la domenica settimanale

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Ex proccaciatore per la società Atlantis, da deputato e membro dell’Antimafia difende l’amico Corallo dalla giustizia d'informazione con inchieste, reportage, cronaca, storie, interviste, cultura “Il Casalese” è salvo Sul set di Gomorra Killer spietati Giudice decreta l’inammissibilità Leggi a pagina 4 Il regista Garrone cacciato dai Licciardi Leggi a pagina 10 Trucidato per una foto la storia di “Zendark” Leggi a pagina 11 Caso Romeo La metamorfosi dell’assessore Tuccillo Leggi a pagina 14 N.1 | 20 Giugno 2012 - Anno I L’azzardo Amedeo Laboccetta, slot machine

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è un periodico d'informazione con inchieste, reportage, cronaca, storie, interviste, cultura. É il numero 1 - 20 giugno 2012

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Page 1: La Domenica Settimanale

Ex proccaciatore per la società Atlantis,da deputato e membro dell’Antimafia difende l’amico Corallo dalla giustizia

d'informazione con inchieste, reportage, cronaca, storie, interviste, cultura

“Il Casalese” è salvo Sul set di Gomorra Killer spietati

Giudice decretal’inammissibilità Leggi a pagina 4

Il regista Garrone cacciato dai Licciardi Leggi a pagina 10

Trucidato per una fotola storia di “Zendark”Leggi a pagina 11

Caso Romeo

La metamorfosidell’assessore TuccilloLeggi a pagina 14

N.1 | 20 Giugno 2012 - Anno I

L’azzardoAmedeo Laboccetta, slot machine

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facciamo rete

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno I N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno I 3

www.ladomenicasettimanale.it

Nick' 'o Mericano diffida il Pdl Silenzio su quel libro canaglia5Febbre da Bingo Fotoreportage: La lenta eutanasia6Al deputato piace l'azzardo Un “Corallo” è per tutta la vita8

Concorso ad personam Il bando è come un vestito 12Sepe, cittadino onorario Il sindaco e il cardinale indagato13Narducci, l'esodatoIl pm sbatte la porta arancione 15Affari sui defuntiChe s'adda fa' pe' murì! 16L'ultimo impagliasegge Gli antichi mestieri20La storia di Nunzia e Barbara Un libro per non dimenticare mai22

LA SVISTA Finiscono i numeri zero

ecco la vostra “Domenicasettimale.it”

***

iniscono i numero zero della Domenica settimanale.it. Il Tribunale di Napoli ha iscritto la nostra testata nel registro della

stampa al n. 30 del 23 maggio 2012. Una data non casuale. Questa “piccola iniziativa” editoriale prende vigore e comincia a FARE RETE con gli amici de i Siciliani Giovani e gli altri compagni di strada. Lavoriamo per far sopravvivere un'idea romantica di giornalismo militante dove il valore della notizia non è merce di scambio. In questo primo numero della Domenicasettimanale.it ci occupiamo del libro “Il Casalese”, il giudice con un provvedimento ha sentenziato l'inammissibilità delle richieste-mobbing della famiglia Cosentino. Poi sveliamo il contenuto dell'editto pronunciato da Nicola Cosentino e rivolto a tutti quei parlamentari, consiglieri degli enti locali, dirigenti di non partecipare ad alcuna presentazione pubblica del “libro-canaglia” pena l'esclusione dalle candidature. Non ne avevamo dubbi. Interessante anche il reportage sui Bingo tra Napoli ed i comuni della provincia e la vicenda connessa dell'onorevole Amedeo Laboccetta detto slot machine. Vi consiglio anche la storia di “Zendark” di Eliana Iuorio e l'inchiesta di Alessandro Migliaccio sui cimiteri partenopei. Attenzione anche alla vicenda delle dimissioni di Giuseppe Narducci dalla giunta de Magistris,quello della bandana. A questo punto vi auguro buona lettura.

F

Settimanale d'informazione con inchieste, reportage, cronaca, storie,

interviste, cultura. Giornale in Pdf scaricabile da www.ladomenicasettimanale.it

“Un'inchiesta giornalistica è la paziente fatica

di portare alla luce i fatti, di mostrarli

nella loro forza incoercibile e nella

loro durezza. Il buon

giornalismo sa che i fatti

non sono mai al sicuro nelle

mani del potere e se ne fa custode

nell'interesse dell'opinione

pubblica”.

Giuseppe D'Avanzo

EditoreTUTTI GIU' X TERRA

Associazione Onlus CF 94223580633

Direttore responsabileArnaldo Capezzuto

Redazionevico Provvidenza, 16

80136 – Napoliinfo. 3495064908

[email protected]

Facebookhttp://www.facebook.com/profile.php?

id=100003526824467hTwitter

https://twitter.com/#!/LaDomenica7Consulente editoriale

Giulia RosatiProgetto editoriale settimanale

GAJ - Graphic Art JuliaHanno collaborato gratuitamente:

Eliana Iuorio, Alessandro Migliaccio, Monica Capezzuto, Claudio Riccardi,

Giulia Rosati, Genny Attira,Pier Paolo Milanese,

Luigi Fonderico

N.1 - 20 giugno 2012 - Anno IReg. Stampa Tribunale di Napoli

n. 30 del 23 maggio 2012

Responsabile del trattamento dati(D.LGS- 30/06/2003 n.196)

Arnaldo Capezzuto

LA FOTO

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 - N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 4

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iente sequestro, niente rogo. Il libro “Il Casalese” - ascesa e tramonto di un leader politico di

Terra di lavoro - edito dalla piccola casa editrice “Cento Autori” di Pietro Valente è salvo. Il giudice Luigia Stravino del Tribunale civile di Napoli – lo scorso 14 giugno – ha accolto le richieste dell'avvocato Marino Maffei, legale dell'editore. Con un'ordinanza ha decretato l'inammissibilità del ricorso d'urgenza presentato dai legali di Giovanni Cosentino, fratello del parlamentare del Pdl Nicola Cosentino contro la casa editrice “Cento Autori” e lo stampatore. Il fratello dell'ex sottosegretario all' Economia, ed ex coordinatore regionale del Pdl e amministratore delle due aziende “Aversana petroli” e “Ip service”, considerate la cassaforte di famiglia, attraverso un pool di avvocati aveva richiesto il sequestro e la distruzione del libro “il Casalese”, oltre a un risarcimento di un milione e duecento mila euro. L'editto casertano, la fatwa non è passata. Già il 26 aprile, un altro giudice del

N Tribunale civile di Napoli Anna Giorgia Carbone aveva depositato un’ordinanza nella quale “dichiara che la domanda proposta dai legali di Giovanni Cosentino non rientra fra gli affari assegnati alla Sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale e dispone quindi la trasmissione degli stessi atti al presidente del tribunale per le decisioni di sua competenza in ordine all' assegnazione del fascicolo”. La famiglia Consentino ha sempre contrastato il manoscritto con diffide, avvertimenti e azioni giudiziarie. C'è una domanda che resta inevasa: a chi fa paura “il Casalese”? Il manoscritto curato da nove giornalisti narra l’escalation al potere del deputato Nicola Cosentino, già sottosegretario all’Economia con delega al Cipe nel governo Berlusconi ed ex coordinatore campano del Pdl. Un potere politico ed economico accumulato in pochi anni dal deputato di Casal di Principe che fa

impallidire e lo pongono come il playmaker del governo nazionale. Cosentino oltre a un processo per camorra in corso al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere è imputato anche per aver

partecipato alla costruzione di un falso dossier contro l'attuale presidente della Regione Campania Stefano Caldoro. Ci sono almeno sei collaboratori di giustizia che con dovizia di particolari parlano del rapporto organico che avrebbe avuto Nicola Cosentino con i clan di “Terra di lavoro”. Tanto è vero che nelle carte dell'inchiesta “il Principe e la scheda ballerina” Cosentino viene definito : “il referente

nazionale del clan dei Casalesi”. Tutti i gradi di giudizio a tutela dell'indagato hanno confermato il quadro accusatorio. Che farà il Pdl candiderà nuovamente Cosentino?

© Riproduzione riservata

“Il Casalese” è salvoNiente sequestro e distruzione per il libro della Cento Autori Il giudice ha decretato l'inammissibilità della richiesta della famiglia Cosentino

“Il Casalese” scritto da nove giornalisti ha svelato fatti e misfattidel deputato del Pdl Nicola Cosentino. Il libro è in fase di presentazione nelle maggiori città d'Italia e partecipa ai festival di giornalismo

di Claudio Riccardi

Anche Salvatore Borsellino,

fratello del grande magistrato

e martire Paolo Borsellino e fondatore del

movimento agende rosse,

legge “il Casalese”

“Sono con voi. Un libro di cui ho sentito parlare anche in Sicilia. Il meccanismo è

sempre lo stesso: quando si cerca la verità partono le

ritorsioni e le intimidazioni. Sono contento e nutro speranze che non tutto è perduto...anzi. Vi esprimo la mia solidarietà e adesione alla vostra battaglia. Mi dispiace solo di non essere

alla vostra altezza...ho una querela da 250mila euro

rispetto al vostro milione e duecentomila euro è poca cosa.

Vi posso solo promettere e garantire che mi impegnerò

ancora con più forza”

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 -N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 5

Nicola Cosentino ordina il silenzio su quel libro-canaglia

“Chi partecipa ai dibattiti è fuori dal Pdl” Diffidati deputati,senatori,consiglieri e dirigenti Esclusivo: L'editto di Nick' 'o Mericano

'ordine è perentorio: “Nessuno deve partecipare a dibattiti, incontri e

presentazioni con gli autori del libro 'Il Casalese'”. “Non voglio sentire ragioni. La vostra presenza è una mancanza di rispetto verso me e la mia famiglia. E' un libro commissionato dai giudici : non riuscendo a mandarmi in galera mi diffamano e mi attaccano la famiglia. Se verrò a sapere di partecipazioni di deputati, senatori, consiglieri e dirigenti campani sono pronto a mettere il mio veto sulle candidature”. E' l'editto dettato e imposto ai rappresentanti del Pdl da Nicola Cosentino, deputato da più legislature del Pdl, ex potente sottosegretario all' Economia con delega al Cipe nell'ultimo governo Berlusconi ed ex coordinatore campano del Pdl. La diffida rabbiosa e piena di astio è “emanata” su per giù qualche giorno dopo il voto alla Camera (12 gennaio 2012 ndr) contro la seconda autorizzazione all'arresto del deputato casertano. Forse uno sfogo scomposto di un uomo politico trovatosi per l'ennesima

L volta sulla graticola, una risposta piccata contro i franchi tiratori, una alzata di voce per la tensione accumulata. Comincia il lavorio delle colombe: accorrono anche i mediatori 'professionisti' per comprendere se di editto si tratta. “Nicò... la bufera è passata. Il complotto è stato smascherato. Torna calmo e sereno. La gente ti vuole bene. Non fare inutili crociate. Gli equilibri sono cambiati. E poi di cosa ti

preoccupi? I libri passano”. L'approccio non può essere che morbido, pacato, rassicurante. Ma Cosentino è incazzato nero. Furioso è dir poco. “Non mi faccio mettere sotto. Quel libro canaglia – parola mia - lo faccio sequestrare e distruggere. Altro che c..zi. Non ho chiesto a miei fratelli

di difendermi: a me ci penso io. Loro devono difendere l'onore della nostra famiglia e le aziende costruite con anni di sacrifici. Sono i giudici che vogliono la guerra. Sono stati loro a volere quel libro canaglia”. Un lungo silenzio e

l'ambasciatore prova a farlo ragionare : “Nicò, ripensaci. Ti garantisco che nessuno presterà la propria faccia ai dibattiti sul “Il Casalese”. Questo è sicuro.

Ho fatto un giro di telefonate e tutti sono d'accordo con la tua linea. E se dico tutti, parlo proprio di tutti. Però - ti chiedo - di rivedere l'idea della causa contro la casa editrice (Cento Autori ndr) e gli autori del libro. Mi sembra un azzardo, un' iniziativa che si può ritorcere politicamente contro di te e la tua famiglia.

Nicò ascoltami: non fare nessuna denuncia. I libri non si vendono, nessuno li legge. Senti a me: Nicò lascia stare. Un uomo politico deve accettare gli attacchi, la polemica anche se ruvida, il contraddittorio vivace: fa parte del gioco. Non sei un cittadino privato, sei un uomo pubblico. Ti metti in un vicolo cieco. Faresti il loro gioco”. Nick' 'o Mericano non sente ragioni: “Mi dispiace. Ho preso già la decisione. Non torno indietro. Sarà mio fratello Giovanni a fare causa a nome di tutti i Cosentino”.

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La 'diffida' rabbiosa e piena di astio è emanata qualche giorno dopo il voto favorevole della Camera Il deputato impone lo stop ai suoi uomini

“Mi dispiace. Ho preso già la decisione Non torno indietro Sarà Giovanni a fare causa a nome di tutti i Cosentino”

“Quel libro canaglia lo faccio sequestrare e distruggere.

Altro che c..zi. Non ho chiesto ai miei fratelli di difendermi:

a me ci penso io. Loro devono difendere

l'onore della nostra famiglia e le aziende costruite con anni di sacrifici.

Sono i giudici che vogliono la guerra. Sono stati loro a volere quel libro canaglia”

di Arnaldo Capezzuto

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 -N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 6

FOTOREPORTAGE

Febbre da Bingo la lenta eutanasia

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Aumentano le persone cadute in rovina per colpa del gioco. Una dipendenza patologica che colpisce tutti i ceti sociali: studenti, pensionati, casalinghe, imprenditori, professionisti. E all'ombra di sale Bingo, slot machine, agenzia di scommesse e gratta e vinci c'è la camorra che fornisce i “servizi” : prestiti, droga, prostituzione di Monica Capezzuto

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 -N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 7C'è lo sperpero quotidiano di denaro che li rende assuefatti al gioco. La loro “normalità” si trasforma in una malattia. Sono i forzati del gioco d'azzardo. S'indebitano per seguire un sogno assurdo: diventare ricchi. E' un'illusione di Stato venduta con spot patinati solo per incassare denaro e rovinare esistenze. La lupopatia - l'ossessione compulsiva al gioco - è una malattia sociale, un incubo devastante che porta al suicidio.

bagni sono presidiati da guardie giurate. Strano, davvero strano. Mi

aspetterei la sorveglianza in prossimità delle casse continue oppure ai banchi da gioco. Invece no. La maggior parte delle sale Bingo che ho visitato impiegano personale della sicurezza per tenere sotto controllo i servizi igienici. Non capisco. E sono curiosa. L'arcano me lo svela un signore, una settantina d'anni e habituè del tavolo. Prima è restio poi si convince e sussurra: “E' accaduto che a volte i prestiti le casalinghe li onorano in natura”. Resto sbigottita. Senza parole.

I

Guardie anti-prostituzione nei bagni

Il senso di schifo comincia ad impadronirsi di me. Sono prevenuta. Avevo immaginato di “visitare” una serie di sale sparse tra Napoli ed i comuni della provincia per capire, conoscere, guardare. Questi casermoni con moquette, luci ad intermittenza, tavolini, sedie e finta socialità cominciano istintivamente a darmi fastidio. Eppure il flusso non si arresta. Mancano dieci minuti alle 21 ed a flotte continuano ad arrivare anziani. Parliamo ad occhio e croce di persone di età compresa tra i 65 e gli 80 anni. A seguito anche nipotini di pochi anni con carrozzina. C'è un altro elemento che mi colpisce: in molti casi le persone vengono scaricate da furgoni che sulle fiancate pubblicizzano la sala Bingo. Addetti della struttura “prelevano” a domicilio i giocatori. Nella maggior parte sono tutti pensionati cioè con un modesto reddito ma sicuro da riscuotere. E' un mondo assurdo. Addentrarsi mi mette un'angoscia

insopportabile. Ciò che mi impressiona sono le strane facce che ruotano attorno ai Bingo. Davanti al locale – praticamente in strada - c'è un'auto ferma con un signore che all'occorrenza fornisce pacchetti di sigarette di contrabbando e bibite. Mentre fuori, all'ingresso principale c'è un tipaccio sempre a telefono con persone in fila che aspettano disciplinati il proprio turno. Svolgo un po' di ricerche ed escono storie di usura, di estorsori che s'impadroniscono dei libretti della pensione e delle buste paga attraverso loro finanziarie. Non manca la presenza di esponenti dei clan dentro le compagini societarie dell'industria del cosiddetto divertimento. Non è giocare per piacere, per evadere. Ci troviamo migliaia di persone incastrate nella rete dei ricatti; praticamente appese al cappio. Si chiama Lupopatia ed è la malattia legata al gioco d'azzardo compulsivo e ossessivo.

Gli interessi della camorra

Ci sono cliniche e pool di psicologi che affrontano questa patologia in aumento. E' pernicioso e devastante. Una recente ricerca ha mostrato come la morsa della crisi economica spinge le persone più deboli e influenzabili a cercare le più irrazionali e imprevedibili soluzioni per risolvere i propri problemi. Ci si affida al gioco. Il bisogno-dipendenza è scatenato dall'angoscia. Si tenta di dare una svolta alla propria esistenza. La speranza si alimenta con l'attesa. Il meccanismo è perverso. All'improvviso si rompe lo specchio e la realtà dirompente riporta indietro le lancette. La lupopatia trascina l'individuo all'atto estremo: il suicidio. Le cifre parlano chiaro e indicano come scommesse e uso di droga siano sempre più correlate. Altro dato riguarda i giochi d'azzardo: poker on line, slot machine, roulette, blak - jack, gratta e vinci, scommesse sportive interessino ampi strati della popolazione dal pensionato al professionista. A Napoli e nei comuni della provincia la miscela però diventa esplosiva con l'inserimento nel business dei clan. Soldi e affari facili dietro il paravento della legalità con le leggi colabrodo. ☻

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Nelle foto partendo dal basso: Finanzieri sequestrano macchinette; un pannello, poker on line, una sala Bingo e cartelle da gioco

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 -N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 8

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un camaleonte, Amedeo Laboccetta. Vuole fare il grande salto. Il suo sogno: è fare il deputato. Entra

nell'orbita del potere di Nicola Cosentino, scala posizioni. L'affiliazione alla corte di Nick o' Mericano sancisce il suo passaggio armi e bagagli al berlusconismo spinto e il suo salto da giustizialista a fustigatore di quart'ordine di magistrati e giudici. Amedeo non campa d'aria. Oltre all'attività politica come consigliere comunale d'opposizione al Comune di Napoli diventa rappresentante e procuratore speciale del gruppo Atlantis Gioco legale ltd, una società ribattezzata Bplus, che si occupa con strepitoso successo di slot machine e video poker con sede legale in Olanda, base operativa nei Caraibi e filiali a Londra. Un contributo importate per trasformare la società in una grande holding lo dà l'allora ministro dell’Economia nel governo Berlusconi, Domenico Siniscalco. E' passato alla storia per aver emanato il decreto ministeriale che introduce in Italia “il gioco con partecipazione a distanza”, vale a dire videopoker, slot machine e ogni possibile scommessa online. Il 15 luglio 2004 l’Atlantis world group of companies ottiene dalla Aams (i Monopoli di Stato) un bel regalo: è una delle dieci concessionarie per il “gioco con partecipazione a distanza”. Laboccetta fa carriera, il suo successo è favorito anche dall'amicizia personale con Francesco Corallo dell'Atlantis, figlio di Gaetano, condannato a sette anni e mezzo per associazione a

E' delinquere per il suo tentativo di scalata ai casino di Campione e Sanremo da parte degli amici del boss di Catania, Nitto Santapaola. Laboccetta non appena è eletto deputato abbandona l'attività all'Atlantis ma non dimentica gli amici appena nominato membro della commissione antimafia: difende strenuamente il suo ex datore di lavoro. Un aiuto indiretto o diretto Laboccetta lo può sempre dare visto che il Gat (il Gruppo antifrodi telematiche) della Guardia di finanza accerta che delle 200mila macchinette installate in Italia solo una su tre è collegata al cervellone della Sogei (la società informatica pubblica che raccoglie i dati sul volume delle giocate e calcola il “preu”, cioè il prelievo erariale unico che i concessionari devono versare allo Stato pari al 13,5%). Il 70 per cento del prelievo fiscale è stato evaso. La Corte dei Conti chiede ai concessionari, tra tasse evase e sanzioni, 98 miliardi di euro, l’equivalente di tre Finanziarie. Ma finora non hanno pagato un centesimo. Le sanzioni più pesanti, 31 miliardi, riguardano proprio l’Atlantis group, che secondo le contestazioni si è reso colpevole delle infrazioni più gravi. I soldi però non spariscono, tutt’al più, come dice Giulio Tremonti, cambiano di tasca....A proteggere i loro interessi e non quelli dell’erario provvede il governo di Romano Prodi. Come? Introducendo nella Finanziaria per il 2008 un codicillo che, semplicemente, cambia i termini dell’accordo tra Monopoli e concessionari.☻

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La schedatura...Amedeo Laboccetta, 65 anni, ex missino, ex An, ex Pdl ora berlusconiano doc, dopo una lunga esperienza come consigliere comunale a Napoli e dirigente politico, viene eletto per così dire deputato nel 2008 ed è membro della commissione antimafia. Nel suo lontano passato una pesante vicenda giudiziaria. Alla vigila della tangentopoli partenopea - siamo sul finire del 1992 - Laboccetta si segnala come il grande moralizzatore, tifoso dei pm, invocatore del tintinnare delle manette, lanciatore dagli spalti della sala consiliare del Maschio Angioino di palloni pieni d'acqua contro i ladroni del pentapartito. Laboccetta però finisce in manette. Restò detenuto per tre mesi al “Grand Hotel Poggioreale” (è il titolo del libro che scrisse) al padiglione “Torino”. Un'esperienza che lo segna. Sarà assolto dopo 15 anni. Laboccetta non si perde d'animo. Si rimette in carreggiata fonda l'associazione “Polo Sud” e con questa sigla macina politica: dibattiti, incontri, riflessione, iniziative che ben presto acquistano un respiro nazionale.

Sopra il faccione del deputato berlusconiano Amedeo Laboccetta,

amico di Nicola Cosentino. E' finito sott'inchiesta per aver

dichiarato proprio un Pc portatile che apparterebbe, invece,

al faccendiere Francesco Corallo

Al deputato piace l'azzardoAmedeo Laboccetta dopo aver bevuto l'acqua di Fiuggi

approda al berlusconismo, vende l'anima a Nick' 'o Mericano ed è “nominato” deputato e membro della Commissione antimafia

di Arnaldo Capezzuto

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 -N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 9

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ergogna. E' una parola perfino inadatta per uno come tal Amedeo Laboccetta. Un signor

nessuno. Un politiconzolo da quattro soldi. Un parlamentare che nascondendosi dietro l'immunità ha fatto sparire un Pc e “ripulito” da dati scottanti. E' scritto nelle oltre 60 pagine dell'ordinanza con la quale i giudici del Tribunale di Milano hanno messo agli arresti domiciliari per una storia di tangenti e corruzione l'ex numero uno della Banca Popolare di Milano ed ex presidente di Impregilo Massimo Ponzellini e Antonio Cannalire, suo collaboratore. La storia riguarda una perquisizione nell'appartamento di piazza di Spagna a Roma dell'imprenditore Francesco Corallo il 10 novembre 2011. La Guardia di Finanza si presentò nell'abitazione per conto dei magistrati che indagavano sul finanziamento di 148 milioni di euro dalla Bpm ad Atlantis, la società di Corallo che si occupa di macchine per il gioco d'azzardo legale. I finanzieri però furono lasciati fuori con la scusa che l'imprenditore godeva di immunità diplomatica poi furono fatti entrare nella casa quattro avvocati e, il deputato del Pdl Amedeo Laboccetta. L'onorevole impedì il sequestro di un Pc portatile, sostenendo di esserne il proprietario, se lo portò via senza dare il tempo di segnare il codice identificativo. Una vicenda confusa, con troppi aspetti da chiarire, e per la quale la procura di Milano iscrisse nel registro degli indagati il parlamentare del Pdl. Nelle carte dei Pm è ricostruita tutta la storia con delle accuse pesanti nei confronti di Laboccetta: di aver cancellato, tutto l'hard disk del Pc. “La sottrazione del computer è stata un'attività concordata da Corallo e Laboccetta - scrivono nell'ordinanza - come dimostra la circostanza che lo stesso Corallo ha avvisato e chiamato in soccorso Laboccetta per essere assistito durante la perquisizione. Labocetta ha invece dichiarato, anche alla Giunta per le

autorizzazioni a procedere della Camera, di essersi recato spontaneamente presso Corallo proprio al fine di recuperare il “suo” Pc”. “Dopo l'episodio – scrivono i magistrati – e successivamente al parere favorevole della Giunta per le autorizzazioni, Laboccetta ha consegnato alla Finanza il Pc, subito passato all'analisi del consulente del Pm. I risultati dell'ispezione

dicono che il Pc è stato manipolato con la cancellazione dei dati. Dopo il blitz Laboccetta sul Pc è stato installato un apposito software denominato Cleaner idoneo alla “bonifica” dei dati del disco fisso, con una modalità capace di cancellare le tracce in profondità. Prima di questo software era stato utilizzato altro programma denominato Eraser, poi rimosso. “In sostanza – concludono i magistrati – il Pc è stato prima manipolato con la cancellazione dei dati, quindi rinominato al fine di occultare la effettiva proprietà del pc in capo a Francesco Corallo e, ovviamente, i contenuti pregressi dello strumento. Il proposito criminoso è andato, per la più parte, a buon fine perché, al di là delle vicende manipolative chiaramente emerse, non è stato possibile recuperare dal pc i dati cancellati”.

V

Il politiconzolo e il compagno di merende:un “Corallo” e' per tutta la vita,per lui si sbianchetta anche il Pc

La Finanza chiede di perquisire l'appartamento in piazza di Spagna a

Roma dell'imprenditore Francesco Corallo dell'Atlantis, figlio di

Gaetano, condannato a sette anni e mezzo per associazione a delinquere

per il suo tentativo di scalata ai casino di Campione e Sanremo da

parte degli amici del boss di Catania, Nitto Santapaola.

Le Fiamme Gialle vengono - abilmente - tenute fuori dalla porta per dare tempo a quattro avvocati e

al disonorevole Amedeo Laboccetta di correre al capezzale

dell'imprenditore amico (il deputato ha lavorato o lavora per conto di

Corallo). Un lasso di tempo sufficiente per bloccare il lavoro dei

finanzieri e far sparire possibili prove dando il Pc al parlamentare

che poi si è occupato di farlo sbianchettare. Questo deputato

disonorevole è membro della commissione Antimafia

assassas

Laboccetta è stato eletto due mesi fa responsabile cittadino del Pdl, ma sono in tanti all'interno del partito a chiederne la testa: la sua guida è inesistente

Gioco d'azzardo per riciclare i soldi sporchi a criminalità mafiosa non si è certo lasciata sfuggire l’opportunità di

penetrare in un settore da cui possono derivare introiti ingenti e, attraverso il quale possono essere riciclate e investite, in maniera tranquilla, elevatissime somme di denaro. Macchinette nei bar al sud, sale bingo nel nord Italia. Questa sarebbe la divisione coi quali i clan entrano nel grande business del gioco d’azzardo. Controllare i videopoker e gli impianti di gioco per i clan significa anche controllare meglio il territorio. Fanno sentire il ‘fiato sul collo’ ai commercianti, anche senza chiedere il pizzo. Il giro d’affari è sottostimato in dieci miliardi di euro all'anno. E non conosce confini. Sono quarantuno le organizzazioni malavitose italiane che si spartiscono la “grande roulette”. Sul fenomeno indagano i magistrati di Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma. Per spiegare meglio questa storia ebbene raccontare le vicende giudiziarie di Renato Grasso, a capo della lavanderia più efficiente del centro-sud. Le sue slot-machine, sistemate in oltre tremila

L corner disseminati lungo l'intera penisola, sono servite per ripulire e riciclare milioni e milioni di di euro, gli incassi delle famiglie di camorra di Napoli e Caserta. Renato Grasso ha fatto affari con tutti: arricchendosi con le provvigioni riconosciute dai Casalesi ma anche dai gruppi di Secondigliano, Fuorigrotta, Pozzuoli e Marano. E' finito tutto tra il 2008 e il 2009 con le sue società di distribuzione di slot e di raccolta di scommesse per conto della Sisal, sequestrate e destinate alla confisca. Grasso è stato condannato a 14 anni di reclusione quindi è stata provata l'esistenza di una rete capillare, una sorta di Las Vegas su scala nazionale, un network del vizio concentrato in una dozzina di sale Bingo e in decine e decine di sportelli di scommesse on line. Aveva contatti con la mafia siciliana e frequentava i maggiori capi clan partenopei Vollaro, Cavalcanti, Lago, Contino, Puccinelli, Perrella, Baratto, Polverino, Mazzarella, Misso, Lepre e Brandi. In soldoni: 15mila slot illegali in tutta la Campania, con un guadagno giornaliero di 250 euro per ognuna. Il totale è pari a tre milioni e 750 mila euro al giorno. (ppm)

Gli interessi dei clan

di Arnaldo Capezzuto

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 -N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 10

Matteo Garrone subì pesanti minacce durante le riprese di Gomorra

Cacciati dai LicciardiTroupe intimidita da guaglioni in moto e armati di revolver

Esclusivo: Masseria Cardone off limits

on c'è pace per il regista Matteo Garrone. Neppure il tempo di

godersi il “Gran Premio” della giuria del sessantacinquesimo Festival di Cannes presieduto da Nanni Moretti e assegnato al suo ultimo film “Reality” che si è dovuto precipitare in Procura a Napoli per un interrogatorio. Da un paio di mesi il regista è entrato nel mirino di diversi collaboratori di giustizia - alcuni sono stati anche suoi attori - per il film “Gomorra”. C'è chi l'accusa di aver versato una tangente di 20 mila euro per stare tranquillo e finire di girare il film tratto dal best seller dello scrittore Roberto Saviano. C'è chi l'accusa di aver accettato l'imposizione di una scorta armata dei Casalesi quando il set delle riprese si è spostato nella zona di Casal di Principe, c'è chi ricorda di diversi incontri tra il regista e alcuni boss. Garrone non vive su Marte. Per realizzare il “suo” neo verismo cinematografico è disposto a tutto anche ad arruolare boss, affiliati, capo piazza e pusher tra i suoi interpreti.

N Così è stato per Gomorra. Durante il faccia a faccia con i magistrati Garrone qualcosa avrebbe ammesso. Laddove le contestazioni si sono fatte ficcanti e precise l'artista ha sbottato dicendo: “Quando scrivo e realizzo un film incontro tantissime persone di ogni ceto sociale e non sono tenuto a conoscerne di ciascuna frequentazioni, appartenenze e

casellari giudiziari”. Per poi tagliare la testa al toro e affermare: “Sono un regista e mi occupo del lato artistico. I produttori e chi finanzia il mio lavoro si interessa del lato economico”. Girare il film “Gomorra” non è stato semplice per Garrone. C'è un episodio singolare. All'inizio della lavorazione, il regista era intento a ricostruire location e scegliere

gli esterni. Alcuni ciak furono realizzati nel quartiere di Secondigliano. Lo staff tecnico e l'entourage del regista facevano attenzione a non far emergere che il film in lavorazione fosse ispirato al libro “Gomorra”. Si parlava, infatti,

genericamente di un documentario su Napoli. Un astuto espediente per evitare problemi e attirarsi le attenzioni della criminalità. Accade qualcosa. Alcune donne della Masseria Cardone, agglomerato di dodici edifici a Secondigliano, e roccaforte della potente famiglia-clan Licciardi, accolgono la troupe e trasformano un paio di stanze delle loro abitazioni - in sala trucco e spogliatoio. Il clima è sereno. I giorni trascorrono tranquilli. I sopralluoghi procedono bene come del resto le riprese. Accade che qualcuno però della squadra del regista svela che, in effetti, non si tratta di un documentario ma di un film ispirato al libro Gomorra. L'atmosfera si fa pesante. Le donne così gentili e disponibili di botto cambiano atteggiamento. Una chiamata via telefonino e si materializzano in pochi minuti quattro moto di grossa cilindrata. La masseria Cardone viene circondata. Tocca a Matteo Garrone chiedere una spiegazioni, tentare una mediazione. Ma non ci sono margini. Con le pistole messe bene in vista i guaglioni ordinano lo sfratto della troupe. Lo stesso Garrone è affrontato a muso duro ed etichettato come un infame per aver mentito e avvisato di lasciare Secondigliano altrimenti sarebbe finito male.

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Il regista di “Reality” è stato più volte ascoltato

dai magistrati anticamorra perché tirato in ballo da alcuni

collaboratori di giustizia, all'epoca dei fatti

“suoi” attori: ora l'accusano di aver pagato il pizzo

di Arnaldo Capezzuto

“Le donne dei boss accolsero la troupe trasformando un paio di stanze delle loro abitazioni in sala trucco e spogliatoio per gli attori”

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 -N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 11

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i sono storie che vanno raccontate. Come la storia di Gianluca “Zendark” Cimminiello, un ragazzo napoletano con tanti sogni e speranze, che aveva scelto la strada del

lavoro; saggio, onesto. Interpretava i desideri di chi s’imbatteva, nel suo laboratorio, traducendo disegno in tatuaggio. Ed è sera, nel suo negozio, quando Luca cade, sotto i colpi di una bestia, chiamata camorra, che la Procura di Napoli - terza sezione della Corte di Assise presieduta dal Giudice Carlo Spagna gli ha dato un nome, un cognome e una condanna: Vincenzo Russo, ergastolo. “Zendark”, ucciso per invidia e vendetta. All’origine c’è una foto con Ezequiel Lavezzi che Gianluca si fa scattare una domenica di fine gennaio davanti all’ingresso degli spogliatoi dello stadio San Paolo. Il Pocho è infortunato, non ha giocato, e mentre aspetta i compagni accetta di posare con i tifosi. Quella foto finisce su Facebook. Lavezzi lì ci sta benissimo, pieno com’è di tatuaggi. E' un ottimo testimonial per lo studio di tatuatore, lo “Zendark Tattoo”, a Casavatore. “Da quel momento Gianluca comincia a ricevere svariati messaggi da parte dei clienti che gli chiedevano se avesse tatuato lui Lavezzi. Ma Luca rispondeva sempre di no”, racconta una testimone ai carabinieri durante le indagini. Perché nella abnorme, terrificante, assurda mentalità criminale, il giovane di Secondigliano si è macchiato di un grave delitto: aver pubblicato sul proprio spazio facebook, una foto così pregiata. Un gesto imperdonabile, uno sgarro assurdo per il tatuatore Vincenzo Donniacuo, chiamato nel suo giro “Enzo il Cubano”, dal nome dello studio che gestiva a Melito. E' ossessionato “Enzo il Cubano”. Comincia a rivolgere a Gianluca ripetuti inviti a cancellare quell'immagine. Gianluca fa spallucce. Allora si

passa all'avvertimento. Dei giovinastri, armati di coltello, fanno irruzione nel laboratorio a Casavatore, per un “chiarimento”; Gianluca per niente intimorito trova il coraggio di bloccare l’azione criminale. Da bravo istruttore di arti marziali, si difende attaccando e ferisce al naso Vincenzo Noviello, un componente del commando ma soprattutto cognato del boss (all'epoca latitante) Cesare Pagano, capo degli scissionisti. Non si tratta di un avvertimento quindi ma evidentemente adesso di una sentenza di morte. Tre

colpi, di cui due a segno, chiudono gli occhi per sempre a Gianluca Cimminiello, un giovane artista di Secondigliano, vittima innocente di camorra a 31 anni. “La vita è breve e senza senso se non viene vissuta nell'assoluta pace con gli altri” – questo, ripeteva Gianluca, che prima di essere ammazzato aveva inserito in un post il suo testamento morale: “Perdona il prossimo, che chi non ha il perdono nel cuore vive male, ma ignora chi persevera nel male”. A soli due anni dall’omicidio, il 2 febbraio scorso, il processo si è concluso in primo grado con la condanna all’ergastolo, per Vincenzo Russo, il killer. Già: i killer. Burattini nelle mani di abili “pupari”. Manovalanza delle mafie, abituati a chinare la testa e distruggere vite. “E’ importante raccontare. Dietro ogni vittima innocente ci sono persone che svolgevano un’esistenza normalissima; se non fermiamo questi assassini, se ci giriamo dall’altra parte, potrebbe capitare a chiunque” spiega Susy Cimminiello, la sorella minore di Gianluca (componente attiva nel Coordinamento familiari vittime innocenti di criminalità della Campania), che con voce forte, intensa racconta la storia di suo fratello a chi non lo conosceva. “Abbiamo il dovere di cambiare le cose, di smuovere le coscienze - ribadisce Susy - sono nata a Napoli e non me ne voglio andare da qui. Non dobbiamo chiuderci nel nostro dolore”. Questa è la città di chi denuncia e non si arrende; la città delle vittime innocenti e non di criminali senza scrupoli, che si atteggiano a padroni di niente. ☺

C

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di Eliana Iuorio

“Dietro ogni vittima innocente ci sono esistenze normalissime; se non fermiamo questi assassini, se ci giriamo dall’altra parte, potrebbe capitare a chiunque”

Camorra spietataTrucidato per una fotoLa storia di Zendark

Gianluca Cimminiello, 31 anni, finisce nel mirino dei killer

per aver osato postare su facebook un'immagine in cui era ritratto

con il calciatore del Napoli Lavezzi. Il giovane tatuatore scatta la foto davanti

allo stadio poi ne modifica lo sfondo inserendo il suo laboratorio.

Un artificio che fa imbestialire un collega. Durante una “visita-avvertimento”:

Gianluca reagisce al sopruso affrontando il cognato di un boss.

Scatta la punizione: tre colpi di pistola

Una storia assurda, bestiale,

allucinante. Gianluca

Cimminiello,31 anni,

ammazzato nell'anonima “normalità”di una città

malatadi assuefazione.

Il killer di “Zendark” è

stato condannato lo scorso febbraio alla pena

dell'ergastolo.Però la vicenda

giudiziariaè tutt'altro

che chiusa:resta da capire

il ruolo ricoperto

dai fomentatori che istigaronola spedizione

di morte

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La Domenica La Domenica Settimanale Settimanale N. 1 | 20 Giugno 2012 - N. 1 | 20 Giugno 2012 - Anno IAnno I 12

di Alessandro Migliaccio

Vederci chiaro sull'avviso emanato per l'assegnazione dell'incarico temporaneo di dirigente del Pronto soccorso dell'ospedale “Cardarelli” di Napoli, il più grande del Sud Italia. E' l'obiettivo di un esposto inviato alla Magistratura dal direttivo della Cobas per il Pubblico impiego. Un bando che sembra un “vestito su misura” per una persona come denunciano quelli della Cobas.

L'incaricoII fatti. Con la nota n. 98 del 3 maggio 2012, il responsabile temporaneo del Pronto soccorso dell’ospedale “Cardarelli” (l'internista Vincenzo Piedimonte) rassegna le dimissioni, che vengono accolte dall’azienda con la delibera n.387 del 29 maggio 2012 che le rende operative dal 21 maggio 2012. Temporaneamente, poi, viene affidato tale incarico ad un medico senza i requisiti specifici per dirigere il Pronto soccorso e così, con la delibera n. 371 viene accettato il trasferimento al “Cardarelli” di Fiorella Palladino, dirigente medico di Medicina interna di I livello in servizio nell’ospedale “San Paolo” e titolare presso tale nosocomio di una Struttura semplice dipartimentale. Il “comando”, ovvero il trasferimento temporaneo (che di solito si motiva per aggiornamento professionale) e l'impegno economico, non sono a carico dell’ospedale di provenienza ma del “Cardarelli”. E così dal primo giugno la Palladino prende

servizio presso l’ospedale “Cardarelli”, proprio nel giorno in cui l'azienda, con la delibera n. 411, bandisce l’avviso di concorso per “Incarico temporaneo di dirigente della struttura complessa del Pronto soccorso - Obi 1-Obi 2”.

Il bando della discordiaI requisiti per la partecipazione al bando sono apparentemente quelli richiesti dalla legge (essere titolari di Struttura semplice o di incarichi di alta specializzazione presso il Pronto soccorso) ma di fatto al bando può partecipare una sola persona: la Palladino. Infatti, tutti i medici operanti nel Pronto soccorso non sono titolari di alcuna struttura semplice del Pronto soccorso tranne la Palladino ed inoltre l'Azienda ospedaliera “Antonio Cardarelli”, senza alcuna valida

motivazione, non ha conferito alcun incarico di alta specializzazione a tutti i suoi sanitari operanti nel Pronto soccorso: c'è una delibera che propone gli incarichi ma questi non sono stati mai assegnati. Ne consegue che tutti i sanitari che operano nel Pronto soccorso non hanno i requisiti minimi per poter partecipare all’avviso di selezione interna tranne il dirigente medico proveniente dall' ospedale “San Paolo” di Fuorigrotta.

La denuncia del CobasIl quale, a detta dei rappresentanti della Cobas, avrebbe già di fatto assunto la direzione del Pronto soccorso ed Obi 1 e 2 imponendo direttive organizzative e terapeutiche ancor prima che sia svolto il bando di selezione. Il malumore, dunque, serpeggia tra il personale sanitario operante da anni che si è visto negato l’incarico di alta specializzazione (a cui ha diritto) e proprio per questo motivo poi, è stato escluso da una selezione per dirigenza a cui ambiva. Alla protesta della Cobas segue quella dei primari del “Cardarelli” che, in una nota scritta indirizzata ai vertici del “Cardarelli”, chiedono la sospensione del concorso per la nomina temporanea del dirigente del Pronto soccorso visti i “termini troppo restrittivi del bando”. Le domande che si pongono i primari sono due: perché il “Cardarelli” paga un dipendente di un'altra azienda “in comando”? E può, un dipendente in comando, diventare dirigente di una Struttura complessa? Vedremo cosa accadrà.

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Ospedale Cardarelli, il giallo della nomina al Pronto soccorsoIl direttivo Cobas invia un dettagliato esposto alla Procura

Concorso ad personam bando come un vestito

I NUMERI Ospedale “A. Cardarelli”

E' il nosocomio più grande del Mezzogiorno. A fronte di un piano ospedaliero con 907 posti letto, ne vengono occupati in media 1100. Mancano 30 medici, 100 infermieri, 86 operatori sociosanitari, circa 17 caposala e 30 tecnici.

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l cardinale Crescenzo Sepe è cittadino onorario di Napoli. A stabilirlo una

delibera di giunta, con la quale il sindaco Luigi de Magistris ha conferito al porporato (nato a Carinaro provincia di Caserta) lo status di partenopeo. I meriti dell'inquilino illustre di largo Donnaregina sono molteplici per la nostra città: i discorsi-comizi sulla camorra, le aste di beneficenza con i soldi degli altri, il giubileo delle clientele, l'ampolla del sangue di San Gennaro brandita a mò di clava contro i cumuli di sacchetti di rifiuti, l'amicizia fraterna con il conterraneo e deputato Pdl pluri-imputato per camorra Nicola Cosentino, i rapporti di potere - per la verità opaco – che intrattiene nelle stanze ovattate del Vaticano e per finire il tifo e le amicizie che l'arcivescovo coltiva per la squadra del Napoli. Insignire l'alto prelato della pregiata pergamena di cittadino napoletano è per Luigi de Magistris un tassello importante della “sua” rivoluzione arancione. La lista civica nazionale, il nuovo soggetto politico che l'ex pm sta partorendo ha bisogno anche di agganci importanti, solidi e trasversali. Sepe rappresenta un'ottima entratura nel mondo variegato e disorientato del regno di Oltretevere. Ma la cittadinanza onoraria

I punta soprattutto a distendere i rapporti tra Arcidiocesi e Municipio. Una pax che Palazzo San Giacomo ha costruito faticosamente in questi mesi. La rottura tra de Magistris e Sepe è datata alla fine di novembre quando la giunta vara il “registro delle unioni civili”. La reazione del cardinale è violenta: “Questa è una brutta notizia: non è una priorità, in città ci sono altri problemi”. Per poi rincarare la dose: “L'amore di Dio è per tutti ma cosa diversa è voler equiparare alla famiglia altre entità che famiglie non sono”. Acqua passata. Sepe nel ricevere la cittadinanza ha detto: “Essere cittadini di Napoli significa essere parte della sua storia”. E rivolge il pensiero ai tanti inoccupati: “L'emergenza sociale della disoccupazione è un dramma. L'assenza di lavoro si ripercuote anche sui giovani che stanno sulla porta a loro sbarrata per entrare nel mondo del lavoro”. Parole sante che commuovono. Peccato che l'Arcivescovo parla sempre bene ma razzola male : a tre dei suoi nipoti che non avevano le chiavi delle porte sbarrate ci ha pensato sua Eminenza raccomandandoli all'Eco4 (infiltrato dai clan) e all'Anas di Lunardi.

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Sindaco benedice cardinale indagato La giunta conferisce a Crescenzio Sepe la cittadinanza onoraria Per ora è sanato lo strappo con la Curia per le coppie di fatto

“A Maronna v'accumpagna”. Il cardinale Sepe e l'ex ministro Pietro Lunardi sono indagati dalla Procura di Perugia nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta “cricca” che avrebbe lucrato sui Grandi eventi. Corruzione aggravata il reato contestato a entrambi. Per il cardinale Sepe, l'indagine riguarda la ristrutturazione e la vendita di immobili di Propaganda Fide nel 2005. In particolare Lunardi acquista dalla Santa sede un palazzo in via dei Prefetti a Roma pagandolo sotto costo. Sconto che non sarebbe stato originato dallaa carità cristiana ma bensì da un lauto contributo fatto avere da Lunardi a Sepe: per l'esattezza due milioni e mezzo di euro, destinati ad Arcus, un progetto di ristrutturazione dei musei vaticani i cui lavori (guarda caso) sarebbero stati affidati alle imprese del Gruppo Anemone.

di Luigi Foderico

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L'imprenditore sembra il vero assessore al Patrimonio del Comune di Napoli, oltre agli affari pare che si prepari a finanziare il progetto politico che sta a cuore al sindaco de Magistris : la lista civica nazionale. Ipotesi non proprio campata in aria: l'anno prossimo si vota e l'ex pm vuole essere della partita.

ravolto dal vento della rivoluzione arancione, appena insediatosi sulla

poltrona di assessore al Patrimonio e Personale del Comune di Napoli, Bernardino Tuccillo, un curriculum da ex sindaco di Melito ed ex assessore provinciale al Lavoro, in numerose interviste dal tono auto promozionale si presentava come un pasaran pronto alla guerra contro tutti ma in particolare dell'imprenditore Alfredo Romeo e la sua creatura la Romeo Gestioni Spa. Dichiarazioni di fuoco, aut aut, strali e arditi propositi rivoluzionari. A rileggere postume quelle interviste e riscontrandole con le attuali dichiarazioni dell'assessore c'è da chiedersi: si tratta della stessa persona? L'incendiario Tuccillo è diventato un pompiere. Cosa è accaduto? La metamorfosi di Tuccillo è da studiare.

T

Come si cambia per non morire (politicamente). Tuccillo folgorato sulla via dell’accordo tra Romeo Gestioni Spa e il Comune di Napoli. La delibera di giunta (28 marzo - n. 206 e modifiche) è un vero capolavoro. In un colpo solo estingue i debiti dell’amministrazione nei confronti della Romeo Spa, gestore del patrimonio immobiliare comunale e affida alla stessa la dismissione di 2700 immobile Erp. Dalla delibera spunta anche il progetto della Romeo “Insula della Dogana”, (che ha indotto l'assessore Narducci a gettare la spugna) e predispone i passi da attuare per verificarne la fattibilità. Romeo è eccitato. Comanda a bacchetta la giunta arancione; i suoi interlocutori privilegiati sono il sindaco de Magistris, l'assessore Tuccillo e il capo gabinetto Attilio Auricchio. L'imprenditore detta la linea, consiglia il percorso amministrativo, sollecita i tempi e pone le scadenze. Il piglio è il solito. Basta rileggersi le carte dell'inchiesta della “Global service” per vedere come gli assessori della precedente giunta dell'ex sindaco Rosa Russo Iervolino erano poco più che burattini nelle mani di Romeo. La storia si ripete. Adesso tocca a Tuccillo difendere a spada tratta come un fedele scudiero Romeo ed i “suoi” progetti

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L'ex pasaran Bernardino Tuccillo folgorato sulla via dell'Insula

Una strana storiaMetamorfosi di un assessore

Il prezzo della rivoluzione Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Appunto, il vizio di Alfredo Romeo - parafrasando uno slogan caro al Luigi de Magistris - versione rivoluzione arancione della campagna elettorale - è essere un prenditore e non un imprenditore.- L'imprenditore fu coinvolto nel 1993 in Tangentopoli (quando ammise di pagare alcuni politici definendoli “cavallette” a caccia di mazzette), quindi arrestato e poi scarcerato nel tormentato procedimento Global Service. Le numerose inchieste giudiziarie cominciate nella prima Repubblica e proseguite nella seconda ci raccontano chi è veramente Romeo. Con rito abbreviato a marzo 2010 - l'imprenditore che gestisce per conto del Comune di Napoli tutto il patrimonio immobiliare e altro è stato condannato a due anni di reclusione (pensa sospesa) per corruzione aggravata. L'inchiesta è quella della “Global Service” dove esponenti di Comune, Regione e Provincia si mettevano a disposizione per modellare e orientare atti amministrativi cuciti su “misura” per le imprese di Romeo. Adesso sembra di rivedere tragicamente lo stesso film - questa volta - il progetto che sta a cuore a Romeo si chiama “Insula della Dogana” - riqualificazione di via Cristoforo Colombo e nascita di un parcheggio sotterraneo dove è ubicato l'albergo del top manager tra l'altro gravato da alcuni abusi edilizi come denuncia Stefano Gizzi, soprintendente per i Beni architettonici e paesaggistici di Napoli e provincia. Se transazione dev'essere con la Romeo - una serie di sentenze condannano il Comune a pagare 50milioni di euro per competenze arretrate dal 2007 - allora cosa c'entra l' “Insula della Dogana” ? Sconvolge l'assessore pompiere Tuccillo: “E' un progetto interessante separato dalla transazione che va valutato con una apposita cabina di regia”. E' proprio la stessa cabina suggerita da Romeo in un carteggio indirizzato al sindaco de Magistris, Tuccillo e Auricchio. (p.p.m.)

di Genny Attira

Come si cambia per non morire (politicamente) Eccoli alla corte del Re Mida Alfredo Romeo

I politici cavallette

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lla fine Giuseppe Narducci, assessore ai diritti, trasparenza e sicurezza e pm di punta della Procura di Napoli in aspettativa, prestato alla

politica, ha gettato la spugna. La rivoluzione arancione perde ancora pezzi. Anche i più integralisti “Giggino boys” cominciano a fare i conti della massaia. Siamo sicuri che l'antipolitica come pratica di buon governo funzioni? Dopo Raphael Rossi (licenziato senza giusta causa - vedi vicenda assunzioni Asìa) tocca a Narducci fare le valigie e lasciare Palazzo San Giacomo. La frattura con il sindaco Luigi de Magistris si è fatta insanabile sul piano umano e lavorativo. “Non pronuncerò mai 'Fuitevenne a Napule' però da cittadino dico che le vecchie facce sono tornate. Questa

città è senza futuro”. E' un Giuseppe Narducci deluso e amareggiato ma con la schiena dritta e pronto a tornare a fare il suo mestiere: il magistrato. Motivo degli attriti insanabili con de Magistris le vicenda Romeo (nella foto a sinistra) e Asìa. Il primo cittadino dal canto suo in un post ha criticato aspramente Narducci. “L'ho scelto, perché garantisse al Comune di essere totalmente impermea-bile al crimine organizzato e alla corruzione. Su questi temi non ho potuto registrare un significativo contributo da parte sua, tanto che personalmente sto operando

per introdurre cambiamenti fondamentali su tale fronte e, ad oggi, l'ho fatto senza il suo apporto”. E ancora di sciabola: “Spesso è accaduto che declinasse la politica non come risoluzione dei problemi volta alla tutela dei più deboli nell'orizzonte della legalità e del diritto, ma come cieca intransigenza e furioso formalismo della norma, spesso paradossalmente accanendosi con i più deboli, arrivando a confondere legalità formale con legalità sostanziale”. Sarà ma impressiona vede - come denuncia l'ex

assessore - ronzare nelle stanze del Municipio gente come Romeo. Dal canto suo Narducci nella sua lettere di dimissione spiega: “Ho accettato l'incarico di assessore ai diritti, trasparenza e sicurezza del Comune di Napoli per svolgerlo unicamente con lo spirito di 'servitore delle istituzioni', persuaso di poter rendere un servizio ai cittadini napoletani, nell' esclusivo interesse della collettività e senza perseguire nessun'altra finalità personale o diparte”. E poi il punto centrale: “Le divergenze sono divenute sempre più profonde soprattutto in occasione di alcuni momenti importanti della azione

amministrativa: la discussione sulla utilizzazione di forme di lavoro temporaneo nel ciclo dei rifiuti e poi, in particolare, sulle assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato (le cosiddette internalizzazioni) effettuate dalla società partecipata Asia spa; il delicato tema della corretta ed equilibrata definizione del rapporto con il privato che, ormai da moltissimi anni, gestisce il patrimonio immobiliare dell'ente, definizione poi concretizzatasi attraverso la adozione di delibere che non ho condiviso”. “Infine, a causa delle posizioni da me assunte, sono stato, nelle ultime settimane, getto di dichiarazioni gratuitamente aggressive, additato, in sostanza, come un 'reprobo' che, insieme al collega Realfonzo, avrebbe minato la coesione e la efficacia della azione di giunta, coesione ed efficacia che sarebbero state di nuovo prontamente assicurate attraverso un energico rimpasto di deleghe e di persone”.☻

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di Giulia Rosati

Narducci, l'esodato “Tornano le vecchie facce”

Giuseppe Narducci, 52 anni, è magistrato dal 1986 ed ha sempre svolto il suo lavoro a Napoli come pm occupandosi, di indagini sulla criminalità organizzata, anche sul versante dei rapporti collusivi con settori della politica, delle istituzioni e della economia. Ultimo processo istruito è stato quello di Calciopoli a cui ha dedicato anche un recente libro edito da “Alegre”.

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La denuncia

Affari e speculazioni sui morti

Che s'adda fa' pe' murì! Custodi, impiegati, addetti alle puliziea loro bisogna rivolgersi per cercare

di trovare un loculo disponibile già vuoto

ovemila morti all’anno. Quaranta ditte di pompe funebri. Cadaveri che spariscono

nel nulla, ossa che vengono spostate da una nicchia all’altra, morti che restano per giorni “all’inpiedi”. Scene da film dell’horror. C’è una Napoli che vive sulla morte, che specula sul dolore dei parenti dei defunti. E c’è una Napoli onesta che, invece, subisce ricatti (più o meno velati) e prepotenze quando si trova a fare i conti con il decesso di un familiare. Quando una persona muore, infatti, se la famiglia non possiede una cappella privata in cui far riposare le sue spoglia, entra in un labirinto che conduce, prima o poi, sempre alla stessa uscita: pagare profumatamente qualcuno per sistemare il defunto in una nicchia.

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Se una famiglia non ha una cappella

Il che, in realtà, potrebbe essere garantito dal Comune attraverso delle assegnazioni decise in base alla data di esumazione del corpo, se non fosse che i lavori di ampliamento dei cimiteri napoletani sono fermi da anni. Su dodici cimiteri cittadini solo a Secondigliano, Ponticelli ed a Pianura, infatti, ultimamente sono stati costruiti nuovi loculi ma sono troppo pochi e già quasi tutti assegnati. E poi, si sa, il napoletano preferisce seppellire il suo defunto a Poggioreale, nel cimitero principale e meglio raggiunto dai mezzi pubblici, dove per la gran parte di cittadini riposano già altri cari. Così accade che, quando una persona muore finisce sottoterra nei giardini comunali di Poggioreale e dopo un minimo di tre anni, si effettua l’esumazione del corpo per liberare lo spazio a terra ed il suo trasferimento in una nicchia oppure in un loculo che il Comune dovrebbe aver assegnato al defunto dietro pagamento di

poco più di duemila euro. Ma, visto che altri posti non ce ne sono e che i lavori di ampliamento del cimitero sono pressoché fermi, i familiari del morto sono praticamente costretti a trovare una sistemazione alternativa ai resti del loro caro. Il che significa rivolgersi ai privati oppure alle congreghe appartenenti alla Curia accettando le loro condizioni. Eh si, perché se decidessero di lasciare sotto terra il cadavere, correrebbero il rischio di farlo finire nell’ossario comunale, visto che il Comune, entro un massimo di dieci anni dalla sepoltura del corpo, può disporre per esigenze di spazi il trasferimento dei resti nell’ossario. Ecco perché, per evitare questo scenario di anonimato per il proprio defunto, i parenti si prodigano per trovare una nicchia libera. E qui, spesso, entrano in gioco nuove figure che si aggirano nei cimiteri come fantasmi ma che non fanno paura a nessuno: basta che paghi loro qualche migliaio di euro. Molto di più di quanto prende il Comune. Custodi, amministrativi e addetti alle pulizie dei vari camposanti cittadini: è a loro che ci si deve rivolgere per cercare di trovare un loculo disponibile senza stare troppo a cercare di capire se era già vuoto oppure se viene liberato apposta. La cronaca degli ultimi anni, infatti, ha riferito anche notizie secondo le quali c'è stato chi, andando al cimitero, ha trovato un'altra lapide rispetto a quella del proprio defunto, con nome e cognome diversi. Individuata la nicchia, si procede ad una scrittura privata davanti ad un notaio in cui l’assegnatario del loculo comunale cede al nuovo acquirente il posto in cambio di una somma di denaro che varia dai quattromila ai quindicimila euro. Il tutto, ovviamente, è illegale in quanto l’assegnatario non è proprietario del loculo e non può venderlo. Se

non gli serve più, perché magari ha trasferito le ossa che vi erano dentro in un altro posto, allora deve restituire il loculo al Comune che provvederà a riassegnarlo ai parenti di un defunto che è stato esumato o che a breve dovrà essere esumato. Ma l'affare è ghiotto per tutte le parti in causa e quindi si procede lo stesso pur consapevoli di fare qualcosa di illecito. Negli uffici comunali di Santa Maria del Pianto, tra le carte che sta ordinando il direttore del Servizio cimiteriale Andrea De Giacomo, ci dovrebbe essere anche una lista d'attesa per i loculi comunali ma dal momento che i lavori per la costruzione di nicchie sono ben lontani dall’essere realizzati e visto che nessuno cede il loculo che ha assegnato, ad oggi è inutile mettersi in lista per ottenerne uno. C’è una sola via per uscire dal labirinto: pagare profumatamente qualcuno per sistemare il defunto in una nicchia.

Inutile mettersi in una lista d'attesa

Ed in questo senso, l’unica alternativa al privato, è rappresentata dall’acquisto di una nicchia all’interno di una congrega appartenente alla Curia che, come stabilito dalla regolamentazione risalente al 1975, è l’unico ente ad eccezione del Comune realmente proprietario di spazi all'interno dei cimiteri napoletani. Anche in questo caso, però, non mancano le speculazioni ai danni dei familiari del defunto con cifre che variano dai duemila ai sedicimila euro per un loculo. Insomma, affrontare il decesso di un familiare, per un napoletano può voler dire rischiare di essere raggirati e vedersi spillare un bel po' di soldi dalle tasche. Non è un caso, per l'appunto, che il 9 novembre 2011 la Guardia di Finanza

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Le indescrivibili peripezie di chi muore a Napoli. I lavori di ampliamento dei cimiteri partenopei sono fermi e non ci sono loculi in cui far risposare i defunti. Il valzer del mercato delle nicchie tra Comune, privati e congreghe della Curia. Un viaggio allucinante nell'ultimo libro di Alessandro Migliaccio*

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abbia sequestrato cappelle funerarie, manufatti e loculi all'interno del cimitero di Poggioreale nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Napoli che sta indagando sugli affari di alcuni imprenditori che, d'accordo con dei dipendenti comunali, sottraevano i resti mortali da cappelle funerarie, molte delle quali escluse per legge dagli atti di compravendita perché risalenti al 1800 e ne acquisivano la disponibilità.

Sottraggono resti mortali

Anche prima della sepoltura, però, un vero e proprio salasso attende dietro l'angolo i parenti dei morti: il funerale. Una funzione, questa, molto importante per chi è religioso ma che in alcuni casi si trasforma nell'obbligo di pagare cifre esorbitanti all'impresa funebre della zona. Non sempre, infatti, è possibile scegliere liberamente (come dice la legge) a chi affidare l'ultimo viaggio di un defunto, magari preferendo la ditta meno cara. Le imprese funebri di Napoli possono lavorare in tutta Italia ma c'è una sola area dove non possono mettere piede: la provincia partenopea a Nord della città e

ai piedi del Vesuvio. E questo avviene perché le imprese funebri dei Comuni vesuviani e dell'hinterland si sono coalizzate tra loro da anni ed impediscono alle ditte di Napoli città di svolgere le esequie nei loro territori. Se proprio vogliono, devono pagare una tangente (“diritti territoriali”) ma il funerale lo effettua sempre la ditta che regna incontrastata nel paese, in modo da affermare la sua supremazia e, ovviamente, guadagnare di più. Ma a Napoli i morti viaggiano anche in ambulanza: ciò accade quando i parenti di una persona defunta in ospedale vengono avvicinati subito dopo il decesso da alcuni autisti di ambulanze private o infermieri “bene informati” che si aggirano dentro e fuori gli ospedali cittadini. I napoletani, per usanza e tradizione, non amano lasciare il defunto in obitorio (è quasi una vergogna) e preferiscono portarlo a casa, dove sarà pure più agevole il rito dell'ultimo saluto dei parenti e del vicinato. La trattativa è molto rapida e si svolge sempre solo dopo il che paziente è deceduto, per far leva sul dolore dei familiari che a quel punto sono disposti a tutto pur di portarsi il morto a casa: “Vuoi

il morto a casa? Dammi mille euro”. C'è chi paga di meno: in genere si parte da un minimo di duecento euro e si varia nel prezzo a seconda della distanza da percorrere con l'ambulanza ed il cadavere a bordo. Se la richiesta dell'invio di

Deceduto viaggia in ambulanza

un'ambulanza per portar via un morto da un ospedale viene fatta al telefono, il nome in codice per indicare il defunto è “lo sposino”. Il tutto, però, deve avvenire nel giro di pochi minuti e spesso con il placet del medico di turno, il quale non deve assolutamente dichiarare il decesso. Se il paziente viene dichiarato morto in ospedale, infatti, per legge non può essere spostato ma deve essere tenuto sotto “osservazione” nella cella dell'obitorio dell'ospedale. Il paziente defunto trasferito illegalmente a casa con l'ambulanza sarà dichiarato morto durante il tragitto. Che s'addà fà pe' murì!

*Autore del libro “Che s'addà fà pe' murì - Affari e speculazioni sui morti a Napoli”, 2012 - ed. Vertigo

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Una tomba per due. Parafrasando il celebre film (Una poltrona per due), potremmo dire che forse è questa l'unica soluzione - sfruttare ogni tomba per due defunti - per risolvere il problema dell'assenza di posti nei cimiteri napoletani, che è alla base di tutto il business sui defunti. In realtà, molto dipenderà dal successo delle iniziative messe in atto dall' Amministrazione comunale di Napoli negli ultimi mesi dopo anni di immobilismo che non ha fatto altro che favorire il gioco della camorra: arricchirsi sul dolore della gente. E allora, cosa sta facendo il Comune di Napoli in tutto questo? Il Comune, vista la gravità del problema, sta cercando di sbloccare la situazione nel modo più veloce possibile. Negli ultimi mesi, con un project financing di 40 milioni di euro è partita la gara per i lavori di ampliamento dei cimiteri di Barra, Pianura e Soccavo. A Barra ci saranno 2.300 nuove fosse, 6.600 loculi e 58 cappelle, a Pianura 860 fosse,

9.400 loculi e 36 cappelle mentre a Soccavo 700 fosse, 1.500 loculi e 16 cappelle. E dopo innumerevoli traversie giudiziarie con l'avvocatura ed il Consiglio di Stato, potrebbe essere avviato anche l'intervento di ampliamento per i camposanti di Miano, Chiaiano e San Giovanni, che porteranno ai tre quartieri complessivamente 2.000 fosse, 5.200, loculi e 72 cappelle. Più ambizioso, invece, l'ampliamento di Poggioreale, che si avvale di un Pua con project financing da 150 a 200 milioni di euro, deliberato dal Consiglio comunale nel mese di luglio del 2011: i tecnici del Comune sono al lavoro sullo studio di fattibilità ma i lavori partiranno non prima del 2013. E poi c'è l'impianto crematorio comunale di via Zevola. Dopo anni di purgatorio, lavori e polemiche - con i costi che sono lievitati da 4 a 6 milioni di euro, di cui 2,5 con mutuo, gli altri a carichi del bilancio comunale - l'edificio ora è pronto per l'uso ma manca l'impianto di

cremazione che fu già acquistato 11 anni fa in Germania ma che non è stato mai ritirato né pagato. E per questo, di recente, sono stati stanziati 1,5 milioni di euro per la sua costruzione. Se è vero che già ora il 25% dei napoletani decide di farsi cremare a Roma o vicino Salerno dopo la morte, allora è facile immaginare che, con un forno in funzione a Napoli, tale percentuale potrebbe sensibilmente aumentare, riducendo, al tempo stesso, il fenomeno del “caro estinto” e della compravendita illegale dei loculi. E forse non è un caso che l'apertura dell'impianto di cremazione sia slittata di continuo negli ultimi 20 anni. Intanto, la giunta De Magistris ha approvato una delibera che riduce da 99 ad un massimo di 80 (40 rinnovabili) gli anni della concessione di una nicchia per un morto. Il che significa che i posti comunali si libereranno dopo un massimo di 80 anni e non più di 99 anni. (a.m)

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LA SOLUZIONE: COSA STA FACENDO IL COMUNE DI NAPOLI...

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Il richiamo del commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa: “C'è un caso Italia”

L'allarme di Nils Muiznieks: “Cronisti sotto minaccia, servizio pubblico a rischio”

Forte allarme e richiamo a autorità e politici. “Minacce sono censura camuffata, governi possono esserne accusati”. Proteggere minacciati, punire veramente colpevoli. Creare ambiente favorevole a pubblicazione notizie scomode per potere

dal discorso di Nils Muiznieks

A rischio la democraziaIl commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, ha lanciato un forte allarme sulla diffusione di minacce contro i giornalisti. Muiznieks, che è un giurista di nazionalità lettone, ha chiesto a tutti i governi e a tutti i rappresentanti politici dei 47 Stati membri, fra cui l’Italia, richiamata esplicitamente, di “dichiarare con forza” che gli attacchi ai giornalisti “sono inaccettabili e non rimarranno impuniti, saranno perseguiti con severità in quanto rappresentano una forma camuffata di censura che mina la democrazia”. Il Commissario ha citato l’Italia come uno dei Paesi membri del Consiglio d’Europa in cui quest’anno alcuni giornalisti sono stati attaccati per il loro lavoro mentre conducevano inchieste sulla mafia e sul malaffare.

Circolazione delle opinioni“…Citando una sentenza della Corte di Strasburgo, ha aggiunto che i governi nazionali hanno l’obbligo di creare un ambiente favorevole che consenta ai giornalisti di pubblicare senza timore di subire violenza e ritorsioni anche le informazioni e le opinioni che possono essere considerate scomode da chi detiene il potere economico, culturale o politico.

Perciò, ha detto, le autorità devono aprire immediatamente inchieste per accertare le responsabilità di ogni attacco contro i giornalisti, devono impegnarsi affinché i colpevoli siano individuati e condannati a pene conseguenti alla gravità del crimine commesso. Inoltre, ha sottolineato, le autorità devono agire con prontezza per offrire adeguata protezione ai giornalisti che subiscono minacce. Le minacce e gli attacchi contro i giornalisti, ha sottolineato il Commissario Muiznieks, equivalgono alla censura in quanto mirano a ”chiudere loro la bocca e a convincerli a non andare avanti con il loro lavoro”. “Anche se non adotta i tradizionali metodi di censura basati sul controllo preventivo dei contenuti, un governo può essere accusato di censura se non fa abbastanza per combattere e punire gli episodi di violenza contro i giornalisti, perchè l’impunità incoraggia l’emulazione dei violenti”..

Basta intimidazioni“…Muiznieks ha ricordato che la libertà dei media è la “linfa vitale della democrazia ed è un prerequisito essenziale per l’espressione di altre libertà”. Quest’anno, fino ad oggi, a differenza del 2011, nei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa non è stato assassinato nessun giornalista, e mi auguro, ha detto, che l’anno possa concludersi così. “Fare il giornalista è diventato pericoloso anche in Europa. Dall’inizio dell’anno – ha affermato Nils Muiznieks – sono molti ad aver subito aggressioni fisiche in Italia, Francia, Grecia e Germania, oltre che in Russia, Lettonia, Moldova, Montenegro, Romania e Azerbaijan. I rispettivi governi dovrebbero preoccuparsi più seriamente di

tanta violenza che minaccia le radici delle nostre democrazie perchè, in realtà, si tratta di una forma di censura camuffata”. Ad aggredire i giornalisti un tempo erano persone violente mascherate e sconosciute. Da un po’ di tempo in qua invece – ha aggiunto – accade che fra gli aggressori ci siano addirittura agenti di pubblica sicurezza, persone appartenenti alla polizia di Stato. In Francia e Germania è accaduto ad alcuni media turcofoni che si sono occupati della minoranza curda. Mentre in Italia gli articoli contestati riguardano la mafia. Per di più, mentre le aggressioni fisiche hanno solitamente motivazioni venali o razziste, quelle contro i giornalisti sono veri e propri atti politici che tentano di ridurli al silenzio per impedire la rivelazione di casi di corruzione, abuso di potere o discriminazione nei confronti delle minoranze”. “La libertà di espressione e di stampa è vitale per la democrazia perchè ne condiziona altre, come la libertà di riunione e di associazione. L’impunità, poi, incoraggia il ripetersi della violenza. Ecco perchè è urgente che i governi europei e l’intera classe politica condannino con fermezza tali aggressioni. Debbono fare in modo che le inchieste siano trasparenti e conducano rapidamente alla punizione dei responsabili. Inoltre, le autorità dovrebbero sollecitare una collaborazione tra la polizia e gli organi di informazione e considerare le aggressioni a giornalisti non solo come un atto di violenza, ma come un vero e proprio attentato alle libertà e ai diritti fondamentali dell’Uomo”.

Da http://www.ossigenoinformazione.it

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un mestiere che sfida il tempo. Sopravvive al mondo che cambia. Resiste alla cultura del

consumare senza sentimento. Impagliare le sedie non è solo un lavoro di artigianato ma è un modo di essere, di intendere la vita. Gli impagliasegge vivono a se stessi, grazie al loro segreto: tramandare l'arte di generazione in generazione, di padre in figlio, senza svelare i tanti “trucchi” della professione a nessuno. E' un mestiere di passione, di pazienza, di concentrazione, di equilibrio. Intrecciare metri e metri di paglia rispettando tecniche d'insegnamento e rigide regole geometriche per dare alla nuova intelaiatura una forza robusta e una giusta elasticità. Un'arte che a Napoli grazie al mobilio d'antan si conserva. Per tradizione le sedie, per i partenopei, devono essere quelle buone perché all'improvviso non si può finire con il sedere a terra. A differenza di altri mobili e parti di arredamento le sedie non vengono buttate via,

anzi. Quando sono vecchiotte, un po' ovalizzate e hanno bisogno di una revisione ecco che entra in scena l'impagliasegge. Una figura leggendaria che trova posto nei testi e nei libri degli antichi mestieri. Gennaro Trapani è uomo d'altri tempi, porta avanti un'arte nella sua bottega tra

via Tasso e via Aniello Falcone proprio dove sorge la rotonda intitolata a Madre Teresa di Calcucca al confine tra i quartieri di Vomero e Chiaia. Il laboratorio artigianale di Gennaro è un buco, una grotta, un anfratto. Chi soffre di claustrofobia fa bene a restare nello spazio antistante. Accatastate in fondo ci sono le sedie, la paglia, pezzi di legno, schienali, fondali e vari attrezzi. Lui è seduto accanto su di uno sgabellino e prepara, come ogni mattina, i fili per cominciare a rifare le intelaiature. “E' una sedia di una mia affezionata cliente - dice - che

E'

L'ultimo impagliasegge

ai tempi dell'Ikea Gennaro Trapani, è uno

dei pochi artigiani rimasti in città che mantiene vivo

un antico mestiere

Nell'immagine grande Gennaro Trapani, professione impagliasegge. La sua bottega è praticamente una grotta e

si trova tra via Tasso e via Aniello Falcone proprio dove sorge la rotonda intitolata a Madre Teresa di Calcucca

al confine tra i quartieri di Vomero e Chiaia. Questo servizio è pubblicato contemporaneamente

anche sul mensile “Vomero Magazine”di giugno

di Arnaldo Capezzuto

LE STORIE

SEGRETI DELLA TRADIZIONE E TECNICA,

GLI INGREDIENTI PER INTRECCIARE

FILI ALLA “VIENNESE”

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in passato ho già revisionato. Saranno trascorsi una decina di anni ed è ritornata in bottega. Tenendo una giusta manutenzione, infatti, le sedie durano anche dei secoli”. E poi indicando un gruppo di sedie sistemate all'esterno della bottega svela: “Queste tre sono ormai diventate una mia sfida personale - racconta - sono mal messe oltre al fondo distrutto sono deformate dall'umidità. Il proprietario le aveva dimenticate in uno scantinato e le voleva buttare via. Sono, invece, sedie antiche più o meno d'inizio '900 ed hanno un valore oltre che economico soprattutto storico. Credo che lavorandoci si possano mettere in sesto”. Quando Gennaro parla i suoi occhi s'illuminano. “Questo è un mestiere antichissimo - spiega - lo s'impara da piccolo. Io avevo mia nonna e mia madre che facevano casa e bottega. Insieme alle mie sorelle abbiamo appreso quest'arte e la tecnica ed abbiamo continuato l'attività”. “Sono un artigiano e ne vado fiero. Oltre alla professionalità ho un'identità lavorativa che in questo momento di grave crisi è fondamentale. Purtroppo le produzioni industriali, le grandi aziende vedi l'Ikea con l'arredamento fai-da-te hanno modificato i gusti dell'arredamento : prima c'erano mobili solidi che duravano tutta la vita

adesso è tutto fragile, precario”. Gennaro ha aperto la sua bottega nel 1972; sono 40 anni che impaglia sedie e molti dei suoi attuali clienti sono quelli d'allora. Il locale prima ospitava un distributore di benzina; molto prima, agli inizi del '900, era un deposito di segatura. C'era il tram che saliva per via Tasso e arrivava al Vomero; la segatura serviva nei giorni di pioggia a rendere meno scivoloso il tragitto del mezzo di trasporto. Storia di una Napoli in bianco e nero. “Eppure molti non sanno che proprio a Napoli è nata una sedia che ha avuto successo anche all'estero. E' costruttivamente semplice ma allo stesso tempo solida

perché ha rinforzi attorno alla struttura e praticamente diventa indistruttibile. Il fondo è composto da paglia di fiume”. Gennaro è specializzato nella lavorazione della cosiddetta “viennese”, tipica per le sedie d'inizio '900. Si tratta di una

intelaiatura di vimini, dura che dev'essere cesellata a mano, che rilascia piccoli quadratini di forma esagonale più o meno ci vogliono tra le 3 o 4 ore di lavoro per giungere a un risultato soddisfacente

anche perché dev'essere cucita sui bordi della struttura in legno totalmente a mano. Non esistono macchine industriali che fanno lo stesso punto di cucitura lo si realizza unicamente a mano; il prezzo, in media, si aggira sui 25 euro. “Diciamo che la forma esagonale - aggiunge - è quella più adoperata per questo tipo di lavorazioni ma esistono anche impagliature con paglia di fiume, di riso, di mais e quelle, invece, con il cordoncino di carta. Ci sono una varietà di tecniche che vengono adoperate il tutto dipende come in origine è stata progettata ed ideata la sedia. Si possono anche modificare i fondi ciò può essere fatto a patto che non si pregiudichi la tenuta della sedia”. Gennaro Trapani è un vero cultore, uno sguardo e riesce a raccontare aneddoti e leggende sulla storia delle sedie. «Ormai non si guadagna molto facendo questo mestiere - conclude – in tanti anni di lavoro nessun giovane si è avvicinato alla mia bottega con il desiderio di voler imparare il mestiere. Forse tra qualche anno l'impagliasegge non ci sarà più. Finché sarò qui continuerò ad essere al servizio dei miei clienti : il solo fatto che si rivolgano ad un artigiano per una necessità mi rende veramente felice». ☺

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“Proprio a Napoli è nata una sedia che ha avuto successo all'estero ancora oggi èrichiesta”

Gennaro ha aperto la sua bottega nel

1972. Da 40 anni impaglia sedie e molti

dei suoi attuali clienti sono

quelli d'allora. Il locale prima

ospitava un distributore di benzina; agli inizi del '900, era un

deposito di segatura.

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L'uomo nero ha gli occhi azzurri La storia di Nunzia e Barbara

Fare davvero anticamorraa camorra è abituata a divertirsi banchettando con amici, parenti e

affiliati nelle sue lussuosissime ville e nei mega appartamenti costruiti con guadagni non propriamente leciti. Così in “Il Festival a casa del boss” di Pietro Nardiello, edito da Phoebus quella che era la realtà dei padrini si capovolge, perché in casa del boss da cinque anni ci fanno addirittura il Festival. Quello dell’Impegno Civile promosso dal Comitato Don Peppe Diana e da Libera Caserta e che ha la particolarità di essere realizzato nei beni confiscati della Provincia di Caserta e Napoli. Giunta alla quinta edizione, la kermesse viene raccontata dal giornalista, scrittore e

L ideatore della rassegna più temuta da ‘o Sistema in 221 pagine dove l’antimafia e l’anticamorra prendono forma laddove mai ci si aspetterebbe. Ecco allora che nella villa sottratta a Pasquale Spierto, spietato killer del clan dei Casalesi, a San Cipriano d’Aversa nasce la sede della cooperativa Agropolis, dove lavorano a stretto contatto minori ed ex pazienti dei centri d’igiene mentale. Nardiello racconta da bravo cronista luoghi e storie. I diritti d’autore saranno devoluti all’associazione Resistenza Anticamorra, presieduta da Ciro Corona, per la realizzazione a Scampìa di un ristorante pizzeria sociale dove lavoreranno i giovani del quartiere. ☺

ccade a Ponticelli, quartiere popolare a est di Napoli. Il 3 luglio 1983 vengono

rinvenuti nell’alveo Pollena, un torrente in secca nel periodo estivo, i due corpi senza vita di Nunzia Munizzi e Barbara Sellini, di 10 e 7 anni. I cadaveri sono semi carbonizzati. In seguito alla perizia del medico legale si scoprirà che le due amichette sono state violentate, pugnalate a morte e bruciate. L’Italia intera è scossa da quel duplice omicidio. In un primo momento gli inquirenti concentrano i sospetti su qualche maniaco del luogo. Ma ai primi di settembre le indagini subiscono una battuta d’arresto e i “mostri” vengono individuati in tre ventenni incensurati: Ciro Imperante, Luigi Schiavo e Giuseppe La Rocca. Sono loro, a detta di magistratura e opinione pubblica, gli autori del terribile delitto. Senza prove che ne dimostri la colpevolezza, ma solo in base alle accuse di un testimone, Carmine Mastrillo, cui il terzetto avrebbe detto dell'assassinio in una discoteca la sera del 2 luglio. In realtà il teste viene costretto da un pentito della Nco di Cutolo, Mario Incarnato, ad accusare i tre ragazzi, che nel marzo 1986 vengono condannati all’ergastolo. Una pena che scontano per oltre vent’anni senza aver commesso il fatto. Ma c’è di più: la testimonianza della terza bambina scampata al massacro, Silvana Sasso, oggi 38enne, che ha

A da sempre indicato in tal “Gino Tarzan tutte lentiggini” l’uomo sulla cui auto, una 500 Fiat blu, Nunzia e Barbara furono viste salire la sera del 2 luglio ’83. Eppure, condanna a vita per i tre ragazzi. Dopo numerosi tentativi di revisione del processo, a distanza di 28 anni l’ex giudice Ferdinando Imposimato ha messo su un pool di avvocati con cui presenterà una nuova istanza per chiedere la riapertura del processo, come invocano i familiari dei tre condannati. Dopo

circa trent’anni troppi perché sono ancora senza una risposta: chi era il giovane con cui le due bambine avevano appuntamento quel tardo pomeriggio del 2 luglio 1983? Perché non fu assicurato alla giustizia Corrado Enrico, un uomo che nei verbali dichiarò: “quando sono sotto l’effetto dell’alcol abuso di donne e bambine”. Perché nessuno si preoccupò di perquisire l'auto di Enrico, sulla quale furono viste salire le vittime? Perché il pentito Incarnato costrinse Mastrillo ad accusare tre innocenti? A chi proteggevano?Un emarginato reclutato

dalla camorra in quei quartieri disagiati? O qualcuno imparentato con un politico? Nunzia e Barbara attendono ancora giustizia. Come Ciro, Giuseppe e Luigi, oggi quasi 50enni, che sono usciti dal carcere per buona condotta dopo vent’anni. (L'uomo nero ha gli occhi azzurri di Giuliana Covella – Guida, pagine 148, 11euro).

Ritorna Fernandez,un “fottuto” cronista

on sono un fottuto giornalista eroe”, (editore Cento Autori, pagine 133, 11 euro) secondo

romanzo di Antonio Di Costanzo narra in prima persona le peripezie di Jacopo Fernandez, il giornalista più bastardo, alcoolizzato e “fancazzista”, sono rimasto folgorato. E' un libro che racconta un volto di Napoli senza ipocrisia, né luoghi comuni, né cliché, né oleografia. Lo fa senza effetti speciali e tenendo il ruolo del cronista - in questo caso le disavventure-notizie di Jacopo Fernandez - sempre sullo sfondo. Un bel risultato in un mondo dove i giornalismi malati si sostituiscono alle notizie e piegano le storie costruendo ristretti punti di vista autoreferenziali che nulla c'entra con il mondo dell' informazione, delle notizia,del diritto di cronaca e della narrazione. E' un romanzo che scava e con leggerezza e arriva al cuore del “mestieraccio” dandogli senso, recuperando e riannodando quei frammenti di storie dimenticate, asciugate, abbandonate dalla velocità a tutti i costi della notizia cotta e mangiata: Non fare il seguito ormai nessuno la leggerebbe più questa cosa. “Non sono un fottuto giornalista eroe” c'è tutto il pensiero e il personaggio di Fernandez che solenne ripete: “Non voglio il Pultzer, non voglio cambiare il mondo, non voglio gloria e riconoscenza” affermazione schietta e onesta che smonta il palcoscenico dei protagonismi dei numerosi cavalieri della tavola rotonda e degli eroi solitari con l'accessorio della preveggenza. ☺

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