la postura del violoncellista
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Tesi di laurea - Conservatorio Cuneo - a.a. 2008/09.Storia e sviluppo della postura del violoncellista attraverso i secoli.Include l'esperienza personale dell'autore.TRANSCRIPT
Michele Galvagno
La Po!ura del
Violoncell#taLa Storia , l’Evoluzione, l’Esperienza
Project de BachelorHEMU (Haute École de Musique - Vaud Valais Fribourg) - Site de Sion.16 giugno 2011
Professore: Marcio Carneiro
INDICE
..........................................................................................INTRODUZIONE iii
.....................................................................................RINGRAZIAMENTI v
Capitolo I_________________________________________________LA STORIA 1
I.1: LA NASCITA DEL VIOLONCELLO COME STRUMENTO E PRIMI .............................................................................................ESPERIMENTI. 1
.........................................I.2: XIX SECOLO: INNOVAZIONE E METODI 3
................I.3: XX SECOLO E OLTRE: EVOLUZIONE O DECADENZA? 12
Capitolo II_____________________________________________L’ESPERIENZA 27
.........................................................................II.1: LE TRE FASI PASSIVE 27
..................................................II.2: LA RICERCA PERSONALE ATTIVA 32
.......................................................II.3: LA TUTELA DI UN EQUILIBRIO 36
_____________________________________________BIBLIOGRAFIA 38
INTRODUZIONE
“Siediti in punta alla sedia!” “Allunga il puntale ... no, troppo! Ecco, così!”
“Innanzitutto, teniamo il violoncello dritto e puntato al centro!” Per un violoncellista
frasi come queste rappresentano una parte molto viva della propria memoria di
studente: il momento in cui ciascuno di noi ha ricevuto il suo primo violoncello ed ha
provato per la prima volta la calda emozione di poterlo stringere al petto è impresso a
ferro caldo nella nostra mente. Le parole del nostro primo insegnante, a cui noi
abbiamo donato la nostra incondizionata fiducia, risuonano ancora chiare e nette. In
seguito, seguendo il corso naturale delle cose, abbiamo cambiato insegnante e ci è
stato detto che tutto quanto avevamo imparato prima era sbagliato, che il violoncello
non si teneva in quel modo ma in un altro. Molti di noi, compreso colui che scrive,
hanno accettato senza porsi domande ciò che la novità proponeva ma, almeno adesso,
sorge una domanda: abbiamo fatto bene o male?
Col senno di poi si potrebbe tranquillamente propendere per la seconda opzione ma,
personalmente, credo che al momento in cui dovevamo decidere se obbedire o meno
abbiamo chiaramente scelto per un silenzioso assenso!
Mentre scrivo queste parole mi appresto ad iniziare il mio ventesimo anno come
violoncellista; questo dire che suono il violoncello da prima di aver appreso a leggere
e a scrivere. Questo lungo viaggio in compagnia di ciò che il mio primo insegnante
m’insegnò a considerare come il mio migliore amico è stato costellato da tanti eventi,
positivi e negativi, che a loro modo hanno plasmato la mia attuale essenza come
musicista e artista.
Il lavoro da me qui presentato è un resoconto su ciò che la storia ci ha
tramandato riguardo alla postura adottata e insegnata nei secoli e anche una cronaca di
un’esperienza di vita vera, di uno studente - me stesso - che ha ricercato per anni
prima di giungere a un risultato convincente e salutare per il suo corpo! Questa
ricerca, tutt’ora in corso e ad ogni modo mai conclusa, costituisce il cuore di questo
scritto, un dono a tutti coloro che ancora adesso non sanno dove cominciare per
ricercare una postura adatta a sé stessi o che pensano che il dolore mentre si suona il
violoncello sia una cosa dovuta - e credetemi, ci sono parecchie persone che la
pensano così! - .
iii
La prima parte si aprirà con un breve cenno storico sulla nascita del
violoncello come strumento e sulle sue richieste posturali fisiologiche, i limiti cioè
imposti dallo strumento in sé e per sé, senza considerare l’essere umano particolare
che andrà a suonarlo. In seguito si analizzeranno nel dettaglio alcuni dei più
importanti trattati scritti nella storia dai violoncellisti; è da sottolineare il fatto di come
molti violoncellisti, in passato e tutt’ora, abbiano sentito il bisogno di scrivere dei
trattati, degli studi, degli esercizi, dei suggerimenti al fin di rendere più agevole la vita
del violoncellista alle prime armi. Questi libri meravigliosi, così preziosi per aiutarci a
comprendere la concezione strumentale che si aveva in passato, erano molto spesso
rivolti allo scrittore stesso, sia per aiutarlo a insegnare sia per mantenersi in forma
smagliante! Vedremo come metodi scritti magari a pochi anni di distanza presentino
una concezione della postura totalmente differente e vedremo infine come, sul finire
del XX secolo, la presenza di questi grandi maestri del violoncello si sia rarefatta, fin
a quasi scomparire in alcuni paesi e di come i problemi di salute dei violoncellisti si
siano moltiplicati a dismisura.
La seconda parte sarà dedicata alla mia esperienza personale che, negli ultimi
quattro anni, mi ha tenuto impegnato in costante osservazione nel ricercare una
posizione che fosse a me congeniale; questa ricerca mi ha portato a una grande
conclusione, che però condividerò solo nelle ultime pagine!
Si parlerà di come ogni posizione venga assunta “passivamente”, frutto ossia di un
indicazione esterna da parte del proprio insegnante. In seguito si passerà
all’evoluzione che l’allievo (in questo caso il sottoscritto) ha o dovrebbe avere nel
confronti della propria postura; egli, cosciente del fatto che non potrà essere studente
tutta la vita ed avere un professore pronto a correggere i suoi errori, dovrà diventare
poco a poco indipendente nelle sue scelte e nella gestione del suo corpo.
Si concluderà, infine, con un breve paragrafo di nuovo ricco di prese di coscienza
personali, di illuminazioni ricevute dopo ore e ore passate sullo strumento, relativo
alla conservazione della salute del corpo una volta trovata la propria posizione.
Auguro a tutti una buona lettura e che questo materiale possa essere
illuminante così come chiarificante è stata per me la sua stesura.
iv
RINGRAZIAMENTI
Ringraziare personalmente tutte le persone che hanno contribuito alla stesura
di questo lavoro richiederebbe un romanzo intero di gratitudine; mi limiterò a
ringraziare il mio professore di strumento principale, Prof. Marcio Carneiro e i miei
professori precedenti, le cui lacune in materia dovute alla mancanza di un’istruzione
dedicata hanno permesso lo sviluppo del mio interesse per questo argomento.
Ringrazio inoltre i miei compagni di corso che mi hanno gentilmente concesso il
permesso di fotografarli mentre suonavano, cercando così di comprendere la logica
dietro la loro postura.
v
Capitolo ILA STORIA
I.1: LA NASCITA DEL VIOLONCELLO COME STRUMENTO E PRIMI ESPERIMENTI.
La prima volta in cui sentiamo parlare di violoncello risale grossomodo alla
metà del secolo XVI, quando i termini di basso di viola da braccio e basso di violone
cominciano a confondersi fino a crearne uno nuovo. Il principale problema nel cercare
di comprendere come questo nuovo aggiunto della famiglia del violino (N.B. il
violoncello non deriva dalla viola da gamba) venisse suonato nei suoi primi anni di
vita è che a parte alcune pitture e scritti teorici del XVI secolo non ci resta molto.
Giovanni Maria Lanfranco (1490-1545) parla di una viola da braccio & da arco senza
tasti con tre corde intonate per quinte1, mentre Martin Agricola (1486 – 1556),
annovera uno strumento di registro grave senza tasti e a quattro corde fra i “Violini
Polacchi” (Polische Geigen)2. Man mano che si procede nel tempo le definizioni si
fanno più accurate, compaiono violoncelli propriamente detti, a 5-6 corde, di tutte le
dimensioni, grandi e piccole, con puntali per essere suonati da in piedi o trucioli per
far passare una tracolla ed essere suonati nelle fanfare. Numerosi strumenti anche di
grandi liutai come Gioffredo Cappa (Saluzzo, 1647 - ivi, 1717) e Carlo Giuseppe
Testore (c. 1665 – 1716) presentano ‘vandalismi’ di questa natura, non esistendo
ancora all’epoca una tradizione e un vero e proprio manuale di istruzioni per questo
strumento così giovane.
Un’uniformizzazione delle dimensioni ha luogo in primis ad opera di Antonio
Stradivari (Cremona, 1644 – ivi, 18 dicembre 1737), il quale fissa le misure generali
per lo strumento violoncello. Ciò che spesso noi non consideriamo è che all’epoca il
manico era montato in maniera totalmente diversa; a differenza di oggi in cui siamo
abituati a vederlo inclinato rispetto alla cassa di una decina di gradi, i violoncelli
1
1 Giovanni Maria Lanfranco, Scintille di Musica, Brescia, 1533.
2 Martin Agricola, Musica instrumentalis deudsch, Wittenberg, 1545.
costruiti fino ad almeno l’inizio del XIX secolo presentavano un manico dritto e
parallelo alla cassa.
L’iconografia ci può aiutare molto a comprendere l’origine della tecnica
esecutiva di uno strumento. Uno dei primi ritratti di un violoncellista lo troviamo alla
Royal Collection di Londra ad opera di
Gabriel Metsu e risalente agli anni
intorno al 1660.
Osservando questo dipinto si può vedere
come il violoncello sia adagiato al suolo
e solamente controllato dalle gambe
dello strumentista. Altre opzioni
dell’epoca prevedevano anche la
posizione eretta con il violoncello
appoggiato su un rialzo o, in epoca
leggermente successiva (inizio XVIII
secolo), sostenuto dall’aggiunta di un
primitivo puntale in legno avvitato al
bottone inferiore della cordiera.
La posizione della mano sinistra, agli inizi, prevedeva la mano inclinata
obliquamente rispetto alla tastiera e con le dita posizionate in successione puramente
diatonica ad occupare gli intervalli tra le quinte con cui era accordato lo strumento,
chiaro retaggio della tecnica violinistica. Come detto in precedenza, la mancanza di
esigenze tecniche in questo nuovo arrivato della famiglia del violino, non richiedeva
neanche l’esistenza di una tecnica dedicata.
Con l’affermazione della monodia anche al violoncello viene richiesto di ricoprire un
ruolo più complesso, richiedendogli una tecnica che più si adattasse alla lunghezza
delle sue corde e alla posizione in cui veniva suonato. Già all’inizio del XVIII secolo
troviamo usuale per il violoncellista posizionare lo strumento fra le ginocchia
supportandolo con i polpacci, ricalcando la tradizionale postura del suonatore di basso
di viola da gamba.
Fig. 1: dettaglio del dipinto "The Cello Player" (c. 1660) di Gabriel Metsu (Royal
LA STORIA
2
Questa posizione più elevata gli permetteva di
avvicinare il manico di modo che la mano sinistra
potesse agire sulle corde di lato invece che da
dietro, potendo così raggiungere senza difficoltà
tutte le aree della tastiera. Inoltre, un punto di
contatto dell’arco più elevato consentiva per la
prima volta un uso completo di tutta la lunghezza
dell’arco.
La prima grande conseguenza di questa nuova
posizione fu l’introduzione dell’uso del pollice
come capotasto mobile nei registri acuti, rendendo
così l’intera estensione dello strumento più
accessibile. La prima descrizione di questa nuova
tecnica la troviamo nel Méthode di Michel
Corrette (1741).
Sebbene l’evoluzione della tecnica della
mano sinistra non sia argomento pregnante di questa dissertazione, è importante
sottolineare come anche in questo periodo avviene il graduale passaggio ad una
tecnica totalmente indipendente da quella del violino, con l’adottamento di un sistema
a semitoni tra ciascun dito (con possibilità di estensione tra indice [1] e medio [2]).
I.2: XIX SECOLO: INNOVAZIONE E METODI
Se leggiamo i libri di storia le più grandi personalità del campo della musica
che spiccano ai nostri occhi son quegli artisti assoldati da principi e regnanti per
completare la loro educazione. Ogni famiglia reale tra il XVII secolo e gli inizi del
XIX aveva il suo compositore di corte, il suo musicista addetto ad insegnare
qualsivoglia strumento al sovrano di turno. È in questo periodo che fioriscono i primi
grandi insegnanti per il violoncello e, con essi, i primi metodi scritti sull’onda
dell’entusiasmo illuministico dilagante in tutta Europa.
Fig. 2: dettaglio del dipinto 'The Cowper and Gore Families' (1775) di
Johann Zoffany (1734‐1810). Yale
Center for British Art, New Haven, Connecticut.
LA STORIA
3
U n c a s o n o t o e c h e ,
personalmente, ci interessa, è quello dei
fratelli Duport (Jean-Louis e Jean-
Pierre), entrambi musicisti di corte alla
Cappella Reale del sovrano di Prussia
(Federico il Grande prima e Federico
G u g l i e r m o I I p o i ) n e g l i a n n i
immediatamente seguenti la Rivoluzione
Francese (1773-1806). Essi, fuggiti dalla
Francia rivoluzionaria, trovano un
ambien te accog l ien te a Ber l ino
soprattutto per l’interesse per il
violoncello del sovrano Federico
Guglielmo II, violoncellista amatore lui
stesso e al quale nientemeno che Ludwig
van Beethoven dedicò le sue due prime Sonate per violoncello e pianoforte op. 5.
Nella scrittura di Beethoven possiamo facilmente seguire lo sviluppo della tecnica
violoncellistica e comprendere le influenze che la spinsero in una direzione piuttosto
che in un’altra. In queste prime due sonate, per esempio, è chiaramente visibile
l’influenza della tecnica mostrata e insegnata dai fratelli Duport.
Nell’immagine sopra riportata, possiamo assaporare un estratto del metodo per
violoncello scritto da Jean-Louis Duport. Al giorno d’oggi di questo metodo
sopravvive editorialmente solo la seconda parte, ossia i “21 esercizi a due violoncelli”
più tristemente noti come i “21 studi di Duport”. I metodi strumentali seguivano la
struttura dei trattati illuministici relativi alle materie scientifiche, componendosi
quindi di una prima parte puramente teorica e di una seconda totalmente pratica e
ricca di esercizi ed esperimenti.
In questo capitolo si cercherà di mettere a fuoco le diverse prospettive didattiche
proposte dai grandi trattatisti del violoncello, riunendo e motivando i tratti comuni e
cercando di comprendere, laddove possibile, le numerose differenze riscontrate.
Fig. 3: Estratto da “Essai sur le Doigté du Violoncelle et sur la conduite d’archet” di J. L.
Duport, pag. 5
LA STORIA
4
Il metodo di J. L. Duport non tratta molto la
postura, il suo metodo essendo rivolto soprattutto
alla maestria della mano sinistra e alla condotta
dell’arco. Ciononostante, le poche parole scritte a
pag. 5 e il ritratto di cui in Fig. 4 ci permettono di
comprendere gran parte della sua filosofia
pedagogica. La prima frase da lui utilizzata
rispecchia il desiderio di libertà d’espressione che
si respirava nell’aria all’epoca: egli sostiene,
infatti, come sia possibile mantenere diverse
posizioni a seconda della “taglia” del suonatore:
primo punto importante. Secondo punto: sedersi
in punta alla sedia. Nel metodo questo punto non
viene spiegato particolarmente ma si può motivare, con la necessità di libertà di
movimento delle gambe, parte del violoncellista assolutamente non passiva. Il terzo
punto è quello a mio avviso più controverso, poiché prescrive un piede sinistro più
avanzato rispetto al destro. Ciò che bisogna cercare di comprendere è la necessità di
avere un’angolatura del violoncello che permettesse all’arco di non essere intralciato
nella sua corsa dalla gamba destra e, non disponendo ancora di un puntale che potesse
alzare il violoncello, questa era chiaramente l’unica soluzione. Numerosi insegnanti
del XX secolo e oltre han raccomandato il medesimo posizionamento dei piedi ma,
personalmente, ritengo ciò un errore di giudizio che non prende in considerazione i
limiti a cui si era sottoposti nel XVIII secolo e le scoperte nel campo dell’anatomia e
della salute dei tempi moderni.
Un altro polo fiorente per la didattica del violoncello lo troviamo nella Dresda
tra gli anni che portano a termine il XVIII secolo e tutto il XIX secolo. Solo per
annoverare alcuni nomi tra i più conosciuti: Bernhard Romberg (1767-1841), Justus
Johann Friedrich Dotzauer (1783-1860), Friedrich August Kummer (1797-1879) e
Fig. 4: Jean‐Louis Duport (ritratto
attribuito a Madame Vigée-Lebrun. Collezione Dimitry Markevitch.
LA STORIA
5
Friedrich Grützmacher (1832-1903)3. Questo insieme di grandi artisti costituisce il
fulcro intorno al quale ruotò l’evoluzione della moderna scuola violoncellistica e, per
molti aspetti, il punto di riferimento ad quale ancora oggi si dovrebbe tornare per
comprendere le verità più intime e nascoste della nostra arte.
Ciascuno di loro, a eccezione di Grützmacher, ha scritto un metodo per violoncello
nel corso della sua vita, oltre a innumerevoli composizioni e studi per il proprio
strumento.
Bernard Romberg rappresenta di per sé un caso molto interessante in quanto,
come sarà Liszt per il pianoforte, è il primo violoncellista ad avere una carriera di
solista a livello internazionale. La sua esperienza didattica si limita, se così si può
dire, a dare delle lezioni nei luoghi in cui si trova di volta in volta per suonare in
concerto. Nel 1840, un anno prima della morte, da alle stampe il suo Violoncello
School, nel quale troviamo scritto:
La postura migliore da adottare è quella che più favorisce la salute del corpo. Il torso non dovrebbe essere piegato, né le spalle spinte in avanti fin ad ottenere una posizione che produca
una schiena incurvata. […] lo Strumento deve poter essere suonato in libertà e con facilità. Mentre si suona nessun cambiamento della postura dovrebbe occorrere; men che mai, ogni
cosa simile ad un atteggiamento carico di affetti, che possa tradire la fatica impiegata nel suonare.
Il suonatore è seduto […] in un modo tale che le sue cosce non coprano la superficie della sedia; le sue gambe dovrebbero cadere in linea retta rispetto al suolo, i suoi piedi rivolti
leggermente verso l’esterno, ma non troppo […] un piede non più avanzato dell’altro. […] La sedia sulla quale il Suonatore si siede non dovrebbe essere troppo alta.
La parte inferiore della cassa dello Strumento dovrebbe essere premuta contro il polpaccio della gamba destra mentre la parte inferiore del fondo contro il polpaccio sinistro, così che lo
Strumento possa riposare su entrambe le gambe, senza esserne pressato da alcuna. […] Lo Strumento dovrebbe essere tenuto così che la parte inferiore della chiave del Do sia in
linea retta con il suo occhio sinistro […]4.
LA STORIA
6
3 Per approfondimenti sulla scuola violoncellistica tedesca e sulla figura di F. A. Kummer in particolare consultare Michele Galvagno, Friedrich August Kummer: virtuoso impareggiabile o didatta straordinario?, Conservatorio “G. F. Ghedini” di Cuneo, diss. 2009.
4 Bernhard Romberg, Violoncello School, Dresda, 1840.
Si può facilmente vedere come col
procedere degli anni, le indicazioni si facciano
più precise, più raffinate e più attente, con
l ’ e m e r s i o n e i n s o r d i n a d e l l e p r i m e
preoccupazioni rivolte alla salute dello
strumentista. Analizziamo ora gli elementi
messi a fuoco da Romberg.
È estremamente interessante quanto lui
dice riguardo al movimento durante la
performance, insistendo sul fatto che di per sé
non ci si dovrebbe muovere in maniera
eccessiva mentre si suona, al fin di non
dimenticare le priorità. Questa piccola grande
regola viene ancora oggi troppo spesso
dimenticata, risultando nella credenza che più
uno si muova con il corpo più sia musicale ed
espressivo.
Come Duport, Romberg insiste sul sedersi in punta alla sedia, con le gambe il più
verticali possibili e i piedi leggermente rivolti verso l’esterno, anche se – novità – non
uno più avanti dell’altro. Questi ultimi due punti son da prendere con il beneficio del
dubbio in quanto dovendo il violoncello essere sostenuto dai polpacci, la posizione
delle gambe era quasi obbligata.
Un nuovo dettaglio riguarda la posizione verticale dello strumento, ossia la sua
altezza rispetto al corpo: Romberg dona come punto di riferimento la chiave per
accordare il Do (IV), la quale deve risultare all’altezza dell’occhio sinistro.
Procedendo in linea temporale ci imbattiamo in Justus Johann Firedrich
Dotzauer, forse il più grande didatta tedesco della storia del violoncello e, per molti
aspetti, uno dei più snobbati. Musicista di grande esperienza e profondità, compone
numerose raccolte di studi (rivolti sia alla pedagogia che al concerto) durante tutto
l’arco della sua lunga carriera che lo vede, tra le altre cose, primo violoncello alla
Staatskapelle di Dresda per 29 anni. Per quanto ci si potrebbe soffermare a lungo nella
Fig. 5: Bernhard Romberg e la sua tenuta del violoncello. Immagine tratta dal
Metodo.
LA STORIA
7
descrizione della sua importantissima raccolta di studi ciò che ci interessa al momento
è il suo metodo per violoncello, fortunatamente ancora oggi pubblicato da Peters.
In esso egli parla di “tenuta
dello strumento da solista”, cosa
che ci fa pensare al fatto che, in
quel periodo, il violoncello stesse
attraversando un’importantissima
fase di cambiamento di status, da
strumento relegato unicamente
all’accompagnamento a strumento
solistico. Come già con Romberg,
lo s t rumento veniva tenuto
sollevato da terra e adagiato tra i
polpacci che formavano una specie
di culla. Osservando la Fig. 6
possiamo analizzare le principali
differenze rispetto a Romberg: la
posizione della mano sinistra,
perpendicolare alla tastiera e di
concezione totalmente nuova, rappresenta la grandiosa innovazione di Dotzauer,
permettendo alla tecnica violoncellistica di staccarsi definitivamente da quella
violinistica.
Leggendo anche altri metodi contemporanei a quello di Dotzauer si possono evincere
alcune altre priorità che andavano per la maggiore in quell’epoca. Innanzitutto
l’azione dell’arco che non doveva essere impedita dal ginocchio sinistro e dalla coscia
destra. Questa priorità spiegava la necessità di avere una gamba destra perpendicolare
al suolo e una sinistra estesa in direzione obliqua leggermente più avanti rispetto alla
destra. Inoltre lo strumento doveva essere tenuto sufficientemente alto da permettere
all’arco di muoversi liberamente sulla quarta corda.
Protagonista della seconda parte del XIX secolo a Dresda fu forse il più
grande allievo di Dotzauer, Friedrich August Kummer (1797-1879). Ciò che distingue
Fig. 6: J. J. F. Dotzauer, immagine tratta dal suo metodo.
LA STORIA
8
questo grande virtuoso e didatta del violoncello da tanti altri suoi contemporanei è una
grande umiltà di fondo e una coscienza della semplicità permeante la natura stessa del
violoncello. Egli infatti scrive:
Che l’allievo ricordi sempre che l’obiettivo finale del virtuoso è: combinare perfetta intonazione, distinzione, gusto e la più alta abilità tecnica con il più grande volume di suono.
Nello sforzo verso l’ottenere queste perfezioni egli non deve mai stancarsi, e anche se negli anni a venire dovesse meritare di essere annoverato tra i Maestri dello strumento, ancora
allora la voce della sua coscienza artistica gli dirà che il costante progresso è necessario nell’arte, poiché rimanere stazionario nel proprio percorso equivale a compiere il primo passo
verso la retrocessione5.
Riguardo alla postura egli, come tanti suoi contemporanei, spende poche parole.
Siamo ancora in un’epoca in cui il puntale non era stato introdotto e Kummer infatti
scrive:
Il Violoncellista dovrebbe essere seduto nella parte anteriore della sedia; i suoi piedi
allungati in avanti, il sinistro un poco più avanti del destro, mentre la parte superiore del corpo rimane in una posizione eretta e naturale. Lo strumento è tenuto tra e da le gambe, […]. Il
Violoncello è tenuto leggermente inclinato all’indietro e verso sinistra, cosicché la chiave del Do sia all’incirca ad un pollice di distanza dal volto del suonatore. Lo strumento dovrebbe
inoltre essere tenuto alto a sufficienza di modo che il movimento dell’arco non sia mai intralciato dal ginocchio sinistro6.
Cos’altro potremmo aggiungere come commento alla semplicità di quanto
scritto? Ancora una volta la punta della sedia, i piedi allungati in avanti, il sinistro un
po’ più avanti, il corpo eretto e rilassato, lo strumento inclinato verso sinistra, l’arco
libero di muoversi.
Notare, dalla figura n° 7, come vengano espresse le due posizioni estreme del braccio
destro, sulle quali ritorneremo nel capitolo successivo. Per la prima volta questa
priorità è espressa almeno in una figura, anche se non ancora in parole.
LA STORIA
9
5 F. A. Kummer, Violoncello School for preliminary instructions, rev. A. Piatti, Leipzig, Friedrich Hofmeister, 1877, preface to the First Edition.
6 Ibidem
Come il lettore avrà certamente
notato, stiamo girando intorno agli
s t e s s i p u n t i . P e r c h é q u e s t o ?
Semplicemente per riuscire a fare
focus su due aspetti: il primo sono le
priorità della tecnica violoncellistica
espresse nel XIX secolo e della sua
evoluzione, mentre il secondo – non
meno importante – riguarda la presa di
coscienza di come la massima
e v o l u z i o n e d e l l a t e c n i c a
violoncellistica e della sua conoscenza,
anche se la compariamo ai giorni
nostri, sia stata raggiunta in questo
periodo e con questi grandi maestri.
Spesso, troppo spesso, ci si dimentica
di questi artisti che tanto hanno scritto e detto sul violoncello, che tanti anni hanno
speso ad insegnare alle nuove generazioni ponendosi centinaia di domande sul se
stessero percorrendo la strada giusta o meno.
Ci spostiamo ora a sud, in Italia, a Bergamo, dove, sul finir di questo fiorente
secolo XIX si stabilisce forse la più grande figura del violoncellismo italiano: Carlo
Alfredo Piatti (1822-1901). Iniziato allo studio del violoncello a dieci anni, terminò
gli studi presso il Conservatorio di Milano già cinque anni più tardi sotto la guida di
Vincenzo Merighi il quale lo licenziò dicendo: « Portatelo pur via, quando volete, che
nulla più ci rimane da insegnargli! »
Virtuoso di grande fama ed eccellente compositore, fu meno noto per la didattica
propriamente detta in quanto la sua carriera folgorante lo trasportò per tutta Europa
senza concedergli tregua. Ciononostante ci rimane un suo metodo per violoncello,
conservato alla Biblioteca “G. Donizetti” di Bergamo. In esso troviamo, ancora una
volta all’inizio, un piccolo paragrafo dedicato alla postura:
Fig. 7: Friedrich August Kummer, immagine tratta dal suo Violoncello School for Preliminary
Instructions.
LA STORIA
10
Ancora una volta troviamo l’indicazione
di sedersi in punta alla sedia ma, subito dopo, una
novità: “il suonatore […] piazzando le sue gambe
in modo da portare i suoi piedi allo stesso livello e
piuttosto separati”. Per la prima volta i piedi sono
sullo stesso piano orizzontale. Troviamo inoltre
una prima indicazione che sarà poi stendardo di
battaglia della pedagogia del Novecento
riguardante il fatto che lo strumento non dovrebbe
essere t roppo s t re t to da l le gambe del
violoncellista in quanto ciò potrebbe impedire una
corretta vibrazione. Da quanto si può vedere
nella figura, Piatti fu uno dei violoncellisti che
visse in prima persona la transizione da
violoncello senza puntale a violoncello con
puntale di sostegno. Egli, a differenza di molti che seguirono l’esempio di Adrien-
Fig. 8: estratto da "Methode de Violoncelle - tirée des oeuvres instructives de Dotzauer, Duport, Kummer, Romberg, Lee etc ... - Editée et augmentée par A. Piatti" - Londra, Augener & Co.
Fig. 9: Carlo Alfredo Piatti, immagine tratta dal Sito Internet della Società
“Piatti”.
LA STORIA
11
François Servais, si rifiutò di utilizzare il puntale insieme a grandi solisti come W. E.
Whitehouse, Friedrich Grützmacher e Robert Hausmann.
L’ultima figura presa in considerazione in questo capitolo è proprio quella di
Adrien-François Servais (1807-1866), violoncellista e compositore nato e vissuto ad
Halle, Belgio. Sfatiamo subito un mito: il puntale non è stato inventato da Servais.
Strumenti ad arco che utilizzavano il puntale son datati indietro fino al XII secolo ed è
per questo che molti puristi del violoncello ancora oggi nel XXI secolo considerano
migliore l’utilizzo del violoncello senza puntale. Ciò che fece Servais fu
semplicemente applicare un puntale allo Stradivari del 1701 che ancora oggi porta il
suo nome a causa delle sue eccessive dimensioni e, da ciò che le fonti storiche
tramandano, a causa del suo girovita. Il resto lo fece la sua fama di grande virtuoso.
Un altro violoncellista appartenente alla generazione precedente Servais, Joseph
Lincke (1783-1837), utilizzava il puntale a causa di un’invalidità alla gamba.
Addirittura nel secolo precedente, il violoncellista inglese Robert Crome raccomanda,
nel suo metodo del 1765, l’utilizzo del puntale per gli studenti principianti, i quali
avrebbero poi dovuto abbandonarlo una volta divenuti più a proprio agio con lo
strumento.
Concludiamo qui il paragrafo dedicato al XIX secolo, pronti ad immergerci a
piene mani nella ricchissima storia del XX secolo.
I.3: XX SECOLO E OLTRE: EVOLUZIONE O DECADENZA?
L’utilizzo del puntale non trovò, a differenza di quanto si potrebbe pensare al
giorno d’oggi, piena o rapida accettazione tra i violoncellisti e men che meno nei
conservatori. Ci basti citare l’esempio del CNSM di Parigi dove gli studenti che si
presentavano con il puntale all’ammissione venivano bocciati a priori ancora intorno
al 1910. Ciononostante, i chiari vantaggi portati da un innalzamento dell’angolo dello
strumento e quindi del punto di contatto dell’arco sulla corda ebbero presto il
sopravvento sul conservatorismo. Inoltre, un’angolatura più rivolta verso l’orizzontale
facilitava notevolmente la mano sinistra nelle posizioni acute. L’introduzione di corde
rivestite in metallo, di uso comune in Europa verso gli anni Trenta e in tutto il mondo
LA STORIA
12
una ventina di anni più tardi, costituì un nuovo importante sviluppo: l’utilizzo
dell’acciaio permetteva una più efficace tenuta dell’accordatura e un grandioso
aumento del volume sonoro grazie alla maggiore tensione delle corde stesse.
Chiaramente questo costrinse i violoncellisti ad adattare la tecnica esistente a questi
due grandi cambiamenti del loro strumento. Una maggiore tensione delle corde
domandava una più grande forza e articolazione delle dita della mano sinistra, oltre ad
un radicale cambiamento della tecnica dell’arco. Laddove le corde di budello
rispondevano immediatamente al contatto semplice dei crini dell’arco, sia che
l’angolo dell’arco rispetto ad esse fosse buono (perpendicolare) o meno, le corde di
metallo si limitavano ad emettere suoni nasali o fischiati. Il modo di costruire e di
produrre la sonorità e quindi la dinamica cambiarono radicalmente, passando da un
utilizzo quasi esclusivo della velocità dell’arco come principale mezzo conduttore ad
una predominanza del peso esercitato dal braccio e controllato dall’indice della mano
destra sulla corda stessa.
Quali furono le conseguenze che questi cambiamenti apportarono
all’argomento di nostro interesse, la postura? Sicuramente se prima, grazie ai vari
metodi, si aveva un’idea grosso modo chiara delle priorità della postura, con
l’introduzione del puntale si assistette ad una graduale complicazione e confusione dei
principi posturali del violoncello. Si cominciarono a vedere puntali molto lunghi,
cortissimi, inclinati, piegati … Insomma, ogni violoncellista si sbizzarriva per trovare
la posizione che a lui andava più a genio. Da un punto di vista prettamente medico,
questo è un bene, perché è ancora oggi considerato importantissimo trovare una
postura che ci permetta di lavorare nella maniera più efficiente e meno dannosa per la
salute possibile. Da un punto di vista pedagogico questo atteggiamento pone un
grande rischio: ipotizziamo che un violoncellista di grande fama utilizzi una data
posizione e che egli riesca ad eseguire ogni passaggio alla perfezione senza sbavature
e senza il minimo dolore. A questo punto gli studenti cercheranno di imitarlo
pensando che suonando in quella posizione avranno risolto tutti i loro problemi;
questa cosa funzionerà per un certo periodo perché i muscoli del corpo utilizzati
saranno differenti da quelli utilizzati in precedenza ma poi, tutto d’un tratto,
l’incantesimo svanirà ed essi si troveranno esattamente al punto di prima. Quello che
LA STORIA
13
lo studente non poteva capire, giustamente incantato dal maestro osservato ed
ammirato, era che se quel grande violoncellista riusciva ad eseguire ogni cosa alla
perfezione non era tanto per la postura in sé, quanto perché quella postura era quella
che meglio si adattava al suo corpo e che gli permetteva di rispettare le priorità dello
strumento.
Esaurita questa premessa possiamo passare alle conseguenze che tutto questo ha
apportato nella pedagogia del XX secolo. Un secolo frenetico, il Novecento, fatto di
guerra e pace, di scoperte e di cadute, un secolo che ha costretto l’uomo in una
dimensione frenetica in cui chi riusciva a fare le cose nel miglior modo possibile e,
soprattutto, nel minor tempo aveva forse qualche speranza di sopravvivere. Poco a
poco il riflettere su un determinato argomento o sulle conseguenze che una
determinata azione potevano provocare divenne se non impossibile quantomeno
sconsigliato. Anche la musica, dal canto suo, subì numerosi sconvolgimenti per
riuscire ad adattarsi ai cambiamenti storici; per comprendere queste evoluzioni ci
toccherà ancora una volta analizzare coloro che, con la loro grande personalità
artistica, hanno illuminato la storia del violoncello nel XX secolo. Non sarà
certamente possibile citare tutte le grandi personalità, ma quantomeno le più influenti
troveranno il loro posto in questo paragrafo.
La prima figura da prendere in considerazione è sicuramente quella di Pablo
Casals (1876-1973) poiché egli, forse più di chiunque altro, rappresenta il cardine
attorno al quale l’evoluzione del violoncellismo moderno ha ruotato. La sua
strabiliante evoluzione come giovane violoncellista e il suo entrare in contatto con
grandiose personalità musicali dell’epoca come Isaac Albeniz, Richard Strauss (sotto
la cui conduzione eseguì nel 1904 il Don Quixote) e Fritz Kreisler (con cui suonò il
Doppio Concerto di Brahms nel 1911), lo resero un faro di luce per tutti coloro che si
volevano avvicinare al violoncello. A causa della sua strabiliante carriera strumentale,
non abbiamo numerose testimonianze didattiche al suo riguardo prima degli anni
Sessanta e, anche in questo caso, si tratta di masterclass e non d’insegnamenti regolari
in accademie o conservatori. Ricalcando un po’ lo stile di insegnamento socratico,
LA STORIA
14
Casals non lasciò alcunché di scritto riguardo
la sua pedagogia e ciò che ci rimane riposa
nelle testimonianze del suoi grandi allievi –
quali Bernard Greenhoouse – di cui
parleremo più avanti. Per quanto riguarda la
sua concezione posturale mi limiterò ad
esprimere dei commenti molto personali sulle
fotografie a noi giunte di Casals al
violoncello.
L’immagine da me scelta rappresenta un
Casals giovane e nel pieno della sua carriera,
con l’ormai celeberrimo sigaro sempre
presente mentre suonava.
Prima considerazione: il puntale. Anche se non si vede in questa fotografia, la
posizione delle gambe tradisce chiaramente la presenza di un puntale che solleva il
violoncello dal suolo. Questo, aggiunta alla grandiosa celebrità di Casals, contribuì
certamente alla diffusione di questo accessorio. Seconda considerazione: l’angolo
dello strumento rispetto al corpo. Vediamo subito che qui il violoncellista mantiene il
torso eretto e il violoncello leggermente inclinato verso sinistra al fin di evitare che il
manico e il cavigliere siano d’intralcio per il movimento del collo. Vista dall’alto la
posizione del violoncellista forma una X tra l’asse orizzontale del violoncello e la
linea immaginaria delle spalle. Riguardo alla posizione del braccio destro mi rifaccio
alla prossima figura che verrà trattata brevemente ma la cui immagine chiarificherà
notevolmente i miei intenti.
Maurice Maréchal (1892-1964) fu per molti aspetti l’equivalente di Casals in
Francia, essendo stato un grandissimo virtuoso e concertista presente nelle sale da
concerto di tutto il mondo e, non meno importante, dedicatario di opere come la
Sonata di Debussy (1915) e collaboratore nella scrittura della parte del violoncello
della Sonata per violino e violoncello di Ravel, i concerti di Honegger e di Milhaud.
Anch’egli, a causa della sua carriera, non lasciò tracce di insegnamento e quindi,
ancora una volta, ci rifacciamo all’iconografia.
Fig. 10: Pablo Casals
LA STORIA
15
In questa foto vediamo ricalcate quasi
come in una copia le priorità espresse riguardo a
Casals (notare che anche la mano sinistra si
trova grossomodo nella stessa posizione) e ne
aggiungiamo un’altra: la posizione della mano e
del braccio destro in punta d’arco. Notiamo
come il braccio si estenda cercando di
mantenere un angolo ottimale arco-corda alla
punta, cosa che, di per sé, non sarebbe stata
possibile senza un abbassamento della spalla e
un’estensione dell’avambraccio insieme ad un
appiattimento del polso. Tutte cose che si
possono chiaramente vedere in questa figura.
Altro dettaglio, molto importante: la posizione dei piedi. Grazie all’impiego del
puntale il violoncellista può ora tenere le gambe in posizione verticale, come due
colonne, e i piedi quasi paralleli l’uno all’altro.
Proveniente dalla lontana Armenia ma vicinissimo alle idee di Casals fu Diran
Alexanian (1881-1954); anello di congiunzione tra la grande Scuola Tedesca di
Dresda in quanto allievo di Grützmacher a Leipzig e la nuova Scuola Francese di
Parigi, Alexanian dimostrò fin da giovanissimo un grande talento che lo portò ad
esibirsi come solista già all’età di diciassette anni. Proprio all’inizio del secolo lo
vediamo stabilirsi a Parigi e condividere con Casals le proprie idee sulla nuova
tecnica del violoncello, divenendo, 20 anni più tardi, suo assistente nella École
Normale de Musique da lui fondata. Nel 1922 pubblica il suo grandioso metodo per
violoncello, il Traite Theorique et Pratique du Violoncelle. Tra i suoi allievi
ricordiamo principalmente Antonio Janigro, Emmanuel Feuermann e, dopo essersi
trasferito negli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta, Bernand Greenhouse.
Il suo trattato rappresenta forse la più completa raccolta di regole, definizioni ed
esercizi in assoluto, anche se in gran parte esclusivamente rivolti alla mano sinistra.
Per quanto riguarda l’argomento postura lo troviamo ancora una volta relegato in
poche righe all’inizio:
Fig. 11: Maurice Maréchal
LA STORIA
16
[…] Il lato estetico verrà considerato in una certa misura, ma il principio fondamentale è la necessità di lasciare che il corpo dello strumento mantenga la sua libertà: questo al fin di
ottenere una sonorità libera. La sedia dovrebbe essere all’altezza del ginocchio del suonatore. Per prepararsi a tenere il violoncello, il suonatore dovrà sedersi in punta alla sedia. Egli tirerà
il piede destro all’indietro e lo premerà contro la gamba destra della sedia. Piazzerà quindi il suo piede sinistro fermamente sul terreno, un po’ più avanti e leggermente rivolto verso
l’esterno. La lunghezza del puntale […] dovrebbe essere tale da permettere l’applicazione dei seguenti
principi. Il bordo superiore destro dello strumento essendo premuto contro il petto del suonatore circa un piede (30 cm N.d.A.) sotto il mento, il puntale sia piazzato al suolo
leggermente a destra rispetto al centro così che il manico dello strumento sarà inclinato verso la metà della spalla sinistra7.
Quasi sorprendentemente possiamo notare come egli trovi più importante che
sia il corpo dello strumento a dover essere libero e non quello dello strumentista. Per
la prima volta troviamo sottolineata l’importanza dell’altezza della sedia.
Personalmente non condivido la scelta di posizionare il piede destro chiaramente più
indietro rispetto a quello sinistro ma la motivazione può essere trovata, appunto, nella
sua insistenza nel ricercare la libertà di movimento del violoncello. Molto importante,
invece, è la ricerca dell’inclinazione verso sinistra rispetto all’asse verticale del corpo
dello strumentista.
Ultima figura di questa generazione a cavallo tra i due secoli è Hugo Becker
(1863-1941), allievo prima di Alfredo Piatti e poi di Grützmacher. Oltre ad essere
ricordato come colui che per primo editò la Sonata in mi minore op. 38 di Johannes
Brahms e che ebbe il privilegio di suonarla con il compositore al pianoforte, egli
merita di essere menzionato in questa galleria di artisti del passato per la sua genialità
pedagogica. Insieme al Dr. Dago Rynar, nel 1929, egli pubblica presso la Universal
Edition di Vienna il suo Mechanik und Ästhetik des Violoncellospiels nelle cui quasi
300 pagine vengono analizzati nel dettaglio tutti i più importanti aspetti – meccanici
ed estetici appunto – dell’arte del violoncello. Riguardo alla postura troviamo
solamente una pagina e una figura, testo che qui riporto in traduzione:
LA STORIA
17
7 Diran Alexanian, Traite Theorique et Pratique du Violoncelle, Parigi, Ed. Salabert, 1922, pag. 7
La mancanza di istruzioni o la negligenza spesso portano il suonatore ad assumere una posizione scorretta già all’inizio. […] Le domande: puntale corto o lungo, posizione verticale
o più piatta dello strumento, più alta o più bassa?, […] dovrebbero essere il primo compito di un insegnante. Rispettare la giusta altezza, inoltre, permette di ben apprendere
l’interazione fra le due mani, cosa che renderà il tutto più semplice in seguito. Come trovare la giusta altezza? Sappiamo che l’arco deve essere perpendicolare alla corda
[…]. Noi ora, con l’aiuto dello specchio, cercheremo di vedere se l’arco riesca a mantenere un angolo retto rispetto alla corda anche alla punta, e se ciò venga ottenuto in maniera naturale e
con l’energia corretta. Se ciò non accade, vi è un’incongruenza tra l’altezza della sedia e la lunghezza del puntale. Come norma possiamo accettare che le persone con una parte superiore
del corpo più lunga si siedano più in basso e con un puntale più lungo e viceversa. […]8
Per motivi di spazio non possiamo dilungarci oltre su questo magnifico libro
scritto da Becker ma quantomeno è mio interesse fare alcune considerazioni.
Innanzitutto assistiamo alla coscienza di chi scrive che le posizioni sbagliate o
quantomeno non ottimali siamo molto comuni e diffuse. Dopodiché egli invia un
messaggio ben preciso agli insegnanti di allora come a quelli del futuro: la cura della
posizione del giovane allievo deve essere la prima preoccupazione di un insegnante!
Infine egli ricava la posizione ottimale non dal corpo in sé (anche se dona alcune
istruzioni in merito) ma dalla necessità prioritaria di garantire la perpendicolarità
dell’arco rispetto alla corda, con la conseguente fluidità sonora che ne deriva, e la
sensazione di facilità nel lasciare scorrere l’arco che se ne si ottiene. Egli è quindi il
primo insegnante che non fornisce la sua posizione come punto di riferimento, ma
bensì spinge l’allievo a cercare. Due cose chiedo al lettore di tenere a mente perché
verranno riprese nel prossimo capitolo: questo invito alla ricerca personale e la
citazione della proporzione tra la parte superiore del corpo e quella inferiore.
Passiamo ora alla generazione successiva, quella dei violoncellisti nati nei
primi venti anni del XX secolo. Primo fra tutti citiamo Emmanuel Feuermann
(1902-1942) il quale, allievo di Klengel e di Alexanian, funge un po’ da cerniera tra le
diverse scuole violoncellistiche del tempo. Peculiarità di questo grande artista fu
LA STORIA
18
8 H. Becker / D. Rynar, Mechanik und Ästhetik des Violoncellospiels, Wien, Universal Edition, 1929, pagg. 28-29.
senza dubbio il virtuosismo, testimone il
suo debutto con l’orchestra dei Wiener
Philarmoniker all’età di 11 anni come
solista con il Concerto di Haydn in Re
Maggiore.
La sua vita relativamente breve e
l’obbligo a fuggire continuamente tra
Europa e Stati Uniti a causa delle sue
origini ebree non gli lasciò il tempo di
mettere per iscritto alcunché, ammesso
che ciò potesse essere la sua intenzione.
I progressi tecnologici del nuovo secolo
però, ci hanno dato la possibilità di
godere di alcuni suoi filmati nonché di
numerose fotografie.
Come si può vedere qui a fianco – e come meglio consiglio di osservare nei video
presenti nel World Wide Web – la postura di Feuermann da l’impressione di essere
totalmente rilassata e libera da tensioni. Nei video si può constatare come egli quasi
non muova alcun muscolo non necessario al momento del suonare in sé, con un
conseguente enorme risparmio energetico. Da questo momento della storia in poi non
vedremo più violoncellisti suonare senza l’ausilio del puntale e, poco a poco, si
cercheranno priorità come il rilassamento del braccio sinistro al fin di avere il miglior
rendimento nei cambi di posizione e la massima estensione possibile del braccio
destro senza dover muovere il corpo a sua volta. Personalmente ritengo Feuermann
rappresenti l’esempio da cui ogni violoncellista dovrebbe partire, conscio del fatto che
se una persona in passato (e in un passato neanche tanto remoto) è riuscita ad
esprimersi a certi livelli senza l’ausilio di movimenti inutili e superflui, allora ciò
dovrà essere possibile per lui come per ogni altro violoncellista9.
Fig. 12: Emmanuel Feuermann
LA STORIA
19
9 Al fin di approfondire l’argomento sulla distensione muscolare, consiglio la lettura dell’articolo “The Well-Tempered Cellist”, disponibile sul sito www.welltemperedmusician.com, dedicato all’applicazione della tecnica Alexander sui musicisti.
Uno dei violoncellisti più influenti del XX secolo, sia in ambito pedagogico
sia concertistico, fu senza dubbio André Navarra (1911-1986). Studente di Jules-
Leopold Loeb al CNSM di Parigi, ottiene ivi il suo diploma con primo premio già
all’età di 15 anni, intraprendendo fin da subito una strada solitaria senza influenze
esterne.
Navarra è forse il primo a
focalizzare la sua attenzione
sulla cura del corpo in quanto
strumento principale del
musicista, praticando egli
stesso il nuoto e la boxe
(sport alquanto inusuale per
un violoncellista!). Dopo aver
servito come soldato di
fanteria nella Seconda Guerra
Mondiale, Navarra succede a
Fournier come insegnante di
violoncello al CNSM di
Parigi, ampliando allo stesso
tempo la sua carriera di
solista in tutto il mondo. La
l i s t a d i s t u d e n t i o
violoncellisti influenzati dalla sua personalità potrebbe risultare interminabile e mi
limiterò a riassumere la sua concezione della postura in base all’esperienza personale
- nel prossimo capitolo (essendo io attualmente studente di colui che fu l’assistente di
Navarra alla HfM di Detmold, Marcio Carneiro) - e ai numerosi video sopravvissuti
ancora al giorno d’oggi. Ciò su cui egli insisteva continuamente era il mantenimento
di una posizione più naturale possibile, introducendo il concetto della ‘mano morta’
per la mano destra e dell’importanza fondamentale della flessibilità della parte
lombare della schiena. Nessun dogma viene da lui stabilito e la posizione diventa
poco a poco qualcosa di indipendente e totalmente soggettivo, purché venga
mantenuta una priorità fondamentale: la possibilità di arrivare in punta d’arco sulla
Fig. 13: André Navarra
LA STORIA
20
corda di la al ponticello mentre la mano sinistra si posiziona alla fine della tastiera.
Queste condizioni estreme son di per sé possibili per ogni essere umano e, di
conseguenza, il professore può soltanto aiutare l’allievo nella sua incessante ricerca di
questo equilibrio.
Allievo della grande scuola di Casals e di Alexanian a Parigi, Antonio Janigro
(1918-1989) rappresenta la seconda grande scuola violoncellistica dominante al
giorno d’oggi, annoverando tra i suoi allievi grandi personalità artistiche come Julius
Berger, Mario Brunello, Thomas Demenga, Mario de Secondi e Giovanni Sollima.
Ancora una volta questo grande pedagogo non lascia niente di scritto e di
conseguenza l’unico modo per seguire il suo filo di pensiero è legato a fotografie e
testimonianze di allievi.
I n q u e s t a f o t o g r a f i a è
interessante analizzare la
posizione dei piedi, il destro
più avanti del sinistro. Se vi
ricordate, Alexanian nel suo
metodo scriveva esattamente il
c o n t r a r i o e d è q u i n d i
interessante vedere come da
insegnante ad allievo possa
esserci un’evoluzione di
pensiero anche piuttosto
grande. Personalmente ho avuto la fortuna di sostenere una masterclass con un
violoncellista che fu allievo di Janigro, Mario de Secondi: come potevo sospettare
dalle mie conoscenze, egli non menzionava praticamente mai la postura come fattore
importante, concentrandosi interamente sugli aspetti musicali del suonare il
violoncello.
Ultime tre personalità prese da me prese in considerazione in questo capitolo
rappresentano una selezione personale che ha condannato altre grandi colonne del
violoncellismo moderno alla porta. Si tratta di una selezione dettata dal fatto che due
Fig. 14: Antonio Janigro
LA STORIA
21
su tre di queste ultime hanno lasciato qualcosa di scritto: si tratta di Maurice Gendron
e di Paul Tortelier.
Maurice Gendron (1920-1990),
tramite il suo allievo Walter Grimmer, ci
lascia un magnifico volume intitolato
“The Art of Playing the Cello”. È
interessante notare come ancora una volta,
quasi fosse una tradizione innata, questo
libro cominci con una pagina dedicata alla
postura, questa volta intitolata “Physical
necessities”, per poi svilupparsi in esercizi
di varia natura. Poco a poco, con
l’avanzare del XX secolo e l’affermazione
di tecniche per la salute del musicista
come la Alexander-Technique, per citare
solo la più conosciuta, vediamo come gli
insegnanti si concentrino sempre di più sul cercare di allungare il più possibile la vita
attiva del violoncellista. Il primo paragrafo è intitolato “Scegliere la giusta sedia”:
Per suonare il violoncello è meglio usare una sedia di legno senza cuscino. Il piano della sedia
dovrebbe essere all’altezza delle ginocchia del suonatore, cosicché le cosce formino un angolo retto con i polpacci e con i piedi appiattiti al suolo. Il musicista dovrebbe sedersi verso la parte
anteriore della sedia, con la schiena dritta e evitando ogni tensione. Gli stessi principi vengano applicati per un bambino: è importante che la sedia sia proporzionata. Se queste condizioni
non sono possibili, il bambino non dovrebbe essere messo su una sedia da adulto per suonare
il violoncello10.
Ancora una volta si pone l’accento sul sedersi in punta alla sedia e ora, con
meraviglia, notiamo la comparsa di un interesse verso i bambini. Siamo infatti in un
periodo in cui compaiono i primi metodi dedicati all’insegnamento della musica ai
bambini, come il Metodo Suzuki.
Fig. 15: Maurice Gendron
LA STORIA
22
10 Maurice Gendron, The Art of Playing the Cello, Mainz, Schott,2001, pag. 7.
Il paragrafo successivo, “A proposito della lunghezza del puntale e della corretta
tenuta del violoncello”, viene introdotto in prima persona, parlando quindi della
propria esperienza personale.
Le persone mi hanno spesso fatto notare, con sorpresa, che ho l’abitudine di suonare con un puntale molto lungo. Due son le ragioni per le quali ho deciso così:
La prima fu la mia ricerca di una comodità fisica: un puntale lungo permette al violoncellista di sedersi dritto e di suonare in tale posizione il più a lungo possibile. In questo modo le
tensioni nella schiena – che possono facilmente diffondersi per influenzare il collo e le spalle, e persino braccia e dita – possono essere evitati. […] La respirazione diviene anche più
semplice quando il violoncello viene tenuto in questa maniera, che a sua volta aiuta nello sconfiggere il nervosismo e la paura da palcoscenico.
La seconda ragione è altrettanto importante: il potenziale sonoro dello strumento è notevolmente aumentato quando tenuto in questa maniera. Se il violoncello è tenuto con un
angolo più acuto rispetto al suono, il suono viaggerà verso l’alto piuttosto che in avanti nella stanza. […]
In questo modo lo strumento è tenuto in una posizione stabile e può essere suonato con comodità. Coloro che devono stare seduti in orchestra per ore apprezzeranno la possibilità di
ottenere un suono soddisfacente con il minimo sforzo. Se uno si siede sulla punta di una sedia della corretta altezza con il puntale della lunghezza sopra descritta, gli angoli inferiori dello
strumento dovrebbero toccare le ginocchia del suonatore. Non c’è necessità di stringere lo strumento fra i polpacci, come veniva fatto in passato quando non esisteva il puntale. Il
contatto con il tessuto di un vestito o la pressione applicata inibirebbe notevolmente il volume del suono. Il miglior suono possibile e un’appropriata stabilità dello strumento sarà solamente
ottenuta se lo strumento sarà gentilmente appoggiato sulle ginocchia. Suonare il violoncello è un’attività fisica. La coordinazione dei movimenti necessaria a questo
scopo è ciò che noi chiamiamo ‘tecnica’11.
Qui si ritorna un po’ sulla falsa riga dei metodi precedenti in cui si cerca di
convincere il lettore della bontà della propria idea. Indipendentemente da quanto
espresso nei principi di cui sopra esprimo umilmente qui la mia opinione secondo la
quale, in questo come in tanti altri metodi e sistemi di insegnamento del periodo
moderno, si stia cercato di imporre allo studente la propria posizione e la propria
concezione di postura senza riguardi con le proporzioni del corpo di ogni singolo
individuo - come invece aveva fatto Becker -. Ed è proprio per questo che desidero
riferirmi al XX secolo anche come il secolo della decadenza della pedagogia
LA STORIA
23
11 Ibidem, pag. 8
violoncellistica, in quanto nonostante da una parte siano state introdotte innumerevoli
tecniche per la salvaguardia della salute del corpo umano, nella musica spesso, troppo
spesso, questa priorità è stata brutalmente ignorata. Chiaramente è possibile, lo è
sempre stato e sempre lo sarà, suonare ai massimi livelli con una postura scorretta;
quello che io ritengo sbagliato è la volontà di imporre la propria visione senza
considerare la possibilità che per la persona destinataria ciò possa non funzionare.
Ciò che penso il maestro Gendron non si sia ricordato di menzionare è il fatto che
egli, come violoncellista, fosse stato elargito del dono di un corpo estremamente alto,
di braccia e dita lunghe e forti. Questo si traduce in un diverso approccio
proporzionale con lo strumento violoncello che, di per sé, non cambia le proprie
dimensioni rispetto al suonatore.
Dal canto suo, Paul Tortelier (1914-1990) nel suo “How I Play, How I Teach”
cambia totalmente approccio:
L’altezza della sedia dovrebbe essere scelta in proporzione alla lunghezza delle gambe del suonatore, così che quando i piedi siano appoggiati al suono le cosce risultino parallele al suo
piano. Il puntale dovrebbe essere più o meno esteso assecondando la comodità del violoncellista.
Deve essere piazzato leggermente a sinistra rispetto al centro. In questo modo il violoncello dovrebbe appoggiarsi al ginocchio sinistro guardando dritto avanti invece che diagonalmente
come accadrebbe se il puntale fosse piazzato in centro. La testa e le spalle dovrebbero essere dritte o leggermente inclinate in avanti, anche se si sta
utilizzando il puntale Tortelier12. 13
LA STORIA
24
12 Tipologia di puntale inclinato di 20° rispetto all’asse orizzontale del violoncello e che permette, di conseguenza, di aggirare l’ostacolo posto da delle gambe troppo più lunghe rispetto al busto.
13 Paul Tortelier, How I Play, How I Teach, 4° Edizione, London, Chester Music, 1975, pag. 14.
Finalmente intravediamo un po’ di
luce. Paul Tortelier, per chi non lo
sapesse, costituisce un caso molto
interessante nella storia del
violoncello, essendo colui che,
lottando contro un fisico che
difficilmente avrebbe potuto essere
p iù cont rar io a l suonare i l
violoncello, riuscì a scalare la vetta
e a g i u n g e r e i n c o n t r a s t a t o
nell’Olimpo dei violoncellisti. A
livello anatomico egli presentava
una proporzione tra gambe e busto
estremamente sbilanciata a favore
delle prime. Conscio di questo, Tortelier inventò una tipologia di puntale - che da
allora porta il suo nome - che gli permise di aggirare con successo questo enorme
ostacolo. Sul fatto che egli indichi come obbligatoria la posizione del violoncello
inclinata verso sinistra mi vedo costretto ad esprimere il mio dissenso poiché tutti i
miei problemi di schiena hanno avuto inizio a causa di questo; ciononostante non mi
permetto di condannare quanto detto dal maestro Tortelier in quanto personalmente io
mi trovo in una situazione anatomica diametralmente opposta.
Cosa potrei ancora aggiungere del XXI secolo? Tutto e niente; l’impossibilità
di seguire contemporaneamente tutti gli insegnanti del giorno d’oggi pone una
barriera praticamente insormontabile. Tramite siti Internet e forum specializzati è
stato possibile avere accesso ad interviste esclusive con grandi violoncellisti e
pedagoghi del nostro tempo e ritengo sia possibile fare un riassunto in poche righe di
quanto letto. La pedagogia del XXI secolo sta cercando di concentrare i suoi sforzi
per trovare delle connessioni le più chiare possibili tra l’atto di suonare lo strumento e
le azioni quotidiane, al fin di rendere il più semplice possibile la comprensione dei
concetti esposti. Giusto per citare l’esempio che più ho apprezzato, riporto qui due
semplici idee di Amit Peled, professore di violoncello al Peabody Istitute of Music di
Fig. 16: Paul Tortelier
LA STORIA
25
Baltimore, Maryland, Stati Uniti. Egli espone il suo concetto di postura con due
semplici parole, “Dinner Technique”, esprimendo la necessità di rifarsi ad azioni
semplici per trovare la nostra propria unica postura. Infine, alla domanda su come egli
insegni la tecnica d’arco, Peled risponde con la “Apple Technique”, ossia con la
necessità di impugnare l’arco con la stessa naturalezza con cui si prenderebbe in mano
una mela nell’atto di portarla alla bocca per mangiarla.
Credo il lettore abbia compreso in quale direzione si stia avviando il mio
pensiero e ritengo ora sia giunto il momento di passare al prossimo capitolo dedicato
totalmente alla mia esperienza personale e a ciò che ho appreso sia nel miei anni di
Baccalaureato qui nella HEMU che nell’intenso periodo di scrittura di questa tesi.
Credo sia qui doveroso chiedere perdono alle grandi personalità del XX e XXI secolo
non incluse in questa raccolta – per non parlare di tutti i grandi violoncellisti di un
passato più remoto che hanno contribuito in maniera fondamentale all’evoluzione del
violoncellismo moderno –; la ragione dell’esclusione di personalità come Mstislav
Rostropovich, William Pleeth, Mario Brunello, Enrico Dindo è da ricercarsi nella mia
volontà di includere solamente coloro che, più di altri, avevano lasciato qualcosa di
scritto riguardo alla loro concezione di postura e/o coloro che avevano espresso un
modo di suonare più interessante rispetto ad altri, sempre e solo considerando come
unico punto di vista quello posturale.
LA STORIA
26
Capitolo IIL’ESPERIENZA
II.1: LE TRE FASI PASSIVE
In cosa consiste l’apprendimento? Un qualsiasi vocabolario enciclopedico ci
potrà fornire una semplice risposta: “atto attraverso il quale la persona amplia le
proprie conoscenze”. Apprendere qualcosa di nuovo, un’azione, un dettaglio
riguardante qualcosa di già conosciuto, tutto fa parte di questo sistema. Tuttavia, c’è
qualcosa di più che, generalmente, viene trascurato: la fonte della nuova
informazione, che di per sé rappresenta qualcosa di terzo rispetto alle due forze finora
messe in gioco. Questa entità esterna può semplicemente andare a coincidere con la
prima persona qualora l’atto di apprendere sia legato alla lettura di un libro piuttosto
che alla ricerca personale o, molto più spesso se consideriamo la vita di uno studente,
un’entità esterna, in parole povere, un insegnante. In questo caso lo studente è
costretto a cambiare il suo approccio, perlomeno alla presenza dell’insegnante, da
ricercatore attivo a recettore passivo. Cerco di spiegarmi. Uno dei fattori più
importanti del rapporto insegnante-allievo è, senza dubbio, la fiducia: è fondamentale
che lo studente si fidi – quasi – ciecamente di quanto gli viene insegnato e che, forse
ancora più importante, l’insegnante dimostri che ciò che sta insegnando sia qualcosa
di estremamente logico e affidabile. Il flusso di informazioni esistente tra professore e
allievo deve essere qualcosa di assolutamente fluido e rilassato, poiché solo così lo
studente potrà abbandonarsi all’apprendimento puro e sereno. Qualora queste priorità
non si verifichino il rapporto insegnante-allievo comincerà a presentare delle
incrinature che, molto spesso purtroppo, porteranno alla rottura del rapporto stesso.
A cosa serve tutta questa introduzione? Semplicemente a calare il lettore nel modus
operandi del mio pensiero. E qui ha inizio la mia storia come allievo.
Come si può vedere dal titolo ho ritenuto possibile dividere la mia vita di
studente in tre fasi principali: la prima, dai 4 ai 18 anni, la seconda dai 18 ai 21 e la
terza dai 21 al giorno d’oggi. Tre fasi ‘passive’ perché io, come studente, ho sempre
cercato di affidarmi totalmente all’insegnante che avevo di fronte, poiché sin da
piccolo – inconsciamente o meno – ho ritenuto fondamentale fare tesoro di tutto ciò
che mi veniva insegnato e donato, prima di applicarci un successivo filtro personale.
Allievo della Scuola Suzuki della mia città natale, ricevetti il mio primo violoncello
alla tenera età di quattro anni. Ad essere sincero non si trattava neanche di un
violoncello ma di una viola alla quale erano stati applicati dei supporti lignei per
renderne possibile la stretta delle gambe intorno ad essa (i primi violoncelli formato
1/16 e 1/8 sarebbero stati introdotti in Italia verso la metà degli anni Novanta, ossia
con la generazione immediatamente successiva alla mia). Il miracolo del Metodo
Suzuki è strettamente legato alle capacità dell’insegnante poiché con questo metodo
l’allievo apprende a suonare esattamente come ha appreso a parlare, senza sforzo ed
imitando esclusivamente colui o colei che si trova davanti. Il talento di base del
bambino ricopre un’altra fetta considerevole dell’apprendimento in questa fase e, per
quanto riguarda la postura, nei primi anni non sorgono molti problemi, poiché il
bambino si adatta allo strumento come il suo istinto meglio gli detta, senza porsi
troppe domande.
I problemi sorgono inevitabilmente con l’adolescenza, quando cioè il corpo
comincia a svilupparsi ad una velocità impressionante e, fattore da questo punto di
vista catastrofico, l’essere umano chiamato bambino diviene a poco a poco uomo per
il semplice fatto che comincia a porsi delle domande. Nel mio caso personale questo
evento ebbe inizio molto presto e ciò, riferito al violoncello, ebbe due principali
conseguenze: tutto ciò che prima veniva eseguito grazie al talento (con risultati più o
meno positivi) venne sottoposto alla spietata critica del giudizio personale e, nella
musica come in tutte le altre arti in cui è necessario un processo di apprendimento,
esso si tradusse nella quasi completa inibizione del talento stesso. A questo punto il
musicista si vede presentate due strade principali: una è quella di lasciarsi schiacciare
dal peso della responsabilità di dover cercare la soluzione dietro ogni arcata o
movimento della mano sinistra attraverso un processo logico e conscio della mente,
l’altra è quella di prendere coscienza del fatto che l’essere umano si distingue
dall’animale appunto perché è cosciente di sé e di ciò che fa e utilizzare questa
coscienza per espandere all’infinito le sue possibilità di apprendimento. Questa è
stata, seppur gradualmente e non priva di sofferenze, la mia scelta.
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Chiaramente i cambiamenti fisici in atto in questo periodo della vita causano
non pochi problemi al giovane musicista in crescita; son questi i momenti in cui si
cambia la taglia dello strumento fino a raggiungere quella definitiva. Ciò che causò la
genesi dei miei problemi alla schiena fu la semplice e brutale crescita che il mio corpo
subì tra i 13 e i 15 anni di età, passando da un’altezza di 1 metro e 30 centimetri circa
a 1 e 70 (stabilizzatisi poi sul metro e 83 verso i 18 anni). Incapace di reagire con
rapidità a questa crescita immane, rimasi vittima della scoliosi, la quale per sei mesi
mi costrinse a ginnastica intensiva per ripristinare la corretta angolatura della spina
dorsale e che, da allora, mi richiede costante attenzione. Il suonare il violoncello, di
per sé, non rese più rosea la situazione; infatti la posizione seduta in cui siamo
costretti ogni volta che suoniamo schiaccia inevitabilmente le vertebre lombari fra di
loro. Nel mio caso questo evento venne scoperto troppo tardi dal medico chiropratico
da cui ero in cura e quindi l’unica cosa possibile fu evitare che la cosa peggiorasse,
ma personalmente consiglio a tutti coloro che insegnano violoncello a bambini e
adolescenti di spingerli vivamente su un percorso di mobilità e di ginnastica il più
presto possibile, al fin di evitare disastri anatomici in futuro.
In questo periodo, che coincide grossomodo con la fine della Prima Fase
Passiva, cominciai a sentire i primi grandi dolori mentre suonavo: bruciori ai dischi
intervertebrali, tensione nelle spalle, collo sempre più rigido. Chiesi allora aiuto, come
era normale che fosse, alla mia insegnante di allora, la quale, innocentemente, non
seppe aiutarmi molto al riguardo; ricordo chiaramente come le sue spiegazioni fossero
confusionarie e tutt’altro che illuminanti. Ma attenzione: non si prenda questa come
una mia critica verso di lei, quanto verso la mancanza di preparazione fornita ai futuri
insegnanti di strumento riguardo a questo argomento. Chiaramente all’epoca la
diffusione della Tecnica Alexander e, soprattutto, la coscienza della sua importanza
presso le piccole scuole o persino i Conservatori Italiani era davvero irrisoria
paragonata a paesi come Inghilterra e Stati Uniti e, quindi, non vale neanche la pena
attaccarsi troppo a questi argomenti. La realtà è la seguente: alla fine del mio percorso
con la mia prima insegnante io provavo dolori lancinanti ogni volta che suonavo e la
mia coscienza personale di studente non era ancora sufficientemente sviluppata per
trovare una soluzione da solo.
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Con l’inizio dell’Università della Musica presso il Conservatorio “G. F.
Ghedini” di Cuneo, nell’autunno 2006 ha inizio la Seconda Fase Passiva in quanto la
mia istruzione viene affidata ad un’altra insegnante. Un intenso programma di tecnica
e un cambio radicale di postura (più precisamente violoncello puntato leggermente a
sinistra) generano un immediato sollievo nella muscolatura, permettendomi – grazie
anche alla spinta dell’entusiasmo – di progredire senza problemi per alcuni mesi. Col
senno di poi mi vedo costretto a meglio spiegare ciò che accadde in questo periodo: il
cambio di posizione impostomi all’inizio del nuovo corso di studi ebbe il solo effetto
di mettere a riposo i muscoli infiammati ed incominciare ad utilizzarne di nuovi e
freschi. È superfluo dire che, pochi mesi dopo, essendo la posizione adottata
completamente errata per il mio fisico, i dolori riapparvero improvvisamente come se
ne erano andati, degenerando però ad una velocità di gran lunga maggiore. Arrivai al
mese di Giugno 2007 in cui per me era assolutamente impossibile suonare per più di
20 minuti di seguito senza doversi fermare a causa degli insopportabili bruciori
muscolari provati. Questi dolori mi costrinsero a posticipare l’esame annuale di
strumento alla sessione autunnale, sperando che un po’ di riposo avrebbe giovato.
Durante l’estate mi recai a Sion, Svizzera, per la prima vera masterclass della mia vita
come musicista con il Prof. Marcio Carneiro, conosciuto grazie ad una mia cara amica
e sua allieva la quale, vedendomi in crisi, mi consigliò di farmi sentire da questo
insegnante di cui io, personalmente, non avevo mai sentito parlare. Ancora una volta
fu un salto nel buio e, ancora una volta, io mi fidai ciecamente di ciò a cui andavo
incontro, preferendo uno scontro diretto con un errore dal quale poi mi sarei
risollevato più forte ad un approccio diffidente che mi avrebbe impedito di apprendere
alcunché.
Il prof. Carneiro rispose rapidamente alla mia richiesta di aiuto posturale: si
alzò dalla sedia, mi venne incontro, mi prese il violoncello, posizionò il puntale a
destra rispetto all’asse centrale, abbassò lo strumento sulla mia spalla e ritornò alla
sua sedia; il tutto in 22 secondi contati. La sensazione che pervase il mio fisico dopo
questo breve avvenimento fu la medesima che credo provi un sacco di patate lasciato
cadere al suolo: il rilassamento più totale e assoluto. Al fin di non essere
contradditorio con quanto esposto in precedenza cercherò ora di spiegare il motivo
per il quale il benessere fornito da questa nuova posizione fu duraturo, a differenza
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dell’altro. Semplicemente, per il mio fisico da collo e busto sproporzionatamente
lunghi rispetto alle gambe, era impensabile avere il manico così vicino al volto, dato
che qualsiasi conseguente movimento sarebbe stato frutto di tensione. Ciò che inoltre
il professore aveva notato era che nella mia posizione di allora io mi posizionavo
dritto rispetto alla sedia e poi mi avvitavo intorno al violoncello con il busto. Lascio
all’immaginazione le conseguenze di una tale azione.
Ritornato in Italia alla fine della masterclass si pose dinnanzi a me l’atroce
dilemma del ritorno all’insegnante precedente in Conservatorio e il dubbio se
comunicare la novità o meno. Ingenuamente, o forse pervaso di innocente onestà,
decisi di svelare quanto era accaduto alla mia insegnante, la quale, nell’arco di poche
settimane, si inalberò sostenendo che con una posizione come la mia non era né
possibile né accettabile suonare. Inoltre, ricorrendo anche all’uso della forza, fui
costretto a riprendere la posizione originaria; i due mesi durante i quali avevo potuto
accarezzare ed assaporare il benessere stavano svanendo nella nebbia del dolore che,
non ancora sconfitto, ritornava alla carica. Fortunatamente il mio amor proprio decise
di svegliarsi e, con un’azione quasi riconducibile ad un colpo di stato vista la
rilevanza politica di quell’insegnante all’interno del Conservatorio, decisi di
abbandonarla a favore dell’altra insegnante appena giunta in organico. Da quel
momento in poi fu soltanto una corsa alla laurea sostenuta il 9 luglio 2009 e all’esame
di ammissione nella classe di Marcio Carneiro, sostenuta con successo il 30 aprile
dello stesso anno.
E fu così che, nel settembre 2009, comincio la Terza Fase Passiva, sotto la
guida di colui che ancora oggi seguo come mio professore, Marcio Carneiro. Fu
grazie a lui che fu possibile, a poco a poco, porre fine a questo succedersi continuo di
fasi passive, divenendo poco a poco uno studente e, di conseguenza, un musicista
indipendente e in grado di prendere delle decisioni da solo. Riguardo alla postura non
mi disse mai troppo, essa non essendo mai l’argomento principale delle nostre lezioni;
la priorità era suonare, e suonare perfetto, il come era un altro discorso. Se egli notava
qualcosa di assolutamente sbagliato me lo faceva presente e, molto importante, mi
spiegava il perché quella determinata angolazione della gamba destra piuttosto che
rotazione del busto era sbagliata in relazione al mio fisico. Nacque così il mio grande
interesse per la salute del musicista, interesse che mi portò a scoprire libri di grandi
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dottori che avevano dedicato (e alcuni dedicano tuttora) tutta la loro vita alla
salvaguardia della nostra salute come artisti-esseri umani.
II.2: LA RICERCA PERSONALE ATTIVA
Tra la fine dello scorso Anno Accademico (2009-2010) e l’inizio del presente,
i grandi cambiamenti occorsi alla mia tecnica mi misero di fronte alle tensioni più
nascoste presenti nel mio corpo sin da tempi remoti. Cominciai, con mia grande
paura, a sentire di nuovo qualcosa di strano, non dolore, bensì un continuo fastidio;
ogni posizione in cui suonavo era causa di malessere, laddove un muscolo si rilassava,
altri tre si contraevano. Cominciai a chiedere consiglio a dei miei compagni di corso
ma, chiaramente, loro potevano solo darmi la loro opinione soggettiva, mentre a me
serviva qualcosa di oggettivo. Cambiai più volte lunghezza del puntale, inclinazione
rispetto all’asse verticale, punto di appoggio sul petto, ma per qualche ragione, ogni
mese al massimo mi ritrovavo punto e accapo. M’interessai alla storia della postura,
andando a leggermi i trattati dei grandi violoncellisti del passato e cercando quindi di
capire le priorità della postura stessa. Il mio professore seguitava a ripetermi: « le
priorità sono semplicemente due, e ognuna non deve intralciare la compagna: la
possibilità di arrivare senza problemi alla fine della tastiera con la mano sinistra e la
possibilità di arrivare in punta d’arco al ponticello sulla corda di la al massimo
dell’estensione del braccio. »
Cercando di tradurre per i profani, questo significa che la ricerca di una
postura soddisfacente per il violoncellista non deve essere legata alla ricerca di un
benessere fisico, almeno non all’inizio; anche i grandi dottori della musica sostengono
chiaramente che il fisico umano non è fatto per suonare, bensì solamente per
arrampicare14. Al contrario, essa deve essere ricercata avendo come finalità le due
priorità sopracitate; il fatto che, poi, la soddisfazione delle stesse porti ad
un’incredibile confort nel suonare, credo possa essere esentato da commenti.
Alla fine, già un paio di mesi dopo aver cominciato la stesura del presente lavoro, e
continuamente alla ricerca di una postura che potesse convincere sia me che la mia
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14 Marco Brazzo, L’Allenamento del Musicista, Rovereto (Tn), Osiride Editore, 2002.
schiena, giunse l’illuminazione. Tutto subito fui diffidente, sembrava troppo semplice
come idea e di per sé l’avevo già scartata tempo fa senza neanche approfondirla ma
poi, un giorno, mentre suonavo di fronte allo specchio della mia amata Sala 3 del
Vieux-Collège, mi alzai in piedi e cominciai ad osservarmi. Come detto in
precedenza, notai la sproporzione tra gambe e busto e, una volta calcolata la
proporzione, cominciarono i ragionamenti: se Paul Tortelier, dal busto di gran lunga
più corto delle gambe, aveva dovuto inventare una nuova tipologia di puntale per
bypassare l’ostacolo posto dalle gambe stesse, allora io mi sarei dovuto comportare in
maniera diametralmente opposta. Accorciai la lunghezza del puntale attivo e provai a
usare come metro di paragone la fronte, alla quale appoggiai il riccio del violoncello.
Essendo la mia testa saldamente ancorata in mezzo alle spalle e non essendo una
buona idea di per sé il pensare di tagliarla e riposizionarla sulla spalla destra, cercai di
spostare il violoncello verso la spalla sinistra, come consigliava Alexanian e, di
conseguenza il puntale verso destra. Questo mi riportava esattamente alla postura
appresa nel Luglio 2007 che, ancora in quel momento, si dimostrava estremamente
valida, ma qualcosa non mi convinceva del tutto.
Cercai allora di concentrarmi su tutte le
posture che avevo osservato nella mia vita
attiva di studente di violoncello e, tutto d’un
tratto, mi balzò alla mente la posizione di
Miklòs Perenyi (1948 - .).
Come possiamo vedere dalla figura qui a
lato, la posizione assunta da questo
grandissimo violoncellista del nostro tempo è
più unica che rara. Sulla quasi verticalità
della posizione non discuto, già Fournier era
conosciuto per tenere il violoncello più
vicino all’asse verticale che a quello
orizzontale. Ciò che mi affascinò sin dal
primo istante fu l’angolo dello strumento
rispetto al busto, corrispondente a più di
30° di inclinazione e al conseguente
Fig. 17: Miklòs Perenyi.
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appoggio del fondo dello strumento sopra il ginocchio sinistro. Quali vantaggi
presenta questa posizione? Una maggiore facilità nel raggiungimento della priorità
dell’angolo d’arco alla punta, a scapito di una minore comodità del braccio sinistro.
Va da sé che con la semplice presenza, in dotazione fisica, di un braccio sinistro molto
lungo (qualsiasi persona alta più di un metro e ottanta soddisfa questo prerequisito)
non si ha alcun problema a raggiungere le zone estreme della tastiera.
E così, attualmente, da circa due mesi, uso questa posizione che, rispetto al
mio fisico, mi permette di eseguire ogni cosa senza fatica e senza dolori; le tensioni
sono sparite e quando quelle necessarie al suonare hanno luogo, esse non son causa di
dolore. In linea generale si tratta di una posizione in cui violoncello e violoncellista si
muovono molto, specialmente nei cambi di corda e che costringe la parte lombare
della schiena a un movimento pressoché continuo al fin di mantenere la flessibilità
globale.
Prima di concludere, ci terrei a donare alcune piccole precisazioni riguardo
alla mia postura e alle ragioni delle varie scelte che l’hanno portata in cima alle mie
preferenze (ho deciso consciamente di non inserire fotografie della mia postura attuale
in quanto non ritengo di aver ancora l’onore di poter apparire a fianco dei grandi
maestri del passato da me citati).
La posizione sulla sedia: come abbiamo visto in praticamente tutti i metodi il
violoncellista deve sedersi in punta alla sedia, per la semplice ragione di avere la
maggior libertà nelle gambe possibile. Avere le gambe che per più di un terzo son
bloccate dal piano della sedia non consente la libertà di movimento necessaria.
Sottoscrivo in pieno questa priorità.
La posizione dei piedi: nei capitoli precedenti abbiamo visto come i piedi
abbiano assunto nel corso della storia innumerevoli posizioni diverse. Siam passati
dal piede sinistro più avanti al contrario passando per lo stesso piano. Dove sta la
verità? In questo caso mi permetto di donare la mia opinione, fermo restando che in
futuro essa possa essere contraddetta: la posizione dei piedi con il sinistro più avanti
rispetto al destro è da considerarsi, a mio modesto parere, errata, in quanto essa è
retaggio di un’epoca in cui non esisteva il puntale e in cui, di conseguenza, il
violoncello doveva essere sostenuto dai polpacci. Per avere la medesima angolatura
L’ESPERIENZA
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che noi oggi possiamo ottenere con il puntale, la gamba e il piede sinistro venivano
posizionati più avanti rispetto alla loro controparte destra. Con l’introduzione del
puntale avrebbe dovuto risultare chiaro ed evidente che la posizione dei piedi si
sarebbe dovuta invertire, in quanto ora, per avere il lato sinistro del violoncello più
avanzato, occorre avere il ginocchio sinistro appoggiato al bordo inferiore del fondo
dello strumento. Per le violoncelliste consiglio vivamente di non suonare con delle
calzature con il tacco poiché per quanto esso consenta un maggiore sostegno dello
strumento si tratta totalmente di un’illusione. Se si sente il bisogno di avere il tallone
più alto la soluzione è da ricercare in una sedia più bassa, essendo il tallone
un’estremità del corpo e quindi legata alla lunghezza delle gambe.
La posizione delle gambe: c’è poco da aggiungere a quanto già detto per i
piedi che non sia comodamente applicabile anche alle gambe. Tutto ciò che posso
aggiungere è un consiglio: cercare di mantenere le gambe perpendicolari al terreno,
poiché esse sono un veicolo sonoro da non sottovalutare, permettendo al suono di
propagarsi attraverso la pianta dei piedi (che dovrà essere totalmente rilassata) nella
superficie di appoggio. Chiaramente questo non costituisce un fattore musicale
determinante, ma la sua mancanza può causare il sorgere di altri problemi che
potrebbero andare ad intaccare la possibilità stessa di fare musica.
La posizione del busto: purtroppo nelle fotografie l’importanza del movimento
del busto viene ignorata in quanto la pellicola non può muoversi. In realtà esso
rappresenta una parte fondamentale della creazione della dinamica sullo strumento.
Nella posizione di base il busto deve essere eretto, ma né inarcato né ingobbito,
diciamo in una posizione normale. Qualora ci sia bisogno di meno peso il busto dovrà
essere inarcato in modo da forzare l’interruzione della trasmissione del peso dalle
spalle alla mano e, di conseguenza, all’arco. Nel raggiungimento della punta d’arco e
nella conseguente richiesta di più peso, la parte lombare della schiena dovrà essere
rilasciata quasi a peso morto, creando una sensazione di leggero ingobbimento che, in
realtà, corrisponderà poi solamente ad un piano dorsale completamente piatto. Tutte
queste cose vanno ricercate sia con l’aiuto di uno specchio che, magari, di un medico
specialista che possa verificare la bontà dei movimenti messi in moto dal musicista.
L’ESPERIENZA
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La posizione del collo: essa deve seguire i movimenti della schiena in maniera
totalmente passiva, senza che la testa cerchi di creare una dinamica musicale con il
suo movimento, cosa che di per sé non accadrà mai.
Ogni movimento estraneo e non necessario può chiaramente minare la
produzione musicale ed è per questo che personalmente, seguendo la linea di grandi
maestri del passato, mi schiero contro coloro che fanno del sentimentalismo spinto e
della teatralità una tecnica strumentale. Essa può ingannare facilmente il 95% degli
ascoltatori, i quali assorbiti dai visi e dai movimenti sofferenti e carichi di pathos
dell’artista penseranno « Oh, quanto è musicale! », ma non può ingannare tutti coloro
che, invece, sanno che la musica non è proporzionale all’energia spesa in movimenti
estranei, bensì al corretto uso dell’energia per ottenere un corpo sano e operante nel
più corretto dei modi.
Personalmente non ritengo la mia ricerca personale attiva terminata con la
scoperta di questa posizione. Esattamente come sta accadendo al Maestro Perenyi in
questi ultimi anni, son sicuro che in futuro il mio corpo mi richiederà di apportare dei
cambiamenti alla mia postura, ma tutto questo non cambia il succo della questione: il
violoncello si chiama strumento (e con esso tutti gli altri membri della grande
famiglia degli strumenti musicali) in quanto è fatto per essere usato dall’uomo e per
adattarsi al suo corpo. È quindi il nostro fisico – e sempre sarà – a dettarci la nostra
postura; tutto ciò che io ho scritto in questa dissertazione deve solamente fungere da
aiuto per coloro che si son perduti e non sanno da che parte cominciare la loro
missione.
II.3: LA TUTELA DI UN EQUILIBRIO
Per concludere, cosa può fare il musicista per salvaguardare la sua salute ed
assicurarsi una carriera che sia la più lunga possibile? Chiaramente il primo consiglio
che potrei dare è di dividere la giornata di lavoro (che deve comprendere almeno sei
ore nette di studio comprensivo di tecnica, repertorio e studio delle partiture) in due o
tre gruppi di due o tre ore ciascuno. Questo per evitare un sovraccarico mentale ed
assicurare sempre il massimo della concentrazione al momento dello studio. Il nostro
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strumento ci dona continuamente delle emozioni meravigliose e quindi non possiamo
permetterci di donargli niente meno che le nostre energie migliori. Inoltre, in ciascuna
di queste fasi di studio, raccomando di non restare seduti per più di 45 minuti
consecutivi. In queste brevi pause consiglio dei semplici esercizi di stretching – la cui
descrizione esula da questo lavoro – al fin di riallungare i tendini e i muscoli stressati
dall’esercizio precedente. A questo proposito, raccomando la lettura dei seguenti due
libri: Marco Brazzo, L’Allenamento del Musicista, Osiride Editore, 2002 e Jaume
Rosset Llobet e Silvia Fàbregas Molas, a tono, Editorial Paidotribo, 2005, al fine di
acquisire una completa maestria e conoscenza del nostro corpo di artigiani della
musica!
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BIBLIOGRAFIA
Ø J. S. Bach, 6 Suites a Violoncello Solo senza Basso, BWV 1007-1012, Bärenreiter
BA5216, 2000, Text Volume, pagg. 14-16.
Ø Giovanni Maria Lanfranco, Scintille di Musica, Brescia, 1533.
Ø Martin Agricola, Musica insturmentalis deudsch, Wittenberg, 1545.
Ø Michel Corrette, Méthode, Paris, 1741
Ø Johann Justus Friedrich Dotzauer, Violoncello - Schule, Peters (Klingenberg),
1906
Ø Bernhard Romberg, Violoncello - Schule, Berlin, manoscritto, 1840
Ø Friedrich August Kummer, Violoncello School for Preliminary Instructions,
Original Edition revised by Alfredo Piatti, London, 1877
Ø H. Becker/D.Rynar, Mechanik und Asthetik des VIOLONCELLOSPIELS, Wien,
Universal Edition, 1929.
Ø Valerie Walden, One Hundred Years of Violoncello, A Hisotry of Technique and
Performance Practice, 1740-1840, Cambridge Musical Texts and Monographs,
Oxford, Cambridge University Press, 1998.
Ø David Blum, Casals and the Art of Interpretation, Berkeley (California, USA),
University of California Press, 1980.
Ø Marco Brazzo, L’Allenamento del Musicista, Rovereto (Tn), Osiride Editore,
2002.
Ø Jaume Rosset Llobet e Silvia Fabregas Molas, a tono, Barcelona, Editorial
Paidotribo, 2005.