200

Page 20: HANGING IN TIME

3.“Hotel Reverie”60 x 60 cm cad.cornice (bianca) e vetro

Euro 2400

Page 21: HANGING IN TIME

4.“Hotel Reverie”60 x 60 cm cornice (bianca) e vetro

Euro1200

Page 22: HANGING IN TIME

Michele Moricci“JesuLaFrench”

JesuLaFrench è un progetto indipendente che nasce dalla necessità di esprimersi.Nato per gioco, è ancora un work-in-progress sperimentale che strizza l’occhio al mondo frivolo della moda, a quello iconografico della cultura Pop e all’universo glitterato della Queer Culture.Interamente progettato a mano e disegnato con computer-grafica, rappresenta un’alternativa limitata, di design e qualità ai numerosi Brand già esistenti. Ogni T-shirt è stampata digitalmente su Cotone100% del brand americano American Apparel. Un prodotto quasi artigianale pensato a Firenze, stampato a Prato e venduto in pochi negozi Italiani. Un progetto auto-finanziato che tenta di spostare l’attenzione sulla produzione Made in Italy piccola ma di qualità, limitata e non inflazionata. E magari, più avanti, One-Of-a-Kind.JesuLaFrench è attento ad un concept POP-olare, contemporaneo e usa&getta.Trasforma in menù gli oggetti desiderabili, impone una scelta tra le due Anna della moda e immagina le icone in tridimensione. Ammiccante e spensierato, JesuLaFrench nasce prima come un’esclamazione e poi, come una linea di t-shirt contemporanee

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T - schirt JesuLaFrench!Cotone 100% del brand americano American ApparelTaglie XS, S, M, L.

50 Euro cad.

Per visionare altri modelli:www.jesulafrench.com