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A NNO V N UMERO VI M AGGIO /G IUGNO 2011 NOME SOCIETÀ Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci, Milano

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A NNO V — N UMERO VI M AGGIO /G IUGNO 2011 NOME SOCIETÀ Maggio/Giugno 2011

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Page 1: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

ANNO V — NUMERO VI

MAGGIO /G IUGNO 2011

Magg io/Giug no 201 1

NOME SOCIETÀ

Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci, Milano

Page 2: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

A TTUALITÀ ANNO V — NUMERO VI

L’Editoriale SOMMARIO

PAGINA 2

Copertina di Elena Di Luca 1

Editoriale + Foto della Redazione 2

Cortesemente, si cianci meno 3

I consultori — 1 Maggio 4

L’accoglienza italiana a un’emigrata 5

Voglia di cambiare — La musica 6

La musica sveglia il tempo 7

Teatro 1B — Leggende carducciane 8

Pagellini trofeo Perrone — Maggio 9

Romolo il Grande picture show 10

Tutto finisce — Orchestra Carducci 11

Intervista a Loris Fabiani 12

Catilina 13

Invano? — La video-scultura di Milano 14

Attentati alla vita di lei 15

Nazionale italiana - Fatta per resistere 16

Il canto lirico 17

Intervista ai Revo Fever 18

Jovanotti in concerto 19

Le barze + La piccola vigna 20

Mozzarelle virtuali — Strizzacervelli 21

L’angolo del Tamarro 22

Giochissimi estivi! 23

Concorso fotografico + Vignetta 24

Maggio, studente fatti coraggio - Giugno, studente tirati un pugno

E un altro anno è an-dato (la sua musica ha finito!) e L’Oblò, con il suo sesto nu-

mero (!), di ben 24 pagine (!!!), vi saluta e vi augura buo-ne vacanze, o Carducciani che ci spiate da sotto il banco durante le ormai insostenibili lezioni. Innanzitutto vorremmo rin-graziare tutti gli studenti, professori e personale ATA che ci hanno sostenuto e magari scritto: L’Oblò conti-nua ad esistere solo grazie a voi. Ringrazio anche chi ci ha aiutato a organizzare gli even-ti (per concludere in bellezza il ciclo di concerti di quest’anno vi aspettiamo il 10 Giugno in cortile), chi ci dà sempre nuovi suggerimenti, chi ci insegue per i corridoi per dirci “Il nuovo numero è fantastico!”, e anche chi ci ha criticato in modo costruttivo al fine di migliorare il giorna-le. Qualora vogliate scriverci anche durante l’estate, vi ricordo che esiste ed è final-mente attivo il nostro blog oblocarducci.blogspot.com: aspettiamo i vostri articoli, le vostre esperienze estive e le vostre foto! Infine, spero apprezzerete questo misero ma simpatico tentativo d’addio ai nostri cari ‘92, che quest’anno affrontano la te-tra e terribile maturità... Suvvia, niente sospiri, niente pianto, L’Oblò ci sarà anche il prossim’anno, tanto! Purtrop-po, accidenti, avremo perdite consistenti, sia dal punto di vista affettivo sia da quello “lavorativo”: ci saluteranno (Beati loro) Dario e Mattia, redattori veterani d’esimia simpatia, e anche Xhestina, arzilla e scottante sebben piccolina, e poi Giuliano, quie-to e affascinante musicista americano, e ancora Riccar-do, fedele collaboratore in battuta beffardo, e infine Claudio, l’onesto poeta

dell’attualità, che la sa lunga di legalità. Eppure confido –di certo sarà così– che bravi ra-gazzi sostituiran questi qui; pertanto spero che la nuova generazione rimpolpi e miglio-ri la redazione. Ohimè, ma come farem l’anno venturo, se dei ‘92 rimarran solo le scritte sul muro? Per il Carducci tanto hanno fatto, e nei nostri cuori è rimasto un patto: che spesso ci vengano a salutare quando a lezione non dovranno anda-re. Ma proprio non riesco a immaginare con chi l’intervallo potrò passare, e non so da chi potrò farmi aiutare se i compi-ti di fisica non saprò fare: spe-ro dunque per me e per te che parimenti sian bravi i ‘93; di nobile cuore, gentili e onesti si son dimostrati tutti questi, e quindi credo che arduo sarà ben eguagliare cotanta bontà; ahi, però, come mi manche-ranno! Vorrei non piangervi per tutto l’anno! Anche se voi sarete felici noi piangeremo tutti gli amici, che, finita la

maturità, se la squagliano all’università. Beh, ve lo siete però meritato, cinque anni ognun s’è “smazzato”!, e, an-che se dirlo non conviene, credo ne abbiate le “palle pie-ne”. Forza, quindi, a testa alta andate, e la maturità degna-mente affrontate! Grazie per quel che ci avete lasciato, di sicuro non verrà scordato. Resistete ancora luglio e giu-gno, per i nemici riservate il pugno!, sono sicura che rider (?) vi farà ripensare tra un lustro alla maturità. In fondo però un po’ d’invidia c’è, anch’io vorrei studiar sol quel che piace a me! Grazie ancora davvero infinite, e, appena potete, da scuola fuggite! O amici miei cari cui giugno sem-brerà cupo, che posso dirvi? In bocca al lupo! Durate, ben presto finiranno le pene: spero vi rincuori saper che vi vogliam bene! Eleonora Sacco P.S. Il titolo è ispirato a un afori-sma del collaboratore ’92 noto a tutti come Toso.

Foto di redazione nell’aula dell’Oblò da sinistra in alto: Claudia, Chiara M, Alessandra, Chiara Cons, Silena, Matti-a, Dario Z, Giovanni, Riccardo (Toso), Claudio e Silvia; da sinistra in basso: Maria, Alessandra, Eleonora, Beatrice, Laura, Martina, Dario (Peppy!) e Giuliano. Mancano Chiara , Xhestina e Leonardo.

Page 3: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

A TTUALITÀ MAGGIO /G IU GNO 2011 PAGINA 3

Cortesemente, si cianci meno

G irano strane storie fra le redazioni degli house organ berlusconiani, specialmente degli ossimorici Libero e Il Giornale, circa Massimo

Ciancimino e il suo recente arresto per calun-nia. Secondo questi giornali (si fa per dire) modello della libertà di stampa (si fa sempre per dire), Ciancimino sarebbe un calunniatore di professione, assurto a "icona" dell'antima-fia perché i pm di Palermo credevano cieca-mente alle sue parole e, anzi, lo usavano contro Berlusconi (poco importa se sono stati proprio i pm palermitani a farlo arrestare e se non sia mai stato giudicato "genericamente attendibile"). E, adesso che la Scientifica ha scoper-to che uno dei circa 150 documenti presentati dal teste è falso, allora lo sono anche tutti gli altri. Ovviamen-te le cose non stanno così. Ricapito-lando. Nel 2005 Massimo Ciancimi-no, figlio di don Vito – sindaco di Palermo in quota Dc per conto di Cosa nostra tra il 1970 e il 1971, già assessore ai lavori pubblici nel peri-odo del cosiddetto "Sacco di Palermo" –, compare per la prima volta davanti alla Pro-cura di Palermo (diretta da Piero Grasso e Giuseppe Pignatone), in qualità di indagato per il riciclaggio del tesoro del padre. I pm gli sequestrano 64 milioni e gli perquisiscono l'abitazione - senza notare la cassaforte, pur presente, bene in vista e fotografata dagli investigatori nel 2009 - dopo averlo intercet-tato per due anni. Ma i nastri, con le conver-sazioni con alcuni familiari riguardanti alcuni parlamentari siciliani (Vizzini, Romano, Cuffa-ro) e un assegno di 35 milioni versato da Ber-lusconi a don Vito nei primi anni '80 (conservato nella cassaforte di casa Ciancimi-no), vengono riposti in un cassetto. Sorte peggiore, invece, per un altro appunto, "parte di foglio A4 manoscritto contenente richieste all'on. Berlusconi per mettere a disposizione una delle sue reti televisi-ve" (pena un "triste evento"), rinvenuto dai carabinieri fra le carte di Ciancimino, che scompare dagli atti del processo senza che l'indagato sia interrogato a riguardo. Nel 2007 (19 dicembre) però, Ciancimino viene intervistato da Gianluigi Nuzzi, su Panorama. Rivela di aver preso parte alla trattativa fra il capitano del Ros Giuseppe De Donno e il padre riguardo alla "cattura dei superlatitan-ti", mettendo l'uno in contatto con l'altro "subito dopo la strage di Capaci" e di non essere "mai stato interrogato su queste trat-tative e sulle stragi". Così la Procura di Paler-mo, diretta ora da Francesco Messineo, lo convoca per interrogarlo. E Ciancimino con-ferma tutto, aggiungendo molti altri partico-lari e consegnando alla magistratura il "papello" con le richieste di Totò Riina allo Stato e altri documenti del padre da lui con-

servati. Successivamente i racconti del su-pertestimone vengono confermati dai vari Conso, Martelli, Ferraro e Violante, che recuperano improvvisamente la memoria a distanza di quasi vent'anni. A dirigere le indagini questa volta sono i procuratori Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo e Pao-lo Guidi, i quali il 30 giugno del 2009 conte-stano al figlio di don Vito il famoso "foglio A4", dopo averlo rinvenuto sul fondo di uno scatolone delle carte del processo per rici-claggio. Lui sulle prime mente, poi dice di non volerne parlare, dopodiché è costretto

a vuotare il sacco, sve-lando una c o r r i s p o n -denza fra Provenzano e Berlusconi fra il 1992 e il 1994 e una serie di do-cumenti del padre riguar-

danti Berlusconi e Dell'Utri e i loro rapporti con la mafia, ritenuti autentici dalla Scienti-fica. Così come tutti gli altri 55 analizzati dei circa 150 presentati, utilizzati dunque in altri vari processi come indizi o come prove. Ed eccoci a noi. Nel luglio scorso Ciancimino consegna alla Procura la fotocopia di una cartolina recante, sulla sinistra, una lista di nomi di funzionari dello Stato collusi con la mafia – per lo più dirigenti della polizia e dei servizi (il cosiddetto "Quarto Livello") – più un certo "Gross", il cui nome è collegato con una freccia a un altro nome scritto sulla destra da un'altra mano: "De Gennaro". Ciancimino jr spiega ai pm di essere stato lui a scrivere i nomi a sinistra, sotto dettatura del padre, che invece avrebbe aggiunto di suo pugno il nome di De Gennaro, il quale, secondo il superteste, sarebbe Gianni, ex capo della polizia e della criminalpol di Pa-lermo (oggi a capo dei Servizi Segreti), "icona" dell'antimafia investigativa. Il docu-mento viene dunque consegnato dalla Pro-cura alla polizia scientifica, perché ne accer-ti l'autenticità. E la Scientifica certifica che la lista dei nomi a sinistra è stata scritta da Massimo e "De Gennaro" è stato scritto da don Vito. Tutto regolare, dunque. Finché il 20 aprile scorso arriva il referto della Scien-tifica su un altro documento, consegnato mesi prima ai pm: un appunto manoscritto di don Vito su un vecchio magistrato ormai in pensione, quasi omonimo di De Gennaro: Giuseppe Di Gennaro, citato erroneamente come "De Gennaro". I poliziotti della scien-tifica, insomma, scoprono che la parola "De Gennaro" è identica a quella presente nella fotocopia della cartolina. Un falso, il primo accertato nelle carte prodotte dal teste:

qualcuno ha artefatto quel documento col Photoshop copiando il nome di De Gennaro dall'appunto e incollandolo sulla cartolina. Secondo i pm quel qualcuno è Ciancimino, che aveva affermato: "quel nome l'ho visto scrivere a mio padre". Così il supertestimone viene arrestato e condotto in carcere a Par-ma. Apriti cielo. Come prevedibile, alla notizia dell'arresto, dalle file dei peones arcoresi e dei loro cani da riporto si è levata una pletora di commenti e dichiarazioni deliranti e scon-nesse dalla realtà. Maurizio Belpietro, su Libero, se la prende con gli "illustri colleghi della stampa progressista" che "si sono pre-stati a intervistarlo in pubblico. Dimenticando che il primo periodico ad intervistare Cianci-mino fu Panorama, diretto da tale Maurizio Belpietro. Giuliano Ferrara arriva a chiedere la condanna a dieci anni di Antonio Ingroia "per attentato a organi costituzionali". Il Gior-nale, notoriamente "garantista" quando si tratta di difendere il padrone, per la penna di Gian Marco Chiocci parla di un Ciancimino "sprofondato nella polvere della calunnia", colpevole ancora prima di essere processato (si attendono interventi di Pigi Battista sulla "presunzione di innocenza"); e racconta che "il pm Antonio Ingroia, nel suo ultimo libro, Il (sic) Labirinto degli dei, definisce Ciancimino "un'icona dell'Antimafia". In realtà, il magi-strato, a pag. 178 del suo libro, dopo averne criticato "la smania di apparire", scrive così: "Massimo Ciancimino non è certo attaccato alla cultura paterna dell'omertà. Il suo proble-ma è, semmai, l'opposto: quello di parlare troppo, preferibilmente coi giornalisti, specie dei suoi interrogatori, per i quali è tenuto a rispettare la segretezza. Un imputato-testimone che scrive libri imbastiti con il con-tenuto delle sue dichiarazioni. E' molto "americano" Massimo Ciancimino, uomo dei media e per i media, nel bene e nel male. E per una metamorfosi mediatica, oggi il figlio di Ciancimino è arrivato a diventare un'icona dell'antimafia". Nelle due pagine successive, in più, pur riconoscendo "l'importanza del contributo di conoscenza da lui apportato, anche perché fondato prevalentemente su documenti autografi del padre finora inedi-ti" (e, è bene ricordarlo, tutti autentici meno uno), Ingroia esprime "tanti dubbi sull'atten-dibilità del giovane Ciancimino". Balle, dun-que. Dopodiché Chiocci vaneggia circa non meglio precisate "calunnie copia&incolla su Berlusconi (chissà perché, quelle, non merite-voli d'arresto)". Peccato che i documenti su B. siano stati certificati come autentici dalla stessa Scientifica che ha smascherato il falso su De Gennaro. Insomma, certi giornali e certe persone non si smentiscono mai. Più che parlare di Ciancimino, allora, cortesemen-te, si cianci meno.

Claudio Fatti

“Un falso, il primo accertato nelle

carte prodotte dal teste: qualcuno

ha artefatto quel documento col

Photoshop copiando il nome di De

Gennaro dall'appunto e

incollandolo sulla cartolina”

Page 4: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

1 Maggio

A TTUALITÀ PAGINA 4

C os’è accaduto ai consultori pubbli-ci, una volta luoghi di frontiera sul terreno dell’autodeterminazione, frutto delle lotte sociali e politiche

delle donne? Torniamo indietro nel tempo in un paese in cui le parole “utero” e “aborto” sono considerate parolacce, in cui la parola “sessualità” vorrebbe essere asso-ciata solo a “riproduzione” e in cui la parola “contraccezione” è stata usata pubblica-mente per la prima volta nel 1964. Sul finire degli anni cinquanta incominciaro-no a prendere vita le prime esperienze au-togestite di consultorio di matrice laica, messe in piedi da chi non concepiva la ses-sualità come un tabù e voleva abolire il divieto alla contraccezione e all’aborto. Fu a Milano, nel ’55, che venne fondato, da una delle neonate organizzazioni, il primo con-sultorio in Italia. A metà degli anni ’60, mentre la pillola arrivava, anche se sommi-nistrata solo per fini terapeutici, in Italia, nacque il CEMP, Centro educazione matri-moniale e prematrimoniale, nome adatto a non insospettire i benpensanti, nelle cui sedi venivano tenute, nonostante fosse proibito, lezioni su sessualità e contracce-zione e in cui, per le visite, si indirizzavano le donne ad una rete di ginecologi di fidu-cia. Fu solo nel ’75, in ritardo rispetto a molti altri paesi, che questi esperimenti di servizio socio-sanitario vennero riconosciuti con la legge 405. E vissero tutti felici e con-

tenti? No: l’aborto continuava a essere illegale. Rimase ancora tale per altri tre anni, fino a quando, nel 78, dopo conti-nue pressioni, nonostante le proteste, proprio stranamente, della chiesa, venne varata la famosa legge sull’aborto, la 194, già allora criticata da alcune perché risul-tato di troppe mediazioni e poiché si rite-neva che avrebbe abbandonato le donne a un itinerario burocratico saturo di resi-stenze, pregiudizi e ostilità da parte della classe medica, che è esattamente quello che accade oggi. Il dibattito sull’aborto, nato da ciò, attraversò i consultori aperti dal movimento femminista, che si diffe-renziavano molto da quelli creati negli anni precedenti: le femministe cambiava-no il modo di concepire il rapporto pa-ziente-medicina, facevano l’auto-visita ginecologica di gruppo, si muovevano per fornire un livello di informazione più alto possibile e, fino a quel momento, aveva-no tenuto in vita una rete che garantiva l’aborto clandestino. Insomma, il consul-torio era vissuto come luogo di incontro, discussione e organizzazione, un luogo in cui si imparava a conoscere il proprio corpo per poi rivendicarne la proprietà. Il tutto basato sull’autofinanziamento e sulla gestione partecipata dello spazio. Fantastico, no? Arrivarono, però, gli anni di riflusso: gli anni ’80, nei quali calò l’interesse per una gestione partecipata

del consultorio, che cominciò, mano a ma-no, nonostante una lieve ripresa negli anni della lotta contro la violenza sessuale, a trasformarsi nel luogo fin troppo simile a un ambulatorio che tutte ben conosciamo. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a politi-che di smantellamento e privatizzazione dei consultori e dei loro servizi: la legge prevede la presenza di uno di questi presidi sanitari ogni 20mila abitanti, ma una recente map-patura mostra che non si arriva a 0,8, le assunzioni sono bloccate, gli ultimi finanzia-menti risalgono al 2008, l’Asl di Milano ha diffuso una circolare con cui intende blocca-re i corsi di educazione sessuale nelle scuo-le, sono stati stanziati fondi per il progetto NASCO, che prevede una retribuzione di 250 euro al mese per le donne che decidono di non abortire e il privato viene valorizzato più del pubblico. Per non parlare della trava-gliata vicenda della povera pillola abortiva RU486, dell’aumento degli obbiettori di coscienza e del ruolo assunto oggi dal con-sultorio, che sembra farsi beffa di anni e anni di lotte per una sessualità libera e con-sapevole e per il riappropriarsi del proprio corpo. La sessualità è un campo di battaglia in cui bisogna difendere o far riconoscere i propri diritti ma come è possibile combatte-re se la nostra stessa arma, l’informazione, è oggi sotto continuo attacco?

Isadora Seconi

CONSULTORI: PASSATO, PRESENTE... E FUTURO?

ANNO V — NUMERO VI

L 'altro giorno ero in metropolitana e mentre sfogliavo il Metro del giorno, noioso come al solito, mi è caduto l'occhio sul trafiletto in prima pagina

che la capo redattrice di quel giornale (tale Paola Rizzi) aveva scritto riguardo alla pole-mica sorta per la festa del lavoro dell'1 mag-gio. C'era scritto che è un'ingiustizia che a tale festa non vengano attribuiti l'importanza e lo spazio che ha, invece, una festa come il Natale che a detta sua ci vuol ricordare un "evento paranormale" e non coinvolge milio-ni di persone come invece fa la festa dei lavo-ratori. Mentre mi immaginavo divertito un Natale paranormale alla X-Files con un Gesù alieno che scende nella mangiatoia a bordo di un disco volante e l'asino e il bue di uno stra-no colorito verde, ho espresso con una mail il mio scetticismo alla signora Rizzi riguardo la sua effettiva conoscenza di cosa il Natale stia a ricordarci -cioè un fatto che, per chi ci cre-de, è stato reale e fatto di carne e sangue, altro che paranormale- ed esprimevo il mio dubbio che nell'animo del popolo della no-stra Penisola il sentimento verso la festa del lavoro sia effettivamente più radicato e sin-

cero di quello verso le nostre radici culturali Cristiane, da qui il Natale, la Pasqua, e com-pagnia cantante. Non contento, ho voluto accertarmi di quale effettivamente fosse il valore attribuito alla festa del lavoro da parte di chi la festeggia, e così domenica 1 maggio ho fatto un sopralluogo là in viale Paleocapa (accanto al Parco Sempione, per intenderci) dove erano state organizzate le famose celebrazioni di questa festa. Pas-seggiando per tale zona ho avuto in princi-pio l'impressione di stare entrando in un gulag della seconda guerra mondiale per l'incredibile numero di bandiere con falci e martello che salutavano i nuovi arrivati; ma mi è bastato assai poco per rendermi conto che altro che gulag, ero arrivato proprio su un altro pianeta. Credo che non fosse consentito partecipare ai festeggiamenti della festa del lavoro senza avere tre o quattro piercing. Ragazzi e ragazzini -di "lavoratori" più adulti non ne ho quasi visti- sfoggiavano capigliature e cenci quanto mai bizzarri, tutti quanti puzzavano alla grande, c'era un frastuono indicibile per via dei vari camioncini parcheggiati adibiti a impianto

stereo, tutta quella bella zona era invasa dalla sporcizia (tanto che un mio amico che abita lì, il giorno dopo ha visto passare i netturbini con largo anticipo rispetto al solito) e si sentiva inoltre un certo odorino di spinelli e canne va-rie. Il meglio che ho visto erano un lui sdraiato per terra ad esplorare con il naso (!) gli orifizi tra le chiappe di una lei, e un simpaticissimo omosessuale che aveva poco del gay e tanto dell'esibizionista per come era conciato e per come si comportava, andando in giro urlando "Votate Lady Gaga, non Berlusconi!". Proprio quel mandrillo del Berlusca è stato forse quello uscito peggio dai temibili festeggiamenti della festa del lavoro, in quanto ogni singolo manife-sto elettorale con su il suo faccione o quello della Moratti o di altri candidati di centro-destra per le elezioni comunali era stato strap-pato e lacerato e reso irriconoscibile, così che in giro ammiccassero soltanto i musi dei candidati di sinistra. Un intero cartellone elettorale era stato divelto dalla sua base e abbandonato in un angolo. Ora, non accuso niente e nessuno, sia chiaro, e se ci si organizza per far casino ognuno è libero di farlo a modo suo: racconto semplicemente ciò che ho visto

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A TTUALITÀ PAGINA 5

I n Italia, di questi tempi, si parla tanto di emigrazioni regolari o irregolari, di ri-chiesta insistente della cittadinanza italiana, di discriminazione nei confron-

ti degli stranieri, dunque ho pensato di in-tervistare una ragazza cinese, che fa parte della Comunità di Sant’Egidio, arrivata in Italia una decina di anni fa, e raccontare le sue avventure in questa nostra nazione, da un lato tanto bella ed accogliente, dall’altro piena di ingiustizie.

Tua breve presentazione (studio, lavoro, passioni...)

Mi chiamo Xiaomin Zhang, ho 27 anni e stu-dio Design di interni al Politecnico. Amo l’arte, l’architettura, mi piace molto viaggia-re e fare volontariato. Penso che sia veramente bello e gratificante sentirsi d’aiuto per gli altri.

Quanti anni avevi quando sei arrivata in Italia e qual è stato il primo impatto?

Sono arrivata in Italia all’età di sedici anni; all’inizio avevo molte difficol-tà linguistiche, il giorno della versione di latino dovevo presentarmi a scuola con tre vocabolari: cinese, latino e italiano. Trovata la parola italiana non sapevo assolutamente cosa volesse dire e mi trovavo costretta a cercarla lettera per lettera in cinese; fortu-natamente avevo un’insegnante molto com-prensiva che mi faceva fare solo metà ver-sione. I primi tempi non avevo amici, quan-do parlavo con gli altri dovevo usare l’inglese; non sapendo la lingua è molto difficile relazionarsi con gli altri. Facevo sola-mente i compiti d’inglese e matematica (erano le uniche due materie che capivo) e i miei compagni invidiavano tantissimo le mie intuizioni matematiche.

Hai riscontrato il più delle volte disponibili-tà o diffidenza nei tuoi confronti?

All’inizio mi sono trovata sola nel grandissi-mo oceano della diffidenza, al Liceo Bottoni c’erano solo due stranieri in tutta la scuola.

Avere una compagna di classe straniera era una grandissima novità e tutti erano molto interessati a me. L’insegnante di storia mi aveva chiesto addirittura di fare ai miei compagni una lezione sulla storia della Cina. I Professori erano molto dispo-nibili e mi davano ripetizioni di italiano al pomeriggio; la mia insegnante di italiano mi aveva trovato una volontaria cinese che mi dava una mano nello studio. All’età di sedici anni c’è sempre il “rompipalle” che fa le battutine antipatiche.

Dopo tanti anni in Italia dentro ti senti prevalentemente cinese o italiana?

Mi sento cinese e italiana al tempo stesso perché mi porto dentro una parte legata

alla Cina, ma dopo tutti questi anni in Italia sono molto legata ai miei amici italiani. Un’identità plurale non deve essere un conflitto interiore, bensì una ricchezza. Non

si può chiedere se una persona si senta più italiana o cinese, perché sarebbe come chiedere se si vuole più bene alla mamma o al papà.

Quando hai iniziato la tua battaglia per ottenere la cittadinanza italiana? Come si sta svolgendo? Come funziona la conqui-sta della cittadinanza?

In Italia è difficilissimo ottenere la cittadi-nanza, che non è un diritto, bensì una con-cessione. Se sei nato in Italia da genitori stranieri la puoi richiedere al compimento della maggiore età, altrimenti dopo dieci anni di residenza continua (per quando si è minorenni) o dopo oltre dieci anni con la richiesta di un reddito fisso (per quando si è maggiorenni). Io mi trovo ancora all’università e sto aspettando di avere un contratto di lavoro fisso per poterla richie-dere. In seguito alla richiesta bisogna at-tendere almeno tre anni per avere una risposta dal governo e questo dato non

favorisce certamente l’integrazione. Una persona è quello che gli altri dicono che sia; gli altri mi dicono che sono cinese perché ho gli occhi a mandorla, o che so-no italiana perché parlo benissimo la lin-gua. Troppo spesso si è portati a giudica-re guardando solo i tratti somatici.

Ti è mai capitato di essere “discriminata” da un italiano solo perché a differenziarvi era il colore della pelle?

Non dimenticherò mai l’odiosa battuta ripetuta perennemente da un compagno di classe: “In fondo non sei proprio gialla come credevo!”

Come hai conosciuto la Comunità di Sant’Egidio e di quale settore ti occupi?

Quando ero in seconda superiore alcuni membri della Comunità di Sant’Egidio sono venuti a parlare nel mio liceo del loro operato nelle scuole della pace, nelle scuole di italiano per stranieri, nei servizi per gli anziani, per i rom, per le persone di strada e sono rimasta molto colpita e affa-scinata; mi sono trovata bene con amici della mia età e ho iniziato a condividere con loro momenti ed esperienze impor-tanti. Attualmente faccio una scuola della pace con i bambini rom del quartiere di Corvetto e durante l’estate mi reco con altre persone una settimana in Albania, per conoscere una realtà opposta rispetto a quella che sono solita avere sotto gli occhi quotidianamente e per cercare di aiutare persone in difficoltà.

L’intervista a Xiaomin è terminata, non voglio in alcun modo esprimere un mio parere soggettivo e influenzare il lettore; ci tengo, però, a evidenziare una bellezza che da questa intervista non riesce ad emergere: lo splendore che io ho avuto modo di vedere negli occhi di Xiao, ragaz-za cinese, e di bambini rumeni mentre collaborano e si completano a vicenda. Tutto questo, poco o tanto che vi sembri, qui a Milano.

Alessandra Ceraudo VG (II G)

L’accoglienza degli Italiani verso un’emigrata

MAGGIO /G IU GNO 2011

“In Italia è difficilissimo

ottenere la cittadinanza, che

non è un diritto, bensì una

concessione”

con i miei occhi. E mi sorge spontanea una domanda: ma che modo è di festeggiare la festa del lavoro, che è cosa tanto nobile e di-gnitosa? Immergersi nei meandri della inciviltà, così lo si festeggia? Ma che festa e festa, quello era un carnaio, una puzzolente ressa di ragazzi-ni arrabbiati, che mi ammazzo se sanno davve-ro cosa significa lavorare, se si devastano di fatica ogni giorno per portare a casa qualcosa da mangiare! Chi davvero avrebbe avuto qual-cosa da festeggiare non era di sicuro lì in quel momento, e quell'orda di barbari a mio parere ha soltanto macchiato con la propria inciviltà il

concetto stesso di ciò che stavano festeggian-do, una scusa come un'altra per fare un po' di casino, in modo pericoloso -tra l'altro- perchè ho sentito più e più volte la sirena delle ambu-lanze. E questa "festa del lavoro" sarebbe simbolica, emblematica, parte viva del cuore della gente italiana? Un'altra festa stava aven-do luogo proprio in quelle ore, più a sud, a Roma, dove un vecchietto ha proclamato beato un altro vecchietto, che col suo grande operato ha tirato giù dalle aste quelle bandie-re rosse nei paesi dove ancora sventolavano. Non dei ragazzini “casinari” ma tutto il mondo

era stato invitato, in due milioni si sono presentati, e guardando la sera quelle im-magini alla televisione ho avuto come l'im-pressione che ben altro spirito appartenga alla gente italiana che non quello di amore verso la intoccabile festa del lavoro. Un fascino, una forza attrattiva, un affetto per quel defunto papa che sono davvero in grado di esaltare il cuore della gente e di chiamarla in san Pietro per festeggiare: altro che festa dell'1 maggio.

Carlo Simone

Page 6: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

A TTUALITÀ PAGINA 6 ANNO V — NUMERO VI

Voglia di cambiare “Poteva come tanti scegliere e partire, invece lui decise di restare”

A lcuni politici hanno dichiarato

che la mafia non esiste, altri inve-

ce che con la mafia bisogna im-

parare a convivere. Allora, se i

primi avessero ragione, significherebbe che il

delitto di Peppino Impastato non è mai avve-

nuto. Oppure, se ad aver ragione fossero i

secondi, vorrebbe dire che noi dovremmo

accettare la morte di un oppositore della

mafia, come inevitabile. Ma io credo che la

mafia esista, così come credo che non sia

tollerabile alcuna forma di convivenza con

essa. È quasi passato un mese

dall’anniversario

della morte di

Peppino Impasta-

to e alla televisio-

ne sono stati rari i

servizi a lui dedica-

ti. In effetti è sco-

modo parlare di

un uomo che ha

denunciato delle

ingiustizie, parlare

di un processo che si è concluso solo nel

2002, parlare di mafia. Perché è così difficile

ammettere che la mafia esiste? Ricordare

Peppino significa dire “no” alla mafia. Peppi-

no nasce nel 1948 a Cinisi, Palermo, da una

famiglia che è bene inserita negli ambienti

mafiosi locali; durante gli anni del liceo

entra a contatto per la prima volta con la

politica, fonda un giornale, che verrà in

breve sequestrato, partecipa a manifesta-

zioni pacifiste guidate da Danilo Dolci. Nel

1975 organizza il circolo “Musica e cultura”,

un’associazione che diventa il principale

punto di riferimento per gli abitanti di Cini-

si. Due anni dopo, crea Radio aut, una rete

radiofonica autofinanziata, nella quale

Peppino e i suoi amici fanno della satira nei

confronti della politica mafiosa. Ma ad un

certo punto si

rende conto che le

la denuncia delle

attività illegali non

è più sufficiente,

capisce cioè che

per cambiare quel-

le cose che ha

sempre combattu-

to bisogna rag-

giungere un pote-

re decisionale. Decide quindi di candidarsi

alle elezioni amministrative del suo paese.

E questo probabilmente segna l’inizio della

sua fine. Infatti il giorno prima delle elezio-

ni, il 9 maggio 1978, Peppino viene blocca-

to da una macchina presso una stazione ferro-

viaria, ed in seguito viene picchiato, percosso

con un masso e fatto saltare in aria sui binari

del treno. L’atteggiamento delle forze

dell’ordine è di difesa nei confronti della mafia,

infatti, agli amici che domandano come possa

essere avvenuto il delitto, i poliziotti rispondo-

no che si è trattato quasi sicuramente di un

suicidio. Dunque Peppino, un bel giorno decide

di porre fine alla sua vita e per farlo tira ripetu-

tamente delle testate contro un masso e poi,

per finire, si mette dell’esplosivo addosso e si

fa saltare. Il processo per la morte di Giuseppe

Impastato inizia nel 1988 e si conclude nel

2002 con la condanna all’ergastolo per i due

mandanti, Badalamenti e Palazzolo. Ancora

oggi, grazie al fratello e all’associazione in ono-

re di Peppino, i suoi ideali sono portati avanti.

Purtroppo non mancano coloro che sostengo-

no le attività abusive della mafia, contro le

quali Peppino ha lottato e per le quali ha perso

la vita. Noi non dobbiamo dimenticare. Per

Peppino e per tutti gli altri martiri della mafia.

Forse l’Italia non è un Paese per giovani, ma

probabilmente spetta proprio a loro il compito

di cambiare; non si può più tacere, e citando il

film e la canzone dedicati alla storia di Peppino,

“I cento passi”, è giunta l’ora di urlare.

Alessandra Venezia

Q ueste sono le parole di Daniel

Barenboim, grande musicista e

uomo. Ma cosa vuol dire aver

bisogno della Musica? Non si

può vivere senza? La sua mancanza può

avere conseguenze negative? Eppure essa

non è cibo, acqua o aria, elementi senza i

quali non possiamo sopravvivere. Ma pro-

prio perché la Musica è astratta e quindi

non pensiamo che sia fondamentale per la

nostra vita, non ci rendiamo conto di quan-

to sia importante, quanto sia grande la sua

potenza e la sua capacità di migliorare, di

educare, di salvare o addirittura di curare le

persone. Partiamo da uno studio svoltosi in

America, dall'American Psychological Asso-

ciation: questo ha dimostrato che imparare

uno strumento o semplicemente studiare

Musica aiuta il cervello a mantenersi più

sveglio e attivo con l'invecchiamento. I

ricercatori hanno studiato 70 adulti sani,

tra i 60 e gli 80 anni, dividendoli in gruppi a

seconda dell'esperienza musicale. Il risul-

tato è stato che coloro che avevano più

conoscenza musicale, hanno eseguito me-

glio i vari test cognitivi rispetto agli altri.

"Non c'è bisogno che si diventi tutti dei

musicisti di professione, basta solamente

iniziare fin da piccoli; la durata degli studi

musicali è più importante che continuare a

suonare ad un livello avanzato" dice Bren-

da Hanna-Pladdy, coordinatrice dello stu-

dio. Per quanto riguarda la Musica come

strumento di cura, niente di meglio dell'e-

sempio della Musicoterapia: un ramo della

scienza che adotta la Musica in ambito

terapeutico. Molti ragazzi autistici, proprio

grazie alla Musicoterapia, sono riusciti a

guarire; la Musica, infatti, ha permesso al

mondo esterno di entrare in comunicazio-

ne con il ragazzo e viceversa, favorendo

così un processo di apertura. Inoltre, la

Musica può essere un valido mezzo per

migliorare lo sviluppo sociale ed intellettu-

ale, come dimostra "El sistema", un progetto

nato in Venezuela, che consiste in un siste-

ma di educazione musicale diffusa e pubblica

che ha raccolto tantissimi giovani provenien-

ti da situazioni economiche e sociali disagia-

te, salvandoli dalla povertà e dalla corruzio-

ne. Sono questi vari esempi che testimonia-

no quanto la Musica sia capace di fare e

quanto essa sia importante per tutti e fin da

piccoli. Come dice ancora Daniel Barenboim:

" la Musica non è separata dal mondo; può

aiutarci a dimenticarci di noi e al tempo stes-

so a capirci. In un dialogo fra due persone, si

aspetta che l'altro abbia finito di esprimere

quello che ha da dire, prima di rispondere o

commentare. In Musica due o più voci dialo-

gano simultaneamente, ognuna si esprime

nella forma più piena e al tempo stesso a-

scolta l'altra. Da ciò nasce la possibilità di

imparare non solo LA Musica ma anche DAL-

LA Musica: un impegno che dura una vita."

Flora Fontanelli

"Non è la Musica che ha bisogno di noi, siamo noi che abbiamo bisogno della Musica"

Page 7: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

A TTUALITÀ PAGINA 7

L a motivazione storica per cui l’insegnamento della musica è assen-te nei licei va ricercata nella riforma Gentile del 1923: la musica, infatti,

era vista come un’arte manuale, “artigiana”, e per questo motivo disprezzata nella sua fase di apprendimento e allontanata dalle scuole.

Dopo circa un secolo ancora si crede che essa consista solo in un “piacevole ascolto” di fatto inutile, e poiché acquistare un’abilità anche solo mediocre nello studio di uno stru-mento richiede all’apprendista l’impiego di molto tempo, in molti pensano sia meglio rinunciarvi; nessuna scuola affiancherebbe mai un’ora di musica ad una di storia, matematica o italia-no, senza pensare che essa potrebbe, invece, contribuire ad una loro mag-giore comprensione. Già Aristotele, nel 300 a.C., teneva in grandissima considerazione la musica, sostenendo che “la sua natura è più elevata di quanto non lasci supporre l’uso pre-detto *utile al riposo+. *…+ In realtà nei ritmi e nei canti vi sono rappresenta-zioni, quanto mai vicine alla realtà, d’ira e mitezza *…+ e delle altre quali-tà morali. *…+ Da tali considerazioni è chiaro che la musica può esercitare un qualche influsso sul carattere dell’anima, e se può far questo è chiaro che bisogna accostarle i giovani ed educarli ad essa”.

Cos’è dunque la musica? La definizione più obbiettiva, delle numerose che ne son state date, è quella del pianista italiano Busoni che disse della musica che “è aria sonora”; il suo-no, tuttavia, non è ancora musica, bensì un mezzo tramite il quale ci viene trasmesso il suo messaggio, ovvero il contenuto. Non esiste tuttavia una definizione che chiarisca la natura di questo messaggio che si esprime attraverso il suono; esso ha a che fare con la condizione umana, poiché la musica è scritta ed eseguita da esseri umani, e con molto altro ancora. Da tale conclusione si può dun-que affermare che esistano dei collegamenti tra l’inesprimibile contenuto della musica e l’inesprimibile contenuto della vita. Da una maggiore comprensione della prima, dun-que, ne potrebbe derivare addirittura una maggiore comprensione della seconda.

Daniel Barenboim, uno tra i più grandi musi-cisti e direttori d’orchestra al mondo, è con-vinto che “la musica ci dia anche un altro strumento di gran lunga più prezioso, grazie al quale possiamo imparare qualcosa di noi, della società, della politica. *…+ La saggezza diventa comprensibile all’orecchio pensan-

te”. Come questo sia possibile egli lo spie-ga all’interno del suo libro La musica sve-glia il tempo, frutto di una vita spesa in tali riflessioni e di una profonda conoscen-za della musica.

Partendo da un’obbiettiva osservazione del suono notiamo che esso scompare appena cessa: è effimero, svanisce nel silenzio da cui era nato. Suono e silenzio sono legati da una costante e imprescindi-bile relazione, analoga a quella fra un og-getto e la forza di gravità: un oggetto sol-levato da terra vi ricadrà immediatamente

ubbidendo alla forza di gravità, a meno che non venga applicata altra energia per tenerlo al di sopra del suolo; allo stesso modo, a meno che non si applichi altra energia per sostenerlo, il suono svanirà nel silenzio. La vita di una nota non è infi-nita, la nota muore: sotto questo aspetto la musica è lo specchio della vita. Nel mondo dei suoni, tuttavia, nemmeno la morte è necessariamente definitiva, la “resurrezione” di un suono è una possibili-tà per l’uomo di trascendere i limiti fisici della sua natura. Inoltre, quando si suona, è possibile raggiungere uno stato di pace assoluta, dovuta in parte al fatto che si può controllare, attraverso il suono, il rapporto fra vita e morte, un potere che ovviamente non è concesso agli esseri umani. Un musicista deve possedere la capacità di legare le note, una “semplice” operazione che può insegnare la relazione fra individuo e gruppo. Individualismo e collettivismo non devono escludersi a vicenda: in musica, come nella vita, la fusione delle due cose riesce a potenziare il risultato finale. Inoltre suonare in orche-stra può rivelarsi un’esperienza durante la quale i musicisti imparano dal dialogo dei loro strumenti il reciproco rispetto

l’attenzione per ciò che li circonda

In musica non ci sono elementi indipen-denti: melodia, tempo, ritmo e armonia (alla base di ogni brano musicale) vanno integrati in un insieme organico. Richard Wagner, nel trattato Del dirigere, scrisse: “Solo l’esatta comprensione del melos dà anche l’esatto movimento”. Egli intende-va il melos come la sintesi di parola, mu-sica e azione; secondo Wagner, dunque, la velocità a cui andrebbe eseguito un brano, affinché esso risulti nel miglior modo possibile, si può stabilire solo dopo

un’attenta osservazione di tutti gli altri elementi che lo compongono. Una decisione affrettata rendereb-be schiavi del tempo, come spesso accade anche in molte circostanze della vita; la politica stessa avrebbe da imparare da tale principio musi-cale. La musica non richiede una reinterpretazione (il voler cambiare capricciosamente un piano in un forte) da parte dell’esecutore, bensì un punto di vista (quanto dev’essere sommesso quel piano?). In rapporto alla musica, il coraggio consiste nella disponibilità e nella capacità, per un esecutore, di sfida-re il previsto (cioè la pagina stam-pata), di eseguire un brano senza deformare le intenzioni dell’autore.

Tuttavia una sconsiderata fedeltà alla lettera è sintomo di un inevitabile tradi-mento dello spirito.

Infine, quella che forse è la lezione più difficile per l’uomo – imparare a vivere con disciplina e nondimeno con passione- traspare con chiarezza da ogni frase mu-sicale. In musica è impossibile provare emozioni senza comprensione intellettu-ale, così come è impossibile essere razio-nali senza le emozioni: le emozioni, infat-ti, si esprimono attraverso la tecnica (ampliando o accelerando il tempo, cam-biando il volume, la quantità di suono e l’articolazione); qualsiasi tecnica, a sua volta, non dev’essere usata con ostinazio-ne, poiché è finalizzata sempre e solo all’espressione della musica.

Forse, dunque, la musica è qualcosa di più di un “piacevole ascolto”, forse con la sua potenza ed eloquenza fornisce stru-menti straordinari con cui comprendere meglio la vita stessa. Com’è possibile, tuttavia, approcciarsi a un elemento tan-to grande e potente quando essa è tra-scurata proprio nel luogo che per primo dovrebbe mettere a contatto con nuove realtà? Martina Brandi

La musica sveglia il tempo MAGGIO /G IU GNO 2011

Daniel Barenboim, tra i migliori musicisti e direttori d’orchestra al mondo

Page 8: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

PAGINA 8 C RONACHE CARDUCCIANE

Q uest’anno al liceo Carducci si è creata una classe che durante il secondo quadrimestre ha svolto delle lezioni di teatro. La classe

prescelta è stata la 1°B, ex IVB nonché mia amata classe, e proprio per questo ho pensa-to fosse giusto parlare di questa esperienza che ci ha tanto divertiti. Tutto è partito da una maschera e dai testi di Pirandello, che ci hanno portato a pensare a come ci vedono gli altri, a come un ruolo possa nascondere il vero essere di una perso-na. Dopo diversi mesi di prove ci siamo accor-ti tutti quanti di quanto fossimo migliorati sia sul palco sia nella vita di tutti i giorni. Abbiamo partecipato a LAIV Action, un festi-val di laboratori di arti interpretative dal vivo, insieme ad altre scuole della Lombardia, e qui abbiamo potuto mostrare a tutti il lavoro di

tanti mesi. È stata un’esperienza che ci ha fatto soprattutto superare la tensione prima di andare in scena e ci ha resi più coraggiosi. Tutto questo è stato possibile soprattutto grazie alle nostre insegnanti e a Miche-la, la nostra regista che ci ha seguito passo passo in questa esperienza facendo anche lezioni extra rispetto a quelle stabilite. Dopo gli spettacoli a

scuola di lunedì 30 e

martedì 31, la nostra

carriera teatrale è

finita momentanea-

mente, ma noi spe-

riamo che potrà continuare anche il prossi-

mo anno.

Chiara Mazzola

Voi non saprete mai

ANNO V — NUMERO VI

Antologia aneddotica di leggende carducciane vol. 1

Q uesto ritaglio di pagina ha due finalità: la prima è “istruttiva” e dedicata al ginnasio, la seconda funge da “rinfrescata di memo-

ria” ed è dedicata al liceo. Non mi prepon-go di raccontare la verità e l’oggettività dei fatti, ma solo un edulcorato ricordo, per aneddoti e fatti rilevanti, della recente storia carducciana. Nel primo volume trat-terò del periodo carducciogonia-2008/2009.

“Canta o Musa la rovinosa origine dei fatti/ che ancora oggi infiniti adducono lutti ai carducciani, / e molte anzi tempo nella disgrazia travolsero alme di studen-ti, / e alla matematica e alla fisica lor sal-me abbandonarono / (Si compiva il consi-glio di Zeus), / da quando per la prima volta si divisero litigando il Settembrini e il nobile Carducci”.

“Questa è l'esposizione della ricerca di Eleonora di Milano, perchè le azioni dei carducciani con il tempo non vengano dimenticate, e perchè le imprese grandi e meravigliose, messe in mostra sia da parte di questi sia da parte dei settembriniani, non restino senza gloria, oltre a tutto ciò, e in particolare, per quale causa combat-terono gli uni contro gli altri”. [Liberamente ispirato alla σφραγίς delle Storie di Erodoto]

In principio era il Carducci, che prosperava e fioriva serenamente. Un giorno, però, a causa di un brutto voto, uno studente

peccò di ubris, e Zeus, infuriato, pose a fian-co della nostra scuola un orrido edificio, il Settembrini, (che oggi potete ammirare ristrutturato) contenente tutti i mali del mondo. Da questo vaso di Pandora scaturi-rono discordie, odi, tristezze; dal Settembri-ni scaturirono anche l’idea di debito a set-tembre e quella di bocciatura. Eppure non erano questi i mali peggiori, bensì gli ignobili abitanti dell’edificio, soprannominati “le bestie”, che importunavano le ragazze nelle ore di educazione fisica, spaventavano i quartini in viale Brianza, lanciavano rispetti-vamente neve in inverno e uova d’estate, oziavano tutto il giorno e urlavano insulti dalle finestre. Dopo la mitica età dell’oro, de l l ’a l luminio, del rutherfordio, dell’ununhexio e dopo un lungo e buio me-dioevo carducciano, si giunse al 2008, anno di fondazione del giornalino indipendente “Satura Lanx”, oggi decaduto; il giornalino era nato a seguito dell’articolo di quella che sarebbe diventata la redattrice capo di Satu-ra Lanx, Martina La Stella (Ideatrice anche della rubrica “Il dottor Sesso”), la quale de-nunciava l’offesa che riteneva di aver subito da parte della DS. L’anno dopo, con l’ascesa al potere di Vittorio Riva nella redazione dell’Oblò, alcuni ragazzi (tra cui la sottoscrit-ta), con una secessione, fondarono il secon-do giornale scolastico indipendente, il “The Fool”, che uscì, nel 2009, con due soli soffer-ti numeri densi di scempiaggini, che però furono parecchio apprezzate. L’attuale reda-zione dell’Oblò è una fusione delle tre. Sem-

pre in quel mitico anno 2008/2009, ci fu eccezionalmente una quarta lista candida-ta alle elezioni d’Istituto, “Ad abundan-tiam”, il cui punto di forza era il ballo di fine anno; proponeva anche pace e amore per tutti, la media dell’8 per gli elettori e brioches gratis tutti i giorni. Quell’anno si fece anche la prima cogestione di due gior-ni(miracolo!): la tradizione narra che du-rante l’organizzazione dell’evento uno studente, quando scoprì che Aldo Giovanni e Giacomo non sarebbero potuti venire a tenere il gruppo promesso, preso dalla foga, avesse tirato un fortissimo pugno al muro dell’aula studenti, sfondandolo: il buco, tuttora esistente, fu prontamente coperto dal cartello “Aula Studenti”. Un altro aneddoto eroico fu il ratto delle scar-pe dei professori teatranti; alcuni ragazzi si infiltrarono negli spogliatoi della palestra, rubarono le scarpe, e le posizionarono sulle scale a mo’ di passo umano… All’ultimo giorno di scuola, con ottimi mu-sicisti, passammo di classe in classe can-tando “Maturità” sulle note di “Sincerità”, finché la Preside non ci fermò accusandoci di disturbo della quiete pubblica. All’uscita da scuola ci fu una sensazionale pioggia d’acqua, uova e farina a cura dei maturan-di, che, colti in flagrante da un docente, si sentirono dire con diabolico sorriso “Ci vediamo all’orale”.

Spero abbiate apprezzato l’antologia, alla prossima! (Devo l’idea di un articolo aned-dotico ai racconti del Professor Rocculi)

Eleonora Sacco

Foto di Claudia Chendi

Page 9: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

poco alla fine della scuola! E un buon augu-

rio ai maturandi, resistete fino a Luglio!

Maria Calvano

PAGINA 9 C RONACHE CARDUCCIANE

Pagellini del trofeo Perrone

MAGGIO /G IU GNO 2011

MEZZAQUI: VOTO 8. Si palesa solamente nelle prime due apparizioni; salta la parte migliore (causa distorsione della caviglia). C'è un detto che dice "pochi ma buoni", lui prende appunti e mette in pratica la massi-ma: porta la squadra al giro di boa con un solo goal immediato e una porta pratica-mente inviolata, come una vergine vestale. Si sente Julio Cesar e non fa passare nessu-no, nemmeno Napolitano se facesse una richiesta scritta. SARACINESCA. FINOTTO: VOTO 8,5. Il Capitano. Diga di centrocampo. Corre tanto, lascia i polmoni normali a casa e mette quelli bionici per continuare a fare avanti e indietro senza problemi; quando sale in attacco, lascia sempre il segno, tutto merito del suo viziet-to del goal. Gioca stoicamente in difesa lasciando passare solo qualcuno, giusto perchè è un suo amico, visto che lui ha un cuore d'oro. Nei primi due incontri segna con facilità; nella seconda parte di torneo assume il potere esecutivo del suo ministe-ro: Ministro della Difesa. INSTANCABILE. GUGLIELMETTI: VOTO 9. E' l'indiscusso mi-gliore in campo del Torneo. Faro di centro-campo, della difesa e dell'attacco. E' onni-presente. Le prime due le gioca con estre-ma facilità di calcio sbagliando quasi niente. All'inizio della seconda giornata parte in prima, poi mette direttamente la quarta, sgomma e via. Regala assist a iosa come si comprano ad Aprile le uova di Pasqua. Cer-cano di fermarlo in tutti i modi, inutilmente. Cambi di gioco, sciabolate morbide e caval-cate fin dentro l'area sono appena un anti-pasto delle sue capacità. Quando ha la palla

tra i piedi si è sicuri, è in cassaforte. Quan-do è nell'area o regala la felicità del goal ai compagni, oppure con estrema tranquilli-tà la mette dentro. Quando bisogna sbloc-care la partita si carica dell'onere e, pren-dendo per mano la squadra, la porta al goal. La paura fa novanta, lui almeno cen-toventi. IMMENSO. CATALANO: VOTO 8,5. La mette dentro più volte, ma da lui ci si aspetta molto di più. Nelle prime due partite decide di re-galare più assist che metterla dentro. Cor-re, sta per lo più in attacco. E' sempre libero, lo servono con incredibile semplici-tà, lui però non ripaga sempre con il goal. Al giro di boa sblocca la prima partita del girone dopo dieci minuti e da lì poi è tutto in discesa. Sbaglia troppo sotto porta, eccessivamente sprecone. Con i suoi movi-menti crea grandi spazi in attacco per gli inserimenti decisivi dei suoi compagni. Probabilmente mette la parola fine in fina-le con il terzo goal, su assist -neanche a dirlo- di Guglielmetti. Può fare di meglio. ESSENZIALE. LORENZI: VOTO 8. Acquisto dopo il giro di boa. Risponde presente all'appello e non fa rimpiangere nessun altro sostituto. Stoico e duro in difesa, piuttosto ci lascia una gamba ma non li fa passare. Gioca bene con molta facilità, pecca a volte nell'azione solitaria e alcuni tiri sono trop-po fuori misura. In difesa e centrocampo è come Lucio; ci mette la giusta cattiveria sportiva e quando parte all'attacco nessu-no lo ferma. Va dritto per la sua strada, non gli manca certo il vizio del goal. Ci

rimette pure un piede, ma in finale non può mancare. INDISTRUTTIBILE. FRANCIOLI: VOTO 8. Acquisto anche lui dell'ultima ora. Mette a posto i tacchetti alle scarpette e scende in campo con la giusta decisione. Fa il ruolo del vero attac-cante. Corre in attacco da una parte all'al-tra. Si muove come il miglior Milito della Champions League 2010. La mette dentro con semplicità e segna sempre nei mo-menti decisivi. E' al posto giusto nel mo-menti giusto, quando l'appuntamento è con il goal. Si fa trovare sempre pronto. DECISIVO. SQUADRA: VOTO 9. Porta a casa la vitto-ria del torneo, passando attraverso partite non del tutto semplici. Chiude le prime due apparizioni con 6 punti - il massimo. Finisce il girone con 12 punti, a punteggio pieno. Gioca la semifinale con la giusta cattiveria, con una squadra -la ex IIIB- che era al suo livello. Arrivati in finale, sbloc-cata la partita, diventa tutto semplice. Vincono facile per 8-1. ATTACCO: VOTO 10. Con una media di almeno 7 goal a partita vince giustamente il titolo di squadra più prolifica del Torne-o. INSAZIABILE. DIFESA: VOTO 8,5. Subisce un solo goal nelle prime due partite e poi qualcuno di troppo nella seconda parte. Nella semifi-nale ne prende solo 2 e in finale 1. LINEA MAGINOT. Il secondo anno che portano a casa la coppa; ormai sta diventando faccenda privata. A cura di Luca Catalano

Maggio al Carducci Otto verifiche a settimana, minimo tre inter-

rogazioni al giorno: questo è Il liceo classico

Giosuè Carducci, uno dei licei più difficili e

rinomati in tutta Milano, nel mese di Maggio.

In questo periodo dell’anno la scuola si divide

nettamente in tre fazioni: quella dei

“secchioni”, che non sentono la differenza

dall’inizio dell’anno perché hanno sempre

studiato con costanza e continueranno a

farlo; quella di “coloro che stanno nel mez-

zo”, che se la cavano senza fare della scuola

una malattia e che riescono a uscire ugual-

mente con buoni voti vivendo una vita me-

diamente normale, e infine quella dei “medio

-scarsi” che vagano sul cinque e che nel mese

di maggio si svegliano dal letargo, facendo

salti mortali per avere la sufficienza piena. In

generale però la situazione è critica per tutti:

le condizioni meteorologiche non permetto-

no un alto livello di concentrazione e l’ansia

dei debiti riesce a sopraffare il proprio stato di

calma ed equilibrio interiore. Nell’ultimo peri-

odo si è anche

costretti a rinun-

ciare alle proprie

attività e ai propri

sfoghi, poiché

anche per studiare

poche pagine si

impiega il doppio

del tempo per via

della stanchezza e

dell’ansia, provo-

cate appunto da

quest’ardua scuo-

la. Pertanto, Car-

ducciani, facciamo-

ci coraggio, manca

Foto di Maria Calvano

Page 10: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

PAGINA 10

R omolo er mejo de Carducceo

Spettacolo, immancabilmente a carattere storico, inscenato dal gruppo di teatranti composto di docenti, sotto la direzione di Mi-

chela Blasi.

L'opera è tratta dal testo drammaturgico di Friedrich Dürrenmatt, figura innovatrice nel teatro in lingua tedesca del '900, da sem-

pre impegnato nella denuncia dei drammi sociali - specialmente se tipici della società svizzera - grazie a testi e opere drammaturgi-che grottesche.

"Romolo il grande" racconta di Romolo Au-gusto, per gli amici Romolo Augustolo, ulti-mo imperatore dell'impero romano d'occi-dente, tutt'altro che degno della gloria dei suoi predecessori. L'imperatore appare fin da subito un capo di stato inetto, più preoccu-pato ad abbuffarsi di cibo e curare i suoi pol-li, che ha chiamato tutti con nomi di grandi personaggi romani del passato, che a badare all'impero. Sullo sfondo della Roma decaduta del V secolo d.C., Romolo non bada alla poli-tica, ai rapporti con gli stati confinati, a come rimpinguare le casse statali vuote, né – gli dei ce ne scampino - a come affrontare il problema della crescente immigraz... invasio-ne dei barbari, anzi, germani, provenienti dal Nord. Per guadagnare qualcosa, nel frattem-po, vende i busti degli antichi imperatori a qualche avaro antiquario.

Data la scellerata noncuranza dell'ingordo imperatore, un ricco commerciante di Skifi-dols – già, quegli orribili oggetti dalla dubbia utilità fatti al 100% di plastica maleodorante, così inutili che, se li regalate a vostro cugino, probabilmente li rifiuta – dall'alto della su-premazia economica della sua azienda deci-de di proporre un accordo di fusione tra il

suo impero economico e quello effettivo romano per la mano della figlia dell'impe-ratore, Rea, aspirante attrice drammatica. A questo proposito mi permetto di inserire gratuitamente una nota d'elogio alla pro-fessoressa Sernagiotto, che ha interpreta-to la parte in maniera magistrale e al con-tempo esilarante.

Come potrete facilmente intuire, nel testo del buon Dürrenmatt non si parlava di

oggetti di plastica, ma Cesare Rupf era un grande commer-ciante di pantaloni, che a quell'epoca erano divenuti di gran moda.

Seguono varie peri-pezie e complicazioni di trama che non cito unicamente per non infierire sul carduc-ciano medio (Ciao Gianni!), che è stoica-mente arrivato all'ul-tima settimana di scuola e va premiato,

quindi svelo il finale.

Spoiler: nella seconda metà della tragi-commedia si scopre che Romolo tanto ingenuo non è, ma, anzi, con sorprendente semplicità e raziocinio spiega il motivo di quella che ai più appariva come noncuran-za, ma che in realtà si rivela essere una sottile linea politica. L'uomo politico diven-ta giudice e boia di un impero ormai in decadenza, ma che aveva costruito le pro-prie basi su corruzione e sangue; a che pro opporsi al suo naturale declino?

Ecco poi irrompere sulla scena Odoacre e seguaci, per poi scoprire che anche il condottiero germano non è altro che un pollicoltore. Paese che vai…

Il testo chiaramente è intriso di frecciate rivolte sia all'antica Roma, sia agli intra-montabili vizi dei potenti, e vuole essere un monito contro la guerra e lo stretto rapporto tra denaro e potere.

Degno di nota è ovviamente il confronto con “l'altro”, che nonostante il passare degli anni si ostina ad essere un tema scottante anche nell'Europa del 2011; sarebbe certo molto più semplice se sco-prissimo anche noi i vari punti in comune con chi tanto ci spaventa, almeno per capire e rispettare chi è diverso.

Chiedo perdono agli altri dieci teatranti che non ho citato prima: che la vostra ira non si abbatta su di me, perché, anche se i vostri nomi si trovano alla fine dell'arti-colo, ciò non significa che non siate stati altrettanto esilaranti o talentuosi. Anzi, vivissimi complimenti a chi, non contento del costante rapporto con un pubblico tutt'altro che semplice (Applauso a tutti i carducciani medi), ha deciso con estremo masochismo di mettersi in gioco su un palco diverso.

Si ringraziano quindi per la loro perfor-mance: Maria Chiara Cappelli, Gennaro di Leo, Giorgio Giovannetti, Catia Gusmini, Elisa Mascellani, Franca Piergallini (che neppure le stampelle riescono a ferma-re), Sandra Proietto, Roberta Romussi, Rossella Sannino e Daniela Tabiadon.

E già che ci sono auguro buone vacanze a tutti i pollicoltori! Laura Vitale Lollo

ROMOLO IL GRANDE, UNA COMMEDIA

STORICA CHE NON SI ATTIENE ALLA STORIA

ANNO V — NUMERO VI C RONACHE CARDUCCIANE

Il Prof. Di Leo e il Prof. Giovannetti

Foto di Gaia De Luca 4H

Foto di Gaia De Luca 4H

Page 11: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

PAGINA 11 MAGGIO /G IU GNO 2011 C RONACHE CARDUCCIANE

O kay, ultimo articolo (si spera) che scrivo sull’Oblò (e ultimo articolo che consegno in ritar-do, per la gioia degli impagi-

natori): che dire? Che, nonostante la vo-glia di scoprire cosa riservi il futuro, un po’ dispiace di aver finito il liceo.

Dispiace, ora che al pianeta Carducci mi sono abituato: ora che mi sono fermato a scuola dopo le lezioni talmente tanti po-meriggi che al bar posso ordinare “il soli-to”; ora che so che oltre le scale del terzo piano non c’è il nulla ma un quarto piano, in cui non ci sono guerriglieri pronti a tendere un’imboscata, ma delle finestre da cui si può apprezzare una discreta pa-noramica dell’Istituto; ora che è cessato il mio odio feroce verso i cani del condomi-nio che dà sul campo di basket; ora che sono tra i veterani, i boss della scuola, gli unici a poter “fare brutto” ai ginnasiali e terrorizzarli a morte citando Tacito, Hegel o la definizione di derivata.

Dispiace, perché ci sono cose che rim-piangerò di non aver fatto: non aver sfrut-

tato abbastanza gli orologi funzionanti dei corridoi (ho notato per la prima volta che funzionavano solo pochi giorni fa, io sapevo che fossero addirittura progettati per non funzionare); non aver mai prele-vato un campione della muffa del terzo piano per poi osservarlo al microscopio; non aver mai passato una notte a scuola, dormendo sotto i gradoni dell’omonima aula; non aver mai provato tutti e 26 i bagni della scuola (contarli è stata co-munque un’esperienza esaltante (tra l’altro deve esserci un sistema fognario notevole, i muri che pensiamo pieni di cemento in realtà sono pieni di tubi!)).

Dispiace, perché di molte cose sentirò la mancanza: dell’allarme antincendio che impazzisce; delle faide durante le assem-blee che precedono le elezioni per il CdI; degli studenti che, una mattina all’anno, offrono la colazione (e io proprio quella mattina, non sapendolo, arrivo a scuola già con una confezione di croissant e litri di latte nello stomaco); della cogestione (in cui non si sa a quale attività bisogna

partecipare prima, non si sa a quale attività si sta partecipando durante e non si sa a quale attività si è partecipa-to dopo); delle scottature che, nono-stante la crema solare a protezione 30, ogni anno al Langè si prendono inevita-bilmente; dell’enorme orologio di piaz-zale Loreto, che ogni mattina, senza pietà, mi rinfaccia il mio ritardo; e infi-ne del buon vecchio Oblò sul Cortile, che, privato dei suoi padri, l’anno pros-simo sarà in mano ad un manipolo di quasi sole donne, che mi auguro non lo riducano ad una rivista di gossip o, peggio ancora, ad un covo di neo-suffragette (Ma noi abbiamo fiducia in loro…).

D’altronde se tutto finisce, anche i giorni in cui si ha la sesta ora, prima o poi deve finire anche il liceo. In fondo sono in questa scuola da troppo tem-po: quando sono arrivato, i windows xp dell’aula informatica erano l’ultimo modello!

Dario Elio Pierri

Tutto finisce, anche il liceo

Orchestra Carducciana News

Forse non tutti sanno che sabato 14 maggio l'Orchestra Carducci si è per la prima volta esibita al di fuori della nostra scuola, ospite niente di meno che dell'Auditorium Mahler in occasione della rassegna "Giovani e Giovanissimi in Con-certo". La nostra esecuzione ha riscosso successo unanime, gratificando una prepa-razione portata avanti per mesi. Colgo l'occasione per comunicarvi che nel corso della medesima manifestazione ha debuttato l'Orchestra degli Studenti di Milano, gruppo di cui fanno parte numerosi strumentisti del Carducci. Vi invitiamo quindi a dare un'occhiata di persona, su YouTube o sulle rispettive pagine di Facebook, alle esecuzioni delle due orchestre!

Suoni? ORCHESTRA DEGLI STUDENTI DI MILANO

“L'Orchestra degli Studenti di Milano” nasce con lo scopo di unire in un grande gruppo di musica

d'insieme strumentisti provenienti da ogni scuola superiore della Provincia di Milano; è un progetto

della Consulta degli Studenti della Provincia di Milano e, in quanto tale, è totalmente gestito da studenti ad eccezione dell'aspetto artistico, affi-

dato a Maestri professionisti.

Vorremmo dare coscienza di sé e unitarietà alla sterminata, ma frammentaria, collettività musica-le milanese, specialmente nella fase delle supe-

riori, quando spesso viene abbandonato lo studio di uno strumento per mancanza di stimoli o di

occasioni di confronto e di valorizzazione.

Crediamo che suonare insieme, oltre ad avere un forte valore sociale ed educativo, sia una compo-nente irrinunciabile dello studio in campo musi-cale, se non addirittura il suo scopo ultimo, e che per questo il numero maggiore possibile di stu-denti debba avere l’occasione di farlo ad alto

livello.

Le iscrizioni per il prossimo anno di attività, il secondo dalla sua fondazione, sono aperte: per

entrare a farne parte o per maggiori informazioni basta scrivere all'indirizzo e-mail orchestradegli-

[email protected]

Foto di Luca Spinicci 5F

Page 12: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

PAGINA 12 CULTURA ANNO V — NUMERO VI

“Tempus agit, effluit vita”, theatrum etiam!

Loris Fabiani è un attore teatrale diplomato nel 2008 all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico di Roma e oggi lavora per il Teatro dell’Elfo di Milano. Dopo l’esperienza personale che l’ha visto impegnato per un paio d’anni nel suo lavoro “Lunanzio e Lusil-la”, spettacolo scritto, diretto e recitato da lui e che ha vinto la borsa teatrale Pancirolli, Loris Fabiani ha inter-pretato Demetrio in “Sogno di una notte di mezza estate” e Lockwood in “The history boys” per il Teatro dell’Elfo, ha lavorato per il Teatro Litta e nel mondo del cinema ha interpretato piccoli personaggi nei film “Il grande sogno” e “Vallanzasca” di Michele Placido. Il 26 marzo scorso ho assistito alla rappresentazione del suo spettacolo “Lunanzio e Lusilla” al Teatro Arsenale e, rimanendo affascinata dalla forza e dalla passione spese in questo progetto, ho deciso di domandare direttamente al prota-gonista quale ne sia stato il motore, quale la “fiamma” scaturente, che da lui è detta esse-re protetta tuttora, dopo quattro anni di la-voro su questo stesso testo.

Quando ti sei avvicinato al teatro, come è nata la tua passione?

Al liceo c’era una corposa attività teatrale. Venivano rappresentati spettacoli in ambito scolastico e dopo avervi assistito il primo anno ho deciso di parteciparvi nei seguenti. Mi ha subito colpito l’aspetto professionale di questa attività, fortunatamente: non si tratta-va solo di emotività o di egocentrismo. Ciò che mi piaceva era il fatto che la gente ascol-tasse la storia che raccontavo e che questa fosse organizzata proprio per essere portata al pubblico.

Quale è stato il tuo percorso formativo?

Non avrei nemmeno voluto finire il liceo, ma era impossibile (non esistono accademie che non richiedano il diploma per l’iscrizione).

Così ho trovato una scuola a Varese, in cui frequentavo dei corsi nel weekend. Subito dopo la maturità ho tentato il provino alla Silvio D’Amico, ma non sono stato preso. Ho frequentato il Cta di Milano nell’anno succes-sivo e poi ho ritentato nelle scuole più impor-tanti d’Italia: sono passato a Roma, alla Paolo Grassi (Milano) e a Udine, ma sono rimasto su Roma. Quell’anno sentivo di essere pron-to: è possibile capire qual è l’anno giusto, e anche i professori capiscono quando sei pronto ad “assorbirne” gli insegnamenti.

Quando sei uscito dalla Silvio D’Amico come hai trovato lavoro, chi ti ha aiutato?

L’Accademia mi ha aiutato molto poco, non ha un teatro di riferimento (come invece il Piccolo di Milano). Ho inve-stito tutto su Mila-no, dove il teatro è più fertile. Nei primi due anni ho costruito cose mie (lavorando princi-palmente su “Lunanzio e Lusil-la”), in uno spazio

che mi sono trovato vicino al teatro Ciack, e ho affrontato piccole esperienze recitative. Successivamente sono stato ammesso alla “corte” dell’Elfo con un pro-vino nazionale. Nel frattem-po sono stato contattato da Michele Placido per “Il gran-de sogno” (10 pose), e ricon-fermato ultimamente per 1 posa in “Vallanzasca”.

Come ti sei approcciato alla drammaturgia e alla regia?

Nel mondo del teatro può accadere che autore e inter-prete coincidano: mi è capi-tato di scrivere un testo che si adattasse alle mie esigen-ze e al mio modo di recitare. Per il momento, riesco e-sclusivamente a scrivere testi per “Lunanzio e Lusil-la”, in quanto si declinano da me automaticamente e perciò dramma-turgia, regia e interpretazione sono una tutt’unica cosa. Sto portando avanti un mio progetto, ma non per questo mi sento di essere scrittore o regista.

Qual è lo spunto da cui nasce “Lunanzio e Lusilla”? Quali sono state le difficoltà di por-tarlo in scena e di farlo vivere in teatro?

Lo spunto è nato da alcune lezioni in accade-mia sul teatro antico: lì per gioco ho scritto il

primo monologo di Lunanzio, partendo dall’immaginario che abbiamo della lette-ratura italiana classica (da Dante ad Alfieri, dal Tasso a Goldoni). Ispirandomi a questo bagaglio culturale ho voluto portare al pubblico un’aria nuova, pur andando a guardare al nostro passato. Il mio modo di recitare in “Lunanzio e Lusilla” lo hanno tutti in mente, poiché parte da un gioco sulla tradizione italiana: ho offerto un’aria di novità che nel teatro italiano non c’è più. L’impegno è stato duro e costante, anche se in un ambiente di amici. Da ora in poi mi divertirò esclusivamente nel ripro-porlo ancora. Lo spettacolo è “regalato”attraverso gag (la cui parte im-portante sono i tempi), utili a comunicare al pubblico, che attraverso la risata coglie lo spettacolo. Nel tempo questi “lazzi” vengono aggiornati, integrati o eliminati, secondo la reazione del pubblico o la loro utilità nel testo.

La lingua in cui hai scritto la sceneggiatura è tratta da qualche modello in particolare o hai proceduto “a orecchio”?

Lo stile è preso dalle suggestioni che gli italiani, e io in particolare, hanno avuto dal liceo: tutti lo riconoscono. L’ho ritrovato nel nostro tessuto culturale. Rileggendo la Mandragola di Machiavelli ho notato nu-merosi elementi del testo che io ho utiliz-

zato molto in“Lunanzio e Lusil-la”. Di indole voglio far ridere, non ho scritto un testo oniri-co o psicologico. Il messaggio non è per questo meno profon-do, ma non porta una vera morale dal pun-to di vista testuale. L’unica morale che voglio dare è quella del gioco teatrale, della teatralità che può dare stimolo al gioco.

Da chi è stato pro-mosso lo spettacolo?

Lo porterete ancora in giro?

La prima volta è stato appoggiato dall’associazione che mi segue, Ars Factory Florilegio, e di cui ora sono responsabile teatrale. Tra il secondo e terzo anno di Accademia ho fatto un tour con Florilegio nelle piazze d’Italia, poi abbiamo portato lo spettacolo nei festival e infine in teatro (con l’aggiunta delle pareti e, soprattutto, della quarta parete!). Per ora non ci sono previsioni.

LUNANZIO E LUSILLA – La Trilogia “Nel primo episodio vedrete come sboccia l’amore tra i due. Nel secondo, trascorsi diversi anni di vita di coppia, conoscerete le sofferenze d’amore di Lusilla. Nel terzo sarete accompa-gnati all’inferno, dove si ritrova Lusilla morta, e sola. Ma uno spirto condurrà Lunanzio a ripren-derla, per riportarla alla vita”. Loris Fabiani

Spettacolo brillante e ironicamente aulico sulle

sorti di due innamorati della tradizione classica

italiana.

Loris Fabiani e Alessandro Marverti in “Lunanzio e Lusilla”

Loris Fabiani

Page 13: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

PAGINA 13 CULTURA MAGGIO /G IU GNO 2011

Non voglio “buttarlo” in qualsiasi teatro mi proponga di farlo, né mi dedico a una promo-zione selvaggia, altrimenti lo deturperei. Cer-to, vorrei arrivare in teatri importanti, ma per ora non mi sono mosso molto per farlo.

Hai lavorato anche al cinema, come è avvenu-to? Preferisci teatro o cinema? Ora cosa vor-resti fare?

Preferisco teatro e vorrei fare teatro. Ho visto il cinema ai massimi livelli, che è affascinante, ma preferisco tuttora il teatro. Anche nel cinema è avvenuto tutto molto serenamente: Placido mi ha scoperto a teatro, è lì che gli sono piaciuto. Sia nel teatro che nel cinema mi sono fatto con le mie forze, fortunatamen-te.

Come vedi il futuro del e nel mondo del teatro?

Per sopravvivere in maniera più serena l’attore deve avere anche delle proposte che vengano da lui. Al giorno d’oggi è importante far crescere la propria immagine in maniera più multimediale.

Perché pensi che sia importante fare teatro oggi?

Bisogna sempre più lottare per far vedere che quello dell’attore è un lavoro, non un hobby. Molti si buttano per egocentrismo, distraendo un pubblico che è sempre più educato a un teatro meno professionale. Per difenderci da questo dobbiamo mostrare al pubblico l’aspetto della professione nella nostra passio-ne. Le riflessioni offerte dal teatro e anche lo

svago che c’è in esso devono essere per il pubblico, non per gli attori stessi.

Come pensi si possa portare il teatro alla gente? E la gente a teatro?

Sinceramente, non lo so. Oggi è un teatro grande a portare a sé la gente: è sempre più difficile destare interesse.

Quando un attore si sente utile al suo pub-blico e come?

Quando sente che ciò che sta facendo è offerto sinceramente e vi ha compiuto sopra un lavoro, quando non è un’esibizione di sé. Il teatro deve essere usato come luogo di gioco e l’attore deve sentirsi utile quando ha costruito qualco-sa. Chiara Compagnoni

Chi di noi, fin dal primo anno, non ha odiato le troppo frequenti e ridondanti frasi di Cice-rone sul proprio eroismo e la perversione del suo terribile avversario, Catilina? Quanti, al solo sentire nominare Catilina, non si immaginano l’efferato criminale avido di potere, “qui multa nefanda stupra fece-rat”? In realtà egli agiva secondo i principi dell’antica Roma repubblicana e desiderava, tramite un programma legislativo ben defini-to, ma forse un po’ troppo radicale, mettere fine alla crisi economica e sociale che da 60 anni colpiva Roma. Prima di usare la forza, Catilina tentò diverse volte la via legale per il consolato: fu bloccato nel 65 e 64 a causa di processi atti a impedirne la candidatura, infatti la legge escludeva di potersi proporre per una magistratura se sotto inchiesta. Le denunce fatte a Catilina riguardavano la presunta concussione che avrebbe perpetrato durante il suo governo in Africa, dove fu mandato in qualità di propretore; è però risaputo che si trattò di manovre politiche, infatti lo stesso denunciatario ritirò presto le accuse, e Catili-na, difeso da Ortensio, venne assolto. » cìCu-rioso sapere che lo stesso Cicerone si era proposto come avvocato difensore, forse per ingraziarsi il probabile collega console negli anni successivi. L’anno successivo si candidò per il consolato dell’anno 63, i candidati erano sette, e tran-ne Cicerone, nessuno di essi era un perso-naggio di un qualche peso politico. Per far sì che Catilina non venisse eletto, Cicerone stipulò un accordo con un terzo candidato, in modo da potersi spartire i voti (poichè i consoli erano due, ogni romano poteva esprimere due preferenze nella vota-zione). Troviamo conferma di ciò in uno scrit-to dello stesso Cicerone. Contribuirono all’insuccesso di Catilina, che si classificò

terzo per pochissimi voti, anche Crasso e Cesa-re, prima suoi alleati, che gli preferivano un personaggio malleabile e meno radicale. L’ultimo tentativo di elezione avvenne nel 63, per il consolato del 62. Catilina, abbandonato da tutti i suoi alleati politici, correva da solo e con il solo sostegno della plebe. Il console in carica, Cicerone, sporcandosi le mani come non conveniva ad un personaggio del suo calibro, fruì di vari trucchi per sfavorire Catilina: oltre alle note orazioni nelle quali dipingeva come un mostro il suo acerrimo rivale, fece in modo di posticipare le elezioni di più di due settima-ne; così facendo, la grande massa di contadini accorsa dalle campagne per votare Catilina dovette tornare alle proprie case, non avendo i mezzi per reggere una così lunga assenza dai campi. Questo prolungamento della campagna permise agli aristocratici dotati di più mezzi di ottenere voti, avendo più tempo per elargire doni ai votanti. Ma perchè in tutti i modi si cercò di fermare Catilina? Il suo programma radicale si focalizza-va intorno a due punti atti a favorire la plebe: uno era la lex Valeria (una riforma agraria in stile Gracchi) l’altro era la cancellazione dei debiti. La legge Valeria avrebbe dovuto ridistri-buire l’ager publicus (occupato abusivamente dai ricchi proprietari terrieri, per lo più patrizi) tra i cittadini più poveri tramite lotti. Ai ricchi a cui sarebbero state espropriate le terre, queste sarebbero state restituite nelle colonie conqui-state da Roma; il problema era che anche quel-le terre erano già occupate abusivamente dai patrizi. Invece la cancellazione dei debiti era dannosa soprattutto per i cavalieri: tale, infatti, era la classe sociale che contava più creditori. Sconfitto per l’ennesima volta, Catilina organiz-za la congiura, mirata a sostituire i consoli. Raduna quindi i suoi compagni, quelli che cre-devano in lui e nei suoi progetti: si pensa a un piano per riuscire a marciare sull’ormai corrot-ta Urbe. Tra i congiurati però vi era un tradito-

re, Quinto Curio: egli riferiva ogni singolo particolare –il motivo non lo sappiamo- alla moglie la quale andava dritta dritta a riferirlo a Cicerone, che in quell’anno era console (il 63). Si giunse cosÏ al giorno in cui il famoso oratore pronunciò la ancora più famosa prima Catilinaria. Era una gior-nata di novembre, e il Senato era in fibril-lazione. Catilina, audacemente, si presen-tò alla seduta: si dice che nessuno volle sedersi di fianco a lui. Cicerone, dunque, cominciò la sua orazione e Catilina rimase ad ascoltare, anche se dentro di lui stava divampando un'incontrollabile ira: tuttavia non rimase per tutta l’orazione, non ce la fece. Uscì furente tra le grida e gli insulti di tutti i senatori. Decise tuttavia di andare in esilio volonta-rio, per non destare sospetti. Fuggì dalle truppe a lui fedeli che stanziavano in Etru-ria, mentre affidava il comando della si-tuazione di Roma a un certo Cornelio Len-tulo. Catilina voleva marciare su Roma non appena Lentulo avesse fatto insorgere la plebe; Lentulo, invece, aspettava che Cati-lina attaccasse, prima di far insorgere la plebe. Per questo fraintendimento si perse molto, preziosissimo tempo. Alla fine, a causa di un tradimento, i catilinari a Roma furono scoperti e condannati a morte per ordine del console, Cicerone. Tuttavia, come si sarebbe dovuto fare attenendosi alla legge, fu proibito loro di appellarsi al popolo per evitare la sentenza di morte. Comunque, morti i suoi compagni di Ro-ma, Catilina decide di andare verso nord, nelle Gallie: lì v’erano molti che appoggia-vano il suo movimento. Tuttavia gli fu sbarrata la strada sia davanti che dietro di sè: a Fiesole, quindi, andò valorosamente incontro alla morte, e "il suo corpo fu ri-trovato lungi dai suoi, circondato dai cada-veri dei nemici."

Giovanni Fumagalli e Pietro Klausner

Catilina -Ciò che l'informazione di regime non ti ha mai raccontato-

Page 14: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

I l PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano ospita, per la prima volta in Italia, la mostra di Tony Oursler, intitolata Open Obscura. Tony Oursler è nato a New

York nel 1957, ed è diventato famoso grazie alle sue opere multimediali, capaci di mescola-re scultura, proiezioni video e registrazioni vocali per creare composizioni davvero straor-

CULTURA ANNO V — NUMERO VI

È la domanda che ci siamo posti al

mattino: abbiamo veramente passato

tutta la notte a fotografare, scrivere,

riprendere e disegnare Milano dal

tramonto del Duomo fino all'alba della provin-

cia, in un van, inutilmente? Volevamo ragionare

con voi su come le persone, gli spazi e le relazio-

ni fra essi cambiano allontanandosi dalla grande

città in una notte sola; ma tutto si è trasformato

in qualcosa di diverso, e siamo lieti di presentar-

vi: "INVANO?", più che una mostra, un'atmosfe-

ra. (Dalla locandina di “Secondary Action”)

Sette ragazzi, tra cui figura un ex carducciano

(Damon Arabsolgar), formano la “Secondary

Action”, una sorta di collettivo di artisti che

suonano, scrivono, fotografano, filmano e

vivono. Il 28 maggio si è conclusa la loro prima

mostra, intitolata “Invano?”, un progetto inte-

ressante e dal retrogusto poetico: una notte

trascorsa a vagare per le vie notturne di Mila-

no, a volte silenziose e ad altre popolate da

pazzi, per tastare con mano lo spirito della

città ed ogni suoi riflesso sulle persone e sui

luoghi. In realtà il progetto riesce a sopraffare

i ragazzi e a portarli ad una riscoperta di luo-

ghi in cui i giovani artisti avevano vissuto qual-

che esperienza, senza però riuscire a coglierne

la vera essenza. Dunque un viaggio alla sco-

perta della città e dei suoi abitanti, ma, ancor

di più, un viaggio alla scoperta di se stessi.

Anche la mostra prende un po' la forma del

viaggio e accompagna lo spettatore in un

percorso in cui immagine e parola si fondo-

no, così da poter vedere foto dei soggetti più

vari, pazzi visionari compresi, e leggere

dell'impatto che hanno avuto su di loro,

leggerlo sotto forma di una poesia scritta di

getto in una sola notte. Le immagini diventa-

no sempre più complesse e dalle foto “nude”

si osservano contaminazioni con immagini di

carta o colori che fuoriescono e vanno ad

imbrattare la tela di cartone su cui sono

appese. Da notare, inoltre, come gli scatti

fotografici siano da prendere non singolar-

mente, ma nel loro insieme. L'organicità

degli scatti emerge anche dall'allestimento

della mostra, in cui le foto si susseguono

cronologicamente – secondo il momento di

quell'avventura in cui sono state realizzate –

in una sequenza lineare in cui vige una gerar-

chia; gli scatti di dimensione maggiore ven-

gono approfonditi dalle foto contigue di

minore grandezza. Poi i quadri, realizzati

anche da chi, di quei ragazzi, non c'era di

persona, e ha preferito creare lasciandosi

inebriare dai racconti di quell'avventura.

Ultimo tocco di colore: un enorme chupa-

chups dai colori sgargianti sotto cui fa capoli-

no la scritta “non ho mai mangiato nulla di

più buono” eretto quasi a simbolo di

quell'impresa, o meglio, a simbolo della

fatica che ne ha comportato; parlando con

l'autrice del quadro si scopre, infatti, che

quello è il bottino ottenuto in una notte

infinitamente lunga. La realizzazione della

mostra ha richiesto circa un anno di lavora-

zione e conta anche due sperimentazioni

visive. Sono stati, infatti, realizzati due cor-

tometraggi che mischiano suoni e musica di

quell'avventura, anche se profondamente

diversi nella loro struttura. “9/9 frammenti”

di Matilde Arduini è, infatti, un progetto in

cui si è partiti da una colonna sonora apposi-

tamente realizzata, fatta di beat box, piano-

forte e chitarra elettrica, per poi costruire

una sequenza di immagini. In “New day” di

Santiago Torresagasti, al contrario, la colon-

na sonora è dipendente dalla realizzazione

video. Interessante rilevare i differenti ap-

procci a questi due filmati, apprezzati da

categorie diverse di persone: gli amanti della

musica il primo, mentre chi preferisce la

sfera visiva il secondo. Dall'ambizione di

giovani artisti emergenti nasce, dunque, un

lavoro interessante, che è stato segnalato

più volte anche da riviste e blog, un progetto

che va a sfatare il mito che nessuno si occupi

più di arte. [Il blog della mo-

stra, www.milanoinvano.blogspot.com]

Laura Vitale Lollo

INVANO?

PAGINA 14

La Video-Scultura arriva a Milano dinarie; le sue installazioni sembrano quasi degli incubi o delle allucinazioni che impres-sionano lo spettatore e allo stesso tempo lo affascinano: sono combinazioni di parti dell’essere umano e sculture dalle forme insolite e disumane. I proiettori, le casse acustiche e i fili elettrici sono sempre ben in vista, perché Oursler, evidenziando la dina-

mica con cui le sue opere sono realizzate, vuol far capire quanto le situazioni surreali, come le sue sculture, siano invece semplici e naturali. La composizione che mi ha impressionato maggiormente si trova in una sala circolare, ed è costituita da sfere di diverso diametro sospese nel vuoto grazie a fili trasparenti; su ogni sfera è proiettato un occhio diverso, che sembra stia fissando lo spettatore, ma se si guarda attentamente nelle pupille si vede il riflesso

di uno schermo: dopo essermi documentata ho scoperto che Oursler ha filmato gli occhi di diverse persone mentre guardavano su uno schermo un videogioco, un film porno e un film dell’orrore, che appunto si vedono confusamente riflessi nelle iridi. È interes-sante anche vedere come l’occhio si ingran-disca o si chiuda a seconda di ciò che vede; inoltre Oursler ha mantenuto come sotto-fondo l’audio dei film e del videogioco per coinvolgere di più lo spettatore. L’aspetto divertente di quest’opera è che mentre lo spettatore guarda è a sua volta guardato da un occhio che mostra ciò che ha visto.

Questa è solo una delle tante composizioni, esposte al PAC, che ho trovato tutte piutto-sto impressionanti; vi consiglio davvero di visitarla, ne vale la pena, ma affrettatevi, La mostra finisce il 12 giugno! PAC, Via Palestro 14 (MM1 Palestro) Ingresso: 5 euro

Emma Pelizzari

Page 15: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

MAGGIO /G IU GNO 2011 CULTURA PAGINA 15

I mmagini con volti di giovani donne, appese con mollette colorate sul fondale del pal-co, accolgono lo spettatore

che entra nell’aula Magna, sulla cui soglia ancora si può sentire l’ umidità di una lunga giornata di pioggia. Fin da subito la regista avverte il pubblico: si tratta di un testo complesso di Martin Crimp, uno tra i più importanti autori inglesi contemporanei, che è il risultato di diverse microstorie. La frammentarietà della trama è infatti ciò che più caratterizza lo spettacolo e ne rende difficile l’interpretazione. Non esiste una solida sintassi e neppure nessi evidenti tra le varie parti, in quan-to l'intero concetto di "fare il punto" risulta ridicolmente anti-quato. Il punto è infatti che una ricerca di punti è senza scopo e che tutto il punto dell'esercizio -ossia questi atten-tati alla sua vita- punta a questo. Persino la concezione tradizionale di personaggio viene bandita: una certa Anne è la prota-gonista-assente, di cui tutti parlano, ma che non compare mai in scena. Fin dagli iniziali messaggi lasciati nella sua segrete-ria telefonica da amici, genitori e perso-naggi non bene identificati che la cerca-no, la sua personalità appare evanescen-te e confusa, in quanto delineata attra-verso i racconti contraddittori degli altri.

Anne è infatti una rifugiata politica, una terrorista, una marca di automobile, una pornostar, un’artista e anche un’aspirante suicida! Nemmeno gli altri personaggi possiedo-no una concretezza tangibile. Essi infatti acquistano un ruolo, un’identità solo in funzione di Anne, oggetto che accomu-na. “Al posto delle convenzioni in disuso del dialogo e dei cosiddetti personaggi che avanzano goffamente verso gli im-barazzanti finali del teatro, Anne ci offre un puro dialogo di oggetti. Ci offre nien-

temeno che lo spettacolo della sua personale esistenza. Un oggetto in al-tre parole, ma non l'oggetto degli altri, l'oggetto di se stessa. Sottofondo della storia è l’atrocità della guerra che disu-manizza e distrugge ogni cosa, persino l’identità di una donna senza nome, coi lunghi capelli grigi striati di sangue e il volto sgradevolmente butterato. Accanto a questi sottili fili conduttori, si aprono squarci in cui emergono lo scontro generazionale tra una figlia che forse si è suicidata e genitori che, non riconoscendo le proprie responsabilità, si preoccupano esclusivamente di di-scolparsi, la presenza ossessiva della televisione che alimenta il pettegolezzo morboso, il mondo luccicante della pubblicità, presto destinato a crollare, le disuguaglianze più o meno latenti tra i potenti e gli emarginati, spesso ac-compagnate da un’ironia pungente. Ma lo spettacolo non è solamente que-sto: “È profondamente serio. È diver-tente. È illuminante. È oscuro. È stret-tamente personale e al tempo stesso solleva questioni vitali sul mondo in cui viviamo”.

Xhestina Myftaraj

Attentati alla vita di lei ~ Recensione ~

Beatrice Verzotti. Foto di Daniela Ferrante

Foto di Daniela Ferrante

Page 16: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

ANNO V — NUMERO VI CULTURA PAGINA 16

L a madre e il padre stavano vedendo la televisione, quando la madre disse: "Io sono stanca ed è tardi, vado a coricarmi." Andò in cucina a fare i panini ai figli per lo spuntino del giorno seguente a scuola, lavò le tazze del pop-corn, rimosse la carne per la cena del giorno seguente dal congelatore, verificò che le scatole dei cereali non fossero vuote, riempì la ciotola di zucchero, mise ciotole e posate sulla tavola e preparò la caffettiera per il giorno seguente. Mise dei vestiti nella lavatrice e cucì un bottone che si era staccato. Tolse il servi-

zio di piatti dalla tavola e mise il calendario al giorno dopo. Innaffiò le piante, raccolse l'immondizia e stese un asciugamano bagnato. Sbadigliò e si avviò verso la stanza da letto. Si fermò nello studio e scrisse una nota per l'insegnante del figlio, mise in una busta i soldi per il pagamento di una visita medica e raccolse un quaderno che era caduto sotto una sedia. Firmò un cartoncino di auguri di compleanno per u n amico, mise un francobollo sulla busta, e fece una piccola lista per il supermercato. Mise il cartoncino e la lista vicino al portafoglio.

A quel punto il Padre disse là dalla sala: "Pensavo fossi andata a dormire." Lei rispose: "Sto andando."

Mise l'acqua nella ciotola del cane e richiamò il gatto in casa. Si accertò che le porte fossero chiuse. Sbirciò nella stanza di ognuno dei bambini, spense la luce del corridoio, appese una camicia, gettò delle calze nel cesto dei vestiti sporchi, parlò un poco con il figlio più grande che ancora stava studiando. Una volta in camera da letto, sistemò la sveglia per il giorno dopo, preparò i vestiti per il giorno seguente e sistemò le scarpe. Dopo si lavò il viso, passò la crema, spazzolò i denti e si sistemò un'unghia rotta.

A quel punto, il padre spense la televisione e disse: "Io vado a dormire" e... Ci andò... Senza fare null'altro!

A questo punto avete notato qualcosa di straordinario?

Vi siete mai chiesti perché le donne vivono di più... e sono così meravigliose?

PERCHÈ LORO SONO PIÙ FORTI... SONO FATTE PER RESISTERE… Elisabetta Festa

Fatta per resistere

Allenare la nazionale italiana spiegato ai miei figli

Q uesta lettera è stata scritta dall’attuale allenatore della na-zionale italiana di pallavolo Mau-ro Berruto, la sera prima del suo

esordio sulla panchina azzurra. Una voce forse fuori dal coro in uno sport che ormai bada sempre di più al profitto che ai sogni. E forse questo è il sintomo di un mondo che non sa più sognare?

“Francesco, Bea, sapete che ieri sono atter-

rato in un aeroporto che è intitolato a Saint

Exupéry, l’autore de “Il Piccolo Principe”. Ve

lo ricordate quando leggevamo quel libro lo

scorso inverno nella casa di Civitanova?

Questo signore ha scritto: “Tutti i gran-

di sono stati bambini una volta. (Ma pochi

di essi se ne ricordano).”

Io stasera voglio tanto ricordarmi di essere

stato bambino come voi e di avere avuto

tanti tanti sogni, proprio come voi.

Francesco, Bea… questa sera vi voglio dire

che se volete davvero che un vostro desi-

derio si realizzi servono due cose:

1- impegnarsi (e quindi fare un bel po’ di

fatica…)

2- non smettere mai di pensare che quella

cosa potrà succedere, anche quando tutti

vi diranno così tante volte che è talmente

impossibile che … quasi vi convinceranno.

Quel “quasi” sarà la differenza. Non vi fate

convincere. Mai. Se avete un sogno, non

cercate nessuna scorciatoia. Tenetelo in

mente e andate avanti, un passo alla vol-

ta, a fare le cose che servono per farlo

diventare realtà. Più il vostro sogno è

grande, più siate orgogliosi di fare tutto il

possibile per realizzarlo. Incominciate da

una cosa, anche se sembra piccola. Inco-

minciate. Non tutti i sogni si realizzano,

bimbi. Ve lo voglio dire. Non per questo si

è meno bravi e non per questo bisogna

smettere di sognare. Mai, prometteteme-

lo. Bimbi, chiudete gli occhi e pensate alla

cosa più bella che vorreste avere. Sappiate

che tutto quello che avete pensato, se

siete riusciti ad immaginarlo, può succede-

re.

La cosa più preziosa che non dovrete mai

perdere è proprio quel momento in cui

chiudete gli occhi e immaginate delle cose

bellissime. Perché non state sognando,

state semplicemente viaggiando nel futu-

ro.

Poi, quando un sogno si realizza.. non

dimenticatevi di ringraziare chi vi ha aiuta-

to, perché da soli non siamo niente.

Buona notte amori miei. Io stanotte non

dormo… Ed è bellissimo così.”

Se volete parlarne io sono qui (in 5D).

Daniele Duba Visconti

Page 17: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

MAGGIO /G IU GNO 2011 MUSICA PAGINA 17

L a candela è accesa e dalla finestra aperta entra una brezza leggera; la fiammella trema. Entra in scena il soprano, e dallo sfondo intona la

celebre aria della “Regina della Notte”, ed ecco l'acuto, quelle note così attese e su-blimi nel sopracuto, intonate alla perfezio-ne; il suono pieno, potente invade ogni angolo della sala e la riempie fino all'immen-sa volta del soffitto; i vetri tremano. Mentre il canto si dispiega più potente ed elevato, la candela è posta per prova di fronte al soprano. E la fiammella rimane ferma, diritta come un fuso, come se dalla bocca da cui si dispiegano le note argentine non uscisse fiato. Com'è possibi-le?

Se avessimo invece posto quella stessa candela sulla cattedra di un docente in piena attività, al primo rimbrotto proferito con imperiosa voce, probabilmente si sa-rebbe spenta. Perché?

La voce del soprano è “impostata”: il suo-no non forza le corde vocali; il volume è alto, ma lo sforzo minimo. La voce non “esce” dalla gola, risuona invece più in alto: nelle cavità orofaringee, craniche e tracheali, e il suono che si sente è il risulta-to dell'elevazione della voce (cioè, dall'uso del corpo nella sua complessità, come un raffinatissimo strumento musicale).

Un esempio che lo conferma, ascoltato alla radio: alcune scuole elementari hanno aderito a un simpatico e istruttivo progetto che prevede di insegnare ai ragazzini le più famose arie della lirica. Vi hanno partecipa-to anche alcuni cantanti professionisti, e questi, rispondendo a un'intervista, hanno detto che la domanda più frequentemente posta dai bambini è: “Dove nascondete il microfono?”. La voce del cantante lirico è potente, arriva lontano: ma col minimo sforzo.

Il professore, invece, tende a sforzare la voce e a servirsi solo delle corde vocali: emette una colonna d'aria molto maggio-re, mentre l'efficienza sonora è minima. Se alza la voce, il viso diventa rubizzo: consu-ma un sacco di energia. E magari negli ulti-mi banchi c'è comunque chi non lo ascol-ta...

La bellezza del canto lirico non sta sola-

mente nella pienezza del suono, bensì so-prattutto nella capacità espressiva, che si ottiene modulando il volume, l'andamento, lo slancio e il sentimento con cui si canta.

Il canto, più di altri generi musicali, e in particolare il “bel can-to” (così è chiamata la lirica nella tradizione italiana) è un mezzo as-sai efficace per esprimer-si, anche mediante la recitazione: d'altra parte le opere liriche sono anch'esse una forma di teatro, in cui non sono le sole azioni o il valore semantico delle parole a stupire, a sorprendere, a

rallegrare, a commuovere, ma l'unirsi a tutto questo della musica e del pathos di cui essa è avvolta.

Prendiamo ancora “Il flauto magico”, la nota opera di Mozart che recentemente è stata rappresentata anche al Teatro Stre-hler a Milano: “La vendetta dell'inferno ribolle nel mio cuore, morte e disperazione ardono in me!” decla-ma la Regina della Notte. La sua ira, la sua disperazione, ma anche il suo oscuro desiderio di vendetta, il suo folle furore si trasmettono a chi ascolta per mezzo di quelle altissime note che tintinnano al di sopra dei registri del canto normale. L'eser-cizio di abilità del so-prano rappresenta l'eccezionalità della si-tuazione.

Per considerare un esempio certamente noto a tutti, proviamo a risentire nella no-stra mente il “Va pensiero” di Verdi: la me-lodia ci travolge, ora dolce, ora vigorosa, appassionata, struggente e nostalgica e ci rende partecipi di questi sentimenti, sentia-mo l'amore per la patria perduta, il deside-rio cocente di riscatto. Ma se leggiamo il testo separatamente dalle note: “Va, pen-siero, sull'ali dorate;/ Va, ti posa sui clivi, sui colli, / Ove olezzano tepide e molli / L'aure dolci del suolo natal!”.

Le parole sono arcaizzanti, volutamente

auliche e classicheggianti, e difficilmen-te anche all'epoca in cui furono scritte potevano essere ben comprese: chi direbbe mai “di Solima i fati”? Il testo in sé è pesante, difficile l'espressione, ma la musica lo rende sublime, con l'alter-nanza di forti e di piani, con i sospiri incalzanti che emergono a ondate dall'accompagnamento di sottofondo.

Io amo il canto lirico, forse perché è proprio uno dei pochi mezzi che posso imparare a utilizzare per manifestare il mio essere, per dire ciò che sento; e probabilmente per lo stesso motivo mi vergogno a cantare in pubblico, perché so che parlo di me stessa e svelo ciò che ho di più profondo.

Mi piace perché quando sento “Casta Diva”, dall'opera di Bellini “Norma”, cantata da Maria Callas, la musica di-venta il centro dei miei pensieri, e attor-no a questa se ne generano altri: ricordi presenti, passati, immagini; quelle note

mi entrano in profondità e mi scuotono, mi commuovono, mi elevano, mi fanno sentire lieve come se volassi via su invi-sibili ali.

E tuttavia, cessata la musica, non riesco a capire quelle lacrime e, al ricordo di ciò che ho sentito, le uniche banali pa-role che riesco a pensare sono: “Com'era bella”. E riascolto ancora e ancora, alla ricerca continua di quel benessere che la musica mi provoca, di quel conforto tanto sublime, tanto al superiore ai “presenti affanni”.

Beatrice Servadio

Il canto lirico

“Il canto, più di altri generi

musicali, e in particolare il “bel

canto” (così è chiamata la lirica

nella tradizione italiana) è un

mezzo assai efficace per

esprimersi”

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M USICA ANNO V — NUMERO VI PAGINA 18

REVO FEVER I

Revo Fever sono attualmente una delle band giovanili più attive. Hanno recentemente pubblicato in rete e su CD il loro Fegato EP, seconda esperienza discografica, e suonano costantemente nell’area milanese, dai cortili dell’Università Statale ai locali e ai centri sociali dell’Hinterland. I loro concerti si distinguono sempre per la loro forte presenza sul palco e il coinvolgimento del pub-blico, come si è visto nella loro esibizione al buio in Aula Magna a Dicembre. Torneranno a suonare al Carducci il 10 giugno, e in

attesa dell’evento Edoardo Bassi, chitarrista, si è fatto intervistare per far conoscere meglio i Revo al pubblico carducciano.

Da dove nasce il nome? Cosa significa? Partiamo subito dalla domanda più imbarazzante. Eravamo dei tredicenni invasati e abbiamo deciso di prendere come nome la tradu-zione del saluto che Che Guevara fa a Fidel Castro in una lettera, in cui si congeda dicendo «Un saludo con fervor revolucionario». Il nome era quindi Revolutionary Fever, troppo lungo, e quindi poi cambiato in Revo Fever. Quali sono le vostre influenze? Da dove nasce il vostro stile così caratteristico? I gruppi di riferimento? Purtroppo c’è sempre la grande ombra dei Ministri che incombe e che però stiamo cercando di scansare, è quella che risulta più evidente agli ascoltatori. Tra l’altro Dragogna (chitarrista dei Ministri) ha prodotto il vostro primo EP. Sì, Fegato invece è autoprodotto. Diciamo che noi ovviamente non abbiamo un gruppo che seguiamo e imitiamo, però gli ascolti sono sui Que-ens Of The Stone Age, Fratelli Calafuria, poi passano anche dal flamenco di Rodrigo y Gabriela a cose più assurde come The Zen Circus, la musica italiana, Il Teatro Degli Orrori. Come nascono le canzoni nei Revo Fever? Di solito io e Costa (Costantino Orlando, cantante e bassista, ndr) siamo quelli che propongono più spesso le musiche. Poi ovviamente si entra in sala, si fa sentire l’idea, e quando si esce il pezzo è totalmente diverso. Ultimamente nascono più dalla chitarra acustica, poi vengono aggiunte le tastiere di Aligi (Nocerino, chitarrista, ndr) e quindi diventano tutta un’altra cosa. I testi sono perlopiù scritti an-cora da me e Costa, attraverso un reciproco esame molto attento di ogni parola: siamo dei rompicoglioni io e lui, siamo molto attenti. Volevo appunto chiedere… Avete dei messaggi molto forti nei testi, da cui immagino la scelta di cantare in italiano. In realtà fino a quattro anni fa cantavamo in inglese. La svolta è stata merito di Costa, che ha affermato la necessità dell’italiano, ab-

biamo capito la forza di parlare a un pubblico che ti capisce. Qual è l’ideologia del gruppo, se c’è un’ideologia diffusa, e quali sono le maggiori fonti di ispirazione nei testi? Devo dire che se nella musica abbiamo dei modelli, il comporre testi, soprattutto da parte mia, è una cosa molto più istintiva. Io spesso prendo ispirazio-ne vedendo quello che ho intorno, leggendo i gior-nali, comunque vivendo, perché non siamo degli alieni, viviamo in una città che negli ultimi anni ha passato davvero un periodo buio, secondo me, nei testi si può percepire lo sconforto. Non c’è molto un atteggiamento di mettersi sul palco e dire “noi sia-mo i profeti”, ma piuttosto di porre delle problema-tiche che magari i nostri coetanei non si pongono. Parliamo di temi molto vicini a ognuno, non della “pace nel mondo” o altri temi astratti, un po’ “per

tutte le stagioni”. Parliamo del problema di trovare lavoro, piuttosto che della routine che ti ammazza ogni giorno, proprio per arriva-re più direttamente, e per noi è molto importante. Ci sono delle vostre performance memorabili come quella al buio nella nostra Aula Magna che tutti si ricorderanno. Qual è il segre-to per avere un così forte riscontro nel pubblico, che è una costante nei vostri concerti? Giù dal palco è uno sbattersi incredibile, inevitabilmente in quella che chiamano l’era di internet devi sempre essere aggiornato, ag-giornare tutto… Assume moltissima importanza se su Facebook scrivi «abbiamo registrato l’album» e ci sono 50 persone che ti scrivo-no «wow figata»: inizia il passaparola con gli amici e così aumenta la gente che ti consoce. Il palco invece è la dimensione nostra, il momento in cui tiriamo fuori quello che siamo veramente, io non ci penso due volte a buttarmi sulla batteria piuttosto che urlare «fegato!», sono cose che posso fare avendo una persona davanti come 2000, io faccio così perché sul palco è quello che penso, il pal-co è come un piccolo angolo in cui è permesso tutto, e lì “son cazzi”. Quanto siete legati all'ambiente milanese? Quanto vi influenza e quanto c'è di esso nella vostra musica e nei vostri testi? Tantissimo, tantissimo. Soprattutto per quanto riguarda quello che scrivo io, mi influenza tantissimo. E’ la città in cui sono nato, sono cresciuto, e in questi anni ho maturato un rapporto un po’ ambivalente. C’era un manifesto tempo fa che riassumeva perfettamente questo mio stato d’animo che diceva «Milano, non ti riconosco più ma ti voglio ancora bene». Secondo me Milano è una città con grandissime potenzialità, con moltissimi giovani che hanno voglia di fare ma non sanno bene come applicarsi, cosa fare. Secondo me è importante anche nelle canzoni esprimere questa necessità. Milano è dentro di me, in ogni cosa che penso c’è sempre un po’ della città e di quello che ho intorno. In Italia siamo la città rivolta verso l’Europa, potremmo avere un bellissimo “melting pot” e invece abbiamo sempre paura di riconoscere gli altri, di riconoscere anche noi come facenti parte di una città fatta da gente diversa. Penso

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M USICA MAGGIO /G IU GNO 2011 PAGINA 19

che nessuno di noi abbia entrambi i genitori milanesi, e questa dovrebbe essere la forza di questa città. Questo si riflette anche sulle nostre musiche, ci sono delle nostre parti che secondo me sono molto cittadine, ci viene spontaneo esprimere questo sentimento. Spassionate aspettative e speranze per il futuro più immediato e meno? Io con il futuro non ho un buonissimo rapporto. Siamo in una fase in cui dobbiamo sbatterci al 100% per ottenere qualsiasi cosa e quindi dobbiamo cogliere ogni occasione che ci capita, per avere delle opportunità. In una storia lunga come la nostra, suoniamo da 6 anni, ci sono dei periodi di stallo ed è importante nei periodi in cui sembra vadano meglio le cose riuscire a costruire il più possibile. Infine come ci si può tenere in contatto col gruppo? Facebook, ormai MySpace è morto. Lì trovate le nostre canzoni davvero vecchie, mentre la pagina di Facebook è aggiornata quasi quotidianamente, trovate i concerti, il nostro EP da scaricare. Vuoi dire qualcosa su Fegato EP? E’ una grande soddisfazione, dopo appunto un paio di produzioni con Fede dei Ministri abbiamo costruito con le nostre mani un EP registrato e mixato da Mauro (Forester, batterista, ndr), ha fatto lui i suoni, abbiamo fatto le copertine piegandole una per una, abbiamo fatto noi praticamente tutto, lo vendiamo noi nei banchetti, e quindi è una grande soddisfazione quando piace a qualcuno, pensi «sono fiero di me». E’ ovvio che non è lo spazio definitivo dei Revo Fever, non passeremo la nostra vita a suonare quelle cose, a vent’anni non ci si può incagliare su un modello, però per me è già una grandissima soddisfazione.

Giuliano Pascoe

I l Forum è pieno quando, su un mega-schermo posto al centro del palco, appare il testo di una poesia di Unga-retti: “Ricorderai d’avermi atteso tan-

to e avrai negli occhi un rapido sospiro”. Subito compare anche un video di Piero Angela che annuncia un viaggio in astrona-ve attraverso il tempo e lo spazio di un universo inesplorato. Dall’universo l’immagine si avvicina sempre più veloce-mente verso la terra e poi appare Lorenzo in tutta la sua originalità. Vestito elegante-mente con giacca e cravatta in stile Micha-el Jackson e scarpe di strass alla Sammy Davis Jr, Jovanotti si esibisce per quasi un’ora con i brani del suo ultimo CD: “Ora”. L’album, tanto nuovo quanto di successo, viene valorizzato molto

dall’artista che non mira a diventare artista di repertorio e ha voluto credere, perciò, nella sua nuova realizzazione. L’inizio è quindi scoppiettante: Lorenzo balla ondeggiando in modo sciolto e sno-dato coinvolgendo nei suoi movimenti anche lo schermo dietro di sé. Infatti le movenze dell’artista guidano gli effetti speciali 4D dello schermo rendendo lo spettacolo più avvincente.

Durante Amami e L’elemento umano nella macchina, definizione del cantante stesso in questa fase della sua carriera, Lorenzo comincia a utilizzare tutto lo spazio a sua disposizione attraversando di corsa la pas-serella fino ad arrivare in mezzo al pubblico. Poi è la volta de La notte dei desideri, che con la sua potenza ritmica precede un “break” acustico nel quale si esibisce con le ballate più famose: Le tasche piene di sassi, un vero successo del suo ultimo album che conferma il suo animo di poeta, la famosa Come musica e l’insuperabile A te che com-muove il fedelissimo pubblico. Poco dopo lo schermo, attraverso gli effetti speciali, dà il meglio di sé: Lorenzo appare all’interno di un incontro di box contro se stesso, proprio mentre sul palco ne mima in diretta i movimenti. Dopo le emozioni inedite regalate dalle nuove tecnologie, Jovanotti canta Ora, Tutto l’amore che ho e Tanto. Poi si esi-bisce da solo alla batteria, dove non si fatica a riconoscere il celebre beat de L’ombelico del mondo, esaltata in una versione più ritmata e potente. Iniziano dunque una serie di hit del pas-sato con cui Lorenzo diletta il pubblico in fermento. Dopo l’immancabile Mi fido di te, che canta camminando tutt’attorno al palco, Jovanotti rende tutto più intimo trasferendosi sulla pas-serella ed esibendosi nell’intramontabile Bella, nelle romantiche Punto e Una storia d’amore e concludendo il revival con l’emozionantissima Ciao Mamma che scatena boati a non finire facendo entusiasmare l'intero forum. Dopo altri due brani del nuovo album, tra cui l’applauditissima Quando sarò vecchio, Jovanotti si esibisce nell’intramontabile Ragazzo fortunato, anche se in realtà non è proprio lui a dare il meglio di sé. Questo momento

appare infatti come un vero e proprio tributo all’artista che, con gli occhi chiusi e le braccia aperte verso l’alto, incantato, ascolta il tripudio del suo pubblico che canta a squarciagola la canzone che più l’ha reso famoso. Non mancano i brividi neanche con Il più

grande spettacolo dopo il big bang e

Baciami ancora, due hit recenti e davve-

ro trascinanti. Infine Lorenzo chiude con

un omaggio alle radici africane della sua

musica salutando il suo pubblico con La

bella vita, un ritmo che ti rimane in testa

a lungo, e un messaggio positivo: “La

bella vita abbastanza bella da essere vita,

la bella vita abbastanza vita da essere

bella.”

Chiara Conselvan

Jovanotti in concerto

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ANNO V — NUMERO VI PAGINA 20

L’Antologia dello Squallore

FREDDURE

1) Cosa fa un canguro nero su un foglio bianco? Risalta.

2) La vita è una battaglia navale, certe volte ci sei, certe volte ci sette.

3) “È una montatura!” Gridarono gli occhiali.

4) Un sigaro e una sigaretta si sono sposati, ma sfortunatamente il loro

matrimonio è andato in fumo.

5) Cos’era buddha da piccolo? Un budino...

DAL DOTTORE

- Dottore, posso fare il bagno con la diarrea?

- Dipende da quanta ne fa...

- Dottore, ci sono speranze per mia suocera?

- No, mi spiace, guarirà.

- Dottore, come è andata l'operazione di mio

nonno? - Ma non era un'autopsia?

- Dottore nessuno mi considera… - Il prossimo!

STORIA

1) Grazie mille! Esclamò Garibaldi.

2) 1917 la Rivoluzione russa, i compagni di

stanza si lamentano.

3) 14 luglio 1789 i francesi prendono la

Bastiglia, avevano mal di testa.

4) Qual è il piatto preferito di Mazzini? Gli

spaghetti alla carbonara.

INSERZIONI GIORNALISTICHE

1) A New York viene investito un pedone ogni 3

minuti, il poveretto non riesce nemmeno a rialzarsi.

2) Fallita la missione spaziale: gli astronauti non

riescono ad atterrare sulla luna, è piena.

3) Tende si suicidano, erano da sole.

4) Arrestato zombie, era un malvivente (Sanvito)

5) Elettricista impazzito dà alla luce un figlio

(Sanvito)

Manda le tue picco-le vigne o le tue

freddure all’indirizzo

dell’Oblò (oblosulcortile@hot

mail.it): le migliori avranno l’onore di essere

pubblicate sul gior-

LA PICCOLA VIGNA del mese...

ANIMI RELAXATIO

Eccoci qua! E giacchè, come noi in questa scuola ben sappiamo, non c'è mai limite al peggio, non siamo rimasti inattivi: una seconda folata di vento gelido sta per imperversare nelle conversazioni di ciascuno di voi, sotto forma di terribili ma irresistibili capolavori del (non)umorismo! A cura di Stefano Fiori, Tommaso Manzoni e Mattia Sanvito

Page 21: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

MAGGIO /G IUGNO 2011 PAGINA 21

E cco a voi le tanto attese soluzioni dello Strizzacervelli, il decalogo di indovinelli che ha scandalizzato anche chi credeva di es-sere bravo in matematica… I numeri 3, 7 e 10 sono rimasti ancora irrisolti dagli studenti, pertanto i giochi sono ancora aperti! Mandateci le vostre soluzioni alla mail [email protected] oppure su Facebook! Inevitabili sono i complimenti a Simo-ne Zanin, che ha risolto ben sette indovinelli (L’8 e il 9 li aveva risolti prima Josephine Pascoe)! Per le domande si veda il nu-mero di Aprile.

1) Lavorano alla Zecca (Simone Zanin)

2) La chiamo madre! (Simone Zanin)

3) 0:(3-3) = Indeterminato, quindi anche 20 (Riccardo De Francesco) – E’ sbagliata ma apprezziamo lo sforzo e la fantasia… Questo rompicapo ha sconvolto tutta la scuola, e, a quanto pare, sembra che solo il professor Re sia riuscito a risolverlo, trovando una decina di soluzioni… Quindi scervellatevi ancora o estorcete informazioni al prof!

4) Vince Dario con 12 km. (Simone Zanin) “maschilisti!” (commento di Chiara Compagnoni)

5) Si ottiene piegando le quattro estremità del quadrato verso il centro, congiungendo le punte all'incontro delle diagonali. (Simone Zanin)

6) Mi darà 1,80€ di resto. (Simone Zanin)

7) Ancora irrisolto! Le soluzioni, sbagliate, ipotizzate sono: a) E' rivolto al sole (Simone Zanin) b) Li sradico tutti e guardo quale di questi ha le radici (Simone Zanin) c) Cerco l’unico che attira api e insetti (Eleonora Sacco).

8) 36 (Josephine Pascoe)

9) E’ un sottomarino! (Josephine Pascoe)

10) Ancora irrisolto! Simone Zanin ha ipotizzato: a) E’ nato morto! b) E’ nato in Città Del Vaticano…

A cura di Eleonora Sacco

Soluzioni Strizzacervelli

O vvero falsità ed assurdità che circolano in rete (altresì chiamate “bufale”) da noi rinominate “Mozzarelle”.

Non sempre le notizie che appaiono su Internet sono veritiere: spesso compaiono assurdità alle quali molta gente crede, poi-ché sostenute da prove apparentemente veritiere (spesso anche vere e proprie foto-grafie). Questo fenomeno è talmente diffuso che perfino il quotidiano “Corriere della Se-ra” ha pubblicato, in data 14 febbraio 2008, una classifica delle “bufale” meglio riuscite, o più comiche, apparse sul web. Al primo posto troviamo “GLI UFO AD HAITI”: la notizie sembrava vera, perché sostenuta da un video in cui apparivano extraterrestri con le proprie navicelle. Il video era ben strutturato, e, se non fosse stato per una palma presente nel video, la quale era già apparsa in un filmato dimostrativo di un sof-tware per la realizzazione di ambienti 3D, la notizia avrebbe potuto diffondersi con estre-ma velocità. Al secondo posto invece troviamo “METALOSIS MALIGNA”: in rete si iniziò a parlare di Metalosis, malattia immaginaria

dei dispositivi medici installati nel corpo umano che si ribellano, diventano animati e si sostituiscono alla carne, assumendo le sembianze di un groviglio di escrescenze metalliche. Ne seguì “Metalosis Maligna”, un cortometraggio che racconta questa misteriosa e inquietante patologia. Total-mente immaginaria, ma incredibilmente verosimile, tanto che meritò sul web un sito dedicato in cui venne descritta questa infezione dovuta al batterio streptococcus metalomaligna, che attacca le persone che hanno subìto impianti di protesi me-talliche. Tutto falso, chiaramente, e, so-p r a t t u t t o , f o r t u n a t a m e n t e . Al terzo posto si posiziona “LA GOOGLE TV “: la notizia diceva che anche Google guar-da alla televisione, e finalmente offre il suo piccolo schermo da Mountain View. Mark Ericson di “Infinite Solutions” ha girato e diffuso, attraverso YouTube, un video dimostrativo sulla tv della grande G, mostrando come, da Gmail, si possa ap-prodare ad una pagina speciale dove la M della parola “Gmail” si trasforma improv-visamente in una piccola televisione. Chia-ramente chi ci è caduto non è arrivato da

Mozzarelle virtuali

nessuna parte. In effetti, era un po' strano il meccanismo di accesso, ma il video era così dettagliato da sembrare proprio vero. Ma la notizia che, partita dal Web, si è diffusa maggiormente è quella della fatidica “fine del mondo”: secondo i nostri carissimi antenati Maya, esatta-mente tra 18 mesi il mondo finirà e noi tutti moriremo. Secondo la profezia si dovrebbe verificare un evento, di natu-ra imprecisata e di proporzioni planeta-rie, capace di produrre una significativa discontinuità storica con il passato: una qualche radicale trasformazione dell'u-manità in senso spirituale, oppure la fine del mondo, ma, come si può imma-ginare, nessuna di queste profezie ha alcun fondamento scientifico, infatti sono state più volte smentite dalla co-munità geofisica ed astronomica, ed anche la maggioranza degli studiosi di storia Maya confuta queste affermazio-ni. Quindi, cari colleghi, non temete: la fine del mondo, per fortuna, o purtrop-po, è ancora lontana.

Claudia Chendi

ANIMI RELAXATIO

Page 22: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

ANNO V — NUMERO VI PAGINA 22

La meta estiva

Anche quest’estate, la meta di culto per ognuno di noi è Ibiza. La città dei giovani quest’anno non delude le aspettative proponendo una vasta gamma di eventi per la felicità del turisti. Locali e discoteche ben noti al pubblico come L”’Amnesia”, il “Pacha” e il “Privilege” sono pronti a riaprire le porte alla movida. Ottima anche quella pre discoteca, con locali che offrono aperitivi e prevendite per un buon proseguimento della serata. Nel caso in cui l’isola spagnola non sia di vostro gradi-mento, altre due mete interessanti sono Mikonos ed Hersonnisos (Creta).

L’ANGOLO DEL

TAMARRO La canzone del mese, gente:

Vi proponiano (o propiniamo) uno strabiliante viaggio fino in Crucchia, dove si svolgo-no le più potenti feste, perché anche i Mangiacrauti sanno divertirsi. In tre minuti e mezzo il duo tedesco riesce a combinare un beat trascinante con incredibile basso, il tutto in un susseguirsi di climax ascendenti e discendenti, confezionando così un bra-no perfetto da ballare.

DISCOPOGO (Die Atzen Frauenartz)

Was ist los?

Es ist Party angesagt!

Die Saison ist eröffnet.

Es ist ein wahres Spektakel,

denn alle kommen, weil es abgeht.

Das ist 'ne rießen große Party!

Reißt die Arme in den Himmel

und schwenkt sie über den Kopf,

man wir sind erst am Ziel,

wenn der Schweis von der Decke tropft.

Discopogo

Dingelingeling

Dingelingeling

Alle Atzen sing'!

Breakdance oder Atzentanz,

wir tanzen heut' den Pogo Hit!

Discopogo, Atzenlogo,

Atzenstyle ist Discopogo!

Atzen rasten nicht am Tag,sie feiern mit dem Atzenlogo.

Schubsen, Drücken, Hüpfen, Springen, Raufen, Saufen, Tanzen, Pogen.

Atzenparty Dingeling. (x4)

DISCOPOGEN UNSER DING!

DISCOPOGEN UNSER DING!

Pogen (ca. 35x)

Di Di Di Di Di Di Di Di Disco Pogo!

Di Di Di Di Di Di Di Di Disco Pogo!

L’artista del mese

Ci teniamo moltissimo anche a cele-brare l’uomo che in questo mese ha sbancato sulle vostre bacheche e home page di Facebook, nonché ai botteghini, quello che forse più tamar-ro di così non potrebbe essere. Si sta parlando di Marracash, rapper milane-se salito alla ribalta con il tormentone Badabum Cha Cha, singolo provenien-te dall’omonimo primo album in data 2008. Ma come dice Caparezza, Il se-condo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista, e il rapper meneghino, prendendosi una pausa di due anni, è tornato a far parlare di se, con “Fin Qui Tutto Bene” Cd che non delude le aspettative di coloro che avevano apprezzato il suono underground del suo precedente lavoro. Qualora vogliate vedere il cantante dal vivo lo potete seguire nel suo Mini Tour Estivo, proposta ancora più allettante se si pensa al modico costo del biglietto, non oltre i 25€, una rarità di questi tempi.

La moda estiva

L’estate si avvicina e sorge il dubbio su co-me vestirsi in spiaggia. Quest’anno la solu-zione è svertirsi, e mostrare al completo quelle gambe duramente allenate lungo tutto l’inverno in palestra. Accorrete dun-que nei negozi e non lasciatevi sfuggire lo slippino, preferibilmente di colore rosso, per esibire la vostra ardente personalità (da evitare il colore bianco, si corre il rischio di esibire ben altro)... Con addosso lo slip le più famose spiagge della penisola saranno ai vostri piedi.

ANIMI RELAXATIO

A cura di Luca Cassanego e Anna Quattrocchi

Page 23: L'OblòSulCortile_2011dMaggio

MAGGIO /G IU GNO 2011 PAGINA 23

GIOCA CHE TI PASSA! Porta l’Oblò in vacanza...vedrai come il

tempo passerà in fretta! D

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ANNO V — NUMERO VI PAGINA 24

La Redazione dell’Oblò

E bbene sì, anche quest'estate vi forniamo la scusa giusta per utilizzare la vostra macchina fotografica ovunque voi siate e scat-tare foto foto foto foto foto foto… (E se qualcuno dovesse osare rimproverarvi perchè "Qui non si possono fare foto gnè gnè gnè…” rispondete pure "Ehi amico, il mio giornalino è l'Oblò sul Cortile… Non so se mi spiego!" Vedrete che vi lascerà fare tutte le foto che vorrete)!

Il tema scelto per voi è VOLTI ED ESPRESSIONI.

Catturate i volti o le migliori espressioni (dalle più comiche alle più sexy, dalle più idiote alle più belle...) di parenti, amici, estranei… e inviatele alla mail dell'Oblò ([email protected]) entro la mezzanotte del 30 Settembre 2011.

Come l'anno scorso potrete inviare un massimo di 2 foto accompagnate da didasca-lia, nome, cognome e classe.

La giuria della redazione, con l'aiuto di un aspirante fotografo e di un prof di arte, eleggerà le 3 foto migliori;

gli autori verranno generosamente premiati con il ricavato del Concerto dell’Oblò del 10 Giugno 2011.

BUON LAVORO e VINCA IL MIGLIORE! Martina Brandi

Concorso Fotografico III

Impaginatrici:

Martina Brandi VE (2E)

Eleonora Sacco IF (3F)

Correttrici di bozze:

Chiara Compagnoni IIG (4G)

Eleonora Sacco IF (3F)

Redattori:

Silvia Ainio IIE (4E)

Martina Brandi VE (2E)

Maria Calvano IVB (1B)

Alessandra Ceraudo VG (2G)

Claudia Chendi IVB (1B)

Chiara Compagnoni IIG (4G)

Chiara Conselvan VE (2E)

Claudio Fatti IIIF (5F)

Giovanni Fumagalli VE (2E)

Chiara Mazzola IVB (1B)

Xhestina Myftaraj IIIA (5A)

Giuliano Pascoe III I (5I)

Dario Elio Pierri IIIB (5B)

Leonardo Rovere VE (2E)

Eleonora Sacco IF (3F)

Mattia Serranò IIIB (5B)

Beatrice Servadio VG (2G)

Alessandra Venezia IVB (1B)

Laura Vitale Lollo IIE (4E)

Dario Zaramella IA (3A)

Vignettisti:

Silena Bertoncelli VC (2C)

Matteo Cairo IH (3H)

Elena Di Luca IF (3F)

Federico Regonesi IA (3A)

Collaboratori esterni:

Luca Cassanego IF (3F)

Elisabetta Festa IF (3F)

Stefano Fiori IIC (4C)

Flora Fontanelli VA (2A)

Tommaso Manzoni IIC (4C)

Emma Pelizzari VB (2B)

Anna Quattrocchi IF (3F)

Mattia Sanvito IIC (4C)

Isadora Seconi VA (2A)

Carlo Simone ID (3D)

Riccardo Toso IIIH (5H)

Daniele Visconti IIID (5D)

Responsabile amministrativo:

Chiara Compagnoni IIG (4G)

Le “Noccioline” →

attrici, Xhestina e Chiara, che mancano nella foto di Redazione in seconda pagina: erano sul palco dell’Aula Magna!