incontro settembre 2010

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Per una Chiesa Viva www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 8 – Settembre 2010 Nell’Esortazione apostolica diretta alla Chiesa dopo il Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia celebrato in Vaticano dal 2 al 23 ottobre 2005 Papa Benedetto XVI ha solennemente affermato che l’Eucaristia è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa”. In obbedienza al comando del suo Signo- re, infatti,e col mandato confidato da Gesù agli apostoli di celebrare nella storia il suo “memoriale” la Chiesa fa nell’Eucarestia “memoria” di Gesù e verifica, attualizzando in ogni tempo ed in ogni luogo,la promessa di Ge- sù:”Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del Mondo”. Gesù di Nazaret, Figlio di Dio e Salva- tore degli uomini, il Signore Crocifisso e Risorto, viene in Persona a stare e vivere con noi uomini, suoi fratelli; si fa nostro cibo per fondersi concreta- mente con noi, e, se Lo accogliamo e ci nutriamo di Lui aprendogli comple- tamente il cuore, Egli ci unisce a Sé trasformandoci totalmente in Lui che vive in noi. Chi accoglie Gesù che nella celebrazio- ne dell’Eucaristia viene tra noi e si rende presente sotto il segno del Pane e del Vino, avverte in sé,momento per momento, la luce sempre più grande della sua Resurrezione, della sua presenza divina;avverte l’infinito che si espande dal suo cuore e può dire come Pao- lo:”Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. Paolo si è cibato, ha vissuto di Cristo, e Cristo ha risposto, lo ha trasformato, si è unito a Paolo,diventando una sola cosa con Lui. Ciascuno di noi in quanto battezzato e discepolo di Cristo è chiamato nella sua esperienza terrena a vivere, a risplendere di questa unione divina che viene miste- riosamente alimentata dalla fede e comu- nione eucaristica. Il Sacramento del Cor- po e il Sangue di Cristo presente nell’Eucaristia è il segno di questa unione divina perché Gesù ha affermato:«Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me ed io in Lui». Pensate come ogni giorno Gesù Crocifis- so e Risorto è con noi, si mette nelle nostre mani quando celebriamo la divina Eucaristia e ci offre la Vita di Dio. Ma a quale condizione? Che Lo amiamo, gli apriamo le porte. Che lo chiamiamo a vivere nel nostro cuore, impegnandoci ad osservare la sua Parola di Vita,vivendo come Lui è vissuto. «Fate questo in memoria di me... ». Do- vremo allora vivere l’Eucarestia come segno dell’Amore di Dio per noi e come impegno di unione in Cristo. Solo così troveremo in noi Gesù, e in Lui,la guari- gione da ogni nostra infermità. Ciò che noi impariamo dall’Eucarestia è innanzitutto l’esperienza dell’amore co- me dono. La carità che noi vogliamo co- noscere e imparare a vivere non s’inventa, né si produce, ma si riceve. Dio, amore infinito, si unisce all’uomo attraverso il pane e il vino che Cristo trasforma nel suo Corpo ed il suo San- gue. Ci offre la sua Vita. Ma perché? Per- ché Dio vuole che siamo una sola cosa con Lui. Perché l'Amore non può che essere unione, fusione sublime, totale. Perché possiamo vivere in Dio e perché Dio possa vivere in noi. Se possederemo pienamente la carità di Dio sapremo anche donarla davvero agli altri. L’Eucarestia è davvero il luogo in cui il dono gratuito e liberante dell’amore di Dio si rende presente per noi. Perciò se l’amore è innanzitutto un dono, signifi- ca che esso non può essere un prodotto delle nostre capacità o una deduzione dei nostri concetti. Allora, come impa- rare ad amare? Si impara ad amare im- parando a dire grazie, lasciandosi ama- re, scoprendo il primato della nostra vita nella dimensione contemplativa dell’esistenza, cioè di questo perdurante abbandonarsi a Dio, in questo lasciarsi affascinare dall’altro, lasciarsi visitare da Lui perché il suo amore viva in noi. Nes- suno imparerà ad amare se prima non è stato amato. Non c’è invito più forte e più grande dell’amore che comincia ad amare e pre- dirsi nell’amore. S. Agostino diceva: Nulla maior est ad amorem invitatio quam prevenire amando”. Se la Chiesa nasce dall’Eucaristia, a stretto rigore di logica ne deriva anche che l’agire dei membri della Chiesa, lo stile di vita dei cristiani deve ispirarsi al Sacramento dell’Eucaristia celebrata. Continua a pagina 2 La Chiesa nasce dall’Eucaristia e vive dell’Eucaristia P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Incontro settembre 2010

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Page 1: Incontro settembre 2010

Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 8 – Settembre 2010

Nell’Esortazione apostolica diretta alla Chiesa dopo il Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia celebrato in Vaticano dal 2 al 23 ottobre 2005 Papa Benedetto XVI ha solennemente affermato che l’Eucaristia è “costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa”. In obbedienza al comando del suo Signo-re, infatti,e col mandato confidato da Gesù agli apostoli di celebrare nella storia il suo “memoriale” la Chiesa fa nell’Eucarestia “memoria” di Gesù e verifica, attualizzando in ogni tempo ed in ogni luogo,la promessa di Ge-sù:”Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del Mondo”. Gesù di Nazaret, Figlio di Dio e Salva-tore degli uomini, il Signore Crocifisso e Risorto, viene in Persona a stare e vivere con noi uomini, suoi fratelli; si fa nostro cibo per fondersi concreta-mente con noi, e, se Lo accogliamo e ci nutriamo di Lui aprendogli comple-tamente il cuore, Egli ci unisce a Sé trasformandoci totalmente in Lui che vive in noi. Chi accoglie Gesù che nella celebrazio-ne dell’Eucaristia viene tra noi e si rende presente sotto il segno del Pane e del Vino, avverte in sé,momento per momento, la luce sempre più grande della sua Resurrezione, della sua presenza divina;avverte l’infinito che si espande dal suo cuore e può dire come Pao-lo:”Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. Paolo si è cibato, ha vissuto di Cristo, e Cristo ha risposto, lo ha trasformato, si è unito a Paolo,diventando una sola cosa con Lui. Ciascuno di noi in quanto battezzato e discepolo di Cristo è chiamato nella sua

esperienza terrena a vivere, a risplendere di questa unione divina che viene miste-riosamente alimentata dalla fede e comu-nione eucaristica. Il Sacramento del Cor-po e il Sangue di Cristo presente nell’Eucaristia è il segno di questa unione divina perché Gesù ha affermato:«Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me ed io in Lui». Pensate come ogni giorno Gesù Crocifis-so e Risorto è con noi, si mette nelle nostre mani quando celebriamo la divina

Eucaristia e ci offre la Vita di Dio. Ma a quale condizione? Che Lo amiamo, gli apriamo le porte. Che lo chiamiamo a vivere nel nostro cuore, impegnandoci ad osservare la sua Parola di Vita,vivendo come Lui è vissuto. «Fate questo in memoria di me... ». Do-vremo allora vivere l’Eucarestia come segno dell’Amore di Dio per noi e come impegno di unione in Cristo. Solo così troveremo in noi Gesù, e in Lui,la guari-gione da ogni nostra infermità. Ciò che noi impariamo dall’Eucarestia è innanzitutto l’esperienza dell’amore co-

me dono. La carità che noi vogliamo co-noscere e imparare a vivere non s’inventa, né si produce, ma si riceve. Dio, amore infinito, si unisce all’uomo attraverso il pane e il vino che Cristo trasforma nel suo Corpo ed il suo San-gue. Ci offre la sua Vita. Ma perché? Per-ché Dio vuole che siamo una sola cosa con Lui. Perché l'Amore non può che essere unione, fusione sublime, totale. Perché possiamo vivere in Dio e perché Dio possa vivere in noi. Se possederemo

pienamente la carità di Dio sapremo anche donarla davvero agli altri. L’Eucarestia è davvero il luogo in cui il dono gratuito e liberante dell’amore di Dio si rende presente per noi. Perciò se l’amore è innanzitutto un dono, signifi-ca che esso non può essere un prodotto delle nostre capacità o una deduzione dei nostri concetti. Allora, come impa-rare ad amare? Si impara ad amare im-parando a dire grazie, lasciandosi ama-re, scoprendo il primato della nostra vita nella dimensione contemplativa dell’esistenza, cioè di questo perdurante abbandonarsi a Dio, in questo lasciarsi affascinare dall’altro, lasciarsi visitare da

Lui perché il suo amore viva in noi. Nes-suno imparerà ad amare se prima non è stato amato. Non c’è invito più forte e più grande dell’amore che comincia ad amare e pre-dirsi nell’amore. S. Agostino diceva: “Nulla maior est ad amorem invitatio quam prevenire amando”. Se la Chiesa nasce dall’Eucaristia, a stretto rigore di logica ne deriva anche che l’agire dei membri della Chiesa, lo stile di vita dei cristiani deve ispirarsi al Sacramento dell’Eucaristia celebrata. Continua a pagina 2

La Chiesa nasce dall’Eucaristia e vive dell’Eucaristia

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

Page 2: Incontro settembre 2010

PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Legato a Cristo per il Battesimo e mem-bro del suo Corpo,la Chiesa, di cui Cri-sto è il Capo, l’esperienza che il Battez-zato vive nell’incontro sacramentale con il Signore Gesù Crocifisso e Risorto nella celebrazione dell’Eucaristia deve necessariamente trasferirsi anche nel tessuto della sua esistenza quotidiana in forza anche del noto principio che la fede si esprime nelle opere dell’amore,ovvero in una condotta di vita rispondente alla fede professata. Lo affermava recentemente anche Papa Benedetto XVI nel discorso al Convegno diocesano di Roma: “L’Eucaristia celebrata ci impone e al tempo stesso ci rende capaci di diventare, a nostra volta, pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi. Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per por-tare loro l’amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude” (OR, 17 giugno 2010). Nell’assidua, consapevole e dignitosa partecipazione alla Santa Messa almeno domenicale noi dovremo valorizzare la ricchezza della Parola,dei segni e dei gesti che la Liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa compie, per rea-lizzare l’unità della fede con la vita, come ci ricorda il noto adagio: lex orandi, lex credendi, lex vivendi.

Don Giuseppe Imperato

«L'Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l'amo-re tra l'uomo e la donna, uniti in matri-monio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo».

Sacramentum Caritatis, numero 27

Intervento del card. Angelo Scola. Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Fino a quindici anni fa circa si parlava dell’eclissi di Dio, giungendo anche ad affermare che la sfera religiosa sarebbe del tutto sparita dalla società. Oggi, se si eccettuano taluni tentativi di elaborare un “nuovo ateismo”, giudicati dai critici come più stravaganti che oggettivamente pertinenti, siamo di fronte a una grossa sorpresa: Dio è tornato. Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Oggi la domanda cruciale non è più: “Esiste Dio?”, ma piuttosto: “Come aver notizia di Dio?” E quindi: “Come Dio si comunica a noi così che si possa narrare Dio, e comunicarlo in quanto Dio vivo all’uomo reale che vive nel mondo reale? Come nominare questo Dio perché l’uomo post-moderno - cioè ciascuno di noi - lo percepisca significativo e quindi conveniente?”. Nell’ottica occidentale, influenzata radi-calmente dal giudaismo e dal cristianesi-mo, Dio è Colui che viene nel mondo. Se viene nel mondo è distinto da esso, ma questo non esclude la possibilità che gli uomini lo colgano come familiare. Allora per parlare di Dio all’uomo post-moderno, «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso che viene nel mondo ad abilitare l’uomo a divenirgli familia-re» (Jungel). È necessario domandarsi prima se c’è una familiarità tra Dio e l’uomo e interrogar-si su di essa perché Dio possa essere vera-mente conosciuto. Un problema di sem-pre, è divenuto particolarmente acuto nella post-modernità che non è interessa-ta ai discorsi sui massimi sistemi, sulle mondovisioni, ma è sempre più presa dai problemi del vivere quotidiano. Per l’uomo di oggi la questione non è tanto se esiste Dio, ma se esiste cosa ha a che fare con me ogni giorno. Mi è fami-

liare? Ebbene la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare per-ché si è compromesso con la storia degli uomini è nel DNA della mentalità occi-dentale. Se le cose stanno così allora cerchiamo di scoprire come la presenza di Dio ci di-venta quotidianamente familiare, giun-gendo a colmare, in modo del tutto gra-tuito, il desiderio in senso pieno, scio-gliendo l’inquietudine di cui parlava A-gostino. In questo modo la parola desiderio ac-quista tutto il suo spessore, che non si lascia ridurre, come quasi sempre noi rischiamo di fare, a una pura aspirazione soggettiva, ma vive nella sua pienezza bipolare, come il tendere con tutte le nostre forze al reale, il cui orizzonte ulti-mo è l’infinito e propriamente parlando Dio stesso. La possibilità di aver notizia di Dio e di narrare di Lui sta nell’ascolto di quanto Egli ha voluto liberamente comunicarci. E conviene dire subito che la comunicazione gratuita e piena del Dio Invisibile ha un nome proprio, è una per-sona vivente: Gesù Cristo. In lui, morto e risorto, Dio ci viene incontro in quanto Dio. Per dire Dio occorre, quindi, ap-profondire la lingua della creatura che il Verbo incarnato ha voluto liberamente assumere. È necessario comprenderne, per così dire, la grammatica. Quella grammatica che è capace di narrarci il Divino. Così, non solo il cristiano sarà in grado di confessarlo come il suo Signore e Dio, ma ogni uomo, anche colui che si dice non credente, lo potrà riconoscere.

Da “www.donboscoland.it”

SEGUE DALLA PRIMA Come incontrare Cristo oggi?

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

«Era più teologa lei di noi teologi». Ma-dre Teresa di Calcutta nel ricordo di mons. Paulinus Costa, arcivescovo di Dhaka. «In questi giorni mi viene alla mente la sua determinazione ad aiutare il Bangladesh colpito dalle alluvioni nel 1992...». Quando ha incontrato Madre Te-resa di Calcutta? Ho avuto occasione di incontrare ripetu-tamente Madre Teresa. Molte volte in-sieme a tanti altri e qualche volta perso-nalmente. La prima occasione in cui in-contrai la Madre personalmente fu nel lontano 1979, da rettore del seminario maggiore di Dhaka, quando la invitai per una conferenza ai seminaristi. Fece un’enorme impressione su tutti noi. Tut-ti furono entusiasti della sua presenza e di quello che ci disse in quella circostan-za. La incontrai poi ancora nel 1987, in occasione di una visita a Calcutta, e suc-cessivamente a Tajgaon, una parrocchia di Dhaka, dove era venuta ad inaugurare una casa della congregazione. Anche in questa occasione, dove era presente tan-tissima la gente, ebbi la fortuna di poter-la incontrare a tu per tu per qualche mi-nuto. Nel 1992, quando il Paese era afflitto da una gravissima alluvione, Ma-dre Teresa riusci’ ad inviare un cargo di biscotti dall’India per la gente del Ban-gladesh. Lei stessa venne personalmente ad accompagnare il carico. Quando la Madre capì che il governo del Bangla-desh, al quale donava i biscotti per la gente, non era disponibile al trasporto del cargo dall’aeroporto alla parrocchia, disse chiaramente che avrebbe rimandato l’aereo in India! L’ufficiale governativo cambiò idea e mandò una autocarro per il trasporto… La incontrai infine nel 1994, quando fu invitata da parte del Lions Club a presenziare una cerimonia all’hotel Sonargaon di Dhaka. Quale è stata l’impressione che ha tratto da questi incontri? Fui colpito, in occasione della conferenza che tenne in seminario, dalla profondita’ teologica e spirituale delle sue parole. Pur essendo laureato in teologia, mi resi conto che Madre Teresa era piu’ teologa di me. Madre Teresa parlava sempre dell’amore di Dio e dell’amore per il

prossimo, soprattutto il piu’ povero. Ella, che era chiamata “Madre”, madre la era davvero, con tutte le fibre del suo essere. Appariva fragile e debole, ma aveva una forza eccezionale, come dimostro’ quando era addirittura pronta a rimandare il carico in India se il gover-no non avesse provveduto a trasportare il carico dall’aeroporto al punto di distri-buzione. Era anche una donna estrema-mente coraggiosa. In un’altra occasione, il governo del Bangladesh si rifiuto’ di concedere il visto di entrata alle sue suo-re. Colui che accompagno’ Madre Teresa dal ministro che rilasciava i visti, mi dis-se, dopo l’incontro, di aver ammirato il

coraggio e la forza di Madre Teresa. Quando il ministro disse a Madre Teresa di non aver bisogno di suore straniere in Bangladesh, ella replico’ che la sua con-gregazione aveva la sacrosanta autonomia di decidere chi dovesse lavorare e dove, aggiungendo che questo non era affare del governo! Alla fine il ministro conces-se i visti. Ovviamene la sua visita era stata preceduta da una serie di incontri con gli ufficiali governativi, ma l’incontro tra Madre Teresa e il ministro fu decisivo. Madre Teresa era anche mol-to umile. Una volta un uomo le sputo’ addosso: Teresa non ebbe nessuna rea-zione di risentimento e cio’ letteralmen-te disarmo’ colui che aveva voluto umi-liarla pubblicamente. Pensa che Madre Teresa sia santa? Senza voler ovviamente anticipare il giu-dizio della Chiesa, personalmente non ho il minimo dubbio al riguardo: Madre Teresa e’ una santa! In che senso Madre Teresa

era missionaria? Madre Teresa e’ venuta in Bangladesh come missionaria ed ha inviato le suore in India e in tutto il mondo come missio-narie della carita’ di Dio. Ella era capace di coinvolgere tutti – cristiani e non – nella sua opera a favore dei piu’ poveri. Cosa può dire circa la sua vita di pre-ghiera? La Madre partecipava quotidianamente e con molto trasporto all’Eucaristia. E’ attribuita a lei la frase che si trova ormai in qualsiasi sacrestia del Bangladesh rife-rita ai presbiteri “Oh sacerdote, celebra questa S. Messa come se fosse la tua pri-ma Messa, l’ultima tua Messa e la sola Messa che celebri”. Ricordo che quando fu chiamata dal Lions Club, arrivo’ con largo anticipo (anche se il costume vuole che l’invitato speciale arrivi con un certo ritardo!) e si mise tra la gente a pregare il rosario. Quando fu tempo, con molta semplicita’ sali’ sul palco e solo allora i presenti la riconobbero! Madre Teresa pregava continuamente il rosario e chie-deva benedizioni a presbiteri e vescovi. Aveva un grande amore per i sacerdoti, per la cui santificazione ella pregava e faceva pregare. Aveva un rapporto molto speciale con papa Giovanni Paolo II, il quale la rispettava e l’amava molto. Qual è il suo messaggio alle Chiese dell’Asia? Madre Teresa ha evangelizzato l’India e il mondo intero soprattutto attraverso l’azione. Ella e’ stata una grande missio-naria. La sola presenza delle sue suore e’ una forma di proclamazione del Vangelo. Spero e desidero che sia dichiarata santa presto e che le sue suore possano conti-nuare la sua missione di carità.

Da “www.donboscoland.it”

Madre Teresa diceva di sè Il mio segreto è Gesù

Il mio segreto è Gesù.

Il suo grande amore per noi, la preghie-ra, la meditazione, l’adorazione quotidia-

na di un’ora davanti all’Eucaristia, o i nostri voti religiosi. Il mio motto è que-sti:” Tutto per Gesù. Tutto a Gesù per

mezzo di Maria”.

Il centenario di Madre Teresa

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La superiora delle Missionarie della Ca-rità afferma: «Celebriamo il centenario della nascita della Madre condividendo la gioia di amare ed essere amati». Madre Teresa è nata 100 anni fa a Skopje (nell'attuale Macedonia) il 26 Agosto 1910. La sua vita e la sua opera continua ad essere fonte di ispirazione per grandi e piccoli, ricchi e poveri di tutti i ceti sociali, religioni e nazioni. Il suo messag-gio: "Dio ci ha creati per cose più gran-di, per amare ed essere amati", ci fa guardare oltre le lotte, la solitudine e le ingiustizie della nostra vita quotidiana. Siamo chiamati per qualcosa di infinita-mente più grande della ricchezza, del talento, della fama o dei piaceri passeg-geri. Siamo chiamati a guardare a Dio, il nostro Padre amorevole, e sapere che Lui ci ama con un amore incondizionato, tenero ed eterno; e noi siamo chiamati a condividere questo amore con coloro che ci stanno intorno a partire dalle no-stre famiglie. Nelle parole della Madre, "Sorridete a vicenda, trovate il tempo l’uno per l'altro nella vostra famiglia, non sappiamo mai quanto bene un sem-plice sorriso può fare." Nel nostro Shishu Bhavan (Casa per bambini) a Kolkata, abbiamo avuto una ragazza gravemente disabile che ha vissu-to fino a 39 anni di età. Il suo nome era Sundari, che significa bella. Ella possede-va nulla, e non poteva fare niente con il suo corpo completamente contorto, solo stare coricata a letto. Eppure c'era una cosa che lei faceva bene - poteva dare un gran sorriso che radiava gioia sul viso, comunicando così tutto l'amore che ave-

va nel suo cuore. Sapeva che era amata e curata, che era preziosa per molti, Sun-dari non era molto carina, ma era molto bella. Celebriamo il centenario della nascita della Madre condividendo la gioia di amare ed essere amati. Preghiamo per conoscere meglio l'amore di Dio per noi. Pieni dell’amore di Dio, diventeremo messaggeri del suo amore per chi ci sta attorno, facendo piccole cose con grande amore, dando un sorriso, una parola gentile e una mano d’aiuto. Queste e-mail, piccole cose fatte con grande amo-re "renderanno la nostra vita qualcosa di bello per Dio". Così il mondo che ci circonda si trasformerà perché "Un sor-riso genera sorrisi e l’amore genera amo-re." Dio vi benedica.

Da “www.motherteresa.org”

E’ NECESSARIO SUPERARE L’EMERGENZA EDUCATIVA

“L’emergenza educativa”, comincia adesso a preoccuparci , “per i proble-mi morali e sociali,… per la cultura dominante che presenta con insisten-za uno stile di vita fondato sulla legge del più forte e sul guadagno facile, per la necessità di avere tutto e subi-to”, e per le disarmonie tutte (alcolismo, bulli-smo, droga) che la società ci presenta, denota la crescente difficoltà a trasmet-tere alle nuove ge-nerazioni i valori fondamentali dell’esistenza ed un comportamento retto. In una simile realtà viene a man-care la “luce della verità” e si finisce per dubitare della bontà della vita. Oggi si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni, colmandoli di oggetti di consumo e di

LA SUA EREDITA’ “gratificazioni effimere”. Sia i genitori, sia gli insegnanti, sia i catechisti sono tentati di abdicare ai propri compiti educativi, senza comprendere più qua-le sia il loro ruolo, più ancora, la mis-sione a loro affidata. “ Noi siamo debi-tori nei confronti delle nuove genera-zioni, dei veri valori che danno fonda-mento alla vita!” Lo scopo essenziale dell’educazione è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza, per responsabilizzarla e stimolarla a dare il proprio contributo al bene comune. La domanda di un’educazione autentica viene ormai richiesta da più parti sia dai genitori spesso preoccupati ed angosciati per il futuro dei propri figli, sia dagli inse-gnanti che molto spesso vivono il de-grado delle loro scuole, e dalla società tutta che vede compromesse le mini-me regole di convivenza. In un simile contesto, alla Chiesa è richiesto un impegno ulteriore per educare oltre che alla vita, alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù, per cercare di tamponare la sfiducia e la spirale perversa che caratterizza la civiltà attuale. Non possiamo sottova-lutare le difficoltà che incontriamo come operatori pastorali, nel condur-re i fanciulli, gli adolescenti ed i giova-ni all’incontro con Gesù Cristo e a far nascere verso di Lui un rapporto du-

raturo e profon-do. A partire dalle conclusio-ni al Convegno Ecclesiale, la sfida per il futu-ro della Chiesa e della fede è proprio quella di avvicinare all’Amore del Padre ed a Cri-

sto le nuove generazioni che vivono in un mondo gran parte lontano da Dio. Più volte nei nostri incontri di formazione, un po’ avviliti per la si-tuazione, ci siamo detti , che il nostro lavoro pastorale non lo realizziamo

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PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

da soli, con le nostre forze;esso si realizza soltanto attraverso l’azione dello Spirito Santo. Per poter portare avanti il nostro lavoro pastorale è indispensabile la preghiera, l’Adorazione, coltivare il nostro rap-porto personale con Gesù. Ora più che mai c’è bisogno di persone che conoscono ed amano Gesù, e che testimoniano il suo Amore. Solo chi conosce ed ama Gesù, può testimo-niare ai fratelli e li può aiutare a rea-lizzare un rapporto con Lui. La scuo-la, poi,“orizzonte comune, al di là delle appartenenze religiose e delle opzioni ideologiche “ deve valorizza-re il compito educativo cercando di realizzare progetti educativi basati su una nuova pedagogia ed una nuova relazione tra docenti e ragazzi, per renderli più consapevoli della loro libertà in vista dell’identità personale e del progetto di vita da costruire e della loro dignità di persona. E’ evi-dente, senza ombra di dubbio, che nell’educazione e nella formazione delle nuove generazioni una missione propria e fondamentale ed una re-sponsabilità primaria competono alle famiglie. La vocazione dei genitori all’educazione dei figli, scaturisce dal dono ricevuto nel giorno del matri-monio e dalla responsabilità che essi hanno assunto nell’accogliere un do-no ulteriore : la vita di un figlio! E’ indispensabile che i genitori trasmet-tano ai propri figli l’Amore di Dio; Egli è Nostro Padre e racchiude in sé la tenerezza sia del padre che della madre, il nostro Padre Celeste , ha pensato a noi da sempre, ci ha voluto, ci ama ed è sempre pronto ad acco-glierci e consolarci. “L’Amore è il punto di partenza della vita”. I fi-gli,sull’esempio ed attraverso il com-portamento dei genitori che vivono l’amore reciproco e gratuito, il dialo-go e la tenerezza, scoprono la sor-gente della vita e la grandezza dell’Amore di Dio, diventando anch’essi capaci di avere rapporti a-morevoli basati sull’accoglienza,sul

dono e sulla gratuità e capaci di vive-re la loro vita, nell’onestà , nella giu-stizia, nella pace, facendo scelte giu-ste e ragionevoli. Gesù ci ha detto “ Io sono la vite, voi i tralci , chi rima-ne in me ed io in lui , fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”,( Gv 15,5) . Egli ci indica la santità di una vita fecondata dall’unione con Lui. La Sua Persona, grazie allo Spirito,diventa la regola vivente, interiore della nostra con-dotta. San Paolo, infatti nel capitolo 4 della Lettera ai Filippesi così lo testi-monia: “ Tutto posso in Colui che mi dà forza”. E’ urgente allora, superare questa fase delicata della sto-ria,rendendo consapevoli le giovani generazioni che solo Dio è la nostra forza, tutto il resto è fallace ed effimero. Facciamo nostre, le esortazioni del Santo Padre Benedet-to XVI, che in differenti momenti, più volte, ha incoraggiato gli organismi preposti all’educazione (famiglia,scuola, co-munità ecclesiali) ad un maggiore impegno per superare la crisi attua-le.Egli ha auspicato che l’opera dello Spirito Santo aiuti a non perdere la fiducia nei giovani, per andare loro incontro e per assicurare ad essi un futuro migliore .

Giulia Schiavo

EROS E’ A CASA VOSTRA

Ho conosciuto Eros non appena sono nato. Prima del linguaggio di Amore, è stata la mia lingua, insieme alle labbra, ad assaporarlo: ero il florido seno di mia madre, dal quale sgorgava il latte della vita. Come voi, come tutti gli esseri umani, è mia madre che ho amato per prima, e che continuo ad amare: perciò, almeno con riguardo ad una creatura vivente, ho sempre posseduto Eros nel mio cuore. E’ per questo che penso con tristezza a chi è stato privato dell’amore materno: perché Eros ha molti padri, ma sua ma-dre è sempre Afrodite, l’unica divinità dotata di un ascendente su di Lui. Il bello

e il buono del seno di mia madre ha rap-presentato per me, e per voi, l’ascesa del primo gradino della scala dell’eros, il percorso che guida ogni uomo a ricono-scere la bellezza astratta e quella interio-re di ogni creatura, di ogni oggetto. E’ un dono e al contempo una conquista, un regalo e una sfida, un cammino spesso accidentato, ma sempre esaltante, attra-verso il quale misuriamo la nostra capaci-tà di dare alla vita il senso più autentico. Vedo gli occhi indagatori e pieni di amo-re di mia madre, ancora lei: vogliosa di alimentare l’eros a me riservato, di aiu-tarmi a salire ancora qualche gradino, per poi lasciarmi libero di fare da solo. I suoi doni: di ogni tipo, ma mai inutili, perché, come la mamma di Marcel Proust, non amava farmi regali da cui non si potesse trarre un profitto intellet-tuale, “quello che ci procurano le cose belle insegnandoci a cercare il nostro piacere lontano dalle soddisfazioni del benessere e della vanità”. Ed ecco che mi mette dinanzi agli occhi oggetti di ogni tipo, e poi disegni, foto-grafie, pupazzi, fogli di carta; mi parla, mi fa ascoltare brani musicali, aprendo la mia mente alla percezione dell’armonia e della bellezza del mondo. Mi legge le favole, e piange alle scene più toccanti, facendo piangere anche me. Per un istante, perché subito affonda le sue labbra nelle mie guance, sorride e mi dice che non è niente, che si può anche piangere quando il bene è offeso, ma che non bisogna mai stancarsi di cercarlo e di donarlo. Mia madre, in questo modo, mi ha inse-gnato a ragionare e ad agire in vista del bene, della solidarietà, della compassio-ne, sentimenti che non abbandoneranno mai l’animo di una persona che li ha spe-rimentati da bambino.

Continua a pagina 6

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E’ una base imprescindibile per prepara-re il cuore all’influsso di Eros. Perché non c’è alcun dubbio: come afferma il filosofo José Ortega y Gasset, è ciò che siamo, è la nostra essenza a determinare il tipo di amore che saremo in grado di praticare: “Poiché l’amore è l’atto più delicato e totale dell’anima, esso riflette-rà lo stato e la natura dell’anima medesi-ma. Le caratteristiche della persona inna-morata devono essere attribuite all’amore stesso. Se l’individuo non è sensibile, come può esserlo il suo amore? Se la persona non è profonda, come può esserlo il suo amore? Il nostro amore è esattamente come siamo noi. Per questa ragione troviamo nell’amore il sintomo più significativo di quel che una persona è veramente”. Parole splendide, che si accordano per-fettamente col mito. Socrate, forse il più grande teorico dell’Amore, afferma che Eros “è la fonte del nostro desiderio di amarci l’un l’altro”. Ma Eros non inter-viene direttamente negli affari degli uo-mini; siamo noi a decidere come far uso di questa fonte, e dunque se soddisfare l’eros nelle forme più elevate - quelle che conducono al bene individuale e colletti-vo - oppure in modi grossolani e volgari. Infatti, Eros è anche desiderio sensuale. Una brama assolutamente naturale, un impulso fondamentale per la specie uma-na, al quale nessuno resta immune. Se tutto è opera di Dio, se sentiamo il biso-gno di mangiare, bere, dormire, ma an-che di godere dei piaceri del corpo, per-ché dovremmo negarceli? Tuttavia, se Eros è anche amore sensuale, non è mai amore libero, perché non c’è individuo che ignori l’importanza di dominare i propri impulsi sessuali, di soddisfarli nel modo e per i fini più giusti. Eros può esistere anche in assenza di amore, ma è un eros volgarizzato, attraverso il quale non si arriva mai a un’autentica unione con gli altri. Dunque, c’è bisogno del nostro contri-buto per salire lungo la scala dell’eros, una scala i cui gradini si chiamano storghé (l’amore per i famigliari), xenìa (l’amore per lo straniero, per il diverso da sé), philìa (l’amore fondato sull’affinità e l’amicizia), e, al culmine di tutto, l’agape, l’amore incondizionato e votato

al sacrificio. E’ di questa somma espressione di Amo-re che vorrei parlare, dell’eros che si con-cretizza nella capacità di concepire e vi-vere forme di bellezza sempre più emi-nenti ed elevate. E’ la Bellezza assoluta che Socrate, come mostra il Simposio pla-tonico, aveva ben chiara, e che incitava a perseguire: “Credi forse che possa ancora essere vuota la vita di un uomo che abbia fissato sulla Bellezza il suo sguardo, con-templandola pur nei limiti dei mezzi che possiede, ed abbia vissuto in unione con essa? Non pensi che solamente allora, quando vedrà la Bellezza con gli occhi dello spirito ai quali essa è visibile, quest’uomo potrà esprimere il meglio di se stesso?”. Negli stessi anni in cui Socrate diffondeva il suo pensiero, un filosofo orientale, il cinese Mozi, coniava il termine ai, che significa “amore universale”. Mozi indica-va nella semplice regola della benevolen-za verso i nostri simili, nel trattarli come se fossero nostri amici, la strada per a-vanzare lungo la via del ren (equivalente del concetto greco di areté), cioè la con-quista di un’autentica umanità. L’eros universale caratterizza la vita e l’insegnamento di Guru Nanak, il fonda-tore della fede dei sikh. Guru Nanak era nato in una famiglia indù di casta elevata, e avrebbe potuto condurre una vita ricca di opportunità e privilegi. Ma voleva essere giusto, voleva migliorare il mon-do, perciò predicò e applicò per tutta la vita la devozione disinteressata e amore-vole verso i propri simili. Come vediamo, in ogni tempo, e ovun-que, l’eros universale penetra i cuori pronti ad accogliere i carismi divini, pla-smando la volontà del soggetto per farla coincidere con quella del mondo, di ogni creatura, del tutto. E’ l’esperienza di comunione con l’energia universale che hanno chiara-mente raggiunto figure storiche come Mosè, Socrate, Confucio, Lao Tzu, Ge-sù, Maometto, San Francesco, Santa Te-resa d’Avila, Krishnamurti, Thich Nhat Hanh, Gandhi e molti altri. Un salto di coscienza notevole, e che perciò ha ri-guardato, sinora, pochi individui. Ma come fa notare lo psichiatra e scrittore Richard Maurice Bucke, tutti i salti evo-lutivi della razza umana sono emersi in persone singole, prima di diventare un

patrimonio universale. Quando ho preso coscienza delle vette cui l’eros divino può innalzare alcuni indi-vidui, mi sono messo sulle loro tracce, perché volevo conoscere e pregare insie-me a quelli, fra i miei simili, che in virtù dell’incessante perfezionamento interio-re si trasformano in veri e propri veicoli dell’espressione divina. Così sono andato in cerca degli eremiti che vivono nel deserto verticale del Monte Athos, gli atleti di Cristo “che si nutrono solo di erbe, di Dio e delle stel-le”. Uomini normali, ex studenti, impie-gati, ingegneri, fotografi, persone come me e voi, che l’eros divino ha chiamato a una reazione totale dinanzi alla vita, ad una scelta assoluta. “Siamo perfettamente consapevoli di essere un mistero, per voi”, mi ha detto uno di loro, un asceta della località atho-nita denominata Karoulia. “Lasciamo il mondo, e per voi viviamo come morti. Sì, in un certo senso è vero, siamo morti, per certe cose. Ma chi nel mondo vive come morto, è triste, depresso. Noi, invece, siamo felici. Ci seppelliamo, co-me il seme, per dare origine a una nuova vita. Se non demolissimo tutto ciò che avevamo costruito prima, non potremmo ricostruire noi stessi”. Felici nonostante la vita di privazioni e di sofferenza, in virtù dell’eros divino che li ha penetrati, della luce che risplende nell’intimo del loro essere. Vivono nel dolore del corpo, ma da loro emana una dolcezza consolatoria, una sconfinata serenità. Al cospetto di alcuni di essi, ho avuto la certezza di trovarmi dinanzi a una teofania: l’eros divino incarnato in un mio simile, una luce interiore che tra-scendeva lo spazio e il tempo. “Chiunque si ponga la questione”, ha scritto Al-Ghazali, “arriva a vedere che la felicità è necessariamente collegata al nostro rapporto con Dio”. Ho conosciuto la più alta forma di eros in uno dei luoghi più remoti del mondo, dal quale, ogni anno, ritaglio e porto con me una preziosa riserva di preghiera e di spiritualità, provvista indispensabile per combattere la battaglia per essere un uomo migliore, per cercare l’armonia col mondo e col mio prossimo.

Armando Santarelli

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Della fine dell’estate con-servo sempre lo stesso ricordo: l’ultimo pome-riggio prima della scuola a casa di mia nonna, con la testa persa dietro pen-sieri piccoli e sicuri, sere-ni e le dita aggrappate alla ringhiera del suo ter-razzo, con un piacevole solletico di gerani ancora giovani sulle ginocchia. Era una sorta di rituale, spesso si restava lì a parlare fino a quando il sole già più fuggiasco dei primi giorni di settembre, capitolava dietro la montagna dando il senso netto del passaggio. E io continuavo a chiedermi come sareb-be stata quella notte, quanto sonno avrei avuto e quanta voglia di addormentarmi. C’era in me una sottile impreparazione a ciò che sarebbe stato di me il giorno se-guente e, contemporaneamente, quell’ansia buona che hanno tutti i bam-bini: il confronto con i compagni di clas-se, gli orari, i compiti. E con il ricordo mi arriva ancora la sensazione forte, qua-si fisica, di un mondo di odori: di gomme da disegno e quaderni freschi di stampa, di diari colorati, di plastica e zaini, di marmellata e cornetti, di strade bagnate dalla prima pioggia e vento. Non so perché questo ricordo si sia anco-rato con ganci di acciaio alla mia memo-ria, forse perché è lucido e perfetto, qua-si intoccabile, come se fosse stato chiuso in un’ampolla di vetro, per preservarlo e proteggerlo. La fine di una stagione, qui, è un canto che chiude, uno svuotarsi di strade, un silenzio fra i binari. Ho sempre amato particolarmente i passaggi, i cambiamenti, il rompersi im-provviso o lento e trascinato di una sta-gione: credo possegga una magia incon-fondibile, la capacità di seminare l’aria di elettricità e di attesa, di puntellare la nostra vita con la consapevolezza che

tutto arriva ad un punto di fine, ad una svolta: una strada, un periodo, un’esistenza. Anche oggi, adesso, mentre scrivo, ritornano gli stessi odori e le stes-se immagini. E tutto si ricompone senza tempo crean-do uno scenario inconfondibile: il caldo scema, il sole sembra essersi arreso, o-vunque ci sono piccoli segni di qualcosa che ha vissuto e che merita riposo. E’ negli alberi, nei marciapiedi, nelle ombre di nubi che corrono sulle monta-gne, nel modo in cui si apre o chiude una finestra, perfino nei giardini, nella musi-ca che abbassa il tono e diventa dimessa, tranquilla. Come se non ci fosse più biso-gno, motivo o necessità di farsi notare ma solo di acquisire una duratura, rassi-curante pacatezza. La fine di una stagione è questo: predisporsi al cambiamento, lasciare che un altro anno attraversi la nostra pelle. La vita è una stagione lunghissima, capa-ce di fare capricci e cambiare, instabile e tanto più veloce e pronta al cambiamento di noi e del nostro saperci adattare. Si vivono estati splendide, perfette. La gioia sembra essere data in abbondanza. Ma l’autunno non accetta compromessi o ritardi. E’ lì che ci sorride beffardo da un angolo di rami ed aspetta di riprendersi il trono. Puntuale. Come lo scoccare della mezzanotte su di un orologio.

Emilia Filocamo

Anche quest’anno l’AC di Ravello ha partecipato, insieme alle altre parrocchie della Diocesi, al Campo Scuola Diocesa-no che si è tenuto a Laureto di Fasano dal 17 al 23 Agosto. A sorprendere positivamente è stata la forte risposta dei ragazzi che, accompa-gnati da circa 20 persone tra educatori e volontari, hanno aderito senza indugi portando addirittura a 140 il numero delle presenze totali. Da Ravello insieme a noi responsabili, Manuelita Raffaele e Ilenia, sono partite: Arianna Amato,Viviana Gennaro, Gem-ma Scala, Andreina Apicella, Giulia Man-si, Maddalena Pisacane e Raffaella Ruocco. Nel triennio che l’AC dedica alla risco-perta della santità laicale, anche i bambi-ni, i ragazzi e i giovani imparano a con-frontare la propria vita con le persone che li circondano e a conoscere alcune figure di santi che hanno sperimentato la bellezza dell’incontro con Gesù nella loro quotidianità. Il campo scuola, in modo particolare, diventa un’esperienza significativa, che permette ai ragazzi di fermarsi e mettersi in dialogo con la parola di Dio. Ad accompagnare i ragazzi in questo campo è stata la vita di Santa Chiara, “pianticella di Dio”, che ha lasciato tutto per seguire la volontà del Signore, che ha amato, desiderato e cercato la sofferenza per Amore di Cristo e ha scelto la via dell’umiltà e della semplicità per donarsi completamente a Lui. Il confronto costante e ricco con la vita di santa Chiara, con il suo Amore per il Maestro, la sua fedeltà alla Chiesa, la scelta di “altissima povertà” e di “vera fraternità”, il suo desiderio di preghiera e di contemplazione del Mistero eucaristi-co, ha scandito il cammino del campo e ha stimolato i ragazzi a conoscere questa figura di donna, che si è lasciata plasmare dalla novità del Vangelo e ha scelto di seguire Cristo povero e umile, vivendo in clausura per evangelizzare il mondo intero. In questo cammino i ragazzi sono stati anche invitati a scrivere la loro per-sonale regola di vita…

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LE STAGIONI DELLA VITA... CAMPO SCUOLA ACR GIOVANISSIMI 2010

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...ed a entrare sempre più nel progetto di Dio per scoprire ciò che il Padre ha pensato per ciascuno, per capire la loro vocazione. Attraverso il confronto co-stante con La Parola di Dio e gli episodi della vita di santa Chiara, ciascun ragazzo ha imparato a dare risposte nuove e signi-ficative, per costruire la sua vita di “piccolo” secondo il progetto d’Amore che il padre ha pensato per lui; ha rinsal-dato l’amicizia con il Signore e con le persone che ha accanto nell’incontro vero con l’altro, esercitandosi in un dia-logo autentico e sincero, curando la rela-zione con Dio e con i fratelli. Inoltre, sulla scia di quanto vissuto durante l’anno, ha cercato di elaborare una regola spirituale che lo porti ogni giorno a rin-novare la sua chiamata alla santità ricevu-ta con il battesimo. Ogni giorno, dopo la proclamazione del brano biblico, è stato presentato un episodio della vita di Chia-ra, presentata in “carne ed ossa” grazie all’interpretazione di una educatrice, che ha aiutato i ragazzi ad entrare nel testo e a contestualizzarlo nella propria vita. Ovviamente non sono mancati momenti di festa con balli, giochi e attività ludi-che. Le ragazze di Ravello, per la loro vivace ma educata partecipazione, sono state premiate come “il gruppo più coin-volgente del campo-scuola”. Per questo premio noi educatori di Ravello siamo rimasti molto entusiasti. La soddisfazione più grande, però, l’abbiamo avuta quan-do Arianna, Gemma e Viviana sono state invitate dal responsabile ACR diocesano, perché ritenute mature e preparate, a diventare educatrici ACR. Arricchiti e motivati dall’esperienza vissuta siamo tornati a casa pronti per cominciare un nuovo e stimolante anno associativo.

Manuelita Perillo e Raffaele Amato

Domenica 22 agosto 2010 su invito della Confraternita Ma-ria SS. del Carmine di Atrani, la Confraternita del SS. Nome di Gesù e della Beata Vergine del Monte Carmelo di Ravello ha partecipato alla festa della Madonna del Carmine nella vicina Atrani, ove per tradizio-ne si celebra in una delle ulti-me domeniche di agosto. Giunti nella Collegiata di S. Maria Maddalena siamo stati accolti dal priore Pasquale Di Landro e dal parroco Don Pasquale Imperati che nel manifestare la loro gioia per aver accolto l’invito, hanno anche sottolineato come al giorno d’oggi sia importante affidarsi continuamente alla Vergine SS. anche mediante la costituzione di sodalizi in suo onore. La messa solenne è stata presieduta da Don Carmine Satriano, parroco di S. Maria del Lacco di Ravello che durante l’omelia, ha voluto forte-mente evidenziare che le confraternite non sono semplicemente associazioni di fedeli, bensì gruppi di persone che alla scuola di Maria vogliono migliorare la

loro formazione cristiana, collaborare con il parroco nell’attività pastorale e aiutare quanti sono nel disagio. Approfondire questo messaggio in unio-ne con i confratelli dell’omonimo sodali-zio atranese è stato sicuramente utile perché, ancora una volta, ci ha fatto capi-re che la nostra adesione al sodalizio non può limitarsi a sole processioni e pelle-

grinaggi, ma desiderare e cercare il vero bene, cioè Cristo Signore. Al termine della celebrazione eucaristica si è svolta la tradizionale processione per le vie cittadine con sosta in piazza Umberto I, seguita da un momento di preghiera co-munitaria e la recita della supplica alla Vergine del Monte Carmelo. L’antica effige ha fatto poi ritorno nella chiesetta a Lei dedicata e antica-storica sede della Confraternita. I solenni festeggiamenti si sono conclusi con il canto del Te Deum seguito dalla benedizione liturgica impartita dal Parro-co Don Pasquale Imperati che, nel con-

g e d a r e l’assemblea, ha ricordato con una preghiera il priore defunto Salvatore Esposito, scom-parso improvvisa-mente nel dicem-bre scorso, e per due lustri ha gui-dato con amore la Con f r a te r n i ta . Nel piazzale anti-stante la chiesa non è mancato un momento convi-

viale, occasione per conoscerci uno ad uno e scambiarci i saluti. A nome del sodalizio ringrazio il Signore per averci fatto il dono di vivere in pre-ghiera con i confratelli di Atrani che con-dividono la devozione a Maria SS. Regi-na del Carmelo.

Il Priore Giovanni Apicella

La confraternita del SS. Nome di Gesù e della B.V. del Monte Carmelo partecipa alla festa del Carmine ad Atrani

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Ancora una volta il mese di agosto si è rivelato intenso per i grandi spunti di riflessione che la liturgia ha offerto. Per la Comunità ecclesiale di Ravello,finiti i festeggiamenti in onore di san Pantaleone che richiedono notevoli sforzi, l’ottavo mese dell’anno si conferma non solo come un momento di meritato riposo,ma anche una ghiotta occasione per ritem-prare lo spirito attraverso l’ascolto atten-to della Parola di Dio e quelle celebra-zioni che,pur nel rilassato clima esti-vo,sono talmente intense da non poter lasciare indifferenti .Del resto l’estate per i ravellesi dovrebbe essere anche un grande momento di confronto con i numerosi ospiti che scelgono Ravel-lo per le ferie estive e che hanno comunque alle spalle un cammino spirituale costruito e vissuto all’interno delle loro Comunità ec-clesiali. Si tratta di Comunità eccle-si a l i di c i ttà qual i Napo-li,Roma,Milano che in ambito pasto-rale vivono esperienze che meritano di essere conosciute. E noi ravellesi dovremmo mettere a disposizione di questi fratelli e sorelle, che per un mese scelgono di vivere con noi anche i momenti di fede, tutto ciò che può favorire un arricchimento spirituale reciproco,per evitare che con il corpo vada in ferie anche lo spirito. Per questo il Duomo,carta di identità,di Ravello,deve presen-tarsi in tutto il suo splendore e le celebrazioni devono essere particolar-mente curate. Luci,addobbi,pulizia sono funzionali alla Liturgia e nulla deve essere lasciato al caso, ma tutto deve condurre lo sguardo a Cristo che è il protagonista assoluto. Animata da questo spirito,nel mese appena trascorso la Comunità ec-clesiale di Ravello ha vissuto due mo-menti particolarmente significativi:la solennità dell’Assunta,titolare della Basi-lica ex Cattedrale,e la notte di adorazio-ne significativamente intitolata”Una notte con Gesù”.Entrambe le celebrazioni si sono perfettamente inserite nel tema guida della liturgia domenicale agosta-na:l’umiltà. Ma andiamo per ordine. Il 6 agosto,Festa della Trasfigurazione del

Signore,è iniziata la novena in prepara-zione alla solennità dell’Assunzione di Maria al cielo. Nel corso delle nove se-re,attraverso il canto del Magnificat e dell’antifona “Ave Regina Coelo-rum”siamo entrati nel clima della festa mariana per eccellenza. Sì,perché la so-lennità del 15 agosto,purtroppo penaliz-zata dal banalissimo ferragosto,è di una profondità tale che giustamente viene definita la “Pasqua di Maria”.Sul grande mistero e sul messaggio della festa dell’Assunta ci ha aiutato a riflettere quest’anno Mons. Claudio Gugerotti, Arcivescovo titolare di Ravello e Nunzio

apostolico in Georgia,Armenia e Azerba-jan,che ha celebrato la solenne messa vigiliare del 14 sera,durante la quale ha conferito anche il Sacramento della Con-fermazione. Il presule ha invitato a guar-dare a Maria come modello di umiltà,una umiltà che Le ha garantito la glo-ria,perché la Vergine di Nazareth ha vo-luto e saputo fare la volontà di Dio. E fare la volontà di Dio è il segreto per la felicità. Così la solennità dell’Assunta ha “il profumo della vittoria”come ci ha ri-cordato il padre missionario del Movi-mento Apostolico di Schoenstatt che ha concelebrato con due confratelli scozze-si, la solenne messa del giorno. Una e-spressione che ben si concilia con le stu-

pende parole che la liturgia della solenni-tà ci fa ascoltare nel bellissimo prefa-zio”Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro Colei che ha generato il Signore della vita”l termine della messa vespertina si è tenuta la breve processione che si è snodata lungo via della Marra fino a Gradillo,in un’atmosfera raccolta caratterizzata dai tradizionali canti mariani che nella loro semplicità mantengono intatto il fascino della religiosità popolare. La solennità dell’Assunta,quindi,con il suo profumo di vittoria ci ha invitato ad elevare lo sguardo al cielo per contemplare Colei

che è stata esaltata perché si è umiliata e che ci ricorda ciò che è essenziale nella vita del seguace di Cristo:FATE QUELLO CHE EGLI VI DIRA’. Ma per capire ciò che il Signore vuo-le,occorre il silenzio,l’ascolto,mettersi di fronte a Colui che parla. Ogni gior-no nell’umiltà del Tabernacolo,Cristo ci attende,ma non sempre i ritmi frene-tici della vita quotidiana ci consentono questa sosta spirituale. Proprio da que-sta consapevolezza è nata l’esigenza di proporre per la terza volta la notte di adorazione. Dalla sera del 19 fino al mattino del 20 agosto(memoria di san Bernardo abate)le porte del Duomo sono rimaste spalancate per consentire a tutti di stare anche per un minuto davanti a Gesù Eucaristia,esposto sull’altare con dignitosa semplicità. Sei fiaccole accese sulle gradinate della

Chiesa e un breve messaggio invito sono stati gli elementi esteriori che lasciavano capire che all’interno del Duomo si stava vivendo una esperienza particolare. Una esperienza forte scandita da tre momenti di preghiera comunitaria:Vespri,Ufficio delle Letture,Lodi. E’ stato stupendo vedere come fino a tarda notte,molte persone,lasciando per un momento il rilassato clima della piazza estiva,abbiano sentito il bisogno di stare in silenzio da-vanti al Santissimo. Personalmente riten-go che il momento più bello di questa “Notte con Gesù” sia stato l’Ufficio delle Letture che si è svolto alle 3 del mattino.

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Il profumo della vittoria

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Questo momento ha visto partecipare un gruppo di giovani che ha voluto vivere - forse per la prima volta - questa parte della Liturgia delle Ore. Grande gioia abbiamo provato nel sapere che un ravel-lese,residente a Roma,da qualche anno è un “adoratore perpetuo”che nella Basilica romana di Santa Anastasia con un gruppo di 240 perso-ne,a tur-no,notte e giorno adora Gesù Eucari-stia. Chi l’avrebbe im-maginato? Chi l’avrebbe saputo se non fosse stata organizzata la “Notte con Ge-sù”? Tante volte,prigionieri dei nostri pregiudizi,presumendo di essere solo noi i migliori,dimentichiamo l’azione silen-ziosa dello Spirito Santo che favorisce l’incontro con il Signore “che cambia la vita”,come quell’amico ravellese mi ha dichiarato sul sagrato del Duomo dopo aver sostato per lungo tempo davanti al Santissimo. Anche questa esperienza ha il profumo della vittoria e scaturisce dall’umiltà di chi si affida totalmente al Signore,lasciando che Lui operi,senza frapporgli ostacoli. Ci auguriamo che “Una notte con Gesù” insieme con l’adorazione di ogni giovedì possa affa-scinare altre persone e che tutti possano comprendere la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa che è in Ravello. L’Eucaristia che è anche segno di unità. Corroborati dalle pagine del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato nelle dome-niche di agosto,rivestiamoci allora di quella umiltà che ha reso grande Maria di Nazareth e che ci fa respirare il profumo della vittoria. Solo,così,credo,possiamo incontrare Cristo,unica vera luce dell’uomo. Le altre luci che incontriamo o che ci vogliono fare incontrare,se non portano a Cristo,o ci abbagliano o servo-no solo ad illuminare le miserie e le vani-tà che albergano,purtroppo,nell’animo dell’intero popolo di Dio.

Roberto Palumbo

Sabato 14 agosto 2010 la Parrocchia San Pietro alla Costa - San Michele Arcangelo di Torello e l'Associazione socio - cultu-rale "Ravello - Borghi in Festa “ hanno inaugurato l'antica cripta della chiesa di S. Pietro alla Costa, resa accessibile e fruibile al pubblico dopo circa un secolo di abbandono. I saluti di rito sono stati rivolti da Fra Antonio Petrosino, dal presidente dell'Associazione Nicola Amato, che ha sottolineato come l’ iniziativa si aggiun-ge ad altre già promosse dal nuovo soda-lizio, come l'apertura estiva delle chiese di San Pietro alla Costa, San Michele Arcangelo di Torello e del Santuario dei Santi Cosma e Damiano. Tutto ciò ovvia-mente in linea con i fini statutari dell’Associazione, che opera per “favorire, divulgare e realizzare iniziative idonee a promuovere e valorizzare il patrimonio storico, artistico, religioso e culturale locale, le tradizioni popolari del territorio ravellese”. Sono poi intervenuti il sindaco di Ravello Paolo Imperato e il prof. Alberto White, il quale ha evidenziato come il recupero dell’antico ambiente debba costituire la premessa per un vasto campo di studi e di ricerche sulle testi-monianze archeologi-che di età medievale, di cui il territorio ravellese presenta an-cora numerose emergenze inesplorate. A questi interventi è seguito quello di Salvatore Amato che, attraverso la docu-mentazione archivistica, ha cercato di ricostruire le vicende che interessarono l’intero complesso chiesastico di S. Pietro alla Costa dalla fondazione alla ricostruzione di fine Settecento, per la quale si è riusciti addirittura a stabilire il tipo di intervento, i mastri esecutori e l’ammontare delle spese. Tuttavia, trala-sciando le numerose testimonianze rin-tracciate, in questa sede si ritiene utile riportare solamente le brevi notizie che riguardano propria la cripta, abbandona-ta e sospesa dal culto tra il 1588 e il 1602

per ordine dei vescovi di Ravello Emilio Scattaretica e Antonio De Franchis. Essa si presentava divisa in tre parti da due grosse colonne di marmo, aventi funzio-ne di sostegno della chiesa ma oggi non visibili perché inglobate nei pilastri. Nel

1602, quando venne decretata la demoli-zione dell’unico altare presente, erano ancora visibili antichi affreschi sulle pare-ti e alcune sepolture. L’ultima traccia di quegli affreschi, esistente ancora oggi, è costituita dall’immagine di un vescovo, probabilmente S. Nicola da Myra, datato alla fine del XIII secolo. Dopo la profana-zione l’ambiente rimase inutilizzato fino agli inizi del Novecento quando divenne per qualche decennio la sede della Con-fraternita dei SS. Cuori di Gesù e Maria, fondata verso il 1908 per iniziativa di Don Pantaleone D’Amato e il cui primo priore fu un tal Alfredo Penna. Estinta rapidamente la confraternita, di cui rimangono tracce nelle croci peniten-ziali rinvenute nell’ambiente, la cripta si trasformò purtroppo in un deposito della chiesa, condannato all’oblio e all’usura del tempo. Ma fortunatamente, pur nei limiti dell ’intervento eseguito, l’ambiente è stato reso accessibile e frui-b i l e g r a z i e a l l a s e n s i b i l i t à dell’Associazione “Ravello - Borghi in festa” che, fin dalla sua costituzione, ha avuto come obiettivo principale la salva-guardia e la conservazione del patrimo-nio culturale della nostra terra. Su questo aspetto il nuovo sodalizio ha dimostrato di essere attento all’ammonimento di Vincenzo Gioberti, più volte ricordato dal compianto Don Giuseppe Imperato Senior, per cui “l’ignoranza e la indiffe-renza delle opere e dei monumenti degli avi è la peggiore sventura di un popolo”.

Salvatore Amato

L’inaugurazione della cripta della chiesa di S. Pietro alla Costa

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Il Papa Gio-vanni Paolo II ci esortava con le se-guenti paro-le:“Cari figli, in questi gior-ni voglio invi-tarvi a porre al centro di

tutto la Croce. Pregate in particolare davanti alla Croce, da cui derivano gran-di grazie. In questi giorni fate nelle vo-stre case una consacrazione speciale alla Croce. Promettete di non offendere Gesù e la Croce e di non arrecargli in-giurie.” (12/09/85) La Croce sulla no-stra strada deve essere il segno indicato-re che ci conduce all'amore e all'unifor-mità della nostra volontà con quella di Dio, attraverso le quali viene la vera pace. Se guardiamo la Croce vediamo che ha una dimensione verticale (amore verso Dio) ed una orizzontale (amore verso il prossimo). Queste due dimen-sioni ci indicano la strada dell'Amore. Colui che ama Dio è pronto a soffrire, pronto a perdonare, a riconciliarsi, è pronto a portare la croce. Chi ama Dio potrà realizzare anche l'altra dimensione: amerà il prossimo, amerà anche la crea-zione. E quando avremo realizzato que-sta unità fra le due dimensioni, quando queste s'incontrano nel nostro cuore, avremo la vera pace e comunicheremo pace attorno a noi. Cristo ci ha salvato con la Croce, segno di Amore. Il centro di unità fra la dimensione verticale e quella orizzontale è Gesù. E se Lui è al centro della nostra vita, allora le pre-ghiere, i digiuni, le veglie, tutto sarà illuminato alla presenza di Gesù che crea la pace vera. La croce deve essere il no-stro innamoramento. Con la follia dell’innamoramento tutto potremo osa-re, perché per amore si riesce a morire. Sulla croce c’è pienezza di vita perchè Gesù pur essendo di natura divina svuotò se stesso assumendo la condizione di servo e umiliandosi fino alla morte di croce e il Padre ha riempito questo svuo-tamento con la gloria e la vita in pienezza. La redazione

Il mio amico Agostino. La catechesi del 25 agosto di Benedetto XVI potrebbe intitolarsi così. Come un uomo può par-lare di un amico grande, che incontra da ragazzo e gli resta per sempre accanto, così il Papa ha parlato di Agostino. Che è Agostino di Ippona, ed è morto quasi m i l l e s e i c e n t o a n n i f a . Come può un uomo di un tempo così perdutamente remoto essere compagno, interlocutore silenzioso e fedele, di un altro in un evo vertiginosamente distan-te? È l’ostacolo, la barriera opaca del tempo, che quasi inconsciamente si frap-pone fra noi e i santi che pure magari veneriamo. Francesco, Bernardo, Teresa e Caterina: uomini e donne straordinari, ma la massa rappresa del tempo che ci separa li fa sembrare spesso irrimediabil-mente lontani; e allora quelle figure si irrigidiscono in devoti stereotipi, e la loro umanità sembra incapace d i t o c c a r e l a n o s t r a . Eppure, dice il Papa, Agostino lui l’ha conosciuto da vicino. È diventato “un compagno di viaggio”. Come indicandoci una strada capace di attraversare i mil-lenni; come se fosse possibile aggirare la s i g n o r i a d e l t e m p o , c h e sbiadisce e cancella la memoria. E come lo ha conosciuto, il Papa, Agosti-no? Con lo studio e con la preghiera, dice. Nel silenzio, come quello in cui ad Agostino e sua madre Monica, affacciati a una finestra sul mare di Ostia, sembrò di toccare il cuore di Dio («Le creature – dice il Papa – debbono tacere, se deve s u b e n t r a r e i l s i l e n z i o i n c u i D i o p u ò p a r l a r e » ) . E a questo punto Benedetto sembra la-sciarsi andare alla passione con cui un adolescente potrebbe dirci di un compa-gno molto caro, suscitando il desiderio di conoscere anche noi quell’amico sin-golare. Dunque Agostino «non è mai vissuto con superficialità: la sete, la ricerca inquieta e costante della Verità» è il marchio del-la sua storia. Prestigio, carriera, possesso delle cose lo hanno sedotto e illuso, per qualche tempo. Ma lui «non si è mai fermato, non si è mai accontentato». ( E sembra di vedere in filigrana nelle parole

l’amicizia fra il santo e il giovane Ratzin-ger, e poi il seminarista, e il professore: la tensione a cercare, come il "vir desi-deriorum" del libro di Daniele. Colui che, ha scritto Benedetto nel Gesù di Nazareth, «non si accontenta della realtà e s i s t e n t e , e n o n s o f f o c a l ’ i n q u i e t u d i n e d e l c u o r e » . E in un tempo che afferma, come unico vero dogma, che non esiste alcuna Veri-tà, ma tante, o nessuna, e che è meglio sfruttare i propri giorni senza perder tempo a cercare ciò che non c’è, l’amico segreto del Papa si staglia alto all’orizzonte come un gigante fra i nani, dalla sua stessa domanda reso grande, e colmato. Ma, dov’è poi quella Verità che noi poveri cristiani a volte immaginiamo irraggiungibile, troppo alta nei cieli, o distratta, lo sguardo assente sulle nostre s t r a d e e c i t t à e c a s e ? Agostino ha scoperto, dice il Papa, che quel Dio che cercava con tutte le sue forze «era più intimo a sé di se stesso». Non in un cielo troppo azzurro e remo-to, ma dentro, nel profondo di o g n i u o m o : " I n i n t e r i o r e h o m i n e h a b i t a t V e r i t a s " . E i teologi e i dotti lo conoscono bene quel passo delle «Confessioni», ma noi poveri cristiani siamo grati a un Papa che ci ricorda questa parola. Raccontando del suo amico Agostino – morto ad Ippona, nell’anno 430. Eppure vivo. Eppure uomo come noi, distratti o inquieti, o in fondo paurosi che quella Verità che affermiamo non esistere sia lei, invece a trovare noi, e a sedurci. Il mio amico Agostino, testimonia il Papa. Perché, come scriveva negli anni Settanta Ratzinger, «la fede cristiana non la si può descrivere astrattamente: la si può solo documentare riferendosi a uo-mini che l’hanno vissuta fino nelle ultime conseguenze». Teresa, Ignazio, France-sco e gli altri: «Come si vede in loro – scriveva il futuro Papa – la fede è in fon-do una determinata passione, o, più giu-stamente: un amore».

Marina Corradi Da “Avvenire”

Invito a riflettere sul valore della Croce di Gesù Un santo per amico

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CELEBRAZIONI DEL MESE DI SETTEMBRE

GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.30: Santa Messa GIOVEDI’ 2-9-16-30 ore 18. 30: Santa Messa e Adorazione Eucaristica 5 SETTEMBRE: XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-19.00: Sante Messe Al Lacco festa della Natività della B.V. Maria 8 SETTEMBRE: NATIVITA’ DELLA B.V. MARIA 11 SETTEMBRE: ANNIVERSARIO DELL’ORDINAZIONE SACER-DOTALE DÌ MONS. ORAZIO SORICELLI 12 SETTEMBRE: XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO SS. NOME DÌ MARIA Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe 14 SETTEMBRE: FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE Pellegrinaggio della Confraternita al Santuario del SS. Crocifis-so di Scala 15 SETTEMBRE: MEMORIA DELLA B.V. MARIA ADDOLORATA

19 SETTEMBRE : XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO S. GENNARO PATRONO DELLA CAMPANIA Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe A Torello celebrazione solenne della MEMORIA DELLA B.V. ADDOLORATA 21 SETTEMBRE: FESTA DÌ S. MATTEO APOSTOLO 23 SETTEMBRE:

X ANNIVERSARIO DELL’INGRESSO IN DIOCESI DÌ S.E. MONS. ORAZIO SORICELLI

Cattedrale di Amalfi ore 18.00: Solenne Concelebrazione Eucaristica 26 SETTEMBRE XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In Duomo Santa Messe: ore 08.00-10.30-19.00

Presso il Santuario dei SS. Cosma e Damiano

SS.Messe ore 07.00-8.00-9.00-10.00-11.30-17.00—19.00

29 SETTEMBRE:

SS.MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE ARCANGELI

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Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 8 – Settembre 2010

Nell’Esortazione apostolica diretta alla Chiesa dopo il Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia celebrato in Vaticano dal 2 al 23 ottobre 2005 Papa Benedetto XVI ha solennemente affermato che l’Eucaristia è “costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa”. In obbedienza al comando del suo Signo-re, infatti,e col mandato confidato da Gesù agli apostoli di celebrare nella storia il suo “memoriale” la Chiesa fa nell’Eucarestia “memoria” di Gesù e verifica, attualizzando in ogni tempo ed in ogni luogo,la promessa di Ge-sù:”Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del Mondo”. Gesù di Nazaret, Figlio di Dio e Salva-tore degli uomini, il Signore Crocifisso e Risorto, viene in Persona a stare e vivere con noi uomini, suoi fratelli; si fa nostro cibo per fondersi concreta-mente con noi, e, se Lo accogliamo e ci nutriamo di Lui aprendogli comple-tamente il cuore, Egli ci unisce a Sé trasformandoci totalmente in Lui che vive in noi. Chi accoglie Gesù che nella celebrazio-ne dell’Eucaristia viene tra noi e si rende presente sotto il segno del Pane e del Vino, avverte in sé,momento per momento, la luce sempre più grande della sua Resurrezione, della sua presenza divina;avverte l’infinito che si espande dal suo cuore e può dire come Pao-lo:”Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. Paolo si è cibato, ha vissuto di Cristo, e Cristo ha risposto, lo ha trasformato, si è unito a Paolo,diventando una sola cosa con Lui. Ciascuno di noi in quanto battezzato e discepolo di Cristo è chiamato nella sua

esperienza terrena a vivere, a risplendere di questa unione divina che viene miste-riosamente alimentata dalla fede e comu-nione eucaristica. Il Sacramento del Cor-po e il Sangue di Cristo presente nell’Eucaristia è il segno di questa unione divina perché Gesù ha affermato:«Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me ed io in Lui». Pensate come ogni giorno Gesù Crocifis-so e Risorto è con noi, si mette nelle nostre mani quando celebriamo la divina

Eucaristia e ci offre la Vita di Dio. Ma a quale condizione? Che Lo amiamo, gli apriamo le porte. Che lo chiamiamo a vivere nel nostro cuore, impegnandoci ad osservare la sua Parola di Vita,vivendo come Lui è vissuto. «Fate questo in memoria di me... ». Do-vremo allora vivere l’Eucarestia come segno dell’Amore di Dio per noi e come impegno di unione in Cristo. Solo così troveremo in noi Gesù, e in Lui,la guari-gione da ogni nostra infermità. Ciò che noi impariamo dall’Eucarestia è innanzitutto l’esperienza dell’amore co-

me dono. La carità che noi vogliamo co-noscere e imparare a vivere non s’inventa, né si produce, ma si riceve. Dio, amore infinito, si unisce all’uomo attraverso il pane e il vino che Cristo trasforma nel suo Corpo ed il suo San-gue. Ci offre la sua Vita. Ma perché? Per-ché Dio vuole che siamo una sola cosa con Lui. Perché l'Amore non può che essere unione, fusione sublime, totale. Perché possiamo vivere in Dio e perché Dio possa vivere in noi. Se possederemo

pienamente la carità di Dio sapremo anche donarla davvero agli altri. L’Eucarestia è davvero il luogo in cui il dono gratuito e liberante dell’amore di Dio si rende presente per noi. Perciò se l’amore è innanzitutto un dono, signifi-ca che esso non può essere un prodotto delle nostre capacità o una deduzione dei nostri concetti. Allora, come impa-rare ad amare? Si impara ad amare im-parando a dire grazie, lasciandosi ama-re, scoprendo il primato della nostra vita nella dimensione contemplativa dell’esistenza, cioè di questo perdurante abbandonarsi a Dio, in questo lasciarsi affascinare dall’altro, lasciarsi visitare da

Lui perché il suo amore viva in noi. Nes-suno imparerà ad amare se prima non è stato amato. Non c’è invito più forte e più grande dell’amore che comincia ad amare e pre-dirsi nell’amore. S. Agostino diceva: “Nulla maior est ad amorem invitatio quam prevenire amando”. Se la Chiesa nasce dall’Eucaristia, a stretto rigore di logica ne deriva anche che l’agire dei membri della Chiesa, lo stile di vita dei cristiani deve ispirarsi al Sacramento dell’Eucaristia celebrata. Continua a pagina 2

La Chiesa nasce dall’Eucaristia e vive dell’Eucaristia

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Legato a Cristo per il Battesimo e mem-bro del suo Corpo,la Chiesa, di cui Cri-sto è il Capo, l’esperienza che il Battez-zato vive nell’incontro sacramentale con il Signore Gesù Crocifisso e Risorto nella celebrazione dell’Eucaristia deve necessariamente trasferirsi anche nel tessuto della sua esistenza quotidiana in forza anche del noto principio che la fede si esprime nelle opere dell’amore,ovvero in una condotta di vita rispondente alla fede professata. Lo affermava recentemente anche Papa Benedetto XVI nel discorso al Convegno diocesano di Roma: “L’Eucaristia celebrata ci impone e al tempo stesso ci rende capaci di diventare, a nostra volta, pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi. Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per por-tare loro l’amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude” (OR, 17 giugno 2010). Nell’assidua, consapevole e dignitosa partecipazione alla Santa Messa almeno domenicale noi dovremo valorizzare la ricchezza della Parola,dei segni e dei gesti che la Liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa compie, per rea-lizzare l’unità della fede con la vita, come ci ricorda il noto adagio: lex orandi, lex credendi, lex vivendi.

Don Giuseppe Imperato

«L'Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l'amo-re tra l'uomo e la donna, uniti in matri-monio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo».

Sacramentum Caritatis, numero 27

Intervento del card. Angelo Scola. Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Fino a quindici anni fa circa si parlava dell’eclissi di Dio, giungendo anche ad affermare che la sfera religiosa sarebbe del tutto sparita dalla società. Oggi, se si eccettuano taluni tentativi di elaborare un “nuovo ateismo”, giudicati dai critici come più stravaganti che oggettivamente pertinenti, siamo di fronte a una grossa sorpresa: Dio è tornato. Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Oggi la domanda cruciale non è più: “Esiste Dio?”, ma piuttosto: “Come aver notizia di Dio?” E quindi: “Come Dio si comunica a noi così che si possa narrare Dio, e comunicarlo in quanto Dio vivo all’uomo reale che vive nel mondo reale? Come nominare questo Dio perché l’uomo post-moderno - cioè ciascuno di noi - lo percepisca significativo e quindi conveniente?”. Nell’ottica occidentale, influenzata radi-calmente dal giudaismo e dal cristianesi-mo, Dio è Colui che viene nel mondo. Se viene nel mondo è distinto da esso, ma questo non esclude la possibilità che gli uomini lo colgano come familiare. Allora per parlare di Dio all’uomo post-moderno, «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso che viene nel mondo ad abilitare l’uomo a divenirgli familia-re» (Jungel). È necessario domandarsi prima se c’è una familiarità tra Dio e l’uomo e interrogar-si su di essa perché Dio possa essere vera-mente conosciuto. Un problema di sem-pre, è divenuto particolarmente acuto nella post-modernità che non è interessa-ta ai discorsi sui massimi sistemi, sulle mondovisioni, ma è sempre più presa dai problemi del vivere quotidiano. Per l’uomo di oggi la questione non è tanto se esiste Dio, ma se esiste cosa ha a che fare con me ogni giorno. Mi è fami-

liare? Ebbene la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare per-ché si è compromesso con la storia degli uomini è nel DNA della mentalità occi-dentale. Se le cose stanno così allora cerchiamo di scoprire come la presenza di Dio ci di-venta quotidianamente familiare, giun-gendo a colmare, in modo del tutto gra-tuito, il desiderio in senso pieno, scio-gliendo l’inquietudine di cui parlava A-gostino. In questo modo la parola desiderio ac-quista tutto il suo spessore, che non si lascia ridurre, come quasi sempre noi rischiamo di fare, a una pura aspirazione soggettiva, ma vive nella sua pienezza bipolare, come il tendere con tutte le nostre forze al reale, il cui orizzonte ulti-mo è l’infinito e propriamente parlando Dio stesso. La possibilità di aver notizia di Dio e di narrare di Lui sta nell’ascolto di quanto Egli ha voluto liberamente comunicarci. E conviene dire subito che la comunicazione gratuita e piena del Dio Invisibile ha un nome proprio, è una per-sona vivente: Gesù Cristo. In lui, morto e risorto, Dio ci viene incontro in quanto Dio. Per dire Dio occorre, quindi, ap-profondire la lingua della creatura che il Verbo incarnato ha voluto liberamente assumere. È necessario comprenderne, per così dire, la grammatica. Quella grammatica che è capace di narrarci il Divino. Così, non solo il cristiano sarà in grado di confessarlo come il suo Signore e Dio, ma ogni uomo, anche colui che si dice non credente, lo potrà riconoscere.

Da “www.donboscoland.it”

SEGUE DALLA PRIMA Come incontrare Cristo oggi?

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

«Era più teologa lei di noi teologi». Ma-dre Teresa di Calcutta nel ricordo di mons. Paulinus Costa, arcivescovo di Dhaka. «In questi giorni mi viene alla mente la sua determinazione ad aiutare il Bangladesh colpito dalle alluvioni nel 1992...». Quando ha incontrato Madre Te-resa di Calcutta? Ho avuto occasione di incontrare ripetu-tamente Madre Teresa. Molte volte in-sieme a tanti altri e qualche volta perso-nalmente. La prima occasione in cui in-contrai la Madre personalmente fu nel lontano 1979, da rettore del seminario maggiore di Dhaka, quando la invitai per una conferenza ai seminaristi. Fece un’enorme impressione su tutti noi. Tut-ti furono entusiasti della sua presenza e di quello che ci disse in quella circostan-za. La incontrai poi ancora nel 1987, in occasione di una visita a Calcutta, e suc-cessivamente a Tajgaon, una parrocchia di Dhaka, dove era venuta ad inaugurare una casa della congregazione. Anche in questa occasione, dove era presente tan-tissima la gente, ebbi la fortuna di poter-la incontrare a tu per tu per qualche mi-nuto. Nel 1992, quando il Paese era afflitto da una gravissima alluvione, Ma-dre Teresa riusci’ ad inviare un cargo di biscotti dall’India per la gente del Ban-gladesh. Lei stessa venne personalmente ad accompagnare il carico. Quando la Madre capì che il governo del Bangla-desh, al quale donava i biscotti per la gente, non era disponibile al trasporto del cargo dall’aeroporto alla parrocchia, disse chiaramente che avrebbe rimandato l’aereo in India! L’ufficiale governativo cambiò idea e mandò una autocarro per il trasporto… La incontrai infine nel 1994, quando fu invitata da parte del Lions Club a presenziare una cerimonia all’hotel Sonargaon di Dhaka. Quale è stata l’impressione che ha tratto da questi incontri? Fui colpito, in occasione della conferenza che tenne in seminario, dalla profondita’ teologica e spirituale delle sue parole. Pur essendo laureato in teologia, mi resi conto che Madre Teresa era piu’ teologa di me. Madre Teresa parlava sempre dell’amore di Dio e dell’amore per il

prossimo, soprattutto il piu’ povero. Ella, che era chiamata “Madre”, madre la era davvero, con tutte le fibre del suo essere. Appariva fragile e debole, ma aveva una forza eccezionale, come dimostro’ quando era addirittura pronta a rimandare il carico in India se il gover-no non avesse provveduto a trasportare il carico dall’aeroporto al punto di distri-buzione. Era anche una donna estrema-mente coraggiosa. In un’altra occasione, il governo del Bangladesh si rifiuto’ di concedere il visto di entrata alle sue suo-re. Colui che accompagno’ Madre Teresa dal ministro che rilasciava i visti, mi dis-se, dopo l’incontro, di aver ammirato il

coraggio e la forza di Madre Teresa. Quando il ministro disse a Madre Teresa di non aver bisogno di suore straniere in Bangladesh, ella replico’ che la sua con-gregazione aveva la sacrosanta autonomia di decidere chi dovesse lavorare e dove, aggiungendo che questo non era affare del governo! Alla fine il ministro conces-se i visti. Ovviamene la sua visita era stata preceduta da una serie di incontri con gli ufficiali governativi, ma l’incontro tra Madre Teresa e il ministro fu decisivo. Madre Teresa era anche mol-to umile. Una volta un uomo le sputo’ addosso: Teresa non ebbe nessuna rea-zione di risentimento e cio’ letteralmen-te disarmo’ colui che aveva voluto umi-liarla pubblicamente. Pensa che Madre Teresa sia santa? Senza voler ovviamente anticipare il giu-dizio della Chiesa, personalmente non ho il minimo dubbio al riguardo: Madre Teresa e’ una santa! In che senso Madre Teresa

era missionaria? Madre Teresa e’ venuta in Bangladesh come missionaria ed ha inviato le suore in India e in tutto il mondo come missio-narie della carita’ di Dio. Ella era capace di coinvolgere tutti – cristiani e non – nella sua opera a favore dei piu’ poveri. Cosa può dire circa la sua vita di pre-ghiera? La Madre partecipava quotidianamente e con molto trasporto all’Eucaristia. E’ attribuita a lei la frase che si trova ormai in qualsiasi sacrestia del Bangladesh rife-rita ai presbiteri “Oh sacerdote, celebra questa S. Messa come se fosse la tua pri-ma Messa, l’ultima tua Messa e la sola Messa che celebri”. Ricordo che quando fu chiamata dal Lions Club, arrivo’ con largo anticipo (anche se il costume vuole che l’invitato speciale arrivi con un certo ritardo!) e si mise tra la gente a pregare il rosario. Quando fu tempo, con molta semplicita’ sali’ sul palco e solo allora i presenti la riconobbero! Madre Teresa pregava continuamente il rosario e chie-deva benedizioni a presbiteri e vescovi. Aveva un grande amore per i sacerdoti, per la cui santificazione ella pregava e faceva pregare. Aveva un rapporto molto speciale con papa Giovanni Paolo II, il quale la rispettava e l’amava molto. Qual è il suo messaggio alle Chiese dell’Asia? Madre Teresa ha evangelizzato l’India e il mondo intero soprattutto attraverso l’azione. Ella e’ stata una grande missio-naria. La sola presenza delle sue suore e’ una forma di proclamazione del Vangelo. Spero e desidero che sia dichiarata santa presto e che le sue suore possano conti-nuare la sua missione di carità.

Da “www.donboscoland.it”

Madre Teresa diceva di sè Il mio segreto è Gesù

Il mio segreto è Gesù.

Il suo grande amore per noi, la preghie-ra, la meditazione, l’adorazione quotidia-

na di un’ora davanti all’Eucaristia, o i nostri voti religiosi. Il mio motto è que-sti:” Tutto per Gesù. Tutto a Gesù per

mezzo di Maria”.

Il centenario di Madre Teresa

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La superiora delle Missionarie della Ca-rità afferma: «Celebriamo il centenario della nascita della Madre condividendo la gioia di amare ed essere amati». Madre Teresa è nata 100 anni fa a Skopje (nell'attuale Macedonia) il 26 Agosto 1910. La sua vita e la sua opera continua ad essere fonte di ispirazione per grandi e piccoli, ricchi e poveri di tutti i ceti sociali, religioni e nazioni. Il suo messag-gio: "Dio ci ha creati per cose più gran-di, per amare ed essere amati", ci fa guardare oltre le lotte, la solitudine e le ingiustizie della nostra vita quotidiana. Siamo chiamati per qualcosa di infinita-mente più grande della ricchezza, del talento, della fama o dei piaceri passeg-geri. Siamo chiamati a guardare a Dio, il nostro Padre amorevole, e sapere che Lui ci ama con un amore incondizionato, tenero ed eterno; e noi siamo chiamati a condividere questo amore con coloro che ci stanno intorno a partire dalle no-stre famiglie. Nelle parole della Madre, "Sorridete a vicenda, trovate il tempo l’uno per l'altro nella vostra famiglia, non sappiamo mai quanto bene un sem-plice sorriso può fare." Nel nostro Shishu Bhavan (Casa per bambini) a Kolkata, abbiamo avuto una ragazza gravemente disabile che ha vissu-to fino a 39 anni di età. Il suo nome era Sundari, che significa bella. Ella possede-va nulla, e non poteva fare niente con il suo corpo completamente contorto, solo stare coricata a letto. Eppure c'era una cosa che lei faceva bene - poteva dare un gran sorriso che radiava gioia sul viso, comunicando così tutto l'amore che ave-

va nel suo cuore. Sapeva che era amata e curata, che era preziosa per molti, Sun-dari non era molto carina, ma era molto bella. Celebriamo il centenario della nascita della Madre condividendo la gioia di amare ed essere amati. Preghiamo per conoscere meglio l'amore di Dio per noi. Pieni dell’amore di Dio, diventeremo messaggeri del suo amore per chi ci sta attorno, facendo piccole cose con grande amore, dando un sorriso, una parola gentile e una mano d’aiuto. Queste e-mail, piccole cose fatte con grande amo-re "renderanno la nostra vita qualcosa di bello per Dio". Così il mondo che ci circonda si trasformerà perché "Un sor-riso genera sorrisi e l’amore genera amo-re." Dio vi benedica.

Da “www.motherteresa.org”

E’ NECESSARIO SUPERARE L’EMERGENZA EDUCATIVA

“L’emergenza educativa”, comincia adesso a preoccuparci , “per i proble-mi morali e sociali,… per la cultura dominante che presenta con insisten-za uno stile di vita fondato sulla legge del più forte e sul guadagno facile, per la necessità di avere tutto e subi-to”, e per le disarmonie tutte (alcolismo, bulli-smo, droga) che la società ci presenta, denota la crescente difficoltà a trasmet-tere alle nuove ge-nerazioni i valori fondamentali dell’esistenza ed un comportamento retto. In una simile realtà viene a man-care la “luce della verità” e si finisce per dubitare della bontà della vita. Oggi si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni, colmandoli di oggetti di consumo e di

LA SUA EREDITA’ “gratificazioni effimere”. Sia i genitori, sia gli insegnanti, sia i catechisti sono tentati di abdicare ai propri compiti educativi, senza comprendere più qua-le sia il loro ruolo, più ancora, la mis-sione a loro affidata. “ Noi siamo debi-tori nei confronti delle nuove genera-zioni, dei veri valori che danno fonda-mento alla vita!” Lo scopo essenziale dell’educazione è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza, per responsabilizzarla e stimolarla a dare il proprio contributo al bene comune. La domanda di un’educazione autentica viene ormai richiesta da più parti sia dai genitori spesso preoccupati ed angosciati per il futuro dei propri figli, sia dagli inse-gnanti che molto spesso vivono il de-grado delle loro scuole, e dalla società tutta che vede compromesse le mini-me regole di convivenza. In un simile contesto, alla Chiesa è richiesto un impegno ulteriore per educare oltre che alla vita, alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù, per cercare di tamponare la sfiducia e la spirale perversa che caratterizza la civiltà attuale. Non possiamo sottova-lutare le difficoltà che incontriamo come operatori pastorali, nel condur-re i fanciulli, gli adolescenti ed i giova-ni all’incontro con Gesù Cristo e a far nascere verso di Lui un rapporto du-

raturo e profon-do. A partire dalle conclusio-ni al Convegno Ecclesiale, la sfida per il futu-ro della Chiesa e della fede è proprio quella di avvicinare all’Amore del Padre ed a Cri-

sto le nuove generazioni che vivono in un mondo gran parte lontano da Dio. Più volte nei nostri incontri di formazione, un po’ avviliti per la si-tuazione, ci siamo detti , che il nostro lavoro pastorale non lo realizziamo

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PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

da soli, con le nostre forze;esso si realizza soltanto attraverso l’azione dello Spirito Santo. Per poter portare avanti il nostro lavoro pastorale è indispensabile la preghiera, l’Adorazione, coltivare il nostro rap-porto personale con Gesù. Ora più che mai c’è bisogno di persone che conoscono ed amano Gesù, e che testimoniano il suo Amore. Solo chi conosce ed ama Gesù, può testimo-niare ai fratelli e li può aiutare a rea-lizzare un rapporto con Lui. La scuo-la, poi,“orizzonte comune, al di là delle appartenenze religiose e delle opzioni ideologiche “ deve valorizza-re il compito educativo cercando di realizzare progetti educativi basati su una nuova pedagogia ed una nuova relazione tra docenti e ragazzi, per renderli più consapevoli della loro libertà in vista dell’identità personale e del progetto di vita da costruire e della loro dignità di persona. E’ evi-dente, senza ombra di dubbio, che nell’educazione e nella formazione delle nuove generazioni una missione propria e fondamentale ed una re-sponsabilità primaria competono alle famiglie. La vocazione dei genitori all’educazione dei figli, scaturisce dal dono ricevuto nel giorno del matri-monio e dalla responsabilità che essi hanno assunto nell’accogliere un do-no ulteriore : la vita di un figlio! E’ indispensabile che i genitori trasmet-tano ai propri figli l’Amore di Dio; Egli è Nostro Padre e racchiude in sé la tenerezza sia del padre che della madre, il nostro Padre Celeste , ha pensato a noi da sempre, ci ha voluto, ci ama ed è sempre pronto ad acco-glierci e consolarci. “L’Amore è il punto di partenza della vita”. I fi-gli,sull’esempio ed attraverso il com-portamento dei genitori che vivono l’amore reciproco e gratuito, il dialo-go e la tenerezza, scoprono la sor-gente della vita e la grandezza dell’Amore di Dio, diventando anch’essi capaci di avere rapporti a-morevoli basati sull’accoglienza,sul

dono e sulla gratuità e capaci di vive-re la loro vita, nell’onestà , nella giu-stizia, nella pace, facendo scelte giu-ste e ragionevoli. Gesù ci ha detto “ Io sono la vite, voi i tralci , chi rima-ne in me ed io in lui , fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”,( Gv 15,5) . Egli ci indica la santità di una vita fecondata dall’unione con Lui. La Sua Persona, grazie allo Spirito,diventa la regola vivente, interiore della nostra con-dotta. San Paolo, infatti nel capitolo 4 della Lettera ai Filippesi così lo testi-monia: “ Tutto posso in Colui che mi dà forza”. E’ urgente allora, superare questa fase delicata della sto-ria,rendendo consapevoli le giovani generazioni che solo Dio è la nostra forza, tutto il resto è fallace ed effimero. Facciamo nostre, le esortazioni del Santo Padre Benedet-to XVI, che in differenti momenti, più volte, ha incoraggiato gli organismi preposti all’educazione (famiglia,scuola, co-munità ecclesiali) ad un maggiore impegno per superare la crisi attua-le.Egli ha auspicato che l’opera dello Spirito Santo aiuti a non perdere la fiducia nei giovani, per andare loro incontro e per assicurare ad essi un futuro migliore .

Giulia Schiavo

EROS E’ A CASA VOSTRA

Ho conosciuto Eros non appena sono nato. Prima del linguaggio di Amore, è stata la mia lingua, insieme alle labbra, ad assaporarlo: ero il florido seno di mia madre, dal quale sgorgava il latte della vita. Come voi, come tutti gli esseri umani, è mia madre che ho amato per prima, e che continuo ad amare: perciò, almeno con riguardo ad una creatura vivente, ho sempre posseduto Eros nel mio cuore. E’ per questo che penso con tristezza a chi è stato privato dell’amore materno: perché Eros ha molti padri, ma sua ma-dre è sempre Afrodite, l’unica divinità dotata di un ascendente su di Lui. Il bello

e il buono del seno di mia madre ha rap-presentato per me, e per voi, l’ascesa del primo gradino della scala dell’eros, il percorso che guida ogni uomo a ricono-scere la bellezza astratta e quella interio-re di ogni creatura, di ogni oggetto. E’ un dono e al contempo una conquista, un regalo e una sfida, un cammino spesso accidentato, ma sempre esaltante, attra-verso il quale misuriamo la nostra capaci-tà di dare alla vita il senso più autentico. Vedo gli occhi indagatori e pieni di amo-re di mia madre, ancora lei: vogliosa di alimentare l’eros a me riservato, di aiu-tarmi a salire ancora qualche gradino, per poi lasciarmi libero di fare da solo. I suoi doni: di ogni tipo, ma mai inutili, perché, come la mamma di Marcel Proust, non amava farmi regali da cui non si potesse trarre un profitto intellet-tuale, “quello che ci procurano le cose belle insegnandoci a cercare il nostro piacere lontano dalle soddisfazioni del benessere e della vanità”. Ed ecco che mi mette dinanzi agli occhi oggetti di ogni tipo, e poi disegni, foto-grafie, pupazzi, fogli di carta; mi parla, mi fa ascoltare brani musicali, aprendo la mia mente alla percezione dell’armonia e della bellezza del mondo. Mi legge le favole, e piange alle scene più toccanti, facendo piangere anche me. Per un istante, perché subito affonda le sue labbra nelle mie guance, sorride e mi dice che non è niente, che si può anche piangere quando il bene è offeso, ma che non bisogna mai stancarsi di cercarlo e di donarlo. Mia madre, in questo modo, mi ha inse-gnato a ragionare e ad agire in vista del bene, della solidarietà, della compassio-ne, sentimenti che non abbandoneranno mai l’animo di una persona che li ha spe-rimentati da bambino.

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E’ una base imprescindibile per prepara-re il cuore all’influsso di Eros. Perché non c’è alcun dubbio: come afferma il filosofo José Ortega y Gasset, è ciò che siamo, è la nostra essenza a determinare il tipo di amore che saremo in grado di praticare: “Poiché l’amore è l’atto più delicato e totale dell’anima, esso riflette-rà lo stato e la natura dell’anima medesi-ma. Le caratteristiche della persona inna-morata devono essere attribuite all’amore stesso. Se l’individuo non è sensibile, come può esserlo il suo amore? Se la persona non è profonda, come può esserlo il suo amore? Il nostro amore è esattamente come siamo noi. Per questa ragione troviamo nell’amore il sintomo più significativo di quel che una persona è veramente”. Parole splendide, che si accordano per-fettamente col mito. Socrate, forse il più grande teorico dell’Amore, afferma che Eros “è la fonte del nostro desiderio di amarci l’un l’altro”. Ma Eros non inter-viene direttamente negli affari degli uo-mini; siamo noi a decidere come far uso di questa fonte, e dunque se soddisfare l’eros nelle forme più elevate - quelle che conducono al bene individuale e colletti-vo - oppure in modi grossolani e volgari. Infatti, Eros è anche desiderio sensuale. Una brama assolutamente naturale, un impulso fondamentale per la specie uma-na, al quale nessuno resta immune. Se tutto è opera di Dio, se sentiamo il biso-gno di mangiare, bere, dormire, ma an-che di godere dei piaceri del corpo, per-ché dovremmo negarceli? Tuttavia, se Eros è anche amore sensuale, non è mai amore libero, perché non c’è individuo che ignori l’importanza di dominare i propri impulsi sessuali, di soddisfarli nel modo e per i fini più giusti. Eros può esistere anche in assenza di amore, ma è un eros volgarizzato, attraverso il quale non si arriva mai a un’autentica unione con gli altri. Dunque, c’è bisogno del nostro contri-buto per salire lungo la scala dell’eros, una scala i cui gradini si chiamano storghé (l’amore per i famigliari), xenìa (l’amore per lo straniero, per il diverso da sé), philìa (l’amore fondato sull’affinità e l’amicizia), e, al culmine di tutto, l’agape, l’amore incondizionato e votato

al sacrificio. E’ di questa somma espressione di Amo-re che vorrei parlare, dell’eros che si con-cretizza nella capacità di concepire e vi-vere forme di bellezza sempre più emi-nenti ed elevate. E’ la Bellezza assoluta che Socrate, come mostra il Simposio pla-tonico, aveva ben chiara, e che incitava a perseguire: “Credi forse che possa ancora essere vuota la vita di un uomo che abbia fissato sulla Bellezza il suo sguardo, con-templandola pur nei limiti dei mezzi che possiede, ed abbia vissuto in unione con essa? Non pensi che solamente allora, quando vedrà la Bellezza con gli occhi dello spirito ai quali essa è visibile, quest’uomo potrà esprimere il meglio di se stesso?”. Negli stessi anni in cui Socrate diffondeva il suo pensiero, un filosofo orientale, il cinese Mozi, coniava il termine ai, che significa “amore universale”. Mozi indica-va nella semplice regola della benevolen-za verso i nostri simili, nel trattarli come se fossero nostri amici, la strada per a-vanzare lungo la via del ren (equivalente del concetto greco di areté), cioè la con-quista di un’autentica umanità. L’eros universale caratterizza la vita e l’insegnamento di Guru Nanak, il fonda-tore della fede dei sikh. Guru Nanak era nato in una famiglia indù di casta elevata, e avrebbe potuto condurre una vita ricca di opportunità e privilegi. Ma voleva essere giusto, voleva migliorare il mon-do, perciò predicò e applicò per tutta la vita la devozione disinteressata e amore-vole verso i propri simili. Come vediamo, in ogni tempo, e ovun-que, l’eros universale penetra i cuori pronti ad accogliere i carismi divini, pla-smando la volontà del soggetto per farla coincidere con quella del mondo, di ogni creatura, del tutto. E’ l’esperienza di comunione con l’energia universale che hanno chiara-mente raggiunto figure storiche come Mosè, Socrate, Confucio, Lao Tzu, Ge-sù, Maometto, San Francesco, Santa Te-resa d’Avila, Krishnamurti, Thich Nhat Hanh, Gandhi e molti altri. Un salto di coscienza notevole, e che perciò ha ri-guardato, sinora, pochi individui. Ma come fa notare lo psichiatra e scrittore Richard Maurice Bucke, tutti i salti evo-lutivi della razza umana sono emersi in persone singole, prima di diventare un

patrimonio universale. Quando ho preso coscienza delle vette cui l’eros divino può innalzare alcuni indi-vidui, mi sono messo sulle loro tracce, perché volevo conoscere e pregare insie-me a quelli, fra i miei simili, che in virtù dell’incessante perfezionamento interio-re si trasformano in veri e propri veicoli dell’espressione divina. Così sono andato in cerca degli eremiti che vivono nel deserto verticale del Monte Athos, gli atleti di Cristo “che si nutrono solo di erbe, di Dio e delle stel-le”. Uomini normali, ex studenti, impie-gati, ingegneri, fotografi, persone come me e voi, che l’eros divino ha chiamato a una reazione totale dinanzi alla vita, ad una scelta assoluta. “Siamo perfettamente consapevoli di essere un mistero, per voi”, mi ha detto uno di loro, un asceta della località atho-nita denominata Karoulia. “Lasciamo il mondo, e per voi viviamo come morti. Sì, in un certo senso è vero, siamo morti, per certe cose. Ma chi nel mondo vive come morto, è triste, depresso. Noi, invece, siamo felici. Ci seppelliamo, co-me il seme, per dare origine a una nuova vita. Se non demolissimo tutto ciò che avevamo costruito prima, non potremmo ricostruire noi stessi”. Felici nonostante la vita di privazioni e di sofferenza, in virtù dell’eros divino che li ha penetrati, della luce che risplende nell’intimo del loro essere. Vivono nel dolore del corpo, ma da loro emana una dolcezza consolatoria, una sconfinata serenità. Al cospetto di alcuni di essi, ho avuto la certezza di trovarmi dinanzi a una teofania: l’eros divino incarnato in un mio simile, una luce interiore che tra-scendeva lo spazio e il tempo. “Chiunque si ponga la questione”, ha scritto Al-Ghazali, “arriva a vedere che la felicità è necessariamente collegata al nostro rapporto con Dio”. Ho conosciuto la più alta forma di eros in uno dei luoghi più remoti del mondo, dal quale, ogni anno, ritaglio e porto con me una preziosa riserva di preghiera e di spiritualità, provvista indispensabile per combattere la battaglia per essere un uomo migliore, per cercare l’armonia col mondo e col mio prossimo.

Armando Santarelli

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Della fine dell’estate con-servo sempre lo stesso ricordo: l’ultimo pome-riggio prima della scuola a casa di mia nonna, con la testa persa dietro pen-sieri piccoli e sicuri, sere-ni e le dita aggrappate alla ringhiera del suo ter-razzo, con un piacevole solletico di gerani ancora giovani sulle ginocchia. Era una sorta di rituale, spesso si restava lì a parlare fino a quando il sole già più fuggiasco dei primi giorni di settembre, capitolava dietro la montagna dando il senso netto del passaggio. E io continuavo a chiedermi come sareb-be stata quella notte, quanto sonno avrei avuto e quanta voglia di addormentarmi. C’era in me una sottile impreparazione a ciò che sarebbe stato di me il giorno se-guente e, contemporaneamente, quell’ansia buona che hanno tutti i bam-bini: il confronto con i compagni di clas-se, gli orari, i compiti. E con il ricordo mi arriva ancora la sensazione forte, qua-si fisica, di un mondo di odori: di gomme da disegno e quaderni freschi di stampa, di diari colorati, di plastica e zaini, di marmellata e cornetti, di strade bagnate dalla prima pioggia e vento. Non so perché questo ricordo si sia anco-rato con ganci di acciaio alla mia memo-ria, forse perché è lucido e perfetto, qua-si intoccabile, come se fosse stato chiuso in un’ampolla di vetro, per preservarlo e proteggerlo. La fine di una stagione, qui, è un canto che chiude, uno svuotarsi di strade, un silenzio fra i binari. Ho sempre amato particolarmente i passaggi, i cambiamenti, il rompersi im-provviso o lento e trascinato di una sta-gione: credo possegga una magia incon-fondibile, la capacità di seminare l’aria di elettricità e di attesa, di puntellare la nostra vita con la consapevolezza che

tutto arriva ad un punto di fine, ad una svolta: una strada, un periodo, un’esistenza. Anche oggi, adesso, mentre scrivo, ritornano gli stessi odori e le stes-se immagini. E tutto si ricompone senza tempo crean-do uno scenario inconfondibile: il caldo scema, il sole sembra essersi arreso, o-vunque ci sono piccoli segni di qualcosa che ha vissuto e che merita riposo. E’ negli alberi, nei marciapiedi, nelle ombre di nubi che corrono sulle monta-gne, nel modo in cui si apre o chiude una finestra, perfino nei giardini, nella musi-ca che abbassa il tono e diventa dimessa, tranquilla. Come se non ci fosse più biso-gno, motivo o necessità di farsi notare ma solo di acquisire una duratura, rassi-curante pacatezza. La fine di una stagione è questo: predisporsi al cambiamento, lasciare che un altro anno attraversi la nostra pelle. La vita è una stagione lunghissima, capa-ce di fare capricci e cambiare, instabile e tanto più veloce e pronta al cambiamento di noi e del nostro saperci adattare. Si vivono estati splendide, perfette. La gioia sembra essere data in abbondanza. Ma l’autunno non accetta compromessi o ritardi. E’ lì che ci sorride beffardo da un angolo di rami ed aspetta di riprendersi il trono. Puntuale. Come lo scoccare della mezzanotte su di un orologio.

Emilia Filocamo

Anche quest’anno l’AC di Ravello ha partecipato, insieme alle altre parrocchie della Diocesi, al Campo Scuola Diocesa-no che si è tenuto a Laureto di Fasano dal 17 al 23 Agosto. A sorprendere positivamente è stata la forte risposta dei ragazzi che, accompa-gnati da circa 20 persone tra educatori e volontari, hanno aderito senza indugi portando addirittura a 140 il numero delle presenze totali. Da Ravello insieme a noi responsabili, Manuelita Raffaele e Ilenia, sono partite: Arianna Amato,Viviana Gennaro, Gem-ma Scala, Andreina Apicella, Giulia Man-si, Maddalena Pisacane e Raffaella Ruocco. Nel triennio che l’AC dedica alla risco-perta della santità laicale, anche i bambi-ni, i ragazzi e i giovani imparano a con-frontare la propria vita con le persone che li circondano e a conoscere alcune figure di santi che hanno sperimentato la bellezza dell’incontro con Gesù nella loro quotidianità. Il campo scuola, in modo particolare, diventa un’esperienza significativa, che permette ai ragazzi di fermarsi e mettersi in dialogo con la parola di Dio. Ad accompagnare i ragazzi in questo campo è stata la vita di Santa Chiara, “pianticella di Dio”, che ha lasciato tutto per seguire la volontà del Signore, che ha amato, desiderato e cercato la sofferenza per Amore di Cristo e ha scelto la via dell’umiltà e della semplicità per donarsi completamente a Lui. Il confronto costante e ricco con la vita di santa Chiara, con il suo Amore per il Maestro, la sua fedeltà alla Chiesa, la scelta di “altissima povertà” e di “vera fraternità”, il suo desiderio di preghiera e di contemplazione del Mistero eucaristi-co, ha scandito il cammino del campo e ha stimolato i ragazzi a conoscere questa figura di donna, che si è lasciata plasmare dalla novità del Vangelo e ha scelto di seguire Cristo povero e umile, vivendo in clausura per evangelizzare il mondo intero. In questo cammino i ragazzi sono stati anche invitati a scrivere la loro per-sonale regola di vita…

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LE STAGIONI DELLA VITA... CAMPO SCUOLA ACR GIOVANISSIMI 2010

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...ed a entrare sempre più nel progetto di Dio per scoprire ciò che il Padre ha pensato per ciascuno, per capire la loro vocazione. Attraverso il confronto co-stante con La Parola di Dio e gli episodi della vita di santa Chiara, ciascun ragazzo ha imparato a dare risposte nuove e signi-ficative, per costruire la sua vita di “piccolo” secondo il progetto d’Amore che il padre ha pensato per lui; ha rinsal-dato l’amicizia con il Signore e con le persone che ha accanto nell’incontro vero con l’altro, esercitandosi in un dia-logo autentico e sincero, curando la rela-zione con Dio e con i fratelli. Inoltre, sulla scia di quanto vissuto durante l’anno, ha cercato di elaborare una regola spirituale che lo porti ogni giorno a rin-novare la sua chiamata alla santità ricevu-ta con il battesimo. Ogni giorno, dopo la proclamazione del brano biblico, è stato presentato un episodio della vita di Chia-ra, presentata in “carne ed ossa” grazie all’interpretazione di una educatrice, che ha aiutato i ragazzi ad entrare nel testo e a contestualizzarlo nella propria vita. Ovviamente non sono mancati momenti di festa con balli, giochi e attività ludi-che. Le ragazze di Ravello, per la loro vivace ma educata partecipazione, sono state premiate come “il gruppo più coin-volgente del campo-scuola”. Per questo premio noi educatori di Ravello siamo rimasti molto entusiasti. La soddisfazione più grande, però, l’abbiamo avuta quan-do Arianna, Gemma e Viviana sono state invitate dal responsabile ACR diocesano, perché ritenute mature e preparate, a diventare educatrici ACR. Arricchiti e motivati dall’esperienza vissuta siamo tornati a casa pronti per cominciare un nuovo e stimolante anno associativo.

Manuelita Perillo e Raffaele Amato

Domenica 22 agosto 2010 su invito della Confraternita Ma-ria SS. del Carmine di Atrani, la Confraternita del SS. Nome di Gesù e della Beata Vergine del Monte Carmelo di Ravello ha partecipato alla festa della Madonna del Carmine nella vicina Atrani, ove per tradizio-ne si celebra in una delle ulti-me domeniche di agosto. Giunti nella Collegiata di S. Maria Maddalena siamo stati accolti dal priore Pasquale Di Landro e dal parroco Don Pasquale Imperati che nel manifestare la loro gioia per aver accolto l’invito, hanno anche sottolineato come al giorno d’oggi sia importante affidarsi continuamente alla Vergine SS. anche mediante la costituzione di sodalizi in suo onore. La messa solenne è stata presieduta da Don Carmine Satriano, parroco di S. Maria del Lacco di Ravello che durante l’omelia, ha voluto forte-mente evidenziare che le confraternite non sono semplicemente associazioni di fedeli, bensì gruppi di persone che alla scuola di Maria vogliono migliorare la

loro formazione cristiana, collaborare con il parroco nell’attività pastorale e aiutare quanti sono nel disagio. Approfondire questo messaggio in unio-ne con i confratelli dell’omonimo sodali-zio atranese è stato sicuramente utile perché, ancora una volta, ci ha fatto capi-re che la nostra adesione al sodalizio non può limitarsi a sole processioni e pelle-

grinaggi, ma desiderare e cercare il vero bene, cioè Cristo Signore. Al termine della celebrazione eucaristica si è svolta la tradizionale processione per le vie cittadine con sosta in piazza Umberto I, seguita da un momento di preghiera co-munitaria e la recita della supplica alla Vergine del Monte Carmelo. L’antica effige ha fatto poi ritorno nella chiesetta a Lei dedicata e antica-storica sede della Confraternita. I solenni festeggiamenti si sono conclusi con il canto del Te Deum seguito dalla benedizione liturgica impartita dal Parro-co Don Pasquale Imperati che, nel con-

g e d a r e l’assemblea, ha ricordato con una preghiera il priore defunto Salvatore Esposito, scom-parso improvvisa-mente nel dicem-bre scorso, e per due lustri ha gui-dato con amore la Con f r a te r n i ta . Nel piazzale anti-stante la chiesa non è mancato un momento convi-

viale, occasione per conoscerci uno ad uno e scambiarci i saluti. A nome del sodalizio ringrazio il Signore per averci fatto il dono di vivere in pre-ghiera con i confratelli di Atrani che con-dividono la devozione a Maria SS. Regi-na del Carmelo.

Il Priore Giovanni Apicella

La confraternita del SS. Nome di Gesù e della B.V. del Monte Carmelo partecipa alla festa del Carmine ad Atrani

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Ancora una volta il mese di agosto si è rivelato intenso per i grandi spunti di riflessione che la liturgia ha offerto. Per la Comunità ecclesiale di Ravello,finiti i festeggiamenti in onore di san Pantaleone che richiedono notevoli sforzi, l’ottavo mese dell’anno si conferma non solo come un momento di meritato riposo,ma anche una ghiotta occasione per ritem-prare lo spirito attraverso l’ascolto atten-to della Parola di Dio e quelle celebra-zioni che,pur nel rilassato clima esti-vo,sono talmente intense da non poter lasciare indifferenti .Del resto l’estate per i ravellesi dovrebbe essere anche un grande momento di confronto con i numerosi ospiti che scelgono Ravel-lo per le ferie estive e che hanno comunque alle spalle un cammino spirituale costruito e vissuto all’interno delle loro Comunità ec-clesiali. Si tratta di Comunità eccle-si a l i di c i ttà qual i Napo-li,Roma,Milano che in ambito pasto-rale vivono esperienze che meritano di essere conosciute. E noi ravellesi dovremmo mettere a disposizione di questi fratelli e sorelle, che per un mese scelgono di vivere con noi anche i momenti di fede, tutto ciò che può favorire un arricchimento spirituale reciproco,per evitare che con il corpo vada in ferie anche lo spirito. Per questo il Duomo,carta di identità,di Ravello,deve presen-tarsi in tutto il suo splendore e le celebrazioni devono essere particolar-mente curate. Luci,addobbi,pulizia sono funzionali alla Liturgia e nulla deve essere lasciato al caso, ma tutto deve condurre lo sguardo a Cristo che è il protagonista assoluto. Animata da questo spirito,nel mese appena trascorso la Comunità ec-clesiale di Ravello ha vissuto due mo-menti particolarmente significativi:la solennità dell’Assunta,titolare della Basi-lica ex Cattedrale,e la notte di adorazio-ne significativamente intitolata”Una notte con Gesù”.Entrambe le celebrazioni si sono perfettamente inserite nel tema guida della liturgia domenicale agosta-na:l’umiltà. Ma andiamo per ordine. Il 6 agosto,Festa della Trasfigurazione del

Signore,è iniziata la novena in prepara-zione alla solennità dell’Assunzione di Maria al cielo. Nel corso delle nove se-re,attraverso il canto del Magnificat e dell’antifona “Ave Regina Coelo-rum”siamo entrati nel clima della festa mariana per eccellenza. Sì,perché la so-lennità del 15 agosto,purtroppo penaliz-zata dal banalissimo ferragosto,è di una profondità tale che giustamente viene definita la “Pasqua di Maria”.Sul grande mistero e sul messaggio della festa dell’Assunta ci ha aiutato a riflettere quest’anno Mons. Claudio Gugerotti, Arcivescovo titolare di Ravello e Nunzio

apostolico in Georgia,Armenia e Azerba-jan,che ha celebrato la solenne messa vigiliare del 14 sera,durante la quale ha conferito anche il Sacramento della Con-fermazione. Il presule ha invitato a guar-dare a Maria come modello di umiltà,una umiltà che Le ha garantito la glo-ria,perché la Vergine di Nazareth ha vo-luto e saputo fare la volontà di Dio. E fare la volontà di Dio è il segreto per la felicità. Così la solennità dell’Assunta ha “il profumo della vittoria”come ci ha ri-cordato il padre missionario del Movi-mento Apostolico di Schoenstatt che ha concelebrato con due confratelli scozze-si, la solenne messa del giorno. Una e-spressione che ben si concilia con le stu-

pende parole che la liturgia della solenni-tà ci fa ascoltare nel bellissimo prefa-zio”Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro Colei che ha generato il Signore della vita”l termine della messa vespertina si è tenuta la breve processione che si è snodata lungo via della Marra fino a Gradillo,in un’atmosfera raccolta caratterizzata dai tradizionali canti mariani che nella loro semplicità mantengono intatto il fascino della religiosità popolare. La solennità dell’Assunta,quindi,con il suo profumo di vittoria ci ha invitato ad elevare lo sguardo al cielo per contemplare Colei

che è stata esaltata perché si è umiliata e che ci ricorda ciò che è essenziale nella vita del seguace di Cristo:FATE QUELLO CHE EGLI VI DIRA’. Ma per capire ciò che il Signore vuo-le,occorre il silenzio,l’ascolto,mettersi di fronte a Colui che parla. Ogni gior-no nell’umiltà del Tabernacolo,Cristo ci attende,ma non sempre i ritmi frene-tici della vita quotidiana ci consentono questa sosta spirituale. Proprio da que-sta consapevolezza è nata l’esigenza di proporre per la terza volta la notte di adorazione. Dalla sera del 19 fino al mattino del 20 agosto(memoria di san Bernardo abate)le porte del Duomo sono rimaste spalancate per consentire a tutti di stare anche per un minuto davanti a Gesù Eucaristia,esposto sull’altare con dignitosa semplicità. Sei fiaccole accese sulle gradinate della

Chiesa e un breve messaggio invito sono stati gli elementi esteriori che lasciavano capire che all’interno del Duomo si stava vivendo una esperienza particolare. Una esperienza forte scandita da tre momenti di preghiera comunitaria:Vespri,Ufficio delle Letture,Lodi. E’ stato stupendo vedere come fino a tarda notte,molte persone,lasciando per un momento il rilassato clima della piazza estiva,abbiano sentito il bisogno di stare in silenzio da-vanti al Santissimo. Personalmente riten-go che il momento più bello di questa “Notte con Gesù” sia stato l’Ufficio delle Letture che si è svolto alle 3 del mattino.

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Il profumo della vittoria

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Questo momento ha visto partecipare un gruppo di giovani che ha voluto vivere - forse per la prima volta - questa parte della Liturgia delle Ore. Grande gioia abbiamo provato nel sapere che un ravel-lese,residente a Roma,da qualche anno è un “adoratore perpetuo”che nella Basilica romana di Santa Anastasia con un gruppo di 240 perso-ne,a tur-no,notte e giorno adora Gesù Eucari-stia. Chi l’avrebbe im-maginato? Chi l’avrebbe saputo se non fosse stata organizzata la “Notte con Ge-sù”? Tante volte,prigionieri dei nostri pregiudizi,presumendo di essere solo noi i migliori,dimentichiamo l’azione silen-ziosa dello Spirito Santo che favorisce l’incontro con il Signore “che cambia la vita”,come quell’amico ravellese mi ha dichiarato sul sagrato del Duomo dopo aver sostato per lungo tempo davanti al Santissimo. Anche questa esperienza ha il profumo della vittoria e scaturisce dall’umiltà di chi si affida totalmente al Signore,lasciando che Lui operi,senza frapporgli ostacoli. Ci auguriamo che “Una notte con Gesù” insieme con l’adorazione di ogni giovedì possa affa-scinare altre persone e che tutti possano comprendere la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa che è in Ravello. L’Eucaristia che è anche segno di unità. Corroborati dalle pagine del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato nelle dome-niche di agosto,rivestiamoci allora di quella umiltà che ha reso grande Maria di Nazareth e che ci fa respirare il profumo della vittoria. Solo,così,credo,possiamo incontrare Cristo,unica vera luce dell’uomo. Le altre luci che incontriamo o che ci vogliono fare incontrare,se non portano a Cristo,o ci abbagliano o servo-no solo ad illuminare le miserie e le vani-tà che albergano,purtroppo,nell’animo dell’intero popolo di Dio.

Roberto Palumbo

Sabato 14 agosto 2010 la Parrocchia San Pietro alla Costa - San Michele Arcangelo di Torello e l'Associazione socio - cultu-rale "Ravello - Borghi in Festa “ hanno inaugurato l'antica cripta della chiesa di S. Pietro alla Costa, resa accessibile e fruibile al pubblico dopo circa un secolo di abbandono. I saluti di rito sono stati rivolti da Fra Antonio Petrosino, dal presidente dell'Associazione Nicola Amato, che ha sottolineato come l’ iniziativa si aggiun-ge ad altre già promosse dal nuovo soda-lizio, come l'apertura estiva delle chiese di San Pietro alla Costa, San Michele Arcangelo di Torello e del Santuario dei Santi Cosma e Damiano. Tutto ciò ovvia-mente in linea con i fini statutari dell’Associazione, che opera per “favorire, divulgare e realizzare iniziative idonee a promuovere e valorizzare il patrimonio storico, artistico, religioso e culturale locale, le tradizioni popolari del territorio ravellese”. Sono poi intervenuti il sindaco di Ravello Paolo Imperato e il prof. Alberto White, il quale ha evidenziato come il recupero dell’antico ambiente debba costituire la premessa per un vasto campo di studi e di ricerche sulle testi-monianze archeologi-che di età medievale, di cui il territorio ravellese presenta an-cora numerose emergenze inesplorate. A questi interventi è seguito quello di Salvatore Amato che, attraverso la docu-mentazione archivistica, ha cercato di ricostruire le vicende che interessarono l’intero complesso chiesastico di S. Pietro alla Costa dalla fondazione alla ricostruzione di fine Settecento, per la quale si è riusciti addirittura a stabilire il tipo di intervento, i mastri esecutori e l’ammontare delle spese. Tuttavia, trala-sciando le numerose testimonianze rin-tracciate, in questa sede si ritiene utile riportare solamente le brevi notizie che riguardano propria la cripta, abbandona-ta e sospesa dal culto tra il 1588 e il 1602

per ordine dei vescovi di Ravello Emilio Scattaretica e Antonio De Franchis. Essa si presentava divisa in tre parti da due grosse colonne di marmo, aventi funzio-ne di sostegno della chiesa ma oggi non visibili perché inglobate nei pilastri. Nel

1602, quando venne decretata la demoli-zione dell’unico altare presente, erano ancora visibili antichi affreschi sulle pare-ti e alcune sepolture. L’ultima traccia di quegli affreschi, esistente ancora oggi, è costituita dall’immagine di un vescovo, probabilmente S. Nicola da Myra, datato alla fine del XIII secolo. Dopo la profana-zione l’ambiente rimase inutilizzato fino agli inizi del Novecento quando divenne per qualche decennio la sede della Con-fraternita dei SS. Cuori di Gesù e Maria, fondata verso il 1908 per iniziativa di Don Pantaleone D’Amato e il cui primo priore fu un tal Alfredo Penna. Estinta rapidamente la confraternita, di cui rimangono tracce nelle croci peniten-ziali rinvenute nell’ambiente, la cripta si trasformò purtroppo in un deposito della chiesa, condannato all’oblio e all’usura del tempo. Ma fortunatamente, pur nei limiti dell ’intervento eseguito, l’ambiente è stato reso accessibile e frui-b i l e g r a z i e a l l a s e n s i b i l i t à dell’Associazione “Ravello - Borghi in festa” che, fin dalla sua costituzione, ha avuto come obiettivo principale la salva-guardia e la conservazione del patrimo-nio culturale della nostra terra. Su questo aspetto il nuovo sodalizio ha dimostrato di essere attento all’ammonimento di Vincenzo Gioberti, più volte ricordato dal compianto Don Giuseppe Imperato Senior, per cui “l’ignoranza e la indiffe-renza delle opere e dei monumenti degli avi è la peggiore sventura di un popolo”.

Salvatore Amato

L’inaugurazione della cripta della chiesa di S. Pietro alla Costa

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Il Papa Gio-vanni Paolo II ci esortava con le se-guenti paro-le:“Cari figli, in questi gior-ni voglio invi-tarvi a porre al centro di

tutto la Croce. Pregate in particolare davanti alla Croce, da cui derivano gran-di grazie. In questi giorni fate nelle vo-stre case una consacrazione speciale alla Croce. Promettete di non offendere Gesù e la Croce e di non arrecargli in-giurie.” (12/09/85) La Croce sulla no-stra strada deve essere il segno indicato-re che ci conduce all'amore e all'unifor-mità della nostra volontà con quella di Dio, attraverso le quali viene la vera pace. Se guardiamo la Croce vediamo che ha una dimensione verticale (amore verso Dio) ed una orizzontale (amore verso il prossimo). Queste due dimen-sioni ci indicano la strada dell'Amore. Colui che ama Dio è pronto a soffrire, pronto a perdonare, a riconciliarsi, è pronto a portare la croce. Chi ama Dio potrà realizzare anche l'altra dimensione: amerà il prossimo, amerà anche la crea-zione. E quando avremo realizzato que-sta unità fra le due dimensioni, quando queste s'incontrano nel nostro cuore, avremo la vera pace e comunicheremo pace attorno a noi. Cristo ci ha salvato con la Croce, segno di Amore. Il centro di unità fra la dimensione verticale e quella orizzontale è Gesù. E se Lui è al centro della nostra vita, allora le pre-ghiere, i digiuni, le veglie, tutto sarà illuminato alla presenza di Gesù che crea la pace vera. La croce deve essere il no-stro innamoramento. Con la follia dell’innamoramento tutto potremo osa-re, perché per amore si riesce a morire. Sulla croce c’è pienezza di vita perchè Gesù pur essendo di natura divina svuotò se stesso assumendo la condizione di servo e umiliandosi fino alla morte di croce e il Padre ha riempito questo svuo-tamento con la gloria e la vita in pienezza. La redazione

Il mio amico Agostino. La catechesi del 25 agosto di Benedetto XVI potrebbe intitolarsi così. Come un uomo può par-lare di un amico grande, che incontra da ragazzo e gli resta per sempre accanto, così il Papa ha parlato di Agostino. Che è Agostino di Ippona, ed è morto quasi m i l l e s e i c e n t o a n n i f a . Come può un uomo di un tempo così perdutamente remoto essere compagno, interlocutore silenzioso e fedele, di un altro in un evo vertiginosamente distan-te? È l’ostacolo, la barriera opaca del tempo, che quasi inconsciamente si frap-pone fra noi e i santi che pure magari veneriamo. Francesco, Bernardo, Teresa e Caterina: uomini e donne straordinari, ma la massa rappresa del tempo che ci separa li fa sembrare spesso irrimediabil-mente lontani; e allora quelle figure si irrigidiscono in devoti stereotipi, e la loro umanità sembra incapace d i t o c c a r e l a n o s t r a . Eppure, dice il Papa, Agostino lui l’ha conosciuto da vicino. È diventato “un compagno di viaggio”. Come indicandoci una strada capace di attraversare i mil-lenni; come se fosse possibile aggirare la s i g n o r i a d e l t e m p o , c h e sbiadisce e cancella la memoria. E come lo ha conosciuto, il Papa, Agosti-no? Con lo studio e con la preghiera, dice. Nel silenzio, come quello in cui ad Agostino e sua madre Monica, affacciati a una finestra sul mare di Ostia, sembrò di toccare il cuore di Dio («Le creature – dice il Papa – debbono tacere, se deve s u b e n t r a r e i l s i l e n z i o i n c u i D i o p u ò p a r l a r e » ) . E a questo punto Benedetto sembra la-sciarsi andare alla passione con cui un adolescente potrebbe dirci di un compa-gno molto caro, suscitando il desiderio di conoscere anche noi quell’amico sin-golare. Dunque Agostino «non è mai vissuto con superficialità: la sete, la ricerca inquieta e costante della Verità» è il marchio del-la sua storia. Prestigio, carriera, possesso delle cose lo hanno sedotto e illuso, per qualche tempo. Ma lui «non si è mai fermato, non si è mai accontentato». ( E sembra di vedere in filigrana nelle parole

l’amicizia fra il santo e il giovane Ratzin-ger, e poi il seminarista, e il professore: la tensione a cercare, come il "vir desi-deriorum" del libro di Daniele. Colui che, ha scritto Benedetto nel Gesù di Nazareth, «non si accontenta della realtà e s i s t e n t e , e n o n s o f f o c a l ’ i n q u i e t u d i n e d e l c u o r e » . E in un tempo che afferma, come unico vero dogma, che non esiste alcuna Veri-tà, ma tante, o nessuna, e che è meglio sfruttare i propri giorni senza perder tempo a cercare ciò che non c’è, l’amico segreto del Papa si staglia alto all’orizzonte come un gigante fra i nani, dalla sua stessa domanda reso grande, e colmato. Ma, dov’è poi quella Verità che noi poveri cristiani a volte immaginiamo irraggiungibile, troppo alta nei cieli, o distratta, lo sguardo assente sulle nostre s t r a d e e c i t t à e c a s e ? Agostino ha scoperto, dice il Papa, che quel Dio che cercava con tutte le sue forze «era più intimo a sé di se stesso». Non in un cielo troppo azzurro e remo-to, ma dentro, nel profondo di o g n i u o m o : " I n i n t e r i o r e h o m i n e h a b i t a t V e r i t a s " . E i teologi e i dotti lo conoscono bene quel passo delle «Confessioni», ma noi poveri cristiani siamo grati a un Papa che ci ricorda questa parola. Raccontando del suo amico Agostino – morto ad Ippona, nell’anno 430. Eppure vivo. Eppure uomo come noi, distratti o inquieti, o in fondo paurosi che quella Verità che affermiamo non esistere sia lei, invece a trovare noi, e a sedurci. Il mio amico Agostino, testimonia il Papa. Perché, come scriveva negli anni Settanta Ratzinger, «la fede cristiana non la si può descrivere astrattamente: la si può solo documentare riferendosi a uo-mini che l’hanno vissuta fino nelle ultime conseguenze». Teresa, Ignazio, France-sco e gli altri: «Come si vede in loro – scriveva il futuro Papa – la fede è in fon-do una determinata passione, o, più giu-stamente: un amore».

Marina Corradi Da “Avvenire”

Invito a riflettere sul valore della Croce di Gesù Un santo per amico

Page 24: Incontro settembre 2010

CELEBRAZIONI DEL MESE DI SETTEMBRE

GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa GIOVEDI’ 2-9-16-30 ore 18. 30: Santa Messa e Adorazione Eucaristica 5 SETTEMBRE: XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-19.00: Sante Messe Al Lacco festa della Natività della B.V. Maria 8 SETTEMBRE: NATIVITA’ DELLA B.V. MARIA 11 SETTEMBRE: ANNIVERSARIO DELL’ORDINAZIONE SACER-DOTALE DÌ MONS. ORAZIO SORICELLI 12 SETTEMBRE: XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO SS. NOME DÌ MARIA Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe 14 SETTEMBRE: FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE Pellegrinaggio della Confraternita al Santuario del SS. Crocifis-so di Scala 15 SETTEMBRE: MEMORIA DELLA B.V. MARIA ADDOLORATA

19 SETTEMBRE : XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO S. GENNARO PATRONO DELLA CAMPANIA Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe A Torello celebrazione solenne della MEMORIA DELLA B.V. ADDOLORATA 21 SETTEMBRE: FESTA DÌ S. MATTEO APOSTOLO 23 SETTEMBRE:

X ANNIVERSARIO DELL’INGRESSO IN DIOCESI DÌ S.E. MONS. ORAZIO SORICELLI

Cattedrale di Amalfi ore 18.00: Solenne Concelebrazione Eucaristica 26 SETTEMBRE XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In Duomo Santa Messe: ore 08.00-10.30-19.00

Presso il Santuario dei SS. Cosma e Damiano

SS.Messe ore 07.00-8.00-9.00-10.00-11.30-17.00—19.00

29 SETTEMBRE:

SS.MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE ARCANGELI

Page 25: Incontro settembre 2010

Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VI - N. 8 – Settembre 2010

Nell’Esortazione apostolica diretta alla Chiesa dopo il Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia celebrato in Vaticano dal 2 al 23 ottobre 2005 Papa Benedetto XVI ha solennemente affermato che l’Eucaristia è “costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa”. In obbedienza al comando del suo Signo-re, infatti,e col mandato confidato da Gesù agli apostoli di celebrare nella storia il suo “memoriale” la Chiesa fa nell’Eucarestia “memoria” di Gesù e verifica, attualizzando in ogni tempo ed in ogni luogo,la promessa di Ge-sù:”Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del Mondo”. Gesù di Nazaret, Figlio di Dio e Salva-tore degli uomini, il Signore Crocifisso e Risorto, viene in Persona a stare e vivere con noi uomini, suoi fratelli; si fa nostro cibo per fondersi concreta-mente con noi, e, se Lo accogliamo e ci nutriamo di Lui aprendogli comple-tamente il cuore, Egli ci unisce a Sé trasformandoci totalmente in Lui che vive in noi. Chi accoglie Gesù che nella celebrazio-ne dell’Eucaristia viene tra noi e si rende presente sotto il segno del Pane e del Vino, avverte in sé,momento per momento, la luce sempre più grande della sua Resurrezione, della sua presenza divina;avverte l’infinito che si espande dal suo cuore e può dire come Pao-lo:”Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. Paolo si è cibato, ha vissuto di Cristo, e Cristo ha risposto, lo ha trasformato, si è unito a Paolo,diventando una sola cosa con Lui. Ciascuno di noi in quanto battezzato e discepolo di Cristo è chiamato nella sua

esperienza terrena a vivere, a risplendere di questa unione divina che viene miste-riosamente alimentata dalla fede e comu-nione eucaristica. Il Sacramento del Cor-po e il Sangue di Cristo presente nell’Eucaristia è il segno di questa unione divina perché Gesù ha affermato:«Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me ed io in Lui». Pensate come ogni giorno Gesù Crocifis-so e Risorto è con noi, si mette nelle nostre mani quando celebriamo la divina

Eucaristia e ci offre la Vita di Dio. Ma a quale condizione? Che Lo amiamo, gli apriamo le porte. Che lo chiamiamo a vivere nel nostro cuore, impegnandoci ad osservare la sua Parola di Vita,vivendo come Lui è vissuto. «Fate questo in memoria di me... ». Do-vremo allora vivere l’Eucarestia come segno dell’Amore di Dio per noi e come impegno di unione in Cristo. Solo così troveremo in noi Gesù, e in Lui,la guari-gione da ogni nostra infermità. Ciò che noi impariamo dall’Eucarestia è innanzitutto l’esperienza dell’amore co-

me dono. La carità che noi vogliamo co-noscere e imparare a vivere non s’inventa, né si produce, ma si riceve. Dio, amore infinito, si unisce all’uomo attraverso il pane e il vino che Cristo trasforma nel suo Corpo ed il suo San-gue. Ci offre la sua Vita. Ma perché? Per-ché Dio vuole che siamo una sola cosa con Lui. Perché l'Amore non può che essere unione, fusione sublime, totale. Perché possiamo vivere in Dio e perché Dio possa vivere in noi. Se possederemo

pienamente la carità di Dio sapremo anche donarla davvero agli altri. L’Eucarestia è davvero il luogo in cui il dono gratuito e liberante dell’amore di Dio si rende presente per noi. Perciò se l’amore è innanzitutto un dono, signifi-ca che esso non può essere un prodotto delle nostre capacità o una deduzione dei nostri concetti. Allora, come impa-rare ad amare? Si impara ad amare im-parando a dire grazie, lasciandosi ama-re, scoprendo il primato della nostra vita nella dimensione contemplativa dell’esistenza, cioè di questo perdurante abbandonarsi a Dio, in questo lasciarsi affascinare dall’altro, lasciarsi visitare da

Lui perché il suo amore viva in noi. Nes-suno imparerà ad amare se prima non è stato amato. Non c’è invito più forte e più grande dell’amore che comincia ad amare e pre-dirsi nell’amore. S. Agostino diceva: “Nulla maior est ad amorem invitatio quam prevenire amando”. Se la Chiesa nasce dall’Eucaristia, a stretto rigore di logica ne deriva anche che l’agire dei membri della Chiesa, lo stile di vita dei cristiani deve ispirarsi al Sacramento dell’Eucaristia celebrata. Continua a pagina 2

La Chiesa nasce dall’Eucaristia e vive dell’Eucaristia

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

Page 26: Incontro settembre 2010

PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Legato a Cristo per il Battesimo e mem-bro del suo Corpo,la Chiesa, di cui Cri-sto è il Capo, l’esperienza che il Battez-zato vive nell’incontro sacramentale con il Signore Gesù Crocifisso e Risorto nella celebrazione dell’Eucaristia deve necessariamente trasferirsi anche nel tessuto della sua esistenza quotidiana in forza anche del noto principio che la fede si esprime nelle opere dell’amore,ovvero in una condotta di vita rispondente alla fede professata. Lo affermava recentemente anche Papa Benedetto XVI nel discorso al Convegno diocesano di Roma: “L’Eucaristia celebrata ci impone e al tempo stesso ci rende capaci di diventare, a nostra volta, pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi. Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per por-tare loro l’amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude” (OR, 17 giugno 2010). Nell’assidua, consapevole e dignitosa partecipazione alla Santa Messa almeno domenicale noi dovremo valorizzare la ricchezza della Parola,dei segni e dei gesti che la Liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa compie, per rea-lizzare l’unità della fede con la vita, come ci ricorda il noto adagio: lex orandi, lex credendi, lex vivendi.

Don Giuseppe Imperato

«L'Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l'amo-re tra l'uomo e la donna, uniti in matri-monio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo».

Sacramentum Caritatis, numero 27

Intervento del card. Angelo Scola. Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Fino a quindici anni fa circa si parlava dell’eclissi di Dio, giungendo anche ad affermare che la sfera religiosa sarebbe del tutto sparita dalla società. Oggi, se si eccettuano taluni tentativi di elaborare un “nuovo ateismo”, giudicati dai critici come più stravaganti che oggettivamente pertinenti, siamo di fronte a una grossa sorpresa: Dio è tornato. Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Oggi la domanda cruciale non è più: “Esiste Dio?”, ma piuttosto: “Come aver notizia di Dio?” E quindi: “Come Dio si comunica a noi così che si possa narrare Dio, e comunicarlo in quanto Dio vivo all’uomo reale che vive nel mondo reale? Come nominare questo Dio perché l’uomo post-moderno - cioè ciascuno di noi - lo percepisca significativo e quindi conveniente?”. Nell’ottica occidentale, influenzata radi-calmente dal giudaismo e dal cristianesi-mo, Dio è Colui che viene nel mondo. Se viene nel mondo è distinto da esso, ma questo non esclude la possibilità che gli uomini lo colgano come familiare. Allora per parlare di Dio all’uomo post-moderno, «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso che viene nel mondo ad abilitare l’uomo a divenirgli familia-re» (Jungel). È necessario domandarsi prima se c’è una familiarità tra Dio e l’uomo e interrogar-si su di essa perché Dio possa essere vera-mente conosciuto. Un problema di sem-pre, è divenuto particolarmente acuto nella post-modernità che non è interessa-ta ai discorsi sui massimi sistemi, sulle mondovisioni, ma è sempre più presa dai problemi del vivere quotidiano. Per l’uomo di oggi la questione non è tanto se esiste Dio, ma se esiste cosa ha a che fare con me ogni giorno. Mi è fami-

liare? Ebbene la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare per-ché si è compromesso con la storia degli uomini è nel DNA della mentalità occi-dentale. Se le cose stanno così allora cerchiamo di scoprire come la presenza di Dio ci di-venta quotidianamente familiare, giun-gendo a colmare, in modo del tutto gra-tuito, il desiderio in senso pieno, scio-gliendo l’inquietudine di cui parlava A-gostino. In questo modo la parola desiderio ac-quista tutto il suo spessore, che non si lascia ridurre, come quasi sempre noi rischiamo di fare, a una pura aspirazione soggettiva, ma vive nella sua pienezza bipolare, come il tendere con tutte le nostre forze al reale, il cui orizzonte ulti-mo è l’infinito e propriamente parlando Dio stesso. La possibilità di aver notizia di Dio e di narrare di Lui sta nell’ascolto di quanto Egli ha voluto liberamente comunicarci. E conviene dire subito che la comunicazione gratuita e piena del Dio Invisibile ha un nome proprio, è una per-sona vivente: Gesù Cristo. In lui, morto e risorto, Dio ci viene incontro in quanto Dio. Per dire Dio occorre, quindi, ap-profondire la lingua della creatura che il Verbo incarnato ha voluto liberamente assumere. È necessario comprenderne, per così dire, la grammatica. Quella grammatica che è capace di narrarci il Divino. Così, non solo il cristiano sarà in grado di confessarlo come il suo Signore e Dio, ma ogni uomo, anche colui che si dice non credente, lo potrà riconoscere.

Da “www.donboscoland.it”

SEGUE DALLA PRIMA Come incontrare Cristo oggi?

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

«Era più teologa lei di noi teologi». Ma-dre Teresa di Calcutta nel ricordo di mons. Paulinus Costa, arcivescovo di Dhaka. «In questi giorni mi viene alla mente la sua determinazione ad aiutare il Bangladesh colpito dalle alluvioni nel 1992...». Quando ha incontrato Madre Te-resa di Calcutta? Ho avuto occasione di incontrare ripetu-tamente Madre Teresa. Molte volte in-sieme a tanti altri e qualche volta perso-nalmente. La prima occasione in cui in-contrai la Madre personalmente fu nel lontano 1979, da rettore del seminario maggiore di Dhaka, quando la invitai per una conferenza ai seminaristi. Fece un’enorme impressione su tutti noi. Tut-ti furono entusiasti della sua presenza e di quello che ci disse in quella circostan-za. La incontrai poi ancora nel 1987, in occasione di una visita a Calcutta, e suc-cessivamente a Tajgaon, una parrocchia di Dhaka, dove era venuta ad inaugurare una casa della congregazione. Anche in questa occasione, dove era presente tan-tissima la gente, ebbi la fortuna di poter-la incontrare a tu per tu per qualche mi-nuto. Nel 1992, quando il Paese era afflitto da una gravissima alluvione, Ma-dre Teresa riusci’ ad inviare un cargo di biscotti dall’India per la gente del Ban-gladesh. Lei stessa venne personalmente ad accompagnare il carico. Quando la Madre capì che il governo del Bangla-desh, al quale donava i biscotti per la gente, non era disponibile al trasporto del cargo dall’aeroporto alla parrocchia, disse chiaramente che avrebbe rimandato l’aereo in India! L’ufficiale governativo cambiò idea e mandò una autocarro per il trasporto… La incontrai infine nel 1994, quando fu invitata da parte del Lions Club a presenziare una cerimonia all’hotel Sonargaon di Dhaka. Quale è stata l’impressione che ha tratto da questi incontri? Fui colpito, in occasione della conferenza che tenne in seminario, dalla profondita’ teologica e spirituale delle sue parole. Pur essendo laureato in teologia, mi resi conto che Madre Teresa era piu’ teologa di me. Madre Teresa parlava sempre dell’amore di Dio e dell’amore per il

prossimo, soprattutto il piu’ povero. Ella, che era chiamata “Madre”, madre la era davvero, con tutte le fibre del suo essere. Appariva fragile e debole, ma aveva una forza eccezionale, come dimostro’ quando era addirittura pronta a rimandare il carico in India se il gover-no non avesse provveduto a trasportare il carico dall’aeroporto al punto di distri-buzione. Era anche una donna estrema-mente coraggiosa. In un’altra occasione, il governo del Bangladesh si rifiuto’ di concedere il visto di entrata alle sue suo-re. Colui che accompagno’ Madre Teresa dal ministro che rilasciava i visti, mi dis-se, dopo l’incontro, di aver ammirato il

coraggio e la forza di Madre Teresa. Quando il ministro disse a Madre Teresa di non aver bisogno di suore straniere in Bangladesh, ella replico’ che la sua con-gregazione aveva la sacrosanta autonomia di decidere chi dovesse lavorare e dove, aggiungendo che questo non era affare del governo! Alla fine il ministro conces-se i visti. Ovviamene la sua visita era stata preceduta da una serie di incontri con gli ufficiali governativi, ma l’incontro tra Madre Teresa e il ministro fu decisivo. Madre Teresa era anche mol-to umile. Una volta un uomo le sputo’ addosso: Teresa non ebbe nessuna rea-zione di risentimento e cio’ letteralmen-te disarmo’ colui che aveva voluto umi-liarla pubblicamente. Pensa che Madre Teresa sia santa? Senza voler ovviamente anticipare il giu-dizio della Chiesa, personalmente non ho il minimo dubbio al riguardo: Madre Teresa e’ una santa! In che senso Madre Teresa

era missionaria? Madre Teresa e’ venuta in Bangladesh come missionaria ed ha inviato le suore in India e in tutto il mondo come missio-narie della carita’ di Dio. Ella era capace di coinvolgere tutti – cristiani e non – nella sua opera a favore dei piu’ poveri. Cosa può dire circa la sua vita di pre-ghiera? La Madre partecipava quotidianamente e con molto trasporto all’Eucaristia. E’ attribuita a lei la frase che si trova ormai in qualsiasi sacrestia del Bangladesh rife-rita ai presbiteri “Oh sacerdote, celebra questa S. Messa come se fosse la tua pri-ma Messa, l’ultima tua Messa e la sola Messa che celebri”. Ricordo che quando fu chiamata dal Lions Club, arrivo’ con largo anticipo (anche se il costume vuole che l’invitato speciale arrivi con un certo ritardo!) e si mise tra la gente a pregare il rosario. Quando fu tempo, con molta semplicita’ sali’ sul palco e solo allora i presenti la riconobbero! Madre Teresa pregava continuamente il rosario e chie-deva benedizioni a presbiteri e vescovi. Aveva un grande amore per i sacerdoti, per la cui santificazione ella pregava e faceva pregare. Aveva un rapporto molto speciale con papa Giovanni Paolo II, il quale la rispettava e l’amava molto. Qual è il suo messaggio alle Chiese dell’Asia? Madre Teresa ha evangelizzato l’India e il mondo intero soprattutto attraverso l’azione. Ella e’ stata una grande missio-naria. La sola presenza delle sue suore e’ una forma di proclamazione del Vangelo. Spero e desidero che sia dichiarata santa presto e che le sue suore possano conti-nuare la sua missione di carità.

Da “www.donboscoland.it”

Madre Teresa diceva di sè Il mio segreto è Gesù

Il mio segreto è Gesù.

Il suo grande amore per noi, la preghie-ra, la meditazione, l’adorazione quotidia-

na di un’ora davanti all’Eucaristia, o i nostri voti religiosi. Il mio motto è que-sti:” Tutto per Gesù. Tutto a Gesù per

mezzo di Maria”.

Il centenario di Madre Teresa

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La superiora delle Missionarie della Ca-rità afferma: «Celebriamo il centenario della nascita della Madre condividendo la gioia di amare ed essere amati». Madre Teresa è nata 100 anni fa a Skopje (nell'attuale Macedonia) il 26 Agosto 1910. La sua vita e la sua opera continua ad essere fonte di ispirazione per grandi e piccoli, ricchi e poveri di tutti i ceti sociali, religioni e nazioni. Il suo messag-gio: "Dio ci ha creati per cose più gran-di, per amare ed essere amati", ci fa guardare oltre le lotte, la solitudine e le ingiustizie della nostra vita quotidiana. Siamo chiamati per qualcosa di infinita-mente più grande della ricchezza, del talento, della fama o dei piaceri passeg-geri. Siamo chiamati a guardare a Dio, il nostro Padre amorevole, e sapere che Lui ci ama con un amore incondizionato, tenero ed eterno; e noi siamo chiamati a condividere questo amore con coloro che ci stanno intorno a partire dalle no-stre famiglie. Nelle parole della Madre, "Sorridete a vicenda, trovate il tempo l’uno per l'altro nella vostra famiglia, non sappiamo mai quanto bene un sem-plice sorriso può fare." Nel nostro Shishu Bhavan (Casa per bambini) a Kolkata, abbiamo avuto una ragazza gravemente disabile che ha vissu-to fino a 39 anni di età. Il suo nome era Sundari, che significa bella. Ella possede-va nulla, e non poteva fare niente con il suo corpo completamente contorto, solo stare coricata a letto. Eppure c'era una cosa che lei faceva bene - poteva dare un gran sorriso che radiava gioia sul viso, comunicando così tutto l'amore che ave-

va nel suo cuore. Sapeva che era amata e curata, che era preziosa per molti, Sun-dari non era molto carina, ma era molto bella. Celebriamo il centenario della nascita della Madre condividendo la gioia di amare ed essere amati. Preghiamo per conoscere meglio l'amore di Dio per noi. Pieni dell’amore di Dio, diventeremo messaggeri del suo amore per chi ci sta attorno, facendo piccole cose con grande amore, dando un sorriso, una parola gentile e una mano d’aiuto. Queste e-mail, piccole cose fatte con grande amo-re "renderanno la nostra vita qualcosa di bello per Dio". Così il mondo che ci circonda si trasformerà perché "Un sor-riso genera sorrisi e l’amore genera amo-re." Dio vi benedica.

Da “www.motherteresa.org”

E’ NECESSARIO SUPERARE L’EMERGENZA EDUCATIVA

“L’emergenza educativa”, comincia adesso a preoccuparci , “per i proble-mi morali e sociali,… per la cultura dominante che presenta con insisten-za uno stile di vita fondato sulla legge del più forte e sul guadagno facile, per la necessità di avere tutto e subi-to”, e per le disarmonie tutte (alcolismo, bulli-smo, droga) che la società ci presenta, denota la crescente difficoltà a trasmet-tere alle nuove ge-nerazioni i valori fondamentali dell’esistenza ed un comportamento retto. In una simile realtà viene a man-care la “luce della verità” e si finisce per dubitare della bontà della vita. Oggi si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni, colmandoli di oggetti di consumo e di

LA SUA EREDITA’ “gratificazioni effimere”. Sia i genitori, sia gli insegnanti, sia i catechisti sono tentati di abdicare ai propri compiti educativi, senza comprendere più qua-le sia il loro ruolo, più ancora, la mis-sione a loro affidata. “ Noi siamo debi-tori nei confronti delle nuove genera-zioni, dei veri valori che danno fonda-mento alla vita!” Lo scopo essenziale dell’educazione è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza, per responsabilizzarla e stimolarla a dare il proprio contributo al bene comune. La domanda di un’educazione autentica viene ormai richiesta da più parti sia dai genitori spesso preoccupati ed angosciati per il futuro dei propri figli, sia dagli inse-gnanti che molto spesso vivono il de-grado delle loro scuole, e dalla società tutta che vede compromesse le mini-me regole di convivenza. In un simile contesto, alla Chiesa è richiesto un impegno ulteriore per educare oltre che alla vita, alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù, per cercare di tamponare la sfiducia e la spirale perversa che caratterizza la civiltà attuale. Non possiamo sottova-lutare le difficoltà che incontriamo come operatori pastorali, nel condur-re i fanciulli, gli adolescenti ed i giova-ni all’incontro con Gesù Cristo e a far nascere verso di Lui un rapporto du-

raturo e profon-do. A partire dalle conclusio-ni al Convegno Ecclesiale, la sfida per il futu-ro della Chiesa e della fede è proprio quella di avvicinare all’Amore del Padre ed a Cri-

sto le nuove generazioni che vivono in un mondo gran parte lontano da Dio. Più volte nei nostri incontri di formazione, un po’ avviliti per la si-tuazione, ci siamo detti , che il nostro lavoro pastorale non lo realizziamo

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PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

da soli, con le nostre forze;esso si realizza soltanto attraverso l’azione dello Spirito Santo. Per poter portare avanti il nostro lavoro pastorale è indispensabile la preghiera, l’Adorazione, coltivare il nostro rap-porto personale con Gesù. Ora più che mai c’è bisogno di persone che conoscono ed amano Gesù, e che testimoniano il suo Amore. Solo chi conosce ed ama Gesù, può testimo-niare ai fratelli e li può aiutare a rea-lizzare un rapporto con Lui. La scuo-la, poi,“orizzonte comune, al di là delle appartenenze religiose e delle opzioni ideologiche “ deve valorizza-re il compito educativo cercando di realizzare progetti educativi basati su una nuova pedagogia ed una nuova relazione tra docenti e ragazzi, per renderli più consapevoli della loro libertà in vista dell’identità personale e del progetto di vita da costruire e della loro dignità di persona. E’ evi-dente, senza ombra di dubbio, che nell’educazione e nella formazione delle nuove generazioni una missione propria e fondamentale ed una re-sponsabilità primaria competono alle famiglie. La vocazione dei genitori all’educazione dei figli, scaturisce dal dono ricevuto nel giorno del matri-monio e dalla responsabilità che essi hanno assunto nell’accogliere un do-no ulteriore : la vita di un figlio! E’ indispensabile che i genitori trasmet-tano ai propri figli l’Amore di Dio; Egli è Nostro Padre e racchiude in sé la tenerezza sia del padre che della madre, il nostro Padre Celeste , ha pensato a noi da sempre, ci ha voluto, ci ama ed è sempre pronto ad acco-glierci e consolarci. “L’Amore è il punto di partenza della vita”. I fi-gli,sull’esempio ed attraverso il com-portamento dei genitori che vivono l’amore reciproco e gratuito, il dialo-go e la tenerezza, scoprono la sor-gente della vita e la grandezza dell’Amore di Dio, diventando anch’essi capaci di avere rapporti a-morevoli basati sull’accoglienza,sul

dono e sulla gratuità e capaci di vive-re la loro vita, nell’onestà , nella giu-stizia, nella pace, facendo scelte giu-ste e ragionevoli. Gesù ci ha detto “ Io sono la vite, voi i tralci , chi rima-ne in me ed io in lui , fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”,( Gv 15,5) . Egli ci indica la santità di una vita fecondata dall’unione con Lui. La Sua Persona, grazie allo Spirito,diventa la regola vivente, interiore della nostra con-dotta. San Paolo, infatti nel capitolo 4 della Lettera ai Filippesi così lo testi-monia: “ Tutto posso in Colui che mi dà forza”. E’ urgente allora, superare questa fase delicata della sto-ria,rendendo consapevoli le giovani generazioni che solo Dio è la nostra forza, tutto il resto è fallace ed effimero. Facciamo nostre, le esortazioni del Santo Padre Benedet-to XVI, che in differenti momenti, più volte, ha incoraggiato gli organismi preposti all’educazione (famiglia,scuola, co-munità ecclesiali) ad un maggiore impegno per superare la crisi attua-le.Egli ha auspicato che l’opera dello Spirito Santo aiuti a non perdere la fiducia nei giovani, per andare loro incontro e per assicurare ad essi un futuro migliore .

Giulia Schiavo

EROS E’ A CASA VOSTRA

Ho conosciuto Eros non appena sono nato. Prima del linguaggio di Amore, è stata la mia lingua, insieme alle labbra, ad assaporarlo: ero il florido seno di mia madre, dal quale sgorgava il latte della vita. Come voi, come tutti gli esseri umani, è mia madre che ho amato per prima, e che continuo ad amare: perciò, almeno con riguardo ad una creatura vivente, ho sempre posseduto Eros nel mio cuore. E’ per questo che penso con tristezza a chi è stato privato dell’amore materno: perché Eros ha molti padri, ma sua ma-dre è sempre Afrodite, l’unica divinità dotata di un ascendente su di Lui. Il bello

e il buono del seno di mia madre ha rap-presentato per me, e per voi, l’ascesa del primo gradino della scala dell’eros, il percorso che guida ogni uomo a ricono-scere la bellezza astratta e quella interio-re di ogni creatura, di ogni oggetto. E’ un dono e al contempo una conquista, un regalo e una sfida, un cammino spesso accidentato, ma sempre esaltante, attra-verso il quale misuriamo la nostra capaci-tà di dare alla vita il senso più autentico. Vedo gli occhi indagatori e pieni di amo-re di mia madre, ancora lei: vogliosa di alimentare l’eros a me riservato, di aiu-tarmi a salire ancora qualche gradino, per poi lasciarmi libero di fare da solo. I suoi doni: di ogni tipo, ma mai inutili, perché, come la mamma di Marcel Proust, non amava farmi regali da cui non si potesse trarre un profitto intellet-tuale, “quello che ci procurano le cose belle insegnandoci a cercare il nostro piacere lontano dalle soddisfazioni del benessere e della vanità”. Ed ecco che mi mette dinanzi agli occhi oggetti di ogni tipo, e poi disegni, foto-grafie, pupazzi, fogli di carta; mi parla, mi fa ascoltare brani musicali, aprendo la mia mente alla percezione dell’armonia e della bellezza del mondo. Mi legge le favole, e piange alle scene più toccanti, facendo piangere anche me. Per un istante, perché subito affonda le sue labbra nelle mie guance, sorride e mi dice che non è niente, che si può anche piangere quando il bene è offeso, ma che non bisogna mai stancarsi di cercarlo e di donarlo. Mia madre, in questo modo, mi ha inse-gnato a ragionare e ad agire in vista del bene, della solidarietà, della compassio-ne, sentimenti che non abbandoneranno mai l’animo di una persona che li ha spe-rimentati da bambino.

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E’ una base imprescindibile per prepara-re il cuore all’influsso di Eros. Perché non c’è alcun dubbio: come afferma il filosofo José Ortega y Gasset, è ciò che siamo, è la nostra essenza a determinare il tipo di amore che saremo in grado di praticare: “Poiché l’amore è l’atto più delicato e totale dell’anima, esso riflette-rà lo stato e la natura dell’anima medesi-ma. Le caratteristiche della persona inna-morata devono essere attribuite all’amore stesso. Se l’individuo non è sensibile, come può esserlo il suo amore? Se la persona non è profonda, come può esserlo il suo amore? Il nostro amore è esattamente come siamo noi. Per questa ragione troviamo nell’amore il sintomo più significativo di quel che una persona è veramente”. Parole splendide, che si accordano per-fettamente col mito. Socrate, forse il più grande teorico dell’Amore, afferma che Eros “è la fonte del nostro desiderio di amarci l’un l’altro”. Ma Eros non inter-viene direttamente negli affari degli uo-mini; siamo noi a decidere come far uso di questa fonte, e dunque se soddisfare l’eros nelle forme più elevate - quelle che conducono al bene individuale e colletti-vo - oppure in modi grossolani e volgari. Infatti, Eros è anche desiderio sensuale. Una brama assolutamente naturale, un impulso fondamentale per la specie uma-na, al quale nessuno resta immune. Se tutto è opera di Dio, se sentiamo il biso-gno di mangiare, bere, dormire, ma an-che di godere dei piaceri del corpo, per-ché dovremmo negarceli? Tuttavia, se Eros è anche amore sensuale, non è mai amore libero, perché non c’è individuo che ignori l’importanza di dominare i propri impulsi sessuali, di soddisfarli nel modo e per i fini più giusti. Eros può esistere anche in assenza di amore, ma è un eros volgarizzato, attraverso il quale non si arriva mai a un’autentica unione con gli altri. Dunque, c’è bisogno del nostro contri-buto per salire lungo la scala dell’eros, una scala i cui gradini si chiamano storghé (l’amore per i famigliari), xenìa (l’amore per lo straniero, per il diverso da sé), philìa (l’amore fondato sull’affinità e l’amicizia), e, al culmine di tutto, l’agape, l’amore incondizionato e votato

al sacrificio. E’ di questa somma espressione di Amo-re che vorrei parlare, dell’eros che si con-cretizza nella capacità di concepire e vi-vere forme di bellezza sempre più emi-nenti ed elevate. E’ la Bellezza assoluta che Socrate, come mostra il Simposio pla-tonico, aveva ben chiara, e che incitava a perseguire: “Credi forse che possa ancora essere vuota la vita di un uomo che abbia fissato sulla Bellezza il suo sguardo, con-templandola pur nei limiti dei mezzi che possiede, ed abbia vissuto in unione con essa? Non pensi che solamente allora, quando vedrà la Bellezza con gli occhi dello spirito ai quali essa è visibile, quest’uomo potrà esprimere il meglio di se stesso?”. Negli stessi anni in cui Socrate diffondeva il suo pensiero, un filosofo orientale, il cinese Mozi, coniava il termine ai, che significa “amore universale”. Mozi indica-va nella semplice regola della benevolen-za verso i nostri simili, nel trattarli come se fossero nostri amici, la strada per a-vanzare lungo la via del ren (equivalente del concetto greco di areté), cioè la con-quista di un’autentica umanità. L’eros universale caratterizza la vita e l’insegnamento di Guru Nanak, il fonda-tore della fede dei sikh. Guru Nanak era nato in una famiglia indù di casta elevata, e avrebbe potuto condurre una vita ricca di opportunità e privilegi. Ma voleva essere giusto, voleva migliorare il mon-do, perciò predicò e applicò per tutta la vita la devozione disinteressata e amore-vole verso i propri simili. Come vediamo, in ogni tempo, e ovun-que, l’eros universale penetra i cuori pronti ad accogliere i carismi divini, pla-smando la volontà del soggetto per farla coincidere con quella del mondo, di ogni creatura, del tutto. E’ l’esperienza di comunione con l’energia universale che hanno chiara-mente raggiunto figure storiche come Mosè, Socrate, Confucio, Lao Tzu, Ge-sù, Maometto, San Francesco, Santa Te-resa d’Avila, Krishnamurti, Thich Nhat Hanh, Gandhi e molti altri. Un salto di coscienza notevole, e che perciò ha ri-guardato, sinora, pochi individui. Ma come fa notare lo psichiatra e scrittore Richard Maurice Bucke, tutti i salti evo-lutivi della razza umana sono emersi in persone singole, prima di diventare un

patrimonio universale. Quando ho preso coscienza delle vette cui l’eros divino può innalzare alcuni indi-vidui, mi sono messo sulle loro tracce, perché volevo conoscere e pregare insie-me a quelli, fra i miei simili, che in virtù dell’incessante perfezionamento interio-re si trasformano in veri e propri veicoli dell’espressione divina. Così sono andato in cerca degli eremiti che vivono nel deserto verticale del Monte Athos, gli atleti di Cristo “che si nutrono solo di erbe, di Dio e delle stel-le”. Uomini normali, ex studenti, impie-gati, ingegneri, fotografi, persone come me e voi, che l’eros divino ha chiamato a una reazione totale dinanzi alla vita, ad una scelta assoluta. “Siamo perfettamente consapevoli di essere un mistero, per voi”, mi ha detto uno di loro, un asceta della località atho-nita denominata Karoulia. “Lasciamo il mondo, e per voi viviamo come morti. Sì, in un certo senso è vero, siamo morti, per certe cose. Ma chi nel mondo vive come morto, è triste, depresso. Noi, invece, siamo felici. Ci seppelliamo, co-me il seme, per dare origine a una nuova vita. Se non demolissimo tutto ciò che avevamo costruito prima, non potremmo ricostruire noi stessi”. Felici nonostante la vita di privazioni e di sofferenza, in virtù dell’eros divino che li ha penetrati, della luce che risplende nell’intimo del loro essere. Vivono nel dolore del corpo, ma da loro emana una dolcezza consolatoria, una sconfinata serenità. Al cospetto di alcuni di essi, ho avuto la certezza di trovarmi dinanzi a una teofania: l’eros divino incarnato in un mio simile, una luce interiore che tra-scendeva lo spazio e il tempo. “Chiunque si ponga la questione”, ha scritto Al-Ghazali, “arriva a vedere che la felicità è necessariamente collegata al nostro rapporto con Dio”. Ho conosciuto la più alta forma di eros in uno dei luoghi più remoti del mondo, dal quale, ogni anno, ritaglio e porto con me una preziosa riserva di preghiera e di spiritualità, provvista indispensabile per combattere la battaglia per essere un uomo migliore, per cercare l’armonia col mondo e col mio prossimo.

Armando Santarelli

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Della fine dell’estate con-servo sempre lo stesso ricordo: l’ultimo pome-riggio prima della scuola a casa di mia nonna, con la testa persa dietro pen-sieri piccoli e sicuri, sere-ni e le dita aggrappate alla ringhiera del suo ter-razzo, con un piacevole solletico di gerani ancora giovani sulle ginocchia. Era una sorta di rituale, spesso si restava lì a parlare fino a quando il sole già più fuggiasco dei primi giorni di settembre, capitolava dietro la montagna dando il senso netto del passaggio. E io continuavo a chiedermi come sareb-be stata quella notte, quanto sonno avrei avuto e quanta voglia di addormentarmi. C’era in me una sottile impreparazione a ciò che sarebbe stato di me il giorno se-guente e, contemporaneamente, quell’ansia buona che hanno tutti i bam-bini: il confronto con i compagni di clas-se, gli orari, i compiti. E con il ricordo mi arriva ancora la sensazione forte, qua-si fisica, di un mondo di odori: di gomme da disegno e quaderni freschi di stampa, di diari colorati, di plastica e zaini, di marmellata e cornetti, di strade bagnate dalla prima pioggia e vento. Non so perché questo ricordo si sia anco-rato con ganci di acciaio alla mia memo-ria, forse perché è lucido e perfetto, qua-si intoccabile, come se fosse stato chiuso in un’ampolla di vetro, per preservarlo e proteggerlo. La fine di una stagione, qui, è un canto che chiude, uno svuotarsi di strade, un silenzio fra i binari. Ho sempre amato particolarmente i passaggi, i cambiamenti, il rompersi im-provviso o lento e trascinato di una sta-gione: credo possegga una magia incon-fondibile, la capacità di seminare l’aria di elettricità e di attesa, di puntellare la nostra vita con la consapevolezza che

tutto arriva ad un punto di fine, ad una svolta: una strada, un periodo, un’esistenza. Anche oggi, adesso, mentre scrivo, ritornano gli stessi odori e le stes-se immagini. E tutto si ricompone senza tempo crean-do uno scenario inconfondibile: il caldo scema, il sole sembra essersi arreso, o-vunque ci sono piccoli segni di qualcosa che ha vissuto e che merita riposo. E’ negli alberi, nei marciapiedi, nelle ombre di nubi che corrono sulle monta-gne, nel modo in cui si apre o chiude una finestra, perfino nei giardini, nella musi-ca che abbassa il tono e diventa dimessa, tranquilla. Come se non ci fosse più biso-gno, motivo o necessità di farsi notare ma solo di acquisire una duratura, rassi-curante pacatezza. La fine di una stagione è questo: predisporsi al cambiamento, lasciare che un altro anno attraversi la nostra pelle. La vita è una stagione lunghissima, capa-ce di fare capricci e cambiare, instabile e tanto più veloce e pronta al cambiamento di noi e del nostro saperci adattare. Si vivono estati splendide, perfette. La gioia sembra essere data in abbondanza. Ma l’autunno non accetta compromessi o ritardi. E’ lì che ci sorride beffardo da un angolo di rami ed aspetta di riprendersi il trono. Puntuale. Come lo scoccare della mezzanotte su di un orologio.

Emilia Filocamo

Anche quest’anno l’AC di Ravello ha partecipato, insieme alle altre parrocchie della Diocesi, al Campo Scuola Diocesa-no che si è tenuto a Laureto di Fasano dal 17 al 23 Agosto. A sorprendere positivamente è stata la forte risposta dei ragazzi che, accompa-gnati da circa 20 persone tra educatori e volontari, hanno aderito senza indugi portando addirittura a 140 il numero delle presenze totali. Da Ravello insieme a noi responsabili, Manuelita Raffaele e Ilenia, sono partite: Arianna Amato,Viviana Gennaro, Gem-ma Scala, Andreina Apicella, Giulia Man-si, Maddalena Pisacane e Raffaella Ruocco. Nel triennio che l’AC dedica alla risco-perta della santità laicale, anche i bambi-ni, i ragazzi e i giovani imparano a con-frontare la propria vita con le persone che li circondano e a conoscere alcune figure di santi che hanno sperimentato la bellezza dell’incontro con Gesù nella loro quotidianità. Il campo scuola, in modo particolare, diventa un’esperienza significativa, che permette ai ragazzi di fermarsi e mettersi in dialogo con la parola di Dio. Ad accompagnare i ragazzi in questo campo è stata la vita di Santa Chiara, “pianticella di Dio”, che ha lasciato tutto per seguire la volontà del Signore, che ha amato, desiderato e cercato la sofferenza per Amore di Cristo e ha scelto la via dell’umiltà e della semplicità per donarsi completamente a Lui. Il confronto costante e ricco con la vita di santa Chiara, con il suo Amore per il Maestro, la sua fedeltà alla Chiesa, la scelta di “altissima povertà” e di “vera fraternità”, il suo desiderio di preghiera e di contemplazione del Mistero eucaristi-co, ha scandito il cammino del campo e ha stimolato i ragazzi a conoscere questa figura di donna, che si è lasciata plasmare dalla novità del Vangelo e ha scelto di seguire Cristo povero e umile, vivendo in clausura per evangelizzare il mondo intero. In questo cammino i ragazzi sono stati anche invitati a scrivere la loro per-sonale regola di vita…

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LE STAGIONI DELLA VITA... CAMPO SCUOLA ACR GIOVANISSIMI 2010

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...ed a entrare sempre più nel progetto di Dio per scoprire ciò che il Padre ha pensato per ciascuno, per capire la loro vocazione. Attraverso il confronto co-stante con La Parola di Dio e gli episodi della vita di santa Chiara, ciascun ragazzo ha imparato a dare risposte nuove e signi-ficative, per costruire la sua vita di “piccolo” secondo il progetto d’Amore che il padre ha pensato per lui; ha rinsal-dato l’amicizia con il Signore e con le persone che ha accanto nell’incontro vero con l’altro, esercitandosi in un dia-logo autentico e sincero, curando la rela-zione con Dio e con i fratelli. Inoltre, sulla scia di quanto vissuto durante l’anno, ha cercato di elaborare una regola spirituale che lo porti ogni giorno a rin-novare la sua chiamata alla santità ricevu-ta con il battesimo. Ogni giorno, dopo la proclamazione del brano biblico, è stato presentato un episodio della vita di Chia-ra, presentata in “carne ed ossa” grazie all’interpretazione di una educatrice, che ha aiutato i ragazzi ad entrare nel testo e a contestualizzarlo nella propria vita. Ovviamente non sono mancati momenti di festa con balli, giochi e attività ludi-che. Le ragazze di Ravello, per la loro vivace ma educata partecipazione, sono state premiate come “il gruppo più coin-volgente del campo-scuola”. Per questo premio noi educatori di Ravello siamo rimasti molto entusiasti. La soddisfazione più grande, però, l’abbiamo avuta quan-do Arianna, Gemma e Viviana sono state invitate dal responsabile ACR diocesano, perché ritenute mature e preparate, a diventare educatrici ACR. Arricchiti e motivati dall’esperienza vissuta siamo tornati a casa pronti per cominciare un nuovo e stimolante anno associativo.

Manuelita Perillo e Raffaele Amato

Domenica 22 agosto 2010 su invito della Confraternita Ma-ria SS. del Carmine di Atrani, la Confraternita del SS. Nome di Gesù e della Beata Vergine del Monte Carmelo di Ravello ha partecipato alla festa della Madonna del Carmine nella vicina Atrani, ove per tradizio-ne si celebra in una delle ulti-me domeniche di agosto. Giunti nella Collegiata di S. Maria Maddalena siamo stati accolti dal priore Pasquale Di Landro e dal parroco Don Pasquale Imperati che nel manifestare la loro gioia per aver accolto l’invito, hanno anche sottolineato come al giorno d’oggi sia importante affidarsi continuamente alla Vergine SS. anche mediante la costituzione di sodalizi in suo onore. La messa solenne è stata presieduta da Don Carmine Satriano, parroco di S. Maria del Lacco di Ravello che durante l’omelia, ha voluto forte-mente evidenziare che le confraternite non sono semplicemente associazioni di fedeli, bensì gruppi di persone che alla scuola di Maria vogliono migliorare la

loro formazione cristiana, collaborare con il parroco nell’attività pastorale e aiutare quanti sono nel disagio. Approfondire questo messaggio in unio-ne con i confratelli dell’omonimo sodali-zio atranese è stato sicuramente utile perché, ancora una volta, ci ha fatto capi-re che la nostra adesione al sodalizio non può limitarsi a sole processioni e pelle-

grinaggi, ma desiderare e cercare il vero bene, cioè Cristo Signore. Al termine della celebrazione eucaristica si è svolta la tradizionale processione per le vie cittadine con sosta in piazza Umberto I, seguita da un momento di preghiera co-munitaria e la recita della supplica alla Vergine del Monte Carmelo. L’antica effige ha fatto poi ritorno nella chiesetta a Lei dedicata e antica-storica sede della Confraternita. I solenni festeggiamenti si sono conclusi con il canto del Te Deum seguito dalla benedizione liturgica impartita dal Parro-co Don Pasquale Imperati che, nel con-

g e d a r e l’assemblea, ha ricordato con una preghiera il priore defunto Salvatore Esposito, scom-parso improvvisa-mente nel dicem-bre scorso, e per due lustri ha gui-dato con amore la Con f r a te r n i ta . Nel piazzale anti-stante la chiesa non è mancato un momento convi-

viale, occasione per conoscerci uno ad uno e scambiarci i saluti. A nome del sodalizio ringrazio il Signore per averci fatto il dono di vivere in pre-ghiera con i confratelli di Atrani che con-dividono la devozione a Maria SS. Regi-na del Carmelo.

Il Priore Giovanni Apicella

La confraternita del SS. Nome di Gesù e della B.V. del Monte Carmelo partecipa alla festa del Carmine ad Atrani

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Ancora una volta il mese di agosto si è rivelato intenso per i grandi spunti di riflessione che la liturgia ha offerto. Per la Comunità ecclesiale di Ravello,finiti i festeggiamenti in onore di san Pantaleone che richiedono notevoli sforzi, l’ottavo mese dell’anno si conferma non solo come un momento di meritato riposo,ma anche una ghiotta occasione per ritem-prare lo spirito attraverso l’ascolto atten-to della Parola di Dio e quelle celebra-zioni che,pur nel rilassato clima esti-vo,sono talmente intense da non poter lasciare indifferenti .Del resto l’estate per i ravellesi dovrebbe essere anche un grande momento di confronto con i numerosi ospiti che scelgono Ravel-lo per le ferie estive e che hanno comunque alle spalle un cammino spirituale costruito e vissuto all’interno delle loro Comunità ec-clesiali. Si tratta di Comunità eccle-si a l i di c i ttà qual i Napo-li,Roma,Milano che in ambito pasto-rale vivono esperienze che meritano di essere conosciute. E noi ravellesi dovremmo mettere a disposizione di questi fratelli e sorelle, che per un mese scelgono di vivere con noi anche i momenti di fede, tutto ciò che può favorire un arricchimento spirituale reciproco,per evitare che con il corpo vada in ferie anche lo spirito. Per questo il Duomo,carta di identità,di Ravello,deve presen-tarsi in tutto il suo splendore e le celebrazioni devono essere particolar-mente curate. Luci,addobbi,pulizia sono funzionali alla Liturgia e nulla deve essere lasciato al caso, ma tutto deve condurre lo sguardo a Cristo che è il protagonista assoluto. Animata da questo spirito,nel mese appena trascorso la Comunità ec-clesiale di Ravello ha vissuto due mo-menti particolarmente significativi:la solennità dell’Assunta,titolare della Basi-lica ex Cattedrale,e la notte di adorazio-ne significativamente intitolata”Una notte con Gesù”.Entrambe le celebrazioni si sono perfettamente inserite nel tema guida della liturgia domenicale agosta-na:l’umiltà. Ma andiamo per ordine. Il 6 agosto,Festa della Trasfigurazione del

Signore,è iniziata la novena in prepara-zione alla solennità dell’Assunzione di Maria al cielo. Nel corso delle nove se-re,attraverso il canto del Magnificat e dell’antifona “Ave Regina Coelo-rum”siamo entrati nel clima della festa mariana per eccellenza. Sì,perché la so-lennità del 15 agosto,purtroppo penaliz-zata dal banalissimo ferragosto,è di una profondità tale che giustamente viene definita la “Pasqua di Maria”.Sul grande mistero e sul messaggio della festa dell’Assunta ci ha aiutato a riflettere quest’anno Mons. Claudio Gugerotti, Arcivescovo titolare di Ravello e Nunzio

apostolico in Georgia,Armenia e Azerba-jan,che ha celebrato la solenne messa vigiliare del 14 sera,durante la quale ha conferito anche il Sacramento della Con-fermazione. Il presule ha invitato a guar-dare a Maria come modello di umiltà,una umiltà che Le ha garantito la glo-ria,perché la Vergine di Nazareth ha vo-luto e saputo fare la volontà di Dio. E fare la volontà di Dio è il segreto per la felicità. Così la solennità dell’Assunta ha “il profumo della vittoria”come ci ha ri-cordato il padre missionario del Movi-mento Apostolico di Schoenstatt che ha concelebrato con due confratelli scozze-si, la solenne messa del giorno. Una e-spressione che ben si concilia con le stu-

pende parole che la liturgia della solenni-tà ci fa ascoltare nel bellissimo prefa-zio”Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro Colei che ha generato il Signore della vita”l termine della messa vespertina si è tenuta la breve processione che si è snodata lungo via della Marra fino a Gradillo,in un’atmosfera raccolta caratterizzata dai tradizionali canti mariani che nella loro semplicità mantengono intatto il fascino della religiosità popolare. La solennità dell’Assunta,quindi,con il suo profumo di vittoria ci ha invitato ad elevare lo sguardo al cielo per contemplare Colei

che è stata esaltata perché si è umiliata e che ci ricorda ciò che è essenziale nella vita del seguace di Cristo:FATE QUELLO CHE EGLI VI DIRA’. Ma per capire ciò che il Signore vuo-le,occorre il silenzio,l’ascolto,mettersi di fronte a Colui che parla. Ogni gior-no nell’umiltà del Tabernacolo,Cristo ci attende,ma non sempre i ritmi frene-tici della vita quotidiana ci consentono questa sosta spirituale. Proprio da que-sta consapevolezza è nata l’esigenza di proporre per la terza volta la notte di adorazione. Dalla sera del 19 fino al mattino del 20 agosto(memoria di san Bernardo abate)le porte del Duomo sono rimaste spalancate per consentire a tutti di stare anche per un minuto davanti a Gesù Eucaristia,esposto sull’altare con dignitosa semplicità. Sei fiaccole accese sulle gradinate della

Chiesa e un breve messaggio invito sono stati gli elementi esteriori che lasciavano capire che all’interno del Duomo si stava vivendo una esperienza particolare. Una esperienza forte scandita da tre momenti di preghiera comunitaria:Vespri,Ufficio delle Letture,Lodi. E’ stato stupendo vedere come fino a tarda notte,molte persone,lasciando per un momento il rilassato clima della piazza estiva,abbiano sentito il bisogno di stare in silenzio da-vanti al Santissimo. Personalmente riten-go che il momento più bello di questa “Notte con Gesù” sia stato l’Ufficio delle Letture che si è svolto alle 3 del mattino.

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Il profumo della vittoria

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Questo momento ha visto partecipare un gruppo di giovani che ha voluto vivere - forse per la prima volta - questa parte della Liturgia delle Ore. Grande gioia abbiamo provato nel sapere che un ravel-lese,residente a Roma,da qualche anno è un “adoratore perpetuo”che nella Basilica romana di Santa Anastasia con un gruppo di 240 perso-ne,a tur-no,notte e giorno adora Gesù Eucari-stia. Chi l’avrebbe im-maginato? Chi l’avrebbe saputo se non fosse stata organizzata la “Notte con Ge-sù”? Tante volte,prigionieri dei nostri pregiudizi,presumendo di essere solo noi i migliori,dimentichiamo l’azione silen-ziosa dello Spirito Santo che favorisce l’incontro con il Signore “che cambia la vita”,come quell’amico ravellese mi ha dichiarato sul sagrato del Duomo dopo aver sostato per lungo tempo davanti al Santissimo. Anche questa esperienza ha il profumo della vittoria e scaturisce dall’umiltà di chi si affida totalmente al Signore,lasciando che Lui operi,senza frapporgli ostacoli. Ci auguriamo che “Una notte con Gesù” insieme con l’adorazione di ogni giovedì possa affa-scinare altre persone e che tutti possano comprendere la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa che è in Ravello. L’Eucaristia che è anche segno di unità. Corroborati dalle pagine del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato nelle dome-niche di agosto,rivestiamoci allora di quella umiltà che ha reso grande Maria di Nazareth e che ci fa respirare il profumo della vittoria. Solo,così,credo,possiamo incontrare Cristo,unica vera luce dell’uomo. Le altre luci che incontriamo o che ci vogliono fare incontrare,se non portano a Cristo,o ci abbagliano o servo-no solo ad illuminare le miserie e le vani-tà che albergano,purtroppo,nell’animo dell’intero popolo di Dio.

Roberto Palumbo

Sabato 14 agosto 2010 la Parrocchia San Pietro alla Costa - San Michele Arcangelo di Torello e l'Associazione socio - cultu-rale "Ravello - Borghi in Festa “ hanno inaugurato l'antica cripta della chiesa di S. Pietro alla Costa, resa accessibile e fruibile al pubblico dopo circa un secolo di abbandono. I saluti di rito sono stati rivolti da Fra Antonio Petrosino, dal presidente dell'Associazione Nicola Amato, che ha sottolineato come l’ iniziativa si aggiun-ge ad altre già promosse dal nuovo soda-lizio, come l'apertura estiva delle chiese di San Pietro alla Costa, San Michele Arcangelo di Torello e del Santuario dei Santi Cosma e Damiano. Tutto ciò ovvia-mente in linea con i fini statutari dell’Associazione, che opera per “favorire, divulgare e realizzare iniziative idonee a promuovere e valorizzare il patrimonio storico, artistico, religioso e culturale locale, le tradizioni popolari del territorio ravellese”. Sono poi intervenuti il sindaco di Ravello Paolo Imperato e il prof. Alberto White, il quale ha evidenziato come il recupero dell’antico ambiente debba costituire la premessa per un vasto campo di studi e di ricerche sulle testi-monianze archeologi-che di età medievale, di cui il territorio ravellese presenta an-cora numerose emergenze inesplorate. A questi interventi è seguito quello di Salvatore Amato che, attraverso la docu-mentazione archivistica, ha cercato di ricostruire le vicende che interessarono l’intero complesso chiesastico di S. Pietro alla Costa dalla fondazione alla ricostruzione di fine Settecento, per la quale si è riusciti addirittura a stabilire il tipo di intervento, i mastri esecutori e l’ammontare delle spese. Tuttavia, trala-sciando le numerose testimonianze rin-tracciate, in questa sede si ritiene utile riportare solamente le brevi notizie che riguardano propria la cripta, abbandona-ta e sospesa dal culto tra il 1588 e il 1602

per ordine dei vescovi di Ravello Emilio Scattaretica e Antonio De Franchis. Essa si presentava divisa in tre parti da due grosse colonne di marmo, aventi funzio-ne di sostegno della chiesa ma oggi non visibili perché inglobate nei pilastri. Nel

1602, quando venne decretata la demoli-zione dell’unico altare presente, erano ancora visibili antichi affreschi sulle pare-ti e alcune sepolture. L’ultima traccia di quegli affreschi, esistente ancora oggi, è costituita dall’immagine di un vescovo, probabilmente S. Nicola da Myra, datato alla fine del XIII secolo. Dopo la profana-zione l’ambiente rimase inutilizzato fino agli inizi del Novecento quando divenne per qualche decennio la sede della Con-fraternita dei SS. Cuori di Gesù e Maria, fondata verso il 1908 per iniziativa di Don Pantaleone D’Amato e il cui primo priore fu un tal Alfredo Penna. Estinta rapidamente la confraternita, di cui rimangono tracce nelle croci peniten-ziali rinvenute nell’ambiente, la cripta si trasformò purtroppo in un deposito della chiesa, condannato all’oblio e all’usura del tempo. Ma fortunatamente, pur nei limiti dell ’intervento eseguito, l’ambiente è stato reso accessibile e frui-b i l e g r a z i e a l l a s e n s i b i l i t à dell’Associazione “Ravello - Borghi in festa” che, fin dalla sua costituzione, ha avuto come obiettivo principale la salva-guardia e la conservazione del patrimo-nio culturale della nostra terra. Su questo aspetto il nuovo sodalizio ha dimostrato di essere attento all’ammonimento di Vincenzo Gioberti, più volte ricordato dal compianto Don Giuseppe Imperato Senior, per cui “l’ignoranza e la indiffe-renza delle opere e dei monumenti degli avi è la peggiore sventura di un popolo”.

Salvatore Amato

L’inaugurazione della cripta della chiesa di S. Pietro alla Costa

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Il Papa Gio-vanni Paolo II ci esortava con le se-guenti paro-le:“Cari figli, in questi gior-ni voglio invi-tarvi a porre al centro di

tutto la Croce. Pregate in particolare davanti alla Croce, da cui derivano gran-di grazie. In questi giorni fate nelle vo-stre case una consacrazione speciale alla Croce. Promettete di non offendere Gesù e la Croce e di non arrecargli in-giurie.” (12/09/85) La Croce sulla no-stra strada deve essere il segno indicato-re che ci conduce all'amore e all'unifor-mità della nostra volontà con quella di Dio, attraverso le quali viene la vera pace. Se guardiamo la Croce vediamo che ha una dimensione verticale (amore verso Dio) ed una orizzontale (amore verso il prossimo). Queste due dimen-sioni ci indicano la strada dell'Amore. Colui che ama Dio è pronto a soffrire, pronto a perdonare, a riconciliarsi, è pronto a portare la croce. Chi ama Dio potrà realizzare anche l'altra dimensione: amerà il prossimo, amerà anche la crea-zione. E quando avremo realizzato que-sta unità fra le due dimensioni, quando queste s'incontrano nel nostro cuore, avremo la vera pace e comunicheremo pace attorno a noi. Cristo ci ha salvato con la Croce, segno di Amore. Il centro di unità fra la dimensione verticale e quella orizzontale è Gesù. E se Lui è al centro della nostra vita, allora le pre-ghiere, i digiuni, le veglie, tutto sarà illuminato alla presenza di Gesù che crea la pace vera. La croce deve essere il no-stro innamoramento. Con la follia dell’innamoramento tutto potremo osa-re, perché per amore si riesce a morire. Sulla croce c’è pienezza di vita perchè Gesù pur essendo di natura divina svuotò se stesso assumendo la condizione di servo e umiliandosi fino alla morte di croce e il Padre ha riempito questo svuo-tamento con la gloria e la vita in pienezza. La redazione

Il mio amico Agostino. La catechesi del 25 agosto di Benedetto XVI potrebbe intitolarsi così. Come un uomo può par-lare di un amico grande, che incontra da ragazzo e gli resta per sempre accanto, così il Papa ha parlato di Agostino. Che è Agostino di Ippona, ed è morto quasi m i l l e s e i c e n t o a n n i f a . Come può un uomo di un tempo così perdutamente remoto essere compagno, interlocutore silenzioso e fedele, di un altro in un evo vertiginosamente distan-te? È l’ostacolo, la barriera opaca del tempo, che quasi inconsciamente si frap-pone fra noi e i santi che pure magari veneriamo. Francesco, Bernardo, Teresa e Caterina: uomini e donne straordinari, ma la massa rappresa del tempo che ci separa li fa sembrare spesso irrimediabil-mente lontani; e allora quelle figure si irrigidiscono in devoti stereotipi, e la loro umanità sembra incapace d i t o c c a r e l a n o s t r a . Eppure, dice il Papa, Agostino lui l’ha conosciuto da vicino. È diventato “un compagno di viaggio”. Come indicandoci una strada capace di attraversare i mil-lenni; come se fosse possibile aggirare la s i g n o r i a d e l t e m p o , c h e sbiadisce e cancella la memoria. E come lo ha conosciuto, il Papa, Agosti-no? Con lo studio e con la preghiera, dice. Nel silenzio, come quello in cui ad Agostino e sua madre Monica, affacciati a una finestra sul mare di Ostia, sembrò di toccare il cuore di Dio («Le creature – dice il Papa – debbono tacere, se deve s u b e n t r a r e i l s i l e n z i o i n c u i D i o p u ò p a r l a r e » ) . E a questo punto Benedetto sembra la-sciarsi andare alla passione con cui un adolescente potrebbe dirci di un compa-gno molto caro, suscitando il desiderio di conoscere anche noi quell’amico sin-golare. Dunque Agostino «non è mai vissuto con superficialità: la sete, la ricerca inquieta e costante della Verità» è il marchio del-la sua storia. Prestigio, carriera, possesso delle cose lo hanno sedotto e illuso, per qualche tempo. Ma lui «non si è mai fermato, non si è mai accontentato». ( E sembra di vedere in filigrana nelle parole

l’amicizia fra il santo e il giovane Ratzin-ger, e poi il seminarista, e il professore: la tensione a cercare, come il "vir desi-deriorum" del libro di Daniele. Colui che, ha scritto Benedetto nel Gesù di Nazareth, «non si accontenta della realtà e s i s t e n t e , e n o n s o f f o c a l ’ i n q u i e t u d i n e d e l c u o r e » . E in un tempo che afferma, come unico vero dogma, che non esiste alcuna Veri-tà, ma tante, o nessuna, e che è meglio sfruttare i propri giorni senza perder tempo a cercare ciò che non c’è, l’amico segreto del Papa si staglia alto all’orizzonte come un gigante fra i nani, dalla sua stessa domanda reso grande, e colmato. Ma, dov’è poi quella Verità che noi poveri cristiani a volte immaginiamo irraggiungibile, troppo alta nei cieli, o distratta, lo sguardo assente sulle nostre s t r a d e e c i t t à e c a s e ? Agostino ha scoperto, dice il Papa, che quel Dio che cercava con tutte le sue forze «era più intimo a sé di se stesso». Non in un cielo troppo azzurro e remo-to, ma dentro, nel profondo di o g n i u o m o : " I n i n t e r i o r e h o m i n e h a b i t a t V e r i t a s " . E i teologi e i dotti lo conoscono bene quel passo delle «Confessioni», ma noi poveri cristiani siamo grati a un Papa che ci ricorda questa parola. Raccontando del suo amico Agostino – morto ad Ippona, nell’anno 430. Eppure vivo. Eppure uomo come noi, distratti o inquieti, o in fondo paurosi che quella Verità che affermiamo non esistere sia lei, invece a trovare noi, e a sedurci. Il mio amico Agostino, testimonia il Papa. Perché, come scriveva negli anni Settanta Ratzinger, «la fede cristiana non la si può descrivere astrattamente: la si può solo documentare riferendosi a uo-mini che l’hanno vissuta fino nelle ultime conseguenze». Teresa, Ignazio, France-sco e gli altri: «Come si vede in loro – scriveva il futuro Papa – la fede è in fon-do una determinata passione, o, più giu-stamente: un amore».

Marina Corradi Da “Avvenire”

Invito a riflettere sul valore della Croce di Gesù Un santo per amico

Page 36: Incontro settembre 2010

CELEBRAZIONI DEL MESE DI SETTEMBRE

GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa GIOVEDI’ 2-9-16-30 ore 18. 30: Santa Messa e Adorazione Eucaristica 5 SETTEMBRE: XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 08.00-10.30-19.00: Sante Messe Al Lacco festa della Natività della B.V. Maria 8 SETTEMBRE: NATIVITA’ DELLA B.V. MARIA 11 SETTEMBRE: ANNIVERSARIO DELL’ORDINAZIONE SACER-DOTALE DI MONS. ORAZIO SORICELLI 12 SETTEMBRE: XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO SS. NOME DÌ MARIA Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe 14 SETTEMBRE: FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE Pellegrinaggio della Confraternita al Santuario del SS. Crocifis-so di Scala 15 SETTEMBRE: MEMORIA DELLA B.V. MARIA ADDOLORATA

19 SETTEMBRE : XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO S. GENNARO PATRONO DELLA CAMPANIA Ore 08.00-10.30-19.00: Santa Messe A Torello celebrazione solenne della MEMORIA DELLA B.V. ADDOLORATA 21 SETTEMBRE: FESTA DI S. MATTEO APOSTOLO 23 SETTEMBRE:

X ANNIVERSARIO DELL’INGRESSO IN DIOCESI DI S.E. MONS. ORAZIO SORICELLI

Cattedrale di Amalfi ore 18.00: Solenne Concelebrazione Eucaristica 26 SETTEMBRE: XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

In Duomo Santa Messe: ore 08.00-10.30-19.00

Presso il Santuario dei SS. Cosma e Damiano

SS.Messe ore 07.00-8.00-9.00-10.00-11.30-17.00—19.00

29 SETTEMBRE:

SS.MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE, ARCANGELI