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Diario da un sisma EDITORIALE di Paolo Pavoni Paradigmi della ricostruzione di Valerio Massaro e Matteo Scamporrino BASURAMA EL PROYECTO RUS Y EL TRABAJO EN RED IL PROGETTO RUS E IL LAVORO IN RETE #09lug/ago 2012

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Paesaggio. Città. Architettura. Rivista bimestrale di paesaggio, architettura e cultura contemporanea.

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Diario da un sismaEDITORIALE

di Paolo Pavoni

Paradigmi della ricostruzionedi Valerio Massaro e Matteo Scamporrino

BASURAMA EL PROYECTO RUS Y EL TRABAJO EN RED

IL PROGETTO RUS E IL LAVORO IN RETE

#09lug/ago 2012

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www.verdiananetwork.com

Direttore Responsabile della rivista_Alessandra Borghini..........................................sandra.borghini@edizioniets.com Presidente del Comitato di redazioneEnrico Falqui....................................................................... [email protected] Generale, Responsabile stage formativi e attività di tirocinio_arch. Francesca Calamita.........................................francesca.calamita@libero.itResponsabile editoria e comunicazioni_arch. Stella Verin...............................................................stellaverin@gmail.comResponsabile web e servizio inviato speciale_Valerio Massaro.......................................valerio.massaro@verdiananetwork.comResponsabile progetto di ricerca_dott.ssa Chiara Serenelli.......................................chiaras@verdiananetwork.com Responsabile progetti urbani_arch. Paola Pavoni...........................................................pavoni_paola@libero.it

Concept copertina: Valerio Massaro

Contatti

[email protected]

Direttore responsabile: Alessandra Borghini

Casa Editrice e sede della rivista: ETS, P.za Carrara 16/19, Pisa

Legale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Presidente redazione e proprietario sito online: Enrico Falqui, via Lamarmora 38, Firenze

Iscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisa n° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress”

ISSN 2281-1176

Responsabile editoriale: Stella Verin

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Paradigmi della ricostruzionedi Valerio Massaro e Matteo Scamporrino

PAESAGGI ROMANIFrancesco Ghio

RECENSIONI di EventiSTRADE, MEMORIA E SVILUPPO

Chiara Serenelli e Maria Teresa Idone

RECENSIONEAltri Paesaggi di Joan Noguè

Enrico Falqui

SOMMARIO

Diario da un sismaEDITORIALE

di Paolo Pavoni

BASURAMA EL PROYECTO RUS Y EL TRABAJO EN RED

IL PROGETTO RUS E IL LAVORO IN RETE

23

39

LA CITTA’ IN MOVIMENTOIL SISTEMA DEL TRASPORTO PUBBLICO A CURITIBA

Carolina Ceres Sgobaro Zanette

I CENTRI COMMERCIALI

NUOVI SPAZI PUBBLICIAnnalisa Cataldi

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43

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57

17

33

Page 4: Network in Progress #9

PhotoStory

4

La scossa di un terremoto è un qualcosa che trasforma in maniera decisa e precisa un TEIWEKKMS�I�MP�QSHS�HM�TIVGITMVI�I�ZMZIVI�YR�XIVVMXSVMS���)HM½GM��IH�MRWIHMEQIRXM��EXXMZMXk�IH�YWM�XVEHM^MSREPM��YVFW�I�GMZMXEW�HMZIRXERS�XYXXM�ERXI�S�TSWX�XIVVIQSXS��0E�VMGSWXVY^MSRI��r�YRE�XVEWJSVQE^MSRI��GLI��MR�QERMIVE�TM��S�QIRS�TVSKVIWWMZE��WGIKPMI�come realizzarsi sul territorio. La ricostruzione può essere un momento per ripensare YR�XIVVMXSVMS�I�GSWXVYMVI�YR�RYSZS�TEIWEKKMS��I�RSR�TY{�TVIWGMRHIVI�HE�YRE�RIGIWWEVME�I�GSIZE�VMKIRIVE^MSRI�HIP�±TEIWEKKMS²�WSGMEPI��GLI�EFFME�YRE�PYGMHE�I�JEXXMFMPI�ZMWMSRI�HIP�XIVVMXSVMS�QEXIVMEPI�ZIRXYVS��GLI�RSR�WM�PMQMXM�IWGPYWMZEQIRXI�EH�YR�VMTVMWXMRS�HM�UYIP�GLI�vi era in precedenza.%�UYMRHMGM�ERRM�HEP�XIVVIQSXS�YQFVS�QEVGLMKMERS��M�FSVKLM��HM�GSR½RI�XVE�PI�HYI�VIKMSRM��HE� *SPMKRS� E� 1YGGME� VEGGSRXERS�� RIPPE� TLSXSWXSV]� HM� UYIWXS� RYQIVS�� GSQI� UYIWXE�trasformazione sia avvenuta ed ancora stia avvenendo.%PGYRM�IHM½GM� WSRS�WXEXM� VMTVMWXMREXM�� EPXVM� VIWXEYVEXM��RYSZI�IHM½GE^MSRM� WM� WSRS� VIEPM^^EXI�WME�TVSHYXXMZI�GLI�VIWMHIR^MEPM��EPXVI�GSWXVY^MSRM� WSRS�VMQEWXI� �WSWTIWI�XVE� MP�GVSPPS�I� MP�consolidamento.%P�HM�Pk�HIM�TVSFPIQM�WXVIXXEQIRXI�GSRRIWWM�EPP´EVGLMXIXXYVE�I�EPPI�UYIWXMSRM�YVFERMWXMGLI��MP�XIVVIQSXS�HIP�´���LE�TSWXS�MP�TVSFPIQE�HM��TIRWEVI�EPPE�XVEWJSVQE^MSRI�HM�YR�TEIWEKKMS�UYEWM� HMQIRXMGEXS�� KMk� WSJJIVIRXI� �HE� GMVGE� YR� WIGSPS � HM� YRE� JSVXI�QMKVE^MSRI�� HM� YR�TEIWEKKMS�QSRXERS�HMJ½GMPI�HE�EFMXEVI��GLI�ERGSVE� MRHYKME�RIP� XVSZEVI�RYSZM�GSRRSXEXM�IGSRSQMGM��GYPXYVEPM�I�WSGMEPM��E�TEVXMVI�HEPPI�TVSTVMI�QEXVMGM�MHIRXMXEVMI�TVIKVIWWI��

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Piaggia, Sellano, PG foto di Arianna Anichini

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Foto di Mario Verin, fotografo

L’Architettura che mi piaceL’Architettura che non mi piace

di Stella Verin

Rubrica

Gole selvagge, profondi canali, impervi sentieri, pareti rocciose, strapiombi ed PUÄUL�PS�THYL��8\LZ[V�PS�WHLZHNNPV�KLS�:\WYHTVU[L��[LYYH�ZLS]HNNPH�LK�HZWYH��JOL�VJJ\WH�SH�WHY[L�JLU[YV�VYPLU[HSL�KLSSH�:HYKLNUH��YPJJH�KP�Z[VYPH�L�J\S[\YH�L�ZLKL�KP�\UH�HU[PJH�[YHKPaPVUL�JVZ[Y\[[P]H��X\LSSH�KLNSP�V]PSP��PU�ZHYKV�¸J\PSLZ¹��YPWHYP�H\[VJV�Z[Y\P[P�KHP�WHZ[VYP�WLY�ZL�Z[LZZP�L�NSP�V]PUP�JOL�HJJVTWHNUH]HUV�0�TH[LYPHSP�WLY�SH�JVZ[Y\aPVUL�KLNSP�V]PSP�ZVUV�WV]LYP��WYPUJPWHSTLU[L�X\LSSP�JOL�YLNH�SH�PS�S\VNV��3H�Z[Y\[[\YH�WVY[HU[L�KP�MVYTH�JVUPJH�KLSS»HS[LaaH�KP�JPYJH�����TL[YP�JVU��SL�[YH]P�PU�NPULWYV�V�PU�SLJJPV��KPZWVZ[L�PU�TVKV�[HSL�KH�WLYTL[[LYL�SH�M\VYP\ZJP[H�KLS�M\TV�KHS�MVJVSHYL�¸Z\�MVNOPSL¹��L�SL�SHZ[YL�KP�JHSJHYL�ULJLZZHYPL�WLY�SH�JVZ[Y\aPVUL�KLS�T\YV�WLYPTL[YHSL�KLS�KPHTL[YV�KP�JPYJH���TL[YP��JYLHUV�\U�HTIPLU[L�HZJP\[[V�L�HJJVNSPLU[L�H�[LTWLYH[\YH�JVZ[HU[L�.SP�V]PSP�LYHUV�ZVSP[HTLU[L�JVTWVZ[P�KH�\UH�Z[Y\[[\YH�WYPUJPWHSL��HIP[HaPVUL�KLS�WH�Z[VYL�L�Z[Y\[[\YL�H\ZPSPHYPL��WLY�KPZWVYYL�NSP�H[[YLaaP��ULP�KPU[VYUP�KLP�X\HSP�]LUP]HUV�JVZ[Y\P[P�P�JVY[PSP�WLY�SL�JHWYL�(U[PJOL�[LZ[PTVUPHUaL�HUJVYH�LZPZ[LU[P�JOL�YHJJOP\KVUV�[YHKPaPVUP�L�ZHWLYP�JOL�Z[HUUV�W\Y[YVWWV�ZJVTWHYLUKV��TH�JOL�[\[[VYH�JHYH[[LYPaaHUV�PS�YPJJOPZZPTV�WH�[YPTVUPV�KP�X\LZ[P�S\VNOP�

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PhotoStory

6

Castello di Mevale, Mevale, Visso, MCfoto di Arianna Anichini

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palazzo comunale di San Possidonio

Diario da un sismaEDITORIALE

di Paolo PavoniArchitetto, Responsabile Area3 “Governo del Territorio” e Responsabile di protezione Civile del Comune di Fivizzano (MS)

Alle 4:04 del 20 maggio una scossa di ter-remoto di magnitudo 5.91 colpisce il ter-ritorio emiliano, con epicentro prossimo a Finale Emilia nel Modenese. Una lunga interminabile scossa, circa 20”, di poco inferiore a quella che tre anni fa (6 aprile 2009) devastava la provincia de L’Aquila e il suo centro storico.I danni si raccolgono in un fazzoletto di territorio fra le provincie di Modena e Fer-rara.Queste aree non risultavano classi!cate sismiche, !no al 1984. Successivamen-te furono proposte in III classe nel 1998 e de!nitivamente classi!cate in zona “3” con Deliberazione di Giunta Regionale n° 1435 del 21/07/2003.La Zona “3” equivale a “zone soggette a scuotimenti leggeri, con accelerazioni comprese fra 0,15 e 0,175”.I danni sono ingenti.

Evento sismico in Emilia-Romagna 20/29-06-2012Il Fatto, l’Accaduto

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,KPÄJP�YLZPKLUaPHSP�TPUVYP

8

I terremoti noti dai cataloghi sismici in-dicano diverse zone telluriche adiacenti a quella colpita dal terremoto odierno.In particolare, la zona di Ferrara, circa 30 km a est dell’epicentro dell’evento attua-le, fu colpita il 17 novembre 1570 da un terremoto con magnitudo stimata 5.5 (dai dati dei danneggiamenti) che produsse danni !no all’VIII grado.Successivamente nel 1688 e ancora Bo-logna nel 1929, con danneggiamenti del VII/VIII grado della “Scala Mercalli”2 e di magnitudo fra 4.5 e 5.Più recentemente, l’11 luglio 1987, un terremoto di magnitudo 5.4 interessò la zona della pianura padana nelle province di Bologna e Ferrara, circa 20 km a sud del terremoto odierno. Lo scorso anno, il 17 luglio 2011, un evento di M 4.7 ha in-teressato la provincia di Reggio Emilia, 20 km a nordest di quello di oggi. Altri terremoti signi!cativi di magnitudo !no a 6 sono avvenuti più a sud, nell’Ap-pennino settentrionale, dove il livello di

pericolosità è più alto. Due faglie parallele: ognuno di questi fronti ha terremoti storici associati equiva-lenti, anche alla stessa epoca geologica. La pianura padana si sta restringendo fra gli Appennini e le Alpi.Dopo qualche giorno, pur registrando-si un’attività sismica rilevante, le scosse sembrano attenuarsi di intensità. La gente dell’Emilia-Romagna cerca di rialzare la testa, cominciando a riparare alcuni danni ritenuti leggeri; si rientra in fabbriche ap-parentemente non danneggiate. Ma il 29 maggio ancora forti scosse alle 9:00, alle 12:55 e alle 13:00 rispettivamente di ma-gnitudo 5.8, 5.3 e 5.2; scosse che riporta-no terrore e distruzione.Ancora crolli e ancora vittime.Molti monumenti danneggiati vedono de-!nitivamente crollare le proprie vestigia sotto le scosse del 29 maggio.Dal secondo comunicato dell’INGV3 del 29 maggio, alle ore 16:00, si legge: “ … localizzate tre scosse di M > 5 e sette di

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,KPÄJPV�Y\YHSL

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magnitudo M > 4; la distribuzione delle repliche evidenzia che la fascia attivata con i terremoti odierni estende la zona attiva !no alla provincia di Reggio Emilia, con una estensione totale di quasi 50 km. Il tipo di meccanismo focale indica un mo-vimento compressivo su faglie orientate circa est-ovest e compressione nord-sud, in analogia con quanto osservato duran-te i terremoti del 20 maggio e nei giorni successivi. Sembra trattarsi pertanto della stessa faglia o di una faglia parallela orien-tata nello stesso modo di quella attivata il 20 maggio”.Si comincia a fare il conto dei danni.Secondo un rapporto del Dipartimento Nazionale di Protezione Civile le persone evacuate ed assistite nel territorio interes-sato dal sisma e ricadente in tre diverse regioni, Emilia-Romagna, Veneto e Lom-bardia, sono solo per l’Emilia Romagna oltre 14’000.Al 17 giungo erano state veri!cate con modalità speditiva4 oltre 41’000 edi!ci; su circa 10’000 edi!ci è stata svolta anche la veri!ca di agibilità con scheda AEDES5 da parte di squadre di rilevatori formati nel corso “Valutazione di agibilità e rilievo del danno”, organizzato dal Dipartimento,

con un dato allarmante, oltre il 40% degli edi!ci risulta inagibile (classe “E” e “F”)5.La crescente sensibilità nei confronti dell’architettura povera, impropriamente detta “architettura minore”, unita ad un rinnovato gusto estetico legato al recupero conservativo dei caratteri estetico - funzio-nali delle unità immobiliari dell’edilizia dei centri storici e dell’edilizia rurale, ri-schia di essere vani!cata dalla gravità dei danni subiti dagli edi!ci.La gravità del sisma che ha colpito l’Emi-lia-Romagna , come quello de l’Aquila e altri, può essere de!nito un vero e proprio “lutto culturale” (Beneduce, 2002).Le comunità, come le persone, non ritor-nano mai “come prima” dopo eventi di questa entità.“Ciò che è accaduto resta incorporato nella vita della comunità e prende vita una nuova realtà” (Van de Eynde e Veno, 1999). A questo proposito si parla oggi di un “lutto culturale”, vale a dire di una for-ma di perdita che comprende il mondo so-ciale che si era conosciuto, gli edi!ci e gli spazi signi!cativi (la chiesa, la piazza) che costituivano la propria consueta geogra!a, le consuetudini, le ritualità, il linguaggio noti (Kaniasty e Norris, 1999).

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Chiesa parricchiale San Possidonio

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Intorno a chiese, piazze, vie principali si costruisce la propria quotidianità, si in-trecciano relazioni. Venendo a mancare questo, vengono a mancare le consuetudi-ni e le ritualità dell’individuo.

La ricostruzione, dopo le prime fasi dell’e-mergenza, è sicuramente la fase più com-plessa.Non solo si deve ricostruire luoghi ed edi-!ci, ma si deve lavorare alla ricostruzione delle comunità, delle identità di gruppo e di quelle individuali.La ricostruzione deve tendere a non stra-volgere l’identità dei luoghi. Bisogna evita-re che all’attività del sisma si sommi l’ope-ra frettolosa, con il suo intervento urgente, a completamento dell’azione distruttiva avviata dal cataclisma.I programmi di ricostruzione basati sul principio della massima sicurezza e pre-venzione devono dimostrarsi adeguati alla natura dei luoghi. La politica d’intervento improntata sul tentativo di ridurre al mi-nimo la pericolosità delle abitazioni deve comunque vedere salvaguardati alcuni

aspetti peculiari delle “architetture mino-ri” presenti sia nei centri storici che nel territorio rurale, quali non variare i rap-porti fra pieni e vuoti, non sostituire le ge-ometrie spontanee delle case in pietra e/o mattoni con gli allineamenti propri delle case popolari , dilatando eccessivamente la distanza delle costruzioni cercando di non modi!care in maniera irreversibile il modo di essere e la !sionomia dei centri emiliani.Ad oggi la crisi sismica, consistita in centi-naia di repliche non ancora concluse, e che ha interessato una zona di vaste dimensio-ni a partire dai territori del ferrarese !no a quelli del modenese e su verso la Lom-bardia, ha provocato e"etti devastanti sia da punto di vista orogra!co che insedia-tivo, provocando da un lato danni al pa-trimonio storico artistico con conseguenza anche sulla economia di questo territorio, dall’altro enormi disagi alla popolazione rimasta senza abitazione.L’attenzione si è concentrata infatti oltre che sulla popolazione senzatetto anche sull’enorme patrimonio storico artistico distrutto.

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Chiesa parrocchiale di Disvetro

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Molti dei monumenti danneggiati sono vere e proprie emergenze architettoniche, punti di riferimento per l’identi!cazione di quei luoghi, come la Rocca Estense a San Felice sul Panaro, la basilica cattedrale di Santa Maria Assunta a Carpi, la pieve di Quarantoli, la torre dell’orologio a Finale Emilia, la chiesa parrocchiale di San Possi-donio oltre alcune emergenze minori quali La chiesa Parrocchiale di Santa Maria ad Nives, la Chiesa Parrocchiale di Disvetro e molte altre ancora.Non esiste la pianura senza campanili, ognuno di essi è un riferimento per la co-munità.La ricostruzione e il consolidamento di questi “luoghi” sarà importante tanto quanto quello dei capannoni e delle case.Ma quale sarà l’azione politica post sisma.Il dibattito in questo momento è molto vivo e sentito.C’è chi propone, forse anche in modo pro-vocatorio, come l’Assessore alle Politiche per la sostenibilità della Provincia di Man-tova – Alberto Grandi: “… meglio abbat-tere le chiese, la comunità si riorganizzi” proponendo con questo “slogan” di salvare il salvabile e per il resto ricostruire nuove geometrie per gli edi!ci della comunità, come un nuovo modo di relazionarsi, più adeguato ai nostri tempi (cfr. Gazzetta di Mantova del 6/6/2012).Oppure come il critico d’arte Philippe Da-

verio che vede nella “sciagura” un’opportu-nità, quella di riorganizzare le città sosti-tuendo gli edi!ci che negli ultimi 50 anni hanno alterato l’armonia e l’eredità storica, con nuovi edi!ci che recuperino quest’ar-monia. Magari anche incentivando le de-molizioni: per un metro cubo “brutto” de-molito due o tre metri cubi “armonici” da ricostruire, recuperando così anche quelle “linee di orizzonte” che sono state nell’ul-timo secolo deturpate e che un tempo era-no caratterizzate da quei campanili che la catastrofe ha spazzato via.L’importante è dibattere evitando gli erro-ri del passato che vanno dalle città nuove della Sicilia (Belice) imposte come nuo-vi modelli di vita, con una ricostruzione calata dall’alto senza rispetto dei bisogni reali della popolazione perdendo anche la memoria delle stesse pietre, agli interventi in Umbria che hanno favorito l’allontana-mento dai centri storici, alle New Town de l’Aquila dove la “politica urbanistica” degli amministratori ha appro!ttato della di-struzione della “città” favorendo la costru-zione, in ogni luogo, di nuove appendici edilizie prive di qualità, mentre i centri storici evacuati e puntellati sono colpevol-mente lasciati alle intemperie.

Da qui emerge netta la mancanza di un approccio delle politiche urbanistiche all’analisi della vulnerabilità urbana inte-

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Palazzo comunale di San Possidonio

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sa come l’analisi degli aspetti tipologici e funzionali degli insediamenti urbani che in#uiscono sulla generazione e sull’ampli-!cazione dei danni sismici.Le analisi talvolta usate e pensate princi-palmente per l’edilizia non riescono ad evidenziare le connessioni tra rischio si-smico e modi d’uso del territorio, ne a far emergere una piani!cazione di tipo stra-tegico, capace di governare i processi di trasformazione urbana al !ne di ridurre il rischio sismico o, più modestamente, al !ne di non aumentarlo.E’ pertanto necessario che alla stesura de-gli atti di piani!cazione preceda un’azio-ne di conoscenza degli elementi, singoli fabbricati ed infrastrutture edilizie (strade,

reti tecnologiche, aree scoperte, …), pro-duttori di vulnerabilità urbana (diretta o indotta) anche al !ne di valutare scenari di rischi imputabili all’azione del sistema urbano in termini di danni alle persone, cose all’intero sistema economico esposto, magari mediante una scheda di rilevamen-to capace di parametrizzare tutti i valori di vulnerabilità e che analizzi ogni fattore di vulnerabilità ed esposizione.Appare quindi indispensabile pensare per il futuro ad una piani!cazione che con-giuntamente svolga azione di riordino ur-banistico del sistema territoriale urbano e di miglioramento antisismico dell’edi!ca-to sia esso storico o meno.

1 Questa scala di valutazione venne sviluppata nel

1935 da Charles Richter in collaborazione con Beno

Gutenberg, entrambi del California Institute of Techno-

logy; originariamente la scala era stata fatta solo per

essere usata in una particolare area della California,

e solo su sismogrammi registrati da uno strumento

particolare, il sismografo a torsione di Wood-Ander-

ZVU����5LSSH�KLÄUPaPVUL�KH[H�KH�9PJO[LY��SH�THNUP[\KV�(M) di qualsiasi terremoto è data dal logaritmo in base

dieci del massimo spostamento della traccia (rispetto

allo zero, espresso in micrometri) in un sismografo a

torsione di Wood-Anderson calibrato in maniera stan-

KHYK��ZL�S»L]LU[V�ZP�MVZZL�]LYPÄJH[V�H�\UH�KPZ[HUaH�LWP-centrale di 100 km.

2 La scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) è una

scala che misura l’intensità di un terremoto tramite

gli effetti che esso produce su persone, cose e ma-

nufatti.3 05.=�� 0Z[P[\[V� 5HaPVUHSL� KP� .LVÄZPJH� L� =\SJHUVSV-

gia, http://www.ingv.it/ 4 Modalità speditiva: Tecnici

esperti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco svol-

NVUV�SL�VWLYHaPVUP�KP�]LYPÄJH�ZWLKP[P]H"�\UH�ZVS\aPVUL�che permetterà, laddove possibile, il rientro in tem-

pi brevi nelle proprie abitazioni al maggior numero di

persone.5 Scheda di 1° livello di rilevamento danno,

WYVU[V�PU[LY]LU[V�L�HNPIPSP[n�WLY�LKPÄJP�VYKPUHYP�ULSS»L-

mergenza post-sismica con esito variabile da A ad

F (A = Agibile; B= Temporaneamente inagibile; C =

Parzialmente inagibile; D = Temporaneamente inagi-

bile da rivedere; E = Inagibile; F = Inagibile per rischio

esterno).

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PhotoStory

Chiesa di Piaggia, Piaggia, Sellano, PG foto di Arianna Anichini

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PhotoStory

Page 15: Network in Progress #9

%HOÀRUH��)ROLJQR��3*�foto di Silvia Minichino

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PhotoStory

Muccia, MCfoto di Silvia Minichino

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Paradigmi dellaricostruzionedi Valerio Massaro e Matteo Scamporrino

Laureando in Architettura Urbanista, Phd Student

Cosa vuol dire ricostruire?

Dopo ogni evento catastro!co sono due le parole che in modo più o meno tecnico immediatamente diventano in#azionate nel loro uso: emergenza e ricostruzione.La forza dell'abitudine ci sta insegnando che la parola emergenza si tramuta "fatti-vamente" nell'allestire campi, dare confor-to a chi ne ha bisogno, procurare viveri e tutta una serie di cose che potremmo facil-mente riassumere con il concetto di digni-toso ricovero.Subito dopo è la parola ricostruzione quel-la che più di ogni altra diventa protagoni-sta tanto nei frangenti mediatici quanto in quelli più prettamente tecnici. In questo caso le cose si fanno più com-plicate, poiché nonostante tutti sembrino aver ben chiaro il concetto di ricostruzione i progetti e le metodologie per attualizzarla sembrano sempre vaghe e nel peggiore dei casi del tutto assenti.Messina nel 1908

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Una città non è una scatola

Immaginiamo che una città sia solo un "contenitore" di uomini ed attività ed avesse tutte le caratteristiche di una scato-la: Una bella scatola di legno che un gior-no cadendo si rompe. Se, proprio come un semplice oggetto, una città si potesse "riaggiustare" in poche ore probabilmente nessuno, o pochissimi, avrebbero dei dub-bi: ricostruire vorrebbe dire tornare esatta-mente alle condizioni esistenti un minuto prima della “rottura”.

Una città in realtà è una complessissima sovrapposizione di "strati" materiali ed im-materiali: cemento, terra, mattoni, vuoto, esseri umani, relazioni sociali, a"etti, sono solo la minima parte degli ingredienti che compongono un tessuto urbano.Cosa vuol dire allora ri-costruire un orga-nismo di questo tipo? Nessuno sarebbe in grado di immaginare la !ne di una rico-struzione, nessuno può credere che possa esistere il giorno in cui sentirà pronunciare "oggi la ricostruzione è !nita".Non bisogna parlare di progetti !niti ma di processi compiuti.

Per a"rontare il tema è dunque constatare che non si tratta di un ripristino materiale di spazi architettonici, ma della "guarigio-ne" di un organismo complesso che dopo essere stato ferito deve poter riprendere il suo percorso vitale !no a ri-ottenere un re-gime ottimale ed autonomo.Dunque ricostruire non è un punto di ar-rivo ma un punto di partenza, con cui si sceglie il futuro di un territorio.

Nel passato pre-moderno ricostruire è sta-to spesso un'opportunità che si manife-stava con progetti ben de!niti ed ordinati dall'alto che si innestavano su quegli stessi tessuti feriti: progetti di modernizzazione e adeguamento a mutate condizioni sociali economiche o tecnologiche. Sicuramente progetti non estranei alle speculazioni, ma di cui in parte ne bene!ciava anche la col-lettività.

La tentazione della tabula rasa

Mai come nella modernità sembra che ri-costruire sia diventato di$cile; una socie-tà mutata, leggi ed ordinamenti estrema-mente complessi e mutate condizioni della professione architettonica sicuramente in-#uiscono nell'aumentare le di$coltà.Troppo spesso si ha la sensazione che le proposte emergenti per le ricostruzioni si-ano legate ancora ad un innamoramento congenito degli architetti a quella fase eroi-ca del movimento moderno in cui le città ed in parte le società erano ancora da costru-ire: sembra che ricostruire debba diventa-re l'opportunità per migliorare, cambiare, implementare, correggere, rivoluzionare la città e "sperimentare" nuovi stili di vita. Per far questo la tabula rasa sembra che sia l’unica opzione possibile, mascherando i problemi di compatibilità dei progetti con fantomatici vantaggi economici.

Un'atteggiamento simile solo in parte a quel passato di opportunità e cambiamen-ti a cui si contrappone simmetricamente l'atteggiamento iper conservatore di un com'era dov'era senza appello, che rischia, dimenticandosi delle inevitabili specula-zioni, di ripristinare un com'era dov'era ar-chitettonico e materiale svuotato di ogni signi!cato e funzione che una città in quanto tale richiede. Troppo spesso si dimentica che terremota-ti o alluvionati non sono nè cavie nè “uo-mini da civilizzare”, ma sono persone che hanno sempre un loro progetto ideale. Il loro progetto è, nel bene e nel male, quella vita che avevano un attimo prima che fosse stravolta da qualcosa di incon-trollabile.In Italia dunque si parla spesso di ricostru-zione senza averne chiare de!nizioni. Se nelle pratiche urbanistiche ed architet-toniche esistono de!nizioni e regole esse si costruiscono con modelli chiari di inter-vento frutto di pratica e teoria, con legisla-zioni adeguate ed aggiornate.Tutte cose chee sembrano mancare.

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Cosa vuol dire ricostruire

Nonostante l’Italia stia realizzando che non può più permettersi di valutare gli eventi calamitosi come episodi isolati, sembra che ad oggi non esistano modelli condivisi per la creazione di un’idea guida di ricostruzione (Edgington, 2009; Nimis, 2009). I terremoti non sono tutti ugua-li, questo è vero, ma è possibile far tesoro di errori e buone pratiche del passato per comprendere sempre più a fondo quello che sembra essere un “tema” troppo poco approfondito.

Per fare questo è utile utilizzare il Gra!-co dei modelli desunti dai quattro grandi casi ricostruttivi italiani dal dopoguerra ad oggi cioè Belice, Friuli, Irpinia, Umbria-Marche (Guidoboni, 2011; Nimis, 2009).Essi sono inseriti in un asse cartesiano che riporta nelle ascisse la straordinarietà de-gli strumenti utilizzati e sulle ordinate il grado di decentramento della governance ricostruttiva.Le forme e i colori dei casi riportano dati come il costo, i tempi, la localizzazione de-gli interventi e la presenza o meno di feno-meni di abbandono dei rispettivi crateri.

Si notano due modelli dominanti, il pri-mo nella parte destra bassa rappresentato

dal Friuli e da Umbria-Marche e il secon-do nella parte alta e sinistra sostanziato dai casi di Irpinia e Belice.In basso a sinistra c’è il caso de L’Aquila che, non essendo ancora concluso, atten-de di collocarsi e attualmente può tende-re verso qualsivoglia dei due modelli: in questa sede approfondiamo soprattutto gli aspetti legati alla Governance convinti che sia un aspetto nodale.Solo da meno di un anno essa è stata decen-trata maggiormente passando dal governo, tramite la Protezione Civile, alla Regione.Un cambio di rotta importante verso un decentramento maggiore nella gestione del processo ricostruttivo, purtroppo ad oggi i piani di ricostruzione, pur comuna-li, stentano a coinvolgere la popolazione. Dal gra!co si nota come lo spostamento verso destra, decentrando la governance, possa favorire il risparmio di costi e tempi, soprattutto nel medio e lungo termine. Il pensiero Tecnocratico e Demiurgico di “Comando e Controllo” della Protezione Civile ha generato inoltre e"etti territo-riali negativi che la Ricostruzione adesso è chiamata a gestire (Pulia!to, 2010). Il Pia-no CASE, gli alloggi monofamiliari in ter-reno agricolo, la chiusura prolungata delle zone rosse e opere viabilistiche estempora-

B

U-M

F

Strumenti ordinari

Strumenti straordinari

Governance Centralizzata

Governance decentrata

Costi della ricostruzione (Mld di Lire)

>50.000

30.000

20.000

Localizzazione ricostruzione

New Town

Misto

In Situ

Fase di ricovero?

Si No

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��= Belice 1968 ��= Friuli 1976 ��= Irpinia 1980 ����= Umbria Marche 1997 ��= L’Aquila 2009

Tempi della ricostruzione (anni)

< 10

>10 e <20

> 20

Non conclusa

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Fenomeni di abbandono dei territori

Non rilevati (Senza ombra)

Rilevati (Con ombra)

Secondo modello

Primo modello

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nee stanno rappresentando un’emergenza nella ricostruzione che non permette di conciliare la necessità di rigenerazione del territorio con il Progetto di Ricostruzione Implicito di ritorno al pre-sisma che gli attori locali naturalmente ricercano (Ed-gington, 2009). Rischiano così di generarsi con#itto sociale e immobilismo; ricostrui-re a L’Aquila in maniera condivisa dopo la “diaspora” post emergenza e i “Progrom” nelle zone rosse è molto di$cile, gli abitati hanno perduto i loro riferimenti vicinali sociali pre-sisma e si sono dovuti adattare a nuovi luoghi, a nuovi vicini, a nuove quo-tidianità (Klein, 2006).La voglia, da parte della Protezione Civi-le e del Governo, di “assistere”, unita alla presunzione di eterodirigere e eterodeter-

minare lo sviluppo e il futuro di un terri-torio scioccato, mostra i suoi evidenti li-miti. Essi sono rappresentati dalle troppo visibili cicatrici del terremoto a tre anni e mezzo dal sisma, dalla mancanza di una qualsiasi idea di ricostruzione condivisa e dal mancato coordinamento delle parti di un cratere che per secoli è stato La Città Territorio. Occorre fare tesoro degli erro-ri compiuti nel caso aquilano perchè non vengano riproposti in Emilia in occasione degli ultimi eventi sismici. L’Emergenza non deve intaccare il processo ricostrutti-vo con le scelte “demiurgiche” come è sta-to per L’Aquila, inoltre occorre da subito considerare nodale il decentramento deci-sionale nella piani!cazione ricostruttiva.

90MLYPTLU[P�)PISPVNYHÄJP

-Edgington DW. (2009) “Recostructing Kobe”. Univ

of British Columbia

-Guidoboni E. & Valensise G. (2011) “Il peso econo-

mico e sociale dei disastri sismici in Italia negli ultimi

����HUUP¹��0Z[P[\[V�5HaPVUHSL�KP�.LVÄZPJH�L�=\SJHUV-

logia, Bologna.

-Hass, Kates e Bowden (1977) “Recostruction Fol-

lowing Disaster”. MIT Press.

-Klein N. (2006)“Shock Economy” Roma, Bur.

-Nimis P. (2009 )“Terre mobili” Roma, Donzelli.

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Quattro Emme.

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&DVWHOOR�GL�3RSROD��)ROLJQR��3*foto di Silvia Minichino

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&DVHQRYH��)ROLJQR��3*�foto di Chiara Serenelli

PhotoStory

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(testi in spagnolo ed italiano)

Asuncion

BASURAMA. EL PROYECTO RUS Y EL TRABAJO EN RED

IL PROGETTO RUS E IL LAVORO IN RETE

Extractos del libro RUS. Residuos Urbanos Sólidos. Basura y espacio público en Latinoamérica. 2008-2010. Todo el libro puede leerse y descargarse gratuitamente en la página rus.basurama.org

Traduzione a cura di Debora TonlorenziEstratti dal libro RUS Resisui Urbani Solidi. Ri!uti e spazio pubblico in Sud America 2008-2010. Il libro può essere consultato e scaricato gratuitamente alla pagina www.rus.basurama.org

Page 24: Network in Progress #9

Il progetto RUS-Residui Urbani Solidi -è un progetto di arte pubblica multiforme basato sul lavoro con i residui, siano essi solidi, domestici, industriali o non mate-riali, e soprattutto, urbani.

RUS è anche una ri#essione congiunta sul consumo e la riutilizzazione dei residui e dello ‘spazio ri!uti’ delle città, tramite ap-procci molto diversi a città con caratteri-stiche particolari.Tutte le città in cui è stato realizzato il pro-getto Rus sono accomunate da una serie di con#itti come per esempio il consumo di massa, la disparità di accesso alle risorse e la precarietà nel mondo della gestione dei ri!uti, così come da una segregazione ur-bana selvaggia, un ipertro!zzato e ricchis-simo settore sommerso o una ossessione per lo sviluppo.Gli iniziali progetti sviluppati in dieci città latinoamericane, hanno dato origine ad un formato o a strumenti di lavoro per pro-porre progetti di intervento urbano in cit-tà contemporanee, tutte in pieno sviluppo.

Il progetto Residui Urbani Solidi si basa su tre assi chiare su cui si formalizza l’azione:

El proyecto RUS –Residuos Urbanos Sóli-dos– es un proyecto de arte público multi-forme centrado en el trabajo con los residuos, sean éstos sólidos, domésticos, industriales o inmateriales y, sobre todo, urbanos.

RUS es también una re"exión conjunta re-specto al consumo y la reutilización de los re-siduos y del “espacio basura” de las ciudades, a través de aproximaciones muy distintas a urbes de características particulares. Todas las ciudades en las que se ha realizado un proyecto RUS comparten una serie de con-"ictos como pueden ser el consumo masivo, la desigualdad en el acceso a los recursos y la precariedad en el mundo de la gestión de la basura, así como una segregación urbana salvaje, un hipertro!ado y muy rico sector informal o una obsesión por el desarrollo.Lo que en un origen comenzó como una serie de proyectos en diez ciudades de Lati-noamérica, ha acabado derivando en un formato o una herramienta de trabajo para proponer proyectos de intervención urbana en ciudades contemporáneas, todas ellas en pleno desarrollo.

El proyecto Residuos Urbanos Sólidos se asienta en tres ejes claros sobre los que forma-liza la acción:

Lima

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RED (rete) Lavoro collettivo in collabo-razione diretta e orizzontale con agenti locali. Scambiare conoscenze e creare una rete che perduri oltre il proprio progetto. Successivamente, lavorare dalla somma di sinergie arricchisce il risultato e permette di a"rontare la complessità della realtà at-tuale da di"erenti punti di vista. Si stabili-sce una relazione orizzontale con gli artisti locali, cercando di non cadere nel paterna-lismo unidirezionale ereditato dal concetto classico di ‘Cooperazione internazionale’. RUS è stato pensato come un modo di in-staurare dialoghi che conducesssero a tes-sere reti tra agenti spagnoli e agenti locali, però soprattutto tra i propri artisti locali coinvolti, con l’interesse di poter generare altre reti alternative a quelle esistenti.

BASURA (ri!uti). Processi produttivi contemporarei, i residui che questi ge-nerano e il loro riutilizzo.Il riutilizzo di materiali permette di fare ricerca sui residui che vengono prodotti in ogni luogo e sulla gestione che si fa di questi, mettendo in evidenza il sistema di consumo di ogni paese e gli attori che par-tecipano alla catena. Analogamente, per-mette di realizzare progetti a basso costo senza un intervento economico consisten-te, dando la possibilità alle persone che partecipano di poter mantenere, creare o riprodurre i propri progetti, senza la neces-sità di un appoggio esterno.

RED. Trabajo colectivo en colaboración directa y horizontal con agentes locales. Intercambiar saberes y crear una red que per-viva al propio proyecto. A su vez, trabajar desde la suma de sinergias enriquece el re-sultado y permite afrontar la complejidad de la realidad actual desde múltiples miradas. Se establece una relación horizontal con los artistas locales, tratando de no caer en el pa-ternalismo unidireccional heredado del con-cepto clásico de “Cooperación internacional”. RUS se pensó así como una manera de plan-tear diálogos que condujeran a tejer redes en-tre agentes españoles y locales, pero sobre todo entre los propios artistas locales involucrados, con el interés de poder generar otras redes al-ternativas a las ya existentes.

BASURA. Procesos productivos contem-poráneos, los residuos que estos generan y su reutilización. La reutilización de ma-teriales permite investigar los residuos que se producen en cada lugar y la gestión que se hace de ellos, poniendo de relevancia el siste-ma de consumo de cada país y los actores que participan en la cadena. Así mismo, permite realizar proyectos de bajo coste sin una inyec-ción económica fuerte, lo que facilita que las personas que participan puedan mantener, crear o reproducir sus propios proyectos, sin necesidad de apoyo exterior.

Lima

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SPAZIO PUBBLICO. Riattivazione di uno spazio pubblico o la visibilità di una problematica esistente. E’ molto importante che i progetti RUS si materia-lizzino intorno ad un con#itto legato allo spazio pubblico. Gli spazi di con#itto si sono moltiplicati negli ultimi anni mano a mano che le società si sono impossessate di questi. Pensiamo che si debba conside-rarli tutti come degli strumenti di lavoro e non come campi di battaglia. Il nostro desiderio è fomentare un dibattito costrut-tivo che possa sfociare in un cambiamento della situazione o propiziare una prospetti-va diversa, che vada oltre la “visibilità” o la “denuncia”, che altri gia attuano.

La rete nei progetti di RUS

Addentrarsi in un progetto di “coopera-zione culturale” come RUS ci fa sorgere molte domande che non ci eravamo fatti !no ad allora sul termine “cooperazione” più che su quello “culturale”. Abbiamo sempre considerato l’arte e la cultura come strumenti di trasformazione sociale e di servizio pubblico e correvamo il rischio di cadere nella cooperazione assistenziale e unidirezionale. Ci interessava molto di più, al contrario, il concetto di trasforma-zione; una trasformazione che si dovreb-

ESPACIO PÚBLICO. Reactivación de un espacio público o visibilización de una problemática existente. Es muy im-portante que los proyectos RUS se materiali-cen en torno a un con"icto relacionado con el espacio público. Los espacios de con"icto se han multiplicado en los últimos años en la medida que las sociedades se han ido apo-derando de ellos. Pensamos que hay que en-tenderlos todos ellos como una herramienta de trabajo y no como un campo de batalla. Nuestro deseo es fomentar un debate con-structivo que pueda desembocar en un cam-bio de situación o propiciar una perspectiva distinta, más allá de la “visibilización” o la “denuncia”, que ya otros realizan.

La red en los proyectos de RUS

Adentrarse en un proyecto de “cooperación cultural” como es RUS nos genera muchas preguntas que no nos habíamos hecho hasta entonces –sobre el término “cooperación” más que sobre el término “cultural”–. El arte y la cultura siempre los hemos entendido como herramientas de transformación social y ser-vicio público, por lo que se corría el riesgo de caer en la cooperación asistencial y uni-direccional. Nos interesaba mucho más, en cambio, el concepto de  transformación; una

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be realizzare in tutti noi -intendendo noi come “loro e noi”-.

Davanti alla cooperazione per lo sviluppo intesa precisamente come sviluppo -che sviluppo? Chi sviluppa chi?- volevamo ve-ri!care la cooperazione nel signi!cato di “operare congiuntamente”. La cooperazio-ne, realizzandosi tra le persone, tra il noi e gli altri, per de!nizione propria, riman-da ad una cooperazione culturale e, se si vuole, interculturale. Cooperare implica quindi vari soggetti e se tra i vari soggetti esiste una relazione, questi danno origine ad una rete. Questo ha a che fare anche con il carattere processuale dei progetti. E il processo implica conoscere la realtà locale, mettersi in contatto con le perso-ne coinvolte in questa realtà e relazionarsi CON queste, implica fare rete.

Nel caso dei progetti RUS, l’utilità socia-le della pratica artistica si inserisce in un contesto aperto e #essibile, di carattere orizzontale dove tutti gli agenti lavorano multidirezionalmente, non ci sono gerar-chie ma rete. Queste premesse che abbia-mo instaurato dall’inizio in RUS - molte volte luoghi comuni - sono state portate a termine in tutti i progetti, sebbene con un diverso grado di intensità nello sviluppo !nale. Esistono responsabilità, che si con-dividono o si assumono in misure diverse, però l’ orizzontalità è la chiave per avere

transformación que se realizara en todos no-sotros –entendiendo nosotros como “ellos y nosotros”–.

Frente a la cooperación al desarrollo entendi-da precisamente como desarrollo –¿qué desar-rollo? ¿quién desarrolla a quién?– queríamos experimentar la cooperación en el sentido de “operar conjuntamente”. La cooperación, al realizarse entre personas, entre el nosotros y los otros, se trata por de!nición propia de una cooperación cultural, intercultural si se quiere. Cooperar implica por tanto varios agentes, y varios agentes, si están relaciona-dos, construyen una red. Esto tiene que ver también con el carácter procesual de los pro-yectos. Y el proceso implica conocer la reali-dad local, ponerse en contacto con las per-sonas que se desenvuelven en esa realidad e implicarse CON ellas, es decir, implica red.En el caso de los proyectos RUS, la utilidad social de la práctica artística se plantea en un contexto abierto y "exible, de carácter horizontal donde todos los agentes trabajan multidireccionalmente, no hay jerarquías sino red. Estas premisas que planteábamos desde el principio en RUS  –lugares comunes muchas veces– se han llevado hasta el !nal en todos los proyectos, aunque con diferen-te grado de intensidad en el desarrollo !nal. Existen responsabilidades, que se comparten o se asumen en diferente grado, pero la hori-zontalidad es clave para tener claro estos gra-dos de responsabilidad asumidos. Al !nal los

Niamey

Page 28: Network in Progress #9

chiari questi gradi di responsabilità che si sono assunti. Alla !ne i progetti terminano de!nendosi con l’apporto di tutti a partire da assi principali, una struttura generata da RUS e dal contesto, soggetta a rompersi in qualsiasi momento.

I progetti RUS vengono stabiliti come connessione tra ambiti diversi all’interno della stessa città per lavorare in collabo-razione diretta, cercando di evitare qual-siasi paternalismo possibile. Cerchiamo di coinvolgere agenti artistico-culturali in processi di creazione collettiva, ma anche gruppi sociali che generalmente hanno un accesso più di$cile alla cultura. In questo modo spesso si riesce a creare una rete dia-gonale: dall’alto verso il basso e da sinistra a destra.

Arrivati a questo punto è necessario do-mandarsi: abbiamo realmente creato una rete al di là di quella che si generano natu-ralmente lavorando con gli altri? Una rete che perduri anche dopo il progetto? Di

proyectos terminan de!niéndose con la apor-tación de todos a partir de unos ejes princi-pales, un marco generado por RUS y por el contexto, dispuesto a romperse en cualquier momento.

Los proyectos RUS se establecen como cone-xión entre ámbitos diferentes dentro de la misma ciudad para trabajar en colaboración directa, tratando de evitar cualquier posible paternalismo. Tratamos de implicar en pro-cesos de creación colectiva a agentes artísticos y culturales, pero también a grupos sociales que generalmente tienen un acceso más difícil a la cultura. De esta manera se consigue mu-chas veces crear una red diagonal: de arriba abajo y de izquierda a derecha.

Llegados a este punto es necesario preguntar-se: ¿Realmente hemos generado red más allá de la que se genera de forma natural al tra-bajar con otros? ¿Una red que permaneciera más allá del proyecto? Frente a la red entre

Santo Domingo

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iguales –redes que normalmente ya existen por sí solas–, efectivamente se han generado cruces entre agentes diferentes, la cuestión es saber si esa red ha permanecido en el tiempo, más allá de nuestra visita, una vez termina-do el proyecto.

Precisamente es la red la que da continuidad a los proyectos, ya que todos los proyectos RUS han resultado efímeros. Los proyectos efíme-ros provocan la necesidad de reinventarse continuamente y para ello necesitan una red que los sostenga. Esta continuidad del pro-yecto ha funcionado en algunos casos, como el de RUS Lima donde posteriormente se ha replicado el proceso en otros lugares de la ciu-dad por parte de los colaboradores. En otros es difícil comprobarlo –se evidencia una falta de evaluación y seguimiento de los proyectos, no planteada en los planteamientos iniciales de RUS–. La apuesta grande es, por tanto, conseguir generar un marco físico y relacional que tenga continuidad y que permita el de-sarrollo de futuros proyectos de colaboración. Esto todavía está por ver en muchos casos.

La agitación como tejedora de red, de acción y de ilusión

Una de las reacciones que más nos ha sor-prendido es la agitación que generan alrede-dor los proyectos que se han llevado a cabo. Hoy todavía nos preguntamos: ¿Por qué se genera? y también: ¿Por qué luego se apaga? ¿Realmente se apaga?

Esta agitación es generada a partir de la ir-rupción de un elemento extraño –nuestra presencia extranjera– en el trabajo local cotidiano, avalada y !nanciada por la co-operación española, lo que implica que los proyectos RUS tengan un presupuesto relati-vamente alto, algo infrecuente en los entornos donde nos hemos movido. Que esa situación extraordinaria no se convirtiera en “extraña” ha sido difícil de lograr; no convertirse en un fenómeno que irrumpe destructivamente en el ecosistema creativo local, y rompe ese teji-do de red emocional y profesional, necesario

fronte alla rete tra pari -reti che normal-mente esistono gia da sole- sono state e"et-tivamente create delle relazioni tra agenti diversi, la questione è sapere se questa rete è rimasta nel tempo, anche dopo la nostra visita, una volta terminato il progetto.

Precisamente è la rete che dà continuità ai progetti, poichè tutti i progetti RUS sono risultati di breve durata. I progetti e$meri provocano la necessità di reinventarsi con-tinuamente e per questo hanno bisogno di una rete che li sostenga. Questa continuità del progetto ha funzionato in alcuni casi, come quello del RUS Lima dove il proces-so è stato in seguito ripetuto in altri luoghi della città da parte dei collaboratori. In al-tri è di$cile dimostrarlo - si evidenzia una mancanza di valutazione e di prosecuzione dei progetti, non stabilita nelle piani!ca-zioni iniziali di RUS-. La scommessa gran-de è quindi, di riuscire a generare un ambi-to !sico e relazionale che abbia continuità e che permetta lo sviluppo di progetti di collaborazione futuri. Questo comunque sta per realizzarsi in molti casi.

Il disturbo come tessitore di rete, di azione e di illusione.

Una delle reazioni che ci ha sorpreso mag-giormente è il disturbo che si crea intorno ai progetti che sono stati conclusi. Oggi ci chiediamo ancora: perchè si crea? E anco-ra: perchè poi svanisce? Davvero svanisce?Questo disturbo si crea a partire dalla ir-ruzione di un elemento estraneo -la nostra presenza straniera- nel lavoro locale quoti-diano, avvallata e !nanziata dalla coopera-zione spagnola, che implica che i proget-ti RUS abbiano un budget relativamente alto, qulacosa non frequente nei luoghi in cui ci siamo mossi. E’ stato di$cile otte-nere che questa situazione straordinaria non si convertisse in “estranea”, che non si trasformasse in un fenomeno che irrom-pe distruttivamente nell’ecosistema creati-vo locale, e che va a rompere questa rete emozionale e professionale, necessaria per portare a termine i progetti RUS.

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Page 30: Network in Progress #9

para llevar a cabo los proyectos RUS.A partir de esa agitación se genera la red. Esta agitación produce una alteración en varios niveles: en el mundo del arte –la comunidad artística local que se involucra directamen-te–; en el Centro Cultural –la "exibilidad del proyecto choca con los tiempos de la in-stitución–; en la comunidad –el barrio, los usuarios de un espacio público, el colectivo de recolectores…–; y en la vida cotidiana –la amistad y la densa red afectiva que surge con los colaboradores–. Esta agitación ha altera-do sobre todo a la comunidad artística local. En cambio en las comunidades sociales, debi-do al escepticismo y al desconocimiento hacia lo que es Basurama –el otro, el extranjero, el del presupuesto–, la alteración ha sido mu-cho menor. Una excepción en sentido opuesto donde la agitación pudo ser contraproducen-te fue el caso de México, donde el colectivo de los pepenadores se generó unas ilusiones que no eran acordes a los objetivos plante-ados. Prueba de esta agitación general es la repercusión en los medios de comunicación de casi todos los proyectos RUS, en los perió-dicos locales de tirada nacional y en medios independientes. Sólo en algunos casos, se ha generado agitación en forma de rechazo en los medios, como es el caso de Montevideo, denunciando una acción que se llevó a cabo en contenedores de basura.

Se puede decir que los proyectos de RUS ofrecen espacios de intercambio social don-de se producen “modos de sociabilidad hete-rogéneos”. Es en estos intersticios sociales don-de se generan nuevas “posibilidades de vida”, la interacción con el medio y con los otros. Este es el motor de acción de RUS, las relacio-nes entre las personas. Desencadenantes para que ocurran cosas, para generar agitación, pero también para generar y experimentar herramientas de acción que puedan aportar y sumarse a la gran creatividad social latente que existe en Latinoamérica.

A partire da questa interferenza si crea la rete. Essa produce alterazione a vari livelli: nel mondo dell’arte -la comunità artistica locale che viene coinvolta direttamente-; nel Centro culturale -la #essibilità del pro-getto si scontra con i tempi dell’istituzio-ne-; nella comunità - il quartiere, gli utiliz-zatori di uno spazio pubblico, il collettivo dei raccoglitori-; e nella vita quotidiana –l’amicizia e la densa rete a"ettiva che nasce tra i collaboratori -. Questa interfe-renza ha alterato soprattutto la comunità artistica locale. Al contrario nelle comuni-tà sociali, a causa dello scetticismo e della non conoscenza di che cosa sia Basurama - l’altro, lo straniero, quello del budget-, il disturbo è stato molto minore. Un’ecce-zione di signi!cato opposto dove l’inter-ferenza potè essere controproducente fu il caso del Messico, dove l’associazione dei raccoglitori generò delle illusioni che non erano rispondenti agli obiettivi !ssati.Prova di questa agitazione generale è la ri-percussione nei mezzi di comunicazione di quasi tutti i progetti RUS, nei quotidiani locali di tiratura nazionale e in mezzi indi-pendenti. Solo in alcuni casi è sorta un’in-terferenza sotto forma di ri!uto nei media, come nel caso di Montevideo, che denun-ciò l’azione che si concluse nei contenitori di ri!uti.

Possiamo a"ermare che i progetti RUS o"rono spazi di scambio sociale dove si producono “modi di socializzazione ete-rogenei”. E’ in questi spazi sociali che si generano nuove “possibilità di vita”, l’in-terazione con l’ambiente e con gli altri. Questo è il motore dell’azione di RUS, le relazioni tra le persone. Elemento scate-nante perchè avvengano le cose, per gene-rare perturbazione, ma anche per creare e sperimentare strumenti di azione che pos-sano apportare o possano aggiungersi alla grande creatività sociale latente che esiste in Sud America.

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9LD�$XJXVWR�&LXIIHOOL��9HUFKLDQR��)ROLJQR��3*�foto di Arianna Anichini

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Page 32: Network in Progress #9

9LOODJJLR�SRVW�WHUUHPRWR�$QQLIR��)ROLJQRfoto Silvia Minichino

PhotoStory

Page 33: Network in Progress #9

LA CITTA’ IN MOVIMENTOIL SISTEMA DEL TRASPORTO

PUBBLICO A CURITIBA - BRASILE

Carolina Ceres Sgobaro Zanette

La storia delle innovative soluzione urba-nistiche di Curitiba, una città al sud del Brasile, è stata riconosciuta in tutto il mon-do con premi internazionali che le hanno reso titoli come “città modello” e “città ecologica”. La raccolta di"erenziata dei ri-!uti, le lezioni di educazione ambientale con i bambini a scuola, l’implementazione di grandi parchi urbani e il numero elevato di area verde per abitante sono state carat-teristiche che hanno contribuito a questi titoli. Però è stato l’innovativo sistema di trasporto pubblico a farla conoscere in tutto il mondo. È stato Jaime Lerner, un urbanista che parte dal principio che “la città non è un problema, ma di una soluzione”1, chiamato ad assumere il posto di sindaco di Curitiba in tempi di dittatura militare, durante il suo primo mandato ha creato, tra il 1972 i il 1974, le corsie esclusive per gli autobus, chiamati allora gli “espressi”2. In questo momento iniziava il piano che sarebbe diventato la “ rete integrata di tra-sporto di Curitiba” (RIT - Rede Integrada de Transporte), che si è sviluppato nel de-

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BONFIM

PINHEIROS

JD. BOA VISTA

JD. PIONEIRO

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JD DAS GRAÇAS

MONTE CASTELO

(T. GUARAITUBA)

JD. GRAMADO

SÃO JORGE

V. PRADO

MONTE SANTO

SÃO JOÃO

SOLAR

PARAÍSO

COLINA

VERDE

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SÃO BERNARDO

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(T. GUARAITUBA)

CENTRO MED. COMUN. B. NOVO

AEROPORTO

CHAPINHAL

ALTO BOQUEIRÃO

BAIRRO NOVO

OSTERNACK

V. SÃO PEDRO

V. ACCORDES

XAXIM

KENNEDY

V. GUAÍRA

MUSEU OSCAR

NIEMEYER

AHÚ

CENTRO CÍVICO

PREFEITURA

COM. FONTANA

S.QUITÉRIA

ÁGUA VERDE

GUADALUPE

MERCÊS

2

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RODOFERROVIÁRIA

AGRÁRIAS

PÇA DAS NAÇÕES

COL. MILITAR

DETRAN

CHINA

CIRC.

MILITAR

PÇA.19

DEZ.

TIRADENTES

JARDIM

BOTÂNICO

CIC NORTE

C. POLITÉCNICO

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PÇA. SEMINÁRIO

CAVALO BAIO

WESTPHALEN

HOSPITAL MILITAR

PAIOL

PUC

SALGADO FILHO

UTFPR

PAROLIN

FERROVILA

MARECHAL FLORIANO

FANNY

SANTA

BERNADETHE

XAXIM

SÃO PEDRO

ROBERTO HAUER

PÁDUA FLEURY

PASSARELA

HIP. DA COSTA

C. LUIZ DO SANTOS

QUARTEL

OURO VERDE

SANTA REGINA

JOSÉ C. BETTEGA

PEDRO GUSSO

MORRETES

VITAL BRASIL

SEBASTIÃO PARANÁ

DOM PEDRO

PETIT CARNEIRO

SILVA JARDIM

BENTO VIANA

PRAÇA OSÓRIO

ANTONIO DE PAULA

JOAQUIM NABUCO

PASSEIO

PÚBLICO

ANTONIO CAVALHEIROS

HOLANDA

FERNANDO DE NORONHA

PÇA OSWALDO CRUZ

CEL. DULCÍDIO

MOYSÉS MARCONDES

CONSTANTINO MAROCHI

BOM JESUS

CARLOS DIETZCH

ITAJUBÁ

HOSPITAL DO TRABALHADOR

HERCULANO DE ARAÚJO

ALFERES POLI

PÇ. EUF. CORREIA

CONS. DANTAS

JOÃO VIANA SEILER

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GETÚLIO VARGAS

ANTONIO LAGO

GAGO COUTINHO

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39

49

26

15

08

32

43

33

11

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ADRIANE

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(T. GUARAITUBA)

RIBEIRA/F. CORADIN

(T. GUARAITUBA)

V. MARIA DO

ROSÁRIO

(T. GUARAITUBA)

JD.

EUCALIPTOS

SEDE

APDEC

COLOMBO

ANG. CARON

COLOMBO

ANG. CARON

COLOMBO

ANG. CARON

SEDE

APDEC

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STA FELICIDADE/

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TAMANDARÉ/COLOMBO

C. BELEM

S. FILHO

C. BELEM

S. FILHO

agosto/2009

V. URANO

RIO BONITO/CIC

PALOMA

(T. GUARAITUBA)

BELA VISTA

MORADIAS

PASSAUNA

FAZENDINHA/

C. COMPRIDO

ANA TERRA/

ADRIANE

XAXIM/LINHA VERDE

XAXIM/CAPÃO RASO

TERMINAL

FAZENDA RIO GRANDE

TERMINAL

BOA VISTA

TERMINAL

ANGÉLICA

TERMINAL

ARAUCÁRIA

TERMINAL

CIC

TERMINAL

FAZENDINHA

TERMINAL

CAIUÁ

TERMINAL

CAMPO COMPRIDO

TERMINAL

CAMP. DO SIQUEIRA

TERMINAL

SANTA FELICIDADE

TERMINAL

PINHEIRINHO

TERMINAL

BAIRRO ALTO

TERMINAL

CAPÃO DA IMBUIA

TERMINAL

HAUER

TERMINAL

CARMO

TERMINAL

CABRAL

TERMINAL

PORTÃO

TERMINAL

CAPÃO RASO

TERMINAL

PINHAIS

TERMINAL

BOQUEIRÃO

TERMINAL

CENTENÁRIO

TERMINAL

OFICINAS

TERMINAL

BARREIRINHA

TERMINAL

MARACANÃ

TERMINAL

SANTA CÂNDIDA

TERMINAL

CACHOEIRA

TERMINAL

SÍTIO CERCADO

TERMINAL

ALMIRANTE TAMANDARÉ

TERMINAL

AFONSO PENA

TERMINAL

GUARAITUBA

Legenda

Linha Direta Pinheirinho - S. Cândida

Linha Direta Inter 2

Linha Direta Aeroporto

Linha Direta Centro Politécnico

Linha Direta Sítio Cercado

Linha Direta Pinhais - Campo Comprido

Linha Direta S. Felicidade - B. Alto

Linha Direta Barreirinha - S. José

Linha Direta Bairro Novo

Linha Direta Colombo/CIC

Linha Direta Boqueirão - C. Cívico

Linha Direta Fazendinha - Tamandaré

Linha Direta Fazenda Rio Grande

Expresso

Interbairros

Alimentador

Troncal

Estação Tubo

Estação Tubo com Integração

Terminais

Linha Direta Araucária - Curitiba

Linha Direta Campo Largo - Curitiba

Linha Direta Centenário

Linha Direta Tamandaré/Cabral

Linha Direta Guaraituba/Cabral

Pontos de Interesse

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28

Aero Clube (Bacacheri)

Aeroporto

Antiga Estação Ferroviária

Arcadas do Pelourinho

Autódromo

Biblioteca Pública do Paraná

Boca Maldita

Bosque João Paulo II/Portal Polonês

Câmara Municipal de Curitiba

Catedral Basílica

Cem. Mun. São Francisco de Paula

Centro de Convenções de Curitiba

Centro Politécnico

Correio Velho

Farol da Cidade

Galeria Schaffer

Jardim Botânico/Museu Botânico

Memorial da Imig. Japonesa (Pça Japão)

Memorial da Imig. Ucraniana (Pq Tingui)

Museu da História Natural

Museu de Arte Contemporânea

Museu de Arte do Paraná

Museu Egípcio - Ordem Rosacruz

Museu Metropolitano de Arte (Portão)

Paço da Liberdade (Museu Paranaense)

Ópera de Arame/Pedreira Paulo Leminski

Palácio Avenida

Palácio Iguaçú

G-16/17

U-22/23

K-13

J-13

L-20

J-12

J-12

G/H-13

J-13

I/J-12

I-12

J-12

L-16

J-13

E-12

J-13

L-15/16

L-11

E-9

J-18

J-12

I-12

F-16

O-10

J-13

E-12

J-12

H-13

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50

Parque Barigui/Pavilhão de Exposições

Parque Iguaçú

Parque São Lourenço

Passeio Público

Praça Garibaldi

Prefeitura Municipal de Curitiba

PUC

Rodoferroviária

Rua 24 Horas

Rua da Cidadania da Fazendinha

Rua da Cidadania do Boqueirão

Rua das Flores

Ruínas de São Francisco

Santa Felicidade/Portal Italiano

Setor Histórico

Solar do Barão

Teatro Guaíra

Teatro Paiol

Torre Mercês/Brasil Telecom

Universidade Federal do Paraná

Universidade Livre do Meio Ambiente

Zoológico

H/J-8/9

K/U-17/20

E-13

I-13

I/J-12

I-13

L-14/15

J/K-14

J-12

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R-16

J-12/13

I-12

I-10

I/J-12/13

I-13

J-13

L-14

I-10

J-13

F-11

X-16/17

Relógio das Flores

Fonte da Memória

Igreja do Rosário

Fundação Cultural de Curitiba

Casa Romário Martins

Feira de Artesanato

Galeria Júlio Moreira

Igreja da Ordem

Museu de Arte Sacra

Cinemateca

Pro

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Page 34: Network in Progress #9

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correre degli anni !no al sistema che oggi è chiamato di BRT ( Bus Rapid Transit) ed è già stato impiantato in diverse altre città del mondo. La storia di questo sistema inizia dall’ idea di trovare una soluzione di trasporto di massa, come alternativa alla solita metro-politana: una soluzione in super!cie - piú facile da impiantare, più veloce e meno costosa. Nel momento in cui altre citta brasiliane pensavano a investire in sotto-passaggi e viadotti per facilitare il transi-to delle automobili (e così permettendo l’aumento di auto nelle città), Curitiba ha dato priorità al trasporto pubblico, alla collettività al posto della individualità. Si parla allora della “Brasilia dei lunghi viali, dell’uso dell’ automobile in contrasto con la Curitiba delle vie pedonali e trasporto pubblico”3.Il sistema degli autobus espressi in vie esclusive di Lerner, trasformano non sol-tanto la mobilità della città ma anche la sua struttura urbana. Le vie esclusive sono formate dal “sistema trinario” che consta di una via per il tra$co lento, dotata di corridoi esclusivi per gli autobus e di due vie laterali con sensi opposti (centro - quartiere , quartiere -centro) e vengono chiamate “vie strutturanti”.

Queste servirebbero da “spina dorsale” del trasporto pubblico, e sarebbero diventate zone di addensamento urbano, allegeren-do il centro della città. Negli anni ottanta, si sviluppa la vera e propria Rete Integrata di Trasporto, la RIT. Nella RIT le vie strut-turanti sono con!gurate come linee assiali dove spuntano terminali che permettono di interconnettere le diverse tipologie di linee di trasporto publico: “espressas”(le linee assiali nord-sud, est-ovest), “alimen-tadoras” (le linee che “alimentano” i ter-minali con i passeggeri dei quartieri vici-ni) e “interbairros” ( linee che girano fra i quartieri senza passare dal centro della città) . Nel terminale i passeggeri possono cambiare linea senza dover pagare un’altro biglietto.

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L’implementazione di un autobus artico-lato ( piu lungo) a questa rete, negli stessi anni, fa anche avere una economia di combustibile per passeggeri trasportati, ec-cellente in epoca di crisi del petrolio.

Negli anni novanta nuove soluzione ven-gono a complementare il sistema della RIT. Sono state impiantate nella città, le famose “Estações Tubo”- che diventano una icona della città di Curitiba - con le sue linee dirette, il “Ligeirinho”. Questa novità ha reso il sistema più veloce, facen-do che i passegeri pagassero subito all’ en-trata della stazione tubo il loro ticket e da li prendessero l’autubus allo stesso livello

(della piattaforma), permettendo il carico e lo scarico in 10 secondi ( foto 1). Tra l´altro le stazioni funzionano come piccoli terminali, dove si può cambiare di autu-bus senza pagare un nuovo biglietto. Negli anni seguenti anche gli expressi sono stati sostituiti da questo sistema di traspor-to , però con gli autubus biarticolati, an-cora più lunghi (25 metri) che potevano trasportare ancora più persone. Una vera metropolitana di super!cie.

La piú recente implementazione della RIT, è stata la “Linha Verde” inaugurata nel 2009. È stata impiantata come una nuova grande via strutturante, ed è stata progettata su una un’autostrada dismessa che attraversava la città. Questo asse vie-ne a comlpetare la rete, attendendo ormai nuove zone di addensamento della cittá che cresce in continuazione. Nel 2011 entrano in circolazione in una delle linee della RIT, i “ Ligeirões” , i piú grandi au-tobus del mondo lunghi 28 metri e con capacitá per 250 passegeri. Questi autu-bus hanno anche il di"erenziale di utiliz-zare biocombustibile 100% a base di soia, un´altra innovazione che Curitiba propo-ne, contribuendo allo sviluppo “cosciente” del paese.

Lo sviluppo di questo sistema e la visibi-lità di Curitiba nel mondo, è avvenuta in modo particolare grazie all’ entusiasmo di Jaime Lerner che ancora nei suoi di-

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scorsi, dice di credere che qualsiasi città del mondo possa essere trasformata in 3 anni. Crede nelle soluzioni urbane veloci e a basso costo. Ed è stato con queste idee che ha portato avanti i progetti che hanno trasformato Curitiba. In una intervista nel 1991 risponde a una domanda su questa soluzione di trasporto pubblico dicendo:

“Il segreto è stato capire che dovevamo pen-sare a partire dalla nostra realtà. Abbiamo studiato le caratteristiche di una metropoli-tana e abbiamo provato a riprodurre , con soluzioni nostre, la stessa qualità di trasporto della metropolitana.”

Oggi Curitiba con il suo hinterland rag-giunge più di tre milioni di abitanti. Anche se con il suo buon sistema di trasporto, come tutti i centri urbani che arrivano a queste proporzioni, a"ronta alcuni proble-mi con la mobilità. Il suo sistema integrato continua a funzionare ed anche a svilup-parsi. Peró Curitiba ormai chiede nuove idee, nuove soluzione , forse nuovi giovani urbanisti come è stato Lerner negli anni 70, che siano capaci di mettere in pratica i loro sogni, e che riescano a far mantenere il titolo di “modello” a questa città.

1 TED talks - Jaime Lerner sings of the city. 2 DUDEQUE, Irã Taborda. Nenhum dia sem uma

linha: uma história d urbanismo em Curitiba. São

Paulo: Studio Nobel, 2010. 3 MENEZES, Claudio Luiz. Desenvolvimento Urbano

e Meio Ambiente: E experiência de Curitiba. São

Paulo: Papirus Editora, 1996.

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PhotoStory

%RUJR�ULFRVWUXLWR�GL�$QQLIR��)ROLJQR��3*foto di Silvia Minichino

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NUOVI SPAZI PUBBLICII CENTRI COMMERCIALI

Annalisa Cataldi

Discontinuità ed eterogeneità, queste sono le caratteristiche principali della città con-temporanea. Una città che è il risultato di quelle trasformazioni territoriali, stret-tamente connesse a cambiamenti tecnici, politici e sociali, che si sono manifestate per la prima volta con la rivoluzione indu-striale e che, susseguendosi !no ai giorni nostri, hanno avuto come tappe fonda-mentali l’evoluzione della città storica e la nascita di quella moderna. Ma quali erano le caratteristiche dello spazio pubblico ap-partenente a queste due città? e qual’era il suo rapporto con l’assetto urbano? È solo rispondendo a queste domande che pos-siamo riconoscerne il percorso evolutivo e capire come mai, oggi, la nuova cultura urbanistica attribuisce ai centri commer-ciali il ruolo di nuove centralità e, cerca di ra"orzarne il carattere attrattivo, a$dando i progetti a nomi illustri dell’architettura, i cosiddetti archistar.Ma com’era la città storica? e com’è nata quella moderna?

Laureanda presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze

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Nella città storica, la collocazione di chie-se, palazzi, teatri, musei, giardini pubbli-ci all’interno del tessuto urbano, veniva attentamente ponderata seguendo criteri estetici, mentre strade e piazze erano inte-se come spazi pubblici aperti, accessibili a tutti e fungevano da elemento di connes-sione fra le parti. Si trattava quindi, di una città dal tessuto compatto, de!nito, equi-librato. Una città, per la quale, il genius loci è ancora oggi facilmente riconoscibile perché resistente agli assetti funzionali.Molto diversa, invece, risulta la struttura della città moderna. Quest’ultima è sta-ta il prodotto dello zoning, un criterio di espansione studiato per far fronte alle esi-genze igieniche sorte parallelamente alla rivoluzione industriale e, in base al quale, vennero progettati piani di sviluppo im-prontati alla separazione delle funzioni. La struttura della città moderna risultava caratterizzata dalla divisione in aree urba-ne monofunzionali e architettonicamente omogenee nelle quali, lo spazio pubblico, non potendo più garantire le stesse oppor-tunità di incontro e di relazione assicura-te in precedenza, perde quei valori sociali, culturali e simbolici di cui era portatore nella città storica.Oggi, le nostre città, sono !glie della glo-balizzazione. Le tecniche software hanno cambiato il signi!cato del tempo e dello

spazio e questo ha inciso profondamente sia nell’evolversi dei processi politici ed economici, che nella progettazione degli assetti urbani. L’annullamento delle di-stanze ha, infatti, favorito l’espansione po-licentrica della città; una tipologia struttu-rale, costituita da poli messi in relazione fra loro attraverso un sistema di collegamenti fortemente gerarchizzato e, nel quale sono compresi anche gli spostamenti virtuali. Questi ultimi, attivando un funzionamen-to reticolare della città, trasferiscono alle tecniche software parte del ruolo di collan-te sociale che prima apparteneva alle piaz-ze, dando il via ad un processo di ulteriore frantumazione dell’identità urbana, che sfocia nell’a"ermazione dell’individuali-smo a scapito del valore comunitario. Lo spazio urbano, non è più, quindi, il luo-go dell’incontro, ma esprime l’indi"erenza degli individui che lo vivono. All’interno di esso il cittadino contemporaneo esercita competitività e potere, manifesta il desi-derio di denaro, e cerca, in ogni modo, di appagare i propri bisogni materiali. Nel mondo della globalizzazione, quindi, l’a-gire dei residenti non è più guidato da un sentimento di appartenenza ad un luogo e ad una comunità ma è fortemente in#uen-zato dai simboli connessi al consumo. Ed è proprio attraverso i meccanismi del consu-mo, che la società contemporanea

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cercando di omogeneizzare le diversità so-ciali e territoriali. Lo spazio pubblico per-de, così, il suo carattere originario di spazio aperto non controllato e assume due nuo-ve connotazioni: quella di spazio virtuale, prodotto delle tecniche software e grazie al quale oggi è possibile interagire facilmente anche a distanza, e quella di spazio chiuso, privato ma usato pubblicamente. Grandi e attraenti contenitori di svago e consumo, tra i quali i centri commerciali, sostituiscono, nelle aree disordinate delle grandi metropoli, lo spazio istituzionale delle piazze e dei corsi, assumendo il ruolo di nuove centralità urbane. Si tratta di spa-zi chiusi controllati, estranei ad ogni tipo di contesto, all’interno dei quali, i fruitori, si sentono al sicuro, liberi da quella sensa-zione di paura, che è propria del cittadi-no metropolitano. Ma può essere de!nito pubblico uno spazio dal carattere privato? Se infatti per pubblico intendiamo uno spazio che appartiene a tutti in quanto cit-tadini, ecco allora che oggi lo spazio pub-blico non è più tale, ma si è trasformato in spazio collettivo e, cioè, in uno spazio condiviso da più consumatori e accessibile solo a coloro i quali hanno un potere d’ac-quisto.Detto questo appare evidente, la necessità per la città contemporanea di reinventarsi. Ma in che modo si può tornare a progetta-re luoghi capaci di colmare il desiderio di collettività se la società alla quale sono de-stinati è quella globale, la cui caratteristica

principale è l’individualismo? La chiave di questa risposta è nell’analisi dell’agire cittadino; solo così, infatti, potremmo co-noscerne a fondo le diversità e trovare il modo a$nché non restino isolate e ancora temute. Per far questo, se è vero che, ne-gli ultimi decenni, la vita sociale di ogni singolo abitante, è stata fortemente condi-zionata dalla propria appartenenza ad un quartiere piuttosto che ad un altro, risulta necessaria un’operazione di riprogettazio-ne degli spazi sul modello ideale della città storica. Questa, infatti, rappresentando un modello sostenibile che ha mostrato la sua e$cacia attraverso la storia, potrebbe esse-re d’esempio per dar vita ad una spazialità estesa nella quale le diversità funzionali e sociali vengono connesse e omogeneizza-te dagli spazi pubblici che, a loro volta, è necessario siano il ri#esso del nuovo vivere sociale.

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&DVWHOOR�GL�5DVLJOLD��)ROLJQR��3*�foto di Paolo Santarelli

PhotoStory

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PAESAGGI ROMANIFrancesco Ghioprofessore presso Università Roma Tre Facoltà di Architettura

Ricercare nel paesaggio della città di Roma e della campagna romana i caratteri di identità di un sistema degli spazi aperti è molto più di$cile di quanto non lo sia per altre città storiche italiane; non troveremo né lineamenti strutturali decisi né tipi fa-cilmente classi!cabili. Il territorio romano sfugge a semplici clas-si!cazioni: per secoli è stato quasi abban-donato, esteso attorno ad un nucleo abita-to che si ampliava e contraeva all’interno delle Mura Aureliane, cosicché anche la trama colturale, che è sempre un forte ele-mento di struttura e di identità del pae-saggio, è qui confusa e spesso assente, se non per le parti che sono state oggetto di boni!ca.I caratteri del territorio di Roma son de-scritti da Ludovico Quaroni, con la ricchez-za di immagini propria del suo linguaggio, nel libro che le ha dedicato (L’immagine di Roma – 1969): “una ondulazione partico-lare fatta di leggere valli lungo le marane, che non possiamo dire pianura e non è an-cora collina, articola lo spazio della cam-pagna romana, quel territorio che, intorno al Tevere e all’Aniene, si de!nisce nel mare e nei colli, si confonde nell’Agro Pontino

Schema interpretativo dell’area romana, la piana ondu-SH[H�KP�9VTH�JOP\ZH�[YH�S»HUÄ[LH[YV�KLP��YPSPL]P�]\SJHUPJP�L�la costa (Vittoria Calzolari, tratto da: Paesistica/Paisaje, Arquitectura y Urbanismo n.73, Ed. Istituto Universitario de Urbanistica, 2012

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e nella Maremma. L’orizzonte è molto più vasto di quelli che possono o"rire le cam-pagne umbro-toscane e, anche se chiuso nella dimensione di una delle valli lungo i fossi, non si limita mai, come nella pianu-ra padana e nella terra di lavoro, ai primi e ai secondi piani: direi, anzi, che la sua caratteristica è quella di non articolarsi – come si richiede a tutti i paesaggi canonici – in un primo, secondo e terzo piano, ma di svilupparsi, al contrario, in una serie va-sta e continua di spazi, senza una distanza, un ordine, una funzione rigida preordina-ta, e di lasciare alla luce la responsabilità di de!nirli, caso per caso, in relazione alle nuvole nel cielo ed alla loro ombra sulla terra, all’ora che accende o smorza i raggi del sole e alla stagione che li colora, come colora la terra il fango dorato o di verde, di foglie o di !ori.”E’ un paesaggio che si adagia tra i monti Sabatini, i Tiburtini e i Colli Albani, sol-cato dalle acque che scorrono lentamente per mezzo di fossi e antiche marrane verso la piana alluvionale del Tevere e dell’Anie-ne. La città antica è nata nella piana alluvio-nale, non per caso, proprio in quella parte di territorio che resta compresa tra i due !umi e “protetta” dalle leggere acclività del terreno; e sono proprio le acque a costitu-ire il !lo conduttore per comprendere e in-terpretare i caratteri del paesaggio romano: acque dei fossi, delle marrane, dei !umi,

ma anche acque canalizzate in epoca roma-na che hanno dato vita allo straordinario paesaggio degli acquedotti, manufatti che più di altri hanno segnato, caratterizzato e quali!cato l’immagine degli spazi aperti delle periferie e della campagna romana.

In anni recenti Roma è stata oggetto di una ampia azione di riquali!cazione ur-bana: alla grande scala, con l’adozione del nuovo Piano Regolatore che ha de!nito i luoghi trasformabili e quelli da salvaguar-dare, le nuove centralità urbane, i corridoi ecologici, il piano per una mobilità so-stenibile; alla piccola scala con un nuovo interesse per la riquali!cazione degli spazi pubblici – strade, passeggiate, parchi, piaz-ze – sia all’interno delle mura urbane, sia nelle vaste zone occupate dall’espansione moderna. Impropria sarebbe stata una politica uni-taria e omogenea di riquali!cazione degli spazi aperti, data la diversità fra il compat-to, ancorché variegato, patrimonio archi-tettonico e urbano antico e la polverizzata e frammentaria espansione moderna. Sono così nati più programmi, a volte paralleli, per le aree basilicali come per le piazze di quartiere, restituendo identità alle piazze storiche e a quelle di periferia, ma anche creando spazi pubblici nelle nuove centra-lità urbane, intervenendo nelle vicine ville storiche e realizzando in periferia decine di nuove aree a verde pubblico.

La struttura geologica del territorio di Roma

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Un programma articolato e positivo che però non è riuscito ad incidere proprio su quel sistema di Paesaggi Aperti che carat-terizza, e potenzialmente quali!ca, la peri-feria del territorio romano.Nel suo cuore antico, cosi come nelle par-ti migliori delle sue espansioni novecen-tesche, Roma è una città fatta di pieni e di vuoti (già Bernini visitando Parigi nel 1665 accompagnato da Chantelou faceva notare quanto Parigi fosse una città troppo chiusa, diversa da Roma dove la grandiosi-tà delle piazze esalta la magni!cenza delle chiese e dei palazzi), una qualità straordi-naria che garantisce da secoli l’equilibrio tra pieni e vuoti cittadini, tessuti urbani esaltati dalle acclività naturali dei colli, raf-forzati nelle loro relazioni dagli interventi Sistini. A di"erenza di altre città e capi-tali europee Roma non ha avuto bisogno di Haussmann, Cerdà o Nash; possedeva già alla !ne del seicento una successione di spazi pubblici di straordinario valore ur-bano e architettonico, un sistema di pieni e di vuoti che, dal punto di vista del pae-saggista, appartengono comunque alla ca-tegoria dei Paesaggi Chiusi: piazze, parchi, giardini, anche di grande dimensione ri-entrano in questa categoria quando il pro-getto ha limiti chiaramente de!niti: non importa se si tratta di una piccola piazza o di un giardino reale, è comunque una por-zione di territorio, progettata e costruita in modo unitario o per addizioni successive,

de!nita in se stessa che non necessita di stabilire relazioni con il territorio circo-stante. Sono paesaggi chiusi villa Adriana e villa Lante, piazza del Popolo e piazza Na-vona così come lo sono – a puro titolo di esempio – il parco parigino della Villette o i parchi inglesi di Capability Brown.

La cultura del progetto degli spazi aperti, in Italia, si è nel tempo ancorata a due di-versi approcci cui corrispondono distinte interpretazioni del paesaggio e diverse mo-dalità di governarne le trasformazioni. Il primo è quello della progettazione pa-esistica, che fa capo all’insieme delle co-noscenze, delle procedure e delle attività inerenti alla piani!cazione, recupero e riquali!cazione di territori urbani ed ex-traurbani. Questo approccio è tipicamen-te quello di un urbanista particolarmente sensibile ai valori dell'ambiente e del pa-esaggio e si esprime attraverso Piani d'a-rea vasta, Piani paesistici, Piani territoriali provinciali e regionali, Piani delle Comu-nità Montane, Piani di Bacino, strumenti che, nelle loro espressioni migliori, tutela-no frammenti di “paesaggi italiani”. Il secondo approccio è quello dell’architet-tura del paesaggio, qui intesa come pro-gettazione più propriamente riconducibile alla de!nizione architettonica degli spazi aperti, pubblici e privati: piazze e spazi pe-donali urbani, aree archeologiche, parchi, segmenti di rive, giardini permanenti o

L’insediamento urbano e il sistema degli spazi aperti

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e$meri. In questo secondo ambito inclu-diamo anche un ampio campo di ricerca e di attività professionale dedicato allo spe-ci!co tema del restauro di giardini e parchi storici, che spesso intende il progetto come conservazione !lologica, in modo ancora più ideologico di quanto avvenga nel cam-po del restauro architettonico. Si tratta, nella maggior parte dei casi di Paesaggi Chiusi o di al più di “a"acci” su Paesaggi Aperti, non a caso oggetto di progettazio-ne da parte di Architetti e Paesaggisti, a seconda delle circostanze e delle speci!che realtà professionali nazionali. La ricerca, la didattica e la pratica profes-sionale e quella del governo amministra-tivo del territorio si sono in gran parte allineate su queste posizioni (pensando ovviamente ai casi più virtuosi e positivi). Tuttavia, in tempi più recenti assistiamo al riemergere dell’attenzione verso quelli che qui de!niamo come progetti di Paesaggi Aperti, progetti che, indipendentemente da questioni dimensionali, hanno l’am-bizione di de!nire e caratterizzare l’archi-tettura del paesaggio a partire da legami fondati e profondi con le sue matrici ter-ritoriali.È un approccio al progetto che si nutre di lezioni diverse. La prima lezione è intimamente italiana. Tra le tappe fondamentali il VI Convegno INU dal tema “Difesa e valorizzazione del

paesaggio urbano e rurale” (Lucca, 1957): la prima occasione in cui architetti e urba-nisti sono chiamati a guardare al paesaggio come tema complessivo di progetto, di là da questioni dimensionali, di competenze professionali, di appartenenze a scuole o a linguaggi. Nel 1962 Giancarlo De Carlo organizza a Stresa il seminario “La nuova dimensione della città. La città regione”. Pochi anni dopo, Vittorio Gregotti dà alle stampe il noto numero monogra!co “La forma del territorio” di Edilizia Moderna (87-88/1966), evidenziando l’importanza di “indagare quali problemi vengano posti in primo piano dal considerare il nostro lavo-ro di architetti come lavoro sugli insiemi ambientali a tutte le scale dimensionali” e inserendo il tema della “!gura della città” in quello più vasto della “!gura del terri-torio”. Sono gli anni in cui Ernesto Na-than Rogers è alla direzione di Casabella-Continuità, che diventa riferimento per i progettisti che guardano alle componenti morfologiche, geogra!che e paesaggistiche così come storiche e culturali dei luoghi, a fronte della crisi dell’architettura e dell’ur-banistica funzionalista.La ricerca teorica trova veri!ca e stimolo in alcune importanti opere di architettura degli anni Settanta e Ottanta con le ope-re di Costantino Dardi, Roberto Gabetti e Aimaro Isola, Giancarlo De Carlo, France-

Acquedotti, strade consolari, mura aureliane

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Roma, nuovi spazi pubblici: Tor Pignattara, il Paesaggio Aperto di Largo Pettazzoni lungo l’acquedotto Alessandrino, 1997

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sco Venezia; per quanto riguarda il proget-to dello spazio aperto, la ricaduta di queste posizioni sarà più signi!cativa solo con un decennio di ritardo, quello che in urbani-stica si suole chiamare dei Piani di Terza Generazione che, pur con i tanti e gravi li-miti, si concentrano sul tema della morfo-logia urbana, delle aree interstiziali inedi!-cate, delle relazioni ambientali all’interno degli ecosistemi urbani. In questo contesto opera Bernardo Secchi cui si deve il lucido e inventivo tentativo di applicare il prin-cipio dell’interscalarità con piani-progetto che tengono insieme il controllo dell’inte-laiatura territoriale della dimensione va-sta “il piano direttore” con la de!nizione spaziale dei luoghi che di tale intelaiatura costituiscono i gangli nevralgici, pre!gu-rando la forma degli spazi pubblici e dei luoghi centrali più importanti “progetti norma” e “progetti di suolo”.

Occorre qui ricordare il contributo speci-!co di autori che, provenendo dall’ambito del progetto urbanistico, hanno fatto del paesaggio il loro campo di elezione tramu-tando in piani e progetti il paradigma re-ticolare. Il riferimento è soprattutto a Vittoria Cal-zolari, con i suoi studi e progetti per la cit-tà di Siena (che s’intersecano con il lavo-ro di Bernardo Secchi, 1988-90), Brescia (1986-89), per il Parco dell’Appia Antica a Roma (1976 e 1984) e in modo ancora più sistematico col la ricerca “Storia e natura come sistema, un progetto per il territorio libero dell’area romana” (Ed. Argos 1999) e, per altri versi, a Roberto Gambino, in particolare per quanto riguarda il progetto delle aree naturali protette. Le altre lezioni derivano dall’assimilazione critica degli esiti di esperienze straniere: la cultura del progetto di paesaggio, sino a quindici o venti anni fa in Italia relegata a circuiti di comunicazione molto ristret-ti, diventa protagonista di una parte con-sistente della pubblicistica e ciò ha indi-scutibilmente arricchito la conoscenza di strumenti e metodi altrove applicati con successo. In particolare, il paesaggismo

italiano negli anni più recenti ha guardato con grande interesse e curiosità all’opera di autori di scuola francese che tradizional-mente condividono un metodo di lavoro che fa della scala intermedia il punto privi-legiato di messa a fuoco, spiccano tra le al-tre le ricerche di Michel Corajoud, Jacques Coulon, Michel Desvigne.

Un chiaro esempio di Paesaggio Aperto è il progetto di Desvigne per la città di Is-sodun, dove nei primi anni Novanta rea-lizza il noto parco Mitterand, attingendo al vocabolario di segni, !gure e signi!cati del paesaggio campestre locale. Dieci anni dopo, la cittadina francese, nel tempo ac-cresciuta, si a$da nuovamente a Desvigne per il progetto paesaggistico dell’intera città e del suo territorio, ove nel frattem-po nuovi insediamenti si sono espansi in modo incoerente, minando la leggibilità di un paesaggio agricolo fortemente con-notato. Attraverso la scomposizione del paesaggio per sistemi di elementi omo-genei, Desvigne ne riconosce la struttu-ra principale nei con!ni dei campi e nei canali di drenaggio, entrambi organizzati per direttrici radiali, che si diramano dal centro medievale della città, e corde tese tra di esse. Il progetto ra"orza questi se-gni, con una nuova trama di sentieri come supporto a futuri usi diversi dei terreni e riattivando i canali in disuso. Il risultato è un passaggio graduale e osmotico tra la cit-tà consolidata e la campagna vera e propria che condividono un analogo ordinamento spaziale, un’unica intelaiatura suscettibi-le ad accogliere nel tempo le esigenze di crescita o solo di cambiamento della città; alcuni campi potranno accogliere nuovi edi!ci, altri diventare degli spazi pubbli-ci, all’inizio molto rustici e semplici, come campi di terra battuta, frutteti o pioppeti, che nel tempo potranno divenire un po’ più so!sticati e ospitare spazi attrezzati per lo sport e il gioco. Il precedente parco Mit-terand, cellula primigenia di questo nuovo paesaggio-mosaico, non ne sarà che una tessera perfettamente integrata nell’insie-me.

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Parco Mitterand a Issodun, Michel Desvigne con Christine Dalnoky 1992-1994

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Nel caso di Roma il sistema storico-am-bientale, i caratteri !sico-naturalistici e quelli storici, considerati come sistema e nella loro reciproca interrelazione – sono da assumere come elemento primario e prioritario, ordinatore e quali!catore nella riorganizzazione !sica, funzionale e for-male del territorio antropizzato.Fanno parte di questo sistema, oltre alla struttura geologica, il reticolo delle acque (!umi, marrane, sorgenti) la trama dei luo-ghi vegetati (boschi, aree coltivate, vallate, parchi, ville, giardini), la trama dei luoghi storici e archeologici e quella dei tracciati e delle strutture lineari antiche o recenti (percorsi storici, strade parco, acquedotti).Assumere il sistema storico-ambientale come dato di partenza per la progettazione del territorio é necessario per ragioni eco-logiche, dato il consumo di suolo che in particolare negli ultimi anni ha caratteriz-zato la crescita della città, è necessario per contrastare la perdita della struttura, della forma, dell’immagine di Roma con una at-tenzione rinnovata alla qualità e alla strut-tura degli spazi liberi, alla correlazione tra permanenze storiche e caratteri ambientali dei loro siti.Se il centro storico di Roma, i suoi percor-si, monumenti, complessi storici manten-gono ancora un’altissima qualità e un forte potere evocativo, le sue periferie – vecchie e nuove – sono invece, nonostante le mol-te risorse investite nel tempo, di bassa qua-lità urbana e ambientale. E in questo contesto le “vie” tracciate dai !umi – in particolare dall’Aniene – e dagli antichi acquedotti Vetus, Marcio, Clau-dio, Anio Novus, Felice, Alessandrino che segnano sul versante est il corpo urbano e la campagna romana, sono esempi signi-!cativi di Paesaggi Aperti e costituiscono una grande opportunità per indagare le possibili relazioni tra parti distinte della città: abitati attraversati dai “solenni rude-ri”, frammenti di agro e margini #uviali, densi agglomerati urbani o molli tessuti edilizi, piani!cati o spontanei, con!nati o dispersi sull'orizzonte dell'agro che recla-mano strategie di connessione, attendono

progetti di valorizzazione, investono il de-stino delle comunità insediate.Da questa ampia porzione del territorio romano estrapoliamo – a titolo di esem-pio – due ambiti strategici, esempi di Pa-esaggi Aperti che attendono da tempo un programma di riquali!cazione ambientale, paesaggistica, urbana.Partendo da nord est, il primo di questi ambiti è quello del !ume Aniene (l’antico Parensius), !ume di buona portata, utiliz-zato !n dal II secolo a. c. per alimentare uno dei primi acquedotti (Marcio), luogo di costruzione di numerose ville romane, fonte di approvvigionamento per l’acqua che alimenta Villa d’Este. Un bacino idrico interessante e complesso, irrorato da una serie di piccoli a%uenti e dai tanti fossi che discendono dai Castel-li, martoriato nel corso dell’ultimo secolo da una attività di estrazione del travertino all’altezza di Tivoli troppo intensa e pro-fonda, inquinato da scarichi industriali, ma che ancora conserva, anche nel tratto in cui attraversa Roma, un’eccezionale suc-cessione di spazi aperti di notevole qualità paesaggistica e ambientale che entrano nel corpo della città !no alla sua con#uenza con il Tevere. Lungo il !ume, dentro e fuori dal raccordo anulare, si a"acciano quartieri di edilizia pubblica, insediamenti privati, attrezzatu-re terziarie, ma il carattere torrentizio del !ume, le sue piene ricorrenti, la mancanza di argini costruiti, i tanti spazi liberi ne-cessari per le frequenti esondazioni, hanno garantito la conservazione di un sistema di aree naturali di ampie dimensioni !no nel cuore della città. E’ però un sistema di spazi interrotti: campi coltivati, frammen-ti di giardini, lunghe teorie di orti, si alter-nano a tratti di aree abbandonate, antiche cave di tufo, campi sportivi, ex aree indu-striali e frammenti di città edi!cata che si spingono quasi !no all’argine del !ume. Dal punto di vista normativo si tratta di un’area protetta (Riserva Naturale Parco dell’Aniene) ma nei fatti gli interventi di governo di questo territorio si limitano alla tutela delle aree libere. Si tratta invece

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Casale Caletto: (in senso orario) il sistema ambientale, il margine chiuso verso il quartiere, affaccio sull'Aniene,uno scorcio sull’Aniene 2012

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di uno dei più interessanti Paesaggi Aperti romani che una accorta regia potrebbe tra-sformare in parco stategico sia dal punto di vista urbano che metropolitano. Casale Caletto, ad esempio, è un piccolo quartiere di edilizia pubblica, costruito ne-gli anni ’90 quasi a ridosso del raccordo anulare, appena qualche metro al di sopra della quota di massima esondazione, carat-terizzato da grandi corti poco frequentate aperte verso il !ume; una recinzione im-pedisce l’accesso diretto alla Riserva Natu-rale e simboleggia – in qualche misura – le contraddizioni tipiche delle nostre aree metropolitane: luoghi contigui, entrambi pubblici, entrambi in stato di semi-ab-bandono, gestiti da enti diversi incapaci di costruire un programma e un progetto di governo del territorio che potrebbe invece giovarsi di !nanziamenti regionali, nazio-nali ed europei ma anche di risorse private.

Il secondo ambito è forse ancora più signi-!cativo: nell’area sud est di Roma, cammi-nando lungo via Appia Nuova, dopo avere attraversato i grandi edi!ci anni settanta di largo dei Colli Albani, Roma improvvisa-mente si apre nella campagna: sulla nostra destra la strada inizia a costeggiare il gran-de cuneo verde del parco dell’Appia Antica mentre a sinistra un grande incrocio stra-dale consente di avviarsi verso la via Tusco-lana che poi incrocia l’acquedotto Felice all’altezza del Mandrione. Quello che sfugge a prima vista, anche per via di lievi cambi altimetrici è il cancello che immette in un tratto, - ancora perfet-tamente conservato - dell’antica via Latina.La fama mondiale di cui giustamente gode via Appia Antica con il sistema di vil-le, mausolei, catacombe che la correda e lo straordinario parco che la circonda ha oscurato questo piccolo tratto di strada consolare: la piccola area archeologica si sviluppa lungo i margini della via Latina per circa 450 metri e si conclude all’altezza di una Basilica protocristiana parzialmente interrata; ci troviamo in realtà all’interno di un “parco”, tanto ampio quanto fram-mentato, che si estende per circa molti

ettari tra la Tuscolana e l’Appia Nuova e fa parte del più vasto Parco Regionale dell’Appia Antica; include gli acquedotti Claudio e Marcio-Felice resti di due im-portanti ville suburbane romane e di nu-merosi monumenti funerari; la via Lati-na passava di qui, ma oggi dopo il primo stupefacente tratto protetto, si interrompe bruscamente contro dei capannoni abusi-vi; la strada cambia nome e diventa via del Campo Barbarico (non si può non restare interdetti è un nome antico? è il toponimo di un’insediamento chiaramente abusivo?) In realta il nome è dovuto ai Goti che qui si erano accampati nel 537 d.C. dopo aver tagliato gli acquedotti per preparare l’asse-dio a Roma.Poco più avanti la Torre del Fiscale costrui-ta nel XIII secolo poggia sopra i due acque-dotti Claudio e Marcio, che si incrociano in questo punto. Sono questi anche i luo-ghi degli “orti di guerra”; dove nel dopo-guerra si stabilirono emigranti sentatetto che qui (come in molte altre zone in pros-simità dell’acquedotto) abitavano nelle ba-racche costruite sfruttando le sue arcate e coltivavano orti lungo i fossi e le marane. Un’area in parte recuperata come Parco degli Acquedotti, con straordinari scorci di campagna romana e ricca di violente contraddizioni: la via Latina interrotta, il campo barbarico che si interseca con casali e colombari romani, il parco degli acque-dotti liberato dalle baracche ma che non riesce a restituire un immagine convincen-te di campagna romana e non ne propone una nuova.

Entrambi i casi citati sono caratterizzati dalla naturalità e dall’impronta antropica che contraddistinguono gli spazi aperti, la struttura vegetale, gli usi, le permanenze storiche, le parti di urbano; l’obiettivo è quello di comprenderne le qualità, l’esten-sione e le potenzialità esprimibili nel con-testo più generale del progetto ambientale e di delineare regole e criteri utili per la progettazione di questi spazi aperti.

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Tor Fiscale: (in senso orario) il Parco degli Acquedotti, resti di una baracca alla base della torre, il tratto antico di via Latina che si interrompe nel Campo Barbarico, capannoni lungo via del Campo Barbarico, La Torre del Fiscale - 2012

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PhotoStory

Mevale, Visso, MC, foto di Arianna Anichini

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RECENSIONE

Altri Paesaggi di Joan Noguèdi Enrico Falqui

Non si tratta di un generico libro “di“ Pae-saggio, bensì di un testo “per“ il Paesaggio, la cui lettura educa l’individuo ad una “coscienza“ del paesaggio contemporaneo, nelle sue variegate e spesso sconosciute eterogeneicità. Coscienza è una qualità della Mente necessaria per percepire ed interpretare il paesaggio come sistema di relazioni e di trame, di pieni e di vuoti, di beni comuni e di luoghi identitari, di cul-ture materiali e di linguaggi primordiali; il principale merito di questo libro è quello di fornire al lettore gli strumenti giusti per acquisirla nel complesso labirinto dei ter-ritori e degli spazi urbani contemporanei.Joan Noguè, geografo paesaggista spa-gnolo, passa in rassegna, in questo testo, un’ampia “galleria“ di temi che hanno caratterizzato la cultura paesaggistica !n dalle sue origini. Temi quali, la contempla-zione estetica del paesaggio, la percezione

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docente presso l’Università degli Studi di Firenze,Direttore del Laboratorio di Ricerca in Architettura ed Ecologia del Paesaggio (Lab AEP), Facoltà di Architettura di Firenze

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di esso attraverso il viaggio e il cammino, il recupero del signi!cato del genius loci, la percezione emotiva e sensoriale del pa-esaggio vengono declinati dall’Autore nel Territorio della società contemporanea, fa-cendo scoprire al lettore una nuova sintassi e una nuova grammatica del Paesaggio.Attraverso questi nuovi strumenti di lettu-ra e interpretazione, il lettore viene “con-dotto per mano “da Noguè a confrontarsi con i nuovi linguaggi di percezione e co-municazione dei Paesaggi contemporanei.Con sapiente maestria, Noguè ci fa esplo-rare il linguaggio del cinema e quello della letteratura come “mezzi” capaci di comu-nicare il senso dei luoghi e l’eccellenza dei paesaggi, attraverso la nostra dinamica in-teriore delle “cartogra!e emotive”.Noguè, in questo libro, si spinge ben ol-tre la nuova de!nizione di Paesaggio della CEP e dei relativi nuovi criteri di valuta-zione del patrimonio. Le sue straordinarie “sintesi” tra teorie e prassi paesaggistiche, ci conducono a cercare di interpretare pa-esaggi “ibridi” della società contempora-

nea, ad esplorare, con lo stesso gusto dei pionieri e degli esploratori ottocenteschi, le “terre e gli spazi di con!ne”, i paesag-gi tangibili ed intangibili di questo nuovo secolo, i paesaggi sonori e i paesaggi del silenzio, i paesaggi delle zone marginali del territorio.Noguè non dimentica il paesaggio urba-no, collocandolo in una dimensione glo-bale che comprende le nuove scenogra!e urbane della città contemporanea (la città in!nita, senza limiti; gli spazi urbani del-le nuove povertà, le periferie e gli spazi di margine), al pari delle nuove “ rovine” della città contemporanea (gli spazi urba-ni abbandonati, le aree e i contenitori di-smessi, gli spazi del ri!uto). Nonostante il titolo pessimista dell’ultimo capitolo (Re-quiem per il Paesaggio), Noguè non smet-te di sorprenderci in questo suo nuovo vo-cabolario “per “ il Paesaggio, concludendo così: “Se c’è una cosa buona nell’attuale crisi economica è che ci o"re l’opportunità di cambiare un modello così insostenibile e pernicioso come quello descritto !nora”.

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RECENSIONI di Eventi

STRADE, MEMORIA E SVILUPPOdi Chiara Serenelli e Maria Teresa Idone

La strada è sempre stata un luogo di scam-bio dove merci, idee, popoli e culture si sono incontrate. Dalla via della Seta al Cammino di San Giacomo, alcune strade emblematiche raccontano la storia dell’u-manità, così come le vie di comunicazioni locali conservano le tracce degli sposta-menti di individui e singole comunità. Ripercorrendole oggi, in un’esperienza che assume una dimensione spazio-temporale, il viaggiatore riscopre e ra"orza la memo-ria individuale, familiare, comunitaria e nazionale anche confrontandosi con le dif-ferenze e le altre individualità che incontra. Ed è proprio nel camminare e nel dialogo con l’altro che si costruisce un forte senso di appartenenza. Il recente Convegno Internazionale tenu-tosi a Québec City “Routes touristiques et itinéraires culturels, entre mémoire et développement” (Strade turistiche e iti-nerari culturali, tra memoria e sviluppo, 13-15 giugno 2012) è stata un’importante occasione per discutere del potenziale non

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Architetto/ Phd StudentPhd Student, DUPT, Università degli Studi di Firenze

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solo turistico, ma anche da un punto di vi-sta culturale, patrimoniale, antropologico e territoriale che questi itinerari racchiudo-no in sé. Questo primo convegno di por-tata internazionale sugli itinerari culturali, svoltosi in tre lingue u$ciali e promosso dall’università di Laval in collaborazione con l’UNESCO e numerose altre istitu-zioni, ha permesso di disegnare una nuova

geogra!a proprio ripartendo dalle strade e dal camminare, alla scala territoriale e alla scala urbana, su cui impostare politiche di sviluppo e progetti di cooperazione.

Sito internet di riferimento http://QuebecUNITWIN.ggr.ulaval.ca/?lang=en

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(ZZVJPHaPVUL�KP�WYVTVaPVUL�ZVJPHSL�ZLUaH�ÄUP�KP� S\JYV�JOL�diffonde una cultura della sostenibilità dello sviluppo urbano

e territoriale, della conservazione e gestione del paesaggio

e del patrimonio naturale e culturale, secondo i principi della

Convenzione Europea sul Paesaggio (Firenze, ottobre 2000)

L�PS�TVKLSSV�KP�JP[[n�JYLH[P]H�KLÄUP[V�KHSSV�:JOLTH�KP�:]PS\WWV�dello Spazio Europeo (SSSE, Potsdam, maggio 1999).

Verdiana Network svolge progetti di ricerca, formazione e

sensibilizzazione sui parchi, le aree protette e le reti ecolo-

giche, gli itinerari culturali, gli ecomusei, i distretti culturali, la

YPX\HSPÄJHaPVUL�KLP�X\HY[PLYP�\YIHUP�L�WLYP\YIHUP��SH�=HS\[HaPV-

UL�(TIPLU[HSL�:[H[LNPJH��=(:��L� SH�WPHUPÄJHaPVUL�\YIHUH�L�territoriale a partecipazione pubblica, anche in collaborazio-

ne con Università, Istituti di ricerca ed Enti pubblici, con la

possibilità di coinvolgere studenti e giovani laureati attraver-

so tirocini e stage formativi.

Verdiana Network offre al pubblico interessato la possibili-

[n�KP�YPÅL[[LYL�L�JYLHYL�KPIH[[P[P�Z\NSP�HYNVTLU[P�VNNL[[V�KLSSH�propria attività tramite la pubblicazione periodica di articoli

ZJPLU[PÄJP� L� KP]\SNH[P]P� ULSSH� YP]PZ[H� VU�SPUL� 5L[^VYR� PU� 7YV-

gress.

Nel territorio di Marche e Umbria, in collaborazione con le

Fondazioni Cassa di Risparmio di Loreto, Macerata, Foligno

e Perugia, Verdiana Network ha svolto un progetto di ricer-

ca per il recupero dei cammini di pellegrinaggio al Santuario

di Loreto e la sua menzione a Itinerario Culturale Europeo,

\ULUKV�HSS»PUKHNPUL�Z[VYPVNYHÄJH�L�JHY[VNYHÄJH�\U�HWWYVJ-

cio paesaggistico alla progettazione.

In Lunigiana (Toscana), con la collaborazione dei Comuni di

Fivizzano, Aulla, Bagnone, Fosdinovo, Licciana Nardi e Vil-

lafranca, il patrocinio della Regione Toscana, Verdiana Net-

work ha promosso e coordinato il Corso di Formazione e

Aggiornamento professionale Parchi naturali, aree protette

e reti ecologiche per lo sviluppo del territorio, che ha porta-

to all’elaborazione e all’esposizione di interessanti proposte

progettuali per il territorio.

Per la città di Firenze Verdiana Network è impegnata in un’i-

niziativa, denominata Progetto Cartoline, di sensibilizzazio-

ne al tema del degrado, dell’abbandono e della necessità

del recupero degli spazi della città contemporanea, nata

all’interno della ricerca per un Urban Center nell’area me-

[YVWVSP[HUH�ÄVYLU[PUH��VNNL[[V�KP�W\IISPJHaPVUP�JVU]LNUP�LK�esposizioni.

Mission Attività

^^ �̂]LYKPHUHUL[^VYR�[email protected]