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Brevissimi e semplici appunti delle lezioni riguardanti i primi cinque libri della bibbia (il pentateuco, la Torà)

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Il PentateucoIl PentateucoIl PentateucoIl Pentateuco

by SasaSasaSasaSasa 5 Il Pentateuco • Cinque rotoli • I primi cinque libri • I cinque quinti della legge • Le origini • Le quattro tradizioni • La combinazione delle tradizioni • Composizione letteraria del pentateuco • Genesi • Le tradizioni presenti nella Genesi • Esodo • Levitico • Numeri • Deuteronomio • Le tradizioni presenti in Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio • La crescita del pentateuco • I racconti biblici e la storia • La legislazione • Senso religioso • La storia deuteronomistica (Dtr): introduzione storico-

letteraria • Caratteristiche letterarie della Dtr • La teologia della Dtr • Il messaggio della Dtr • Momento ermeneutico della Dtr 5a Cinque rotoli

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Cinque rotoli di papiro o pergamena, fittamente vergati, di lunghezza quasi uguale, costituiscono le “cinque parti di un insieme” che nella tradizione ebraica è chiamato il libro della “legge” (torà). Dai cinque (penta) contenitori (teuchos) in cui erano custoditi deriva, probabilmente, il termine di origine greca che indica i primi cinque libri della bibbia: pentateuco. Il libro della “legge (di Mosè)” o, più semplicemente, la “legge” sono i nomi più usati dai giudei per designare, anzitutto, le parti legali e, per estensione, tutto l’insieme dei primi libri biblici. Libri sul cui autore ebrei e cristiani concordano: tutta la Scrittura è ispirata da Dio, la bibbia intera è parola di Dio espressa per mezzo di uomini, preziosi collaboratori di Dio. La divisione in cinque libri della parte iniziale della bibbia è riportata dalla traduzione dei LXX (Settanta): il frutto dell’opera di 72 studiosi invitati da Tolomeo II Filadelfo (285-246) a tradurre in greco i testi biblici per la biblioteca di Alessandria; traduzione effettuata, per quanto riguarda il pentateuco, alla fine della prima metà del III sec.. Contrariamente alla tradizione ebraica, che definiva le cinque parti della torà, secondo l’uso comune, con la parola iniziale di ciascuna parte, i traduttori alessandrini intitolarono i libri del pentateuco secondo il loro contenuto: Genesi, le origini; Esodo, l’uscita dall’Egitto; Levitico, il libro dei leviti, cioè la redazione della legge operata dai sacerdoti della tribù di Levi; Numeri, derivante dalle enumerazioni che caratterizzano i primi capitoli; Deuteronomio o “seconda legge”. A questi cinque libri, secondo alcuni critici, può essere unito quello di Giosuè, ritenuto il naturale completamento del pentateuco, con il quale presenta frequenti affinità (esateuco). Altri critici hanno distinto il primi quattro libri (tetrateuco) dal Deuteronomio, considerato il primo capitolo di un’opera storiografica che arriverebbe fino a dopo l’esilio babilonese. Certi studiosi separano dal pentateuco il primo libro, Genesi, considerandolo il preambolo della legislazione del popolo eletto (altra forma di tetrateuco). La chiesa cristiana antica, invece, considerava accostabili i libri da Genesi a Giudici, più quello di Rut, un ottateuco che altri studiosi ancora formano unendo i libri da Genesi a Samuele escludendo invece il libro di Rut. Il canone dei giudei, però, definisce la torà composta dai primi cinque libri della bibbia e anche la tradizione cristiana, fondata sulla volgata di Girolamo (traduzione latina che accetta l’ordine dei libri proposto dal canone alessandrino), raccoglie nel pentateuco la prima parte delle sacre Scritture. 5b I primi cinque libri I primi cinque libri della bibbia compongono un insieme che i giudei chiamano la torà. La prima testimonianza certa si trova nella prefazione del Siracide (o Ecclesiastico). La preoccupazione di avere copie maneggevoli di questo grande insieme fece sì che si dividesse il suo testo in cinque rotoli di

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lunghezza quasi uguale. Di là viene il nome che gli fu dato negli ambienti di lingua greca: ê pentateuchos (sottinteso biblos), “il libro in cinque volumi”, che fu trascritto in latino pentateuchus (sottinteso liber), da dove viene l’italiano pentateuco. I giudei che parlavano l’ebraico lo chiamavano anche “i cinque quinti della legge”. Questa divisione in cinque libri è attestata prima della nostra era dalla versione greca dei LXX. Questa chiamava i volumi secondo il loro contenuto: Genesi (che inizia con le origini del mondo), Esodo (che incomincia con l’uscita dall’Egitto), Levitico (che contiene la legge dei sacerdoti della tribù di Levi), Numeri (a causa delle enumerazioni dei cap. 1-4), Deuteronomio (la seconda legge). Ma in ebraico, i giudei designano ancora ogni libro con la prima parola (importante) del suo testo. 5c I cinque quinti della legge In epoca talmudica (medioevo) la torà è detta i cinque quinti della legge. Gen 50 conclude la storia dei patriarchi (i progenitori). In Esodo inizia la storia del popolo. Levitico fissa le norme destinate al culto che si celebrava nella “tenda del convegno” descritta in Es 40. Numeri ha per tema le disposizioni per il culto e i preparativi per la partenza per il Sinai. Il Deuteronomio, infine, propone il discorso di Mosè. Si tratta di una divisione, operata in un secondo momento, dettata dall’evidente desiderio di ripartire in sezioni approssimativamente uguali ciò che era ritenuto troppo voluminoso. 5d Le origini La composizione dell’intera raccolta, dell’insieme dei testi che costituisce la torà, era attribuita dai tempi più remoti a Mosè (1250 ca. a.C.) e la primitiva tradizione ebraica fu accolta anche dalla chiesa cristiana. In realtà, fin dall’antichità era apparso evidente che i testi del pentateuco propongono una storia sommaria, con immense lacune, con inspiegabili interruzioni e con numerose ripetizioni. Una narrazione tutt’altro che lineare, con contraddizioni e anacronismi. Un’esposizione che alterna inoltre nomi diversi di Dio e, per quanto riguarda lo stile, brani vivaci e intuitivi con altri schematici. Elementi che, considerati nel loro insieme, impediscono di vedere nel pentateuco un’opera di un solo autore. Sorsero dubbi, quindi.

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Il pentateuco, infatti, non è stato composto di getto, ma è il prodotto di un processo redazionale molto complesso. L’evoluzione dello studio indusse a elaborare un’ipotesi documentaria secondo la quale la versione giunta fino a noi del pentateuco sarebbe il risultato della composizione di quattro documenti redatti nel corso della storia di Israele da diverse tradizioni o scuole teologiche. I quattro documenti furono indicati con altrettante sigle: J per la tradizione jahvista, E per quella elohista, D per quella deuteronomista, e P (dal tedesco Priesterkodex) per quella sacerdotale (= “codice sacerdotale”). A tali documenti, contenenti anche materiale orale anteriore di secoli alla loro redazione scritta, sarebbero state aggiunte altre fonti minori a integrazione del contenuto delle tradizioni principali. I racconti J e E narrano sostanzialmente gli stessi avvenimenti e hanno in comune i ricordi del popolo sulla sua storia. Una fonte originaria costituitasi, in forma orale e forse anche scritta, dall’epoca dei Giudici (1200-1025 ca.), quando Israele incominciò a esistere come popolo. La tradizione J, che utilizza il nome divino di Jhwh fin dal racconto della creazione, è caratterizzata da uno stile vivace e colorito, da un senso elevato del divino e da una forma figurata. Ha origine in Giudea e è stata, forse, messa in scritto, almeno nelle sue parti essenziali, sotto il regno di Salomone (970 ca.-931). La tradizione E utilizza il nome divino Elohim; inizia con l’alleanza di Abramo e è caratterizzata da uno stile sobrio, da una morale esigente. È probabilmente più recente di J, di origine forse nordica, sotto il regno di Geroboamo II (783-743). Entrambe le tradizioni contengono pochissimi testi legislativi - il più considerevole è il codice dell’alleanza - e dopo la caduta del regno di Samaria a opera degli assiri (722 o 721 a.C.) incominciarono a unirsi, forse sotto l’impulso del re di Gerusalemme Ezechia (716-687) per favorire il rinnovamento religioso di Israele. Il Deuteronomio è la seconda legge, nome dato dai LXX alla parte della torà compresa tra la fine dei Numeri e la fine del Deuteronomio stesso. In D, il cui nucleo può essere ricondotto a costumi del nord apportati in Giuda dai leviti dopo la rovina di Samaria, confluisce una tradizione imparentata alla corrente E e al movimento profetico. Questa seconda legge - una cui prima redazione si ebbe sotto Giosia (640-609) e una seconda, completa, durante l’esilio babilonese (587-538) - è caratterizzata da uno stile oratorio e evidenzia la scelta, il mistero della predilezione, da parte di Dio, di Israele: il popolo eletto. La tradizione P contiene testi liturgici, legislativi e legalistici. È caratterizzata da uno stile astratto e è facilmente identificabile alla fine di Esodo, in Levitico e in Numeri. Si costituì durante l’esilio di Babilonia. 5e

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Le quattro tradizioni L’autore J è il teologo della salvezza in Abramo (1850 ca. a.C.). Egli è uno psicologo che entra nell’anima e coglie la solitudine e la tristezza di Adamo. Il documento J è presente in Genesi, in Esodo e in Numeri. I temi fondamentali sono: la creazione, il peccato, il diluvio e la torre di Babele. In J non manca mai l’azione salvifica di Dio. La storia di Israele è la preistoria della storia della salvezza di tutta l’umanità (questo è il punto fondamentale della teologia J). Sue caratteristiche sono: l’antropomorfismo (perché Dio è presentato con tratti umani: la creazione, infatti, è vista con gli occhi di un contadino), l’iniziativa di Dio e l’ottimismo (perché Dio interviene sempre). L’autore E è il teologo di un Dio trascendente e salvatore. Il documento E è presente in Genesi, in Esodo, in Numeri e in Deuteronomio. Il tema fondamentale è il patto dell’alleanza. Tra l’alleanza con Abramo e quella con Giosuè (1225 ca. a.C.) c’è di mezzo il patto con Mosè. Il racconto E è particolarmente interessato alla sorte del popolo ebraico. Nella teologia E Dio non parla mai direttamente con gli uomini (intervengono, invece, angeli, ecc.); il peccato coincide con il vitello d’oro; la salvezza si attua nell’alleanza. Essa rappresenta un impegno per l’uomo, perché obbliga a un certo rapporto e a una scelta fondamentale (l’alleanza può essere tra diseguali, come nel Decalogo, o tra uguali, come quando Dio considera il suo popolo come sua sposa). L’autore D è un levita del regno del nord e ha maturato il suo racconto dopo la sua distruzione. Egli è il teologo dell’elezione e dell’alleanza. Questa tradizione è tutta presente in Deuteronomio (o seconda legge). La tradizione D ci parla di Mosè predicatore (invece in J e in E, Mosè agisce ma non parla). La parte centrale del documento si apre con una raccomandazione sulla centralità del luogo di culto. Il Deuteronomio mira a trarre insegnamento dal presente in vista di un futuro incerto. La sua teologia poggia su questi tre punti: • l’elezione (Dio si è scelto Israele e questo è un fatto

storico); • Dio è Padre (ma è anche l’aquila madre: Dio ci sostiene e

qualche volta ci libra); • Israele deve scegliere Dio. L’autore P è il teologo che santifica. Viene dal sud. Il documento P (preciso e schematico) dà un’immagine pura di Dio, di quel Dio che è al di sopra della creazione e che crea con la sua parola. Il materiale di questo documento è storico e giuridico. Alla base della legislazione c’è la dottrina della

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trascendenza di Dio: il modo per arrivare a Dio è la legge. 5f La combinazione delle tradizioni La ricerca sulle origini dei primi testi biblici è in continua evoluzione. È lecito affermare che il pentateuco costituisce un complesso, frutto dell’ispirazione divina, formatosi lentamente. La composizione delle quattro tradizioni infatti abbraccerebbe forse un intero millennio, e sarebbe avvenuta in tappe successive: • J e E verso la fine dell’epoca monarchica, in Giuda; • D prima della fine dell’esilio babilonese; • P in epoca immediatamente successiva. A queste tradizioni si sarebbero aggiunti poi altri documenti minori. Mosè (1250 ca. a.C.), il primo legislatore del popolo di Israele, è il personaggio centrale del pentateuco. 5g Composizione letteraria del pentateuco Lo studio moderno di questi libri ha fatto spiccare differenze di stile, disordini nei racconti e ripetizioni, che impediscono di vedervi un’opera uscita tutta intera dalla mano di un solo autore. Le tradizioni JEDP sono tutte presenti nel pentateuco. Si è abbastanza d’accordo oggi nel riconoscere che la semplice critica testuale non basta a rendere conto della composizione del pentateuco. Bisogna aggiungere uno studio delle forme letterarie e delle tradizioni, orali e scritte, che hanno preceduto la redazione delle fonti. Ognuna di esse, anche la più recente (P), contiene elementi molto antichi. La scoperta delle letterature morte del vicino Oriente e il progresso fatto dall’archeologia e dalla storia nella conoscenza delle civiltà vicine a Israele hanno mostrato che molte leggi o istituzioni del pentateuco avevano paralleli extra-biblici molto anteriori alle date che si attribuiscono ai “documenti” e che numerosi racconti suppongono un ambiente diverso - e più antico - da quello in cui questi documenti sarebbero stati redatti. Diversi elementi tradizionali erano trasmessi dai narratori popolari. Furono costituiti in cicli, poi messi in scritto sotto la pressione di un ambiente o dalla mano di una personalità eminente. Ma queste redazioni furono complementate e combinate tra loro per formare il pentateuco che noi possediamo.

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La pluralità di queste correnti di tradizione è un fatto reso evidente dalle discordanze e dalle ripetizioni che colpiscono il lettore dalle prime pagine della Genesi. I testi si raggruppano per affinità di concetti, di lingua, di modi, e determinano linee di forza parallele che si seguono attraverso il pentateuco. 5h Genesi È il libro delle origini: origine del mondo e dell’umanità attraverso la creazione, origine del male a causa del peccato, origine della cultura, della dispersione dei popoli e della pluralità delle lingue, origine delle dodici tribù di Israele. È il tentativo di dare risposta ai grandi interrogativi dell’uomo: l’Universo, la vita e la morte, il bene e il male, ecc. La narrazione abbraccia un tempo molto lungo. L’approccio è storico e religioso. Alla parola di Dio l’uomo ubbidisce, in essa crede, spera e vive; o la rifiuta e perisce. La Genesi si divide in due parti disuguali: la storia primitiva (1-11) è come un portico che precede la storia della salvezza che sarà raccontata da tutta la bibbia; essa risale alle origini del mondo e stende la prospettiva all’umanità tutta intera. Riferisce la creazione dell’Universo e dell’uomo, la caduta originale e le sue conseguenze, la perversità crescente che è punita dal diluvio. A partire da Noè, la terra si ripopola, ma tavole genealogiche sempre più ristrette concentrano finalmente l’interesse su Abramo (1850 ca. a.C.), padre del popolo eletto. La storia patriarcale (12-50), evoca la figura dei grandi antenati: Abramo è l’uomo della fede, la cui obbedienza è ricompensata da Dio, il quale gli promette anche una posterità e la terra santa per i suoi discendenti (12,1-25,18). Giacobbe è l’uomo dell’astuzia, che soppianta il fratello Esaù, carpisce la benedizione del padre Isacco, supera in furbizia lo zio Labano. Ma tutte queste abilità non servirebbero a nulla se Dio non lo avesse preferito a Esaù prima della nascita e non gli avesse rinnovato le promesse dell’alleanza concesse a Abramo (25,19-36). Tra Abramo e Giacobbe, Isacco è una figura assai pallida, la cui vita è narrata soprattutto per i rapporti che ha con suo padre o con suo figlio. I dodici figli di Giacobbe sono gli antenati delle dodici tribù di Israele. Gen 37.39-48.50 è una biografia di Giuseppe, l’uomo saggio per eccellenza. Questo racconto, che differisce dalle narrazioni precedenti, si svolge senza intervento visibile di Dio e senza nuova rivelazione, ma è tutto intero un insegnamento: la virtù del saggio è ricompensata e la provvidenza divina volge in bene le colpe degli uomini. La Genesi è un “tutto” completo: è la storia degli antenati.

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5i Le tradizioni presenti nella Genesi La tradizione J (così chiamata perché utilizza il nome divino Jhwh, Signore, fin dal racconto della creazione) ha uno stile colorito e vivo; sotto una forma figurata e con ricchezza narrativa, dà una risposta profonda alle gravi questioni che si pongono a ogni uomo; anche le espressioni umane di cui si serve per parlare di Dio rivelano un senso molto elevato del divino. Come prologo alla storia degli antenati di Israele, ha messo un sommario della storia dell’umanità che inizia con la creazione della prima coppia. Questa tradizione è di origine ebrea, e forse è stata messa in scritto, per l’essenziale, sotto il regno di Salomone (970 ca.-931). La tradizione E (che ha per caratteristica più esterna l’uso del nome Elohim, Dio) si distingue dalla tradizione J per uno stile sobrio, piatto e una morale più esigente. I racconti delle origini mancano in questa tradizione, che incomincia solo con Abramo. Essa è probabilmente più recente della tradizione J e la si collega in generale alle tribù del nord. Bisogna allora tenere conto di un fatto importante. Malgrado le caratteristiche che li distinguono, i racconti J e E narrano sostanzialmente la stessa storia: queste due tradizioni hanno dunque un’origine comune. I gruppi del sud e quelli del nord condividevano una stessa tradizione, che raccoglieva in un certo ordine i ricordi del popolo sulla sua storia: la successione dei tre patriarchi, Abramo (1850 ca. a.C.), Isacco e Giacobbe; l’uscita dall’Egitto (1250 ca. a.C.) legata all’installazione in Transgiordania, ultima tappa prima della conquista della terra promessa. Questa tradizione comune si è costituita, sotto una forma orale e forse già sotto una forma scritta, dall’epoca dei Giudici (1200-1025 ca.), cioè quando Israele ha incominciato a esistere come popolo. Le leggi costituiscono invece la parte principale della tradizione P, che dedica un interesse speciale alle feste e ai sacrifici. Ama le genealogie; il suo vocabolario particolare e il suo stile generalmente astratto la fanno riconoscere. Questa tradizione si è costituita solo durante l’esilio e si è imposta solo dopo il ritorno; vi si distinguono parecchi strati redazionali. 5j Esodo L’Esodo sviluppa due temi principali: la liberazione dall’Egitto (1,1-15,21) e l’alleanza del Sinai (19,1-40,38); sono legati da un tema secondario, il cammino nel deserto (15,22-18,27). Mosè (1250 ca. a.C.), che ha ricevuto la rivelazione del nome di Jhwh sulla montagna di Dio, vi riporta gli israeliti liberati dalla schiavitù. In una teofania impressionante, Dio

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stringe alleanza con il popolo e gli detta le sue leggi. Appena concluso, il patto è rotto dall’adorazione del vitello d’oro ma Dio perdona e rinnova l’alleanza. Una serie di ordinamenti regola il culto nel deserto. 5k Levitico Il Levitico, di carattere quasi unicamente legislativo, interrompe il racconto degli avvenimenti. Contiene: un rituale dei sacrifici (1-7); il cerimoniale di investitura dei sacerdoti, applicato a Aronne e ai suoi figli (8-10); le regole relative al puro e all’impuro (11-15), che si concludono con il rituale del grande giorno dell’espiazione (16); la “legge di santità” (17-26), che include un calendario liturgico (23), e termina con benedizioni e maledizioni (26). A mo’ di appendice, Lv 27 precisa le condizioni per il riscatto delle persone, degli animali e dei beni consacrati a Jhwh. 5l Numeri I Numeri riprendono il tema del cammino nel deserto. La partenza dal Sinai si prepara con il censimento del popolo (1-4) e le grandi offerte fatte per la dedicazione della tenda (7). Dopo la celebrazione della seconda pasqua, si abbandona la montagna santa (9-10) e si arriva per tappe a Kades dove è fatto un tentativo infelice di penetrare in Canaan dal sud (11-14). Dopo il soggiorno a Kades, ci si rimette in cammino e si giunge alle steppe di Moab, davanti a Gerico (20-25). I madianiti sono vinti e le tribù di Gad e Ruben si fissano in Transgiordania (31-32). Una lista riassume le tappe dell’esodo (33). Intorno a questi racconti sono raggruppati ordinamenti che completano la legislazione del Sinai o che preparano l’installazione in Canaan (5-6; 8; 15-19; 26-30; 34-36). 5m Deuteronomio Il Deuteronomio ha una struttura particolare: è un codice di leggi civili e religiose (12-26,15) che è inserito in un grande discorso di Mosè (5-11 e 26,16-28). Questo stesso insieme è

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preceduto da un primo discorso (29-30), poi da brani che riguardano la fine di Mosè: missione di Giosuè (1225-1200 ca.), cantico e benedizioni di Mosè, la sua morte (31-34). Il codice deuteronomico riprende in parte le leggi promulgate nel deserto. I discorsi richiamano i grandi avvenimenti dell’esodo, del Sinai e della conquista incipiente; esprimono il loro significato religioso, sottolineano la portata della legge e esortano alla fedeltà. 5n Le tradizioni presenti in Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio Dopo la Genesi, la tradizione P si isola senza difficoltà, specialmente alla fine dell’Esodo, in tutto il Levitico e in grandi sezioni dei Numeri; ma è più difficile dividere il resto tra le tradizioni J e E. Dopo i Numeri e fino a Dt 31 e Dt 34, le tre tradizioni JEP scompaiono e sono sostituite dalla tradizione D. Essa si caratterizza per uno stile molto particolare, ampio e oratorio, in cui ritornano spesso le medesime formule ben coniate, e per una dottrina affermata costantemente: tra tutti i popoli, Dio, per puro compiacimento, ha scelto Israele come suo popolo; ma questa elezione e il patto, che la sanziona, hanno per condizione la fedeltà di Israele alla legge del suo Dio e al culto legittimo che deve rendergli in un santuario unico. Il Deuteronomio è il punto nel quale sfocia una tradizione imparentata a quella elohista e al movimento profetico, e di cui si percepisce già la voce in testi relativamente antichi. Il nucleo del Deuteronomio può rappresentare costumi del nord, apportati in Giuda dai leviti dopo la rovina di Samaria (722 o 721 a.C.). Questa legge, forse già inquadrata in un discorso di Mosè, fu deposta nel tempio di Gerusalemme. Essa vi fu ritrovata sotto Giosia (640-609) e la sua promulgazione servì la causa della riforma religiosa. Una nuova edizione si ebbe all’inizio dell’esilio. 5o La crescita del pentateuco A partire dai corpi di tradizione JEDP, la crescita del pentateuco è avvenuta in parecchie tappe, ma è difficile precisarne le date. Le tradizioni J e E furono combinate in Giuda verso la fine dell’epoca monarchica, forse sotto il regno di Ezechia (716-687). Prima della fine dell’esilio, il Deuteronomio, considerato come una legge data da Mosè (1250 ca. a.C.) in Moab, fu inserito dopo i Numeri. È possibile che l’aggiunta della tradizione P abbia avuto luogo poco dopo. In ogni caso, la legge di Mosè, che Esdra (pare tra il 445 e il 433) ha portato da

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Babilonia, sembra rappresentare tutto il pentateuco già vicino alla sua forma finale. 5p I racconti biblici e la storia I primi undici capitoli della Genesi sono da considerare a parte. Descrivono, in modo popolare, l’origine del genere umano; enunciano con uno stile semplice e figurato, quale conveniva alla mentalità di un popolo poco evoluto, le verità fondamentali presupposte dall’economia della salvezza: la creazione da parte di Dio all’inizio dei tempi, l’intervento speciale di Dio che forma l’uomo e la donna, l’unità del genere umano, la colpa dei nostri progenitori, la decadenza e le pene ereditarie che ne furono la sanzione. Ma queste verità, che riguardano il dogma e sono assicurate dall’autorità della Scrittura, sono nelle stesso tempo fatti e, se le verità sono certe, implicano fatti che sono reali, sebbene non possiamo precisarne i contorni sotto il rivestimento mitico che è stato loro dato, secondo la mentalità del tempo e dell’ambiente. La storia patriarcale è una storia di famiglia: raduna i ricordi che si conservavano degli antenati, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe. È una storia popolare che si sofferma sugli aneddoti personali e sui tratti pittoreschi, senza alcuna preoccupazione di unire questi racconti alla storia generale. È, infine, una storia religiosa: tutte le svolte decisive sono segnate da un intervento divino e tutto vi appare come provvidenziale: concezione teologica vera da un punto di vista superiore, ma che trascura l’azione delle cause seconde; inoltre i fatti sono introdotti, raggruppati e spiegati per dimostrare una tesi religiosa: c’è un Dio che ha formato un popolo e gli ha dato un paese; questo Dio è Jhwh, questo popolo è Israele, questo paese è la terra santa. Ma questi racconti sono storici nel senso che narrano, alla loro maniera, avvenimenti reali; danno un’immagine fedele dell’origine e delle migrazioni degli antenati di Israele, dei loro legami geografici e etnici, del loro comportamento morale e religioso. I sospetti che hanno circondato questi racconti dovrebbero cedere davanti alla testimonianza favorevole che loro apportano le scoperte recenti dell’archeologia e della storia orientali. Dopo una lacuna molto lunga, l’Esodo e i Numeri raccontano gli avvenimenti che vanno dalla nascita alla morte di Mosè: l’uscita dall’Egitto, la sosta nel Sinai, la salita verso Kades, il cammino attraverso la Transgiordania e l’installazione nelle steppe di Moab. Se si nega la realtà storica di questi fatti e della persona di Mosè, si rendono inesplicabili il seguito della storia di Israele, la sua fedeltà allo jahvismo, il suo attaccamento alla legge. Si deve però riconoscere che l’importanza di questi ricordi per la vita del popolo e l’eco che trovavano nei riti hanno dato ai racconti il colore di una gesta eroica (così la pasqua). Israele, diventato un popolo, fa allora il suo ingresso nella storia generale e, sebbene nessun documento lo menzioni

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ancora, salvo un’allusione oscura della stele del faraone Merneptah, ciò che la bibbia dice concorda, nelle grandi linee, con ciò che i testi e l’archeologia ci insegnano sulla discesa di gruppi semitici in Egitto, sull’amministrazione egiziana del delta, sullo stato politico della Transgiordania. Con le riserve che impongono l’insufficienza delle indicazioni della bibbia e l’incertezza della cronologia extra-biblica, si potrà dire che Abramo visse in Canaan verso il 1850 a.C.; che Giuseppe fece carriera in Egitto e che altri “figli di Giacobbe” lo raggiunsero un po’ dopo il 1700 a.C.. L’esodo è posteriore al regno di Ramses II, che fondò la città di Ramses. I grandi lavori vi cominciarono dall’inizio del suo regno verso il 1250 a.C. o poco prima. Se si tiene conto della tradizione biblica su un soggiorno nel deserto durante una generazione, l’installazione in Transgiordania si potrebbe collocare verso il 1225 a.C.. Queste date sono conformi alle informazioni della storia generale sulla residenza dei faraoni della dinastia XIX nel delta del Nilo, sull’indebolimento del controllo egiziano in Siria-Palestina alla fine del regno di Ramses II, sui turbamenti che scossero tutto il vicino Oriente alla fine del XIII sec. a.C.. Esse si accordano con le indicazioni dell’archeologia sull’inizio dell’età del ferro, che coincide con l’installazione degli israeliti in Canaan. 5q La legislazione Il Decalogo, le “dieci parole” scritte sulle tavole del Sinai, promulga la legge fondamentale, morale e religiosa, dell’alleanza. Esso è dato due volte (Es 20,2-17 e Dt 5,6-18) con varianti abbastanza notevoli: questi due testi risalgono a una forma primitiva, più corta, la cui origine mosaica non è contraddetta da nessun argomento valido. Il codice (elohista) dell’alleanza (Es 20,22-23,33; più strettamente: Es 20,24-23,9) è stato inserito tra il Decalogo e la conclusione dell’alleanza del Sinai, ma risponde a una situazione posteriore all’epoca di Mosè (1250 ca. a.C.). È il diritto di una società di contadini e di pastori e l’interesse che dedica ai lavori dei campi, alle bestie dell’aratura e delle case, suppone che la sedentarizzazione sia già un fatto compiuto. Solo allora Israele ha potuto conoscere e praticare il diritto etico a cui questo codice si ispira e che spiega i suoi paralleli precisi con i codici mesopotamici; ma il codice dell’alleanza è penetrato dallo spirito dello J, spesso in reazione contro la civiltà di Canaan. La raccolta ha avuto dapprima un’esistenza indipendente. Non contiene nessun riferimento alle istituzioni della monarchia e può dunque risalire al periodo dei Giudici (1200-1025 ca.). La sua inserzione nei racconti del Sinai è anteriore alla composizione del Deuteronomio. Il codice deuteronomico (Dt 12,1-26,15) forma la parte

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centrale del Deuteronomio. Riprende una parte delle leggi del codice dell’alleanza, ma l’adatta ai cambiamenti della vita economica e sociale. Ma, fin dal suo primo precetto, si oppone al codice dell’alleanza su un punto importante: questo aveva legittimato la molteplicità dei santuari (Es 20,24), il Deuteronomio impone la legge dell’unità del luogo di culto (Dt 12,2-12), e questa centralizzazione comporta modifiche nelle regole antiche circa i sacrifici, le decime e le feste. Ciò che gli resta proprio e che segna il mutamento dei tempi è la preoccupazione della protezione dei deboli, il richiamo costante dei diritti di Dio sulla sua terra e sul suo popolo e il tono esortativo che penetra queste prescrizioni legali. 5r Senso religioso La religione dell’AT è storica: si fonda sulla rivelazione fatta da Dio, a uomini precisi, in luoghi precisi, in circostanze precise, su interventi di Dio in momenti precisi dell’evoluzione umana. Il pentateuco, che traccia la storia di queste relazioni di Dio con il mondo, è il fondamento della religione ebraica, e è divenuto il suo libro canonico per eccellenza, la sua legge. L’israelita vi trovava la spiegazione del suo destino. I temi della promessa, dell’elezione, dell’alleanza e della legge sono i filo d’oro che si incrociano sulla trama del pentateuco e continuano a percorrere tutto l’AT, poiché il pentateuco non è completo in sé stesso: dice la promessa ma non la realizzazione, e si conclude prima dell’ingresso nella terra santa (1220-1200 ca.). Doveva restare aperto come una speranza e un obbligo: speranza nelle promesse, che la conquista di Canaan sembrerà compire (Gs 23), ma che i peccati del popolo comprometteranno e gli esiliati ricorderanno a Babilonia; obbligo di una legge sempre urgente che restava in Israele come un testimonio contro di lui (Dt 31,26). Una lettura cristiana del pentateuco deve rispettare il seguito dei racconti: • la Genesi, dopo aver opposto alla bontà di Dio creatore le

infedeltà dell’uomo peccatore, mostra, nei patriarchi, la ricompensa accordata alla fede;

• l’Esodo è l’abbozzo della nostra redenzione; • i Numeri rappresentano il tempo della prova in cui Dio istruisce

e castiga i suoi figli, preparando l’assemblea degli eletti; • il Levitico sarà letto con più frutto in relazione con gli

ultimi capitoli di Ezechiele o dopo il libri di Esdra e Neemia. L’unico sacrificio di Jesus ha reso caduco il cerimoniale dell’antico tempio, ma le sue esigenze di purità e di santità nel servizio di Dio restano una lezione sempre valida;

• la lettura del Deuteronomio potrà accompagnare quella di Geremia, il profeta cui è vicino per il tempo e per lo spirito.

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5s La Dtr: introduzione storico-letteraria Giosuè, Giudici, 1 e 2Sam, 1 e 2Re hanno come blocco un titolo diverso a seconda che li cerchiamo nella bibbia ebraica o in una moderna. I giudei li chiamano infatti “profeti anteriori” e in questo modo li distinguono dai “profeti posteriori”, quelli che noi chiamiamo “profeti scrittori” (per es., Amos, Geremia, Isaia, Osea, ecc.). La ragione va trovata in una concezione particolare del profeta presso i giudei. Mosso e guidato dallo spirito, il profeta opera o parla in nome e con la potenza di Dio. A giusta ragione Giosuè (1225 ca. a.C.) e i Giudici (1200-1025 ca.) sono profeti, perché pieni dello spirito di Dio; a maggior ragione Samuele (1040 ca. a.C.) e poi Elia, Eliseo, Natan e tanti altri di cui parlano i libri dei Re sono profeti, perché uomini dello spirito che rivendicano i diritti di Dio presso il popolo dell’alleanza. Nelle nostre bibbie i libri da Giosuè a 2Re sono genericamente chiamati “libri storici”, e non a torto. In essi la narrazione degli avvenimenti che vanno dalla conquista di Canaan da parte di Israele (1220-1200 ca.) all’esilio di Israele in Babilonia (587 a.C.) è prevalente. Recentemente però si è scoperto che questi libri, pur così eterogenei quanto a materiale di provenienza, hanno subìto una rielaborazione a opera di una scuola di pensiero, ispirata alla dottrina del Deuteronomio, che ha conferito all’intero blocco un’unità interpretativa di fondo, perciò essi oggi sono designati sempre più con il titolo unitario Dtr. Giosuè è detto così dal protagonista di tutta la vicenda, l’eroe efraimita succeduto a Mosè (1250 ca. a.C.) nella conduzione delle tribù che effettuano l’ingresso in Canaan. Stando alla vicenda narrata, dovrebbe essere considerato come il libro della conquista di Canaan. Giudici è detto così dai protagonisti delle imprese che vi sono narrate. Oltre che magistrati, alcuni di questi protagonisti sono dei capi carismatici, spesso dei capi tribù, che si trasformano in condottieri e eroi quando si tratta di liberare una o più tribù israelitiche da incursioni, razzie o vere e proprie soggezioni a popoli in mezzo ai quali Israele convive e non sempre pacificamente (Sansone, per es., è a suo modo un liberatore). Samuele e Re si interessano all’epoca della monarchia in Israele dagli inizi (XI sec. a.C.) alla fine (VI sec. a.C.). 5t Caratteristiche letterarie della Dtr

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La critica letteraria è stata applicata anche al blocco Giosuè - 2Re. Giosuè è stato sottoposto a un processo: • di idealizzazione, che fa della conquista l’opera esclusiva di

Jhwh (è lui che combatte in favore e spesso al posto di Israele);

• di schematizzazione, che unifica e insieme semplifica la storia della conquista. Secondo il libro, tutta la conquista è opera di Giosuè (1220-1200 ca.). Questi, in realtà, ne è stato solo l’iniziatore.

Con il rimaneggiamento e l’aggiunta interpretativa la scuola deuteronomistica raggiunge un doppio scopo: • presentare in modo continuato, organico e unitario una storia

per sé parziale e discontinua. Di quella che fu la vicenda di varie tribù con capi carismatici propri e spesso contemporanei, i deuteronomisti fanno una storia unitaria riguardante tutto Israele, con capi che si succedono l’uno all’altro come guide del popolo e non solo di una o più tribù;

• ripensare la storia dei singoli giudici attraverso uno schema teologico interpretativo, nel quale è condensata la profonda convinzione dei deuteronomisti.

Lo schema prevede, nell’ordine, quattro sequenze: • periodica infedeltà di Israele in Canaan; • castigo di Jhwh inferto attraverso i nemici, interni (cananei) o

limitrofi (filistei o palestinesi e altri); • pentimento di Israele, unito alla richiesta di soccorso da parte

di Dio; • liberazione effettuata dal “giudice”, inviato da Dio. Con questo modo di reinterpretare gli antichi avvenimenti, i deuteronomisti fanno una specie di prova del nove alla dottrina del Deuteronomio: se la fedeltà all’alleanza attira la benedizione e l’infedeltà la maledizione, ecco - sembrano dire - che la storia di Giosuè, ma soprattutto quella dei Giudici, ce lo dimostra: le disgrazie di Israele sono il segno della sua durezza, della sua insensibilità, della sua mancanza di fede nel proprio Dio salvatore. Come in Giosuè, anche nei Giudici l’herem, o sterminio totale di una città, costume abituale e esteso dell’antichità, è presentato come prescritto da Dio. A parte il fatto che esso fu poco applicato, altrimenti non si spiegherebbe come ai tempi dei Giudici (1200-1025 ca.) ci siano ancora i cananei quando, secondo Giosuè, essi sarebbero stati tutti uccisi, l’attribuzione dello herem a Dio si spiega con il procedimento di semplificazione: se Dio vuole la conquista di Canaan, ne vuole anche i mezzi; tra questi c’è l’herem, dunque esso è voluto da Dio. In Samuele le aggiunte deuteronomistiche sono appena percettibili. Al contrario, il materiale precedente, già messo in scritto per tempo, presenta un doppio strato. Lo si ricava dai numerosi doppioni di uno stesso fatto e dalla presenza di una doppia versione delle origini della monarchia in Israele, pro e contro.

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5u La teologia della Dtr L’interpretazione teologica dei deuteronomisti è minima. Se infatti è evidente che Israele avverte il bisogno di costituirsi in regno e così darsi gli strumenti di una vita nazionale efficiente, e se è ancora evidente che Davide (1010-970 ca.) deve molto al suo genio politico nell’unificare sotto il suo scettro tribù del nord e del sud con capitale unica a Gerusalemme, dove trasporta il segno dell’unità nazionale, l’arca, è pur evidente che tutto questo è visto come voluto da Dio. È vero, la monarchia sembra intaccare la concezione che l’Israele antico ha avuto del dominio di Jhwh, diretto e esclusivo, teocratico. Ma nella visione più conciliante il re non appare più un ostacolo alla teocrazia. Saul (1030-1010 ca.) e Davide regnano perché Dio li pone sul trono, detronizza il primo, ma vi conferma il secondo attraverso la parola di un profeta. È in questa profezia, apice di tutta la storia di 1 e 2Sam e primo anello delle profezie messianiche, che il discendente davidico è chiamato Figlio di Dio, al quale è garantita la stabilità del regno, ma dal quale è richiesta la fedeltà al patto. Il materiale preesistente dei libri dei Re è ampio e di provenienza molteplice. Il redattore deuteronomistico ne fa una storia religiosa. Egli vede tutto dal punto di vista della fedeltà al Dio del patto. Il tempio è infatti al centro del suo interesse. Ne descrive ampiamente la consacrazione, le varie depredazioni dei suoi tesori, ecc. Il Deuteronomio è trovato nel tempio sotto Giosia (640-609), che si fa promotore di una riforma religiosa incentrata sul dogma fondamentale del Deuteronomio: unicità di Dio e centralizzazione del culto di Jhwh al tempio di Gerusalemme. Tutta la narrazione è tesa come al suo culmine nella descrizione a largo respiro della riforma giosiana. Il motivo è più che evidente: solo nella fedeltà al Dio del patto è la salvezza. È la tesi del Deuteronomio. Quello che Mosè prescriveva è stato realizzato da Giosia, Israele può guardare fiducioso verso l’avvenire. La prima edizione di Re si pone pertanto tra il 622 a.C. (ritrovamento del Deuteronomio nel tempio) e la morte di Giosia (609 a.C.). Con la morte del re caddero tutte le speranze espansionistiche e si conclude con lui la riforma religiosa. Gli avvenimenti precipitarono, anche Giuda fu schiacciato dal colosso babilonese e deportato in esilio nel 587 a.C.. In una seconda edizione dei due libri, che fu fatta in esilio, il redattore ha ridimensionato il giudizio favorevole a Giuda espresso nella prima edizione: anche questo regno è stato infedele come e quanto il regno fratello del nord.

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5v Il messaggio della Dtr C’è una notevole differenza di rilettura deuteronomistica tra i primi due libri e gli ultimi quattro. In Giosuè e Giudici il redattore deuteronomistico è più ottimista: vede nella vicenda della conquista l’alba di un’era nuova per Israele. Egli ha avuto il dono della legge che, se messa in pratica, costituirà la garanzia della permanenza nella terra e del suo godimento. Anche se l’epoca dei Giudici (1200-1025 ca.) è spesso epoca di infedeltà, è anche vero che l’infedeltà è pagata e che il perdono e la protezione di Dio sono assicurati. In 1Sam - 2Re invece il redattore deuteronomistico è inguaribilmente pessimista: vede sempre e solo peccato al quale segue un castigo senza scampo. Il suo orizzonte è irrimediabilmente chiuso. Come spiegare la differenza di posizione? Non sono entrambi i gruppi di redattori dei credenti in Dio? Non c’è dubbio. Ma il secondo giudica la storia a partire da un contesto storico preciso, la fine del regno del nord nel 722 o 721 a.C. e poi quello di Giuda nel 587 a.C.. L’intero popolo di Dio va in esilio. Su di esso si è abbattuto il giudizio di Dio a condanna. Non si può spiegare un castigo senza delitto, e il delitto per Israele non può essere che uno solo: le infedeltà a Dio si sono talmente infittite da costituire un reale abbandono, una continua sfida, un’inveterata dimenticanza. Il deuteronomista vede la costanza della sfida soprattutto nel regno del nord dove il peccato di Geroboamo I (931-910) è sistematicamente fatto proprio da ogni re che gli succede, per il semplice motivo che non si adopera a toglierlo, incrementandolo a volte con altri e spesso più gravi peccati. Come si vede, il deuteronomista giudica a partire da una norma del Deuteronomio, la centralizzazione del culto, che per lui è criterio di valutazione morale. Ma non è l’unico, perché Giuda realizza questa norma, anzi, al tempo di Giosia (640-609) essa diviene la molla della politica espansionista e della riforma religiosa del re. Eppure anche Giuda finirà in esilio. Il peccato dei due regni è stata una mancanza di fede e di obbedienza totale a Dio, una vanificazione iterata della sua parola. Dio non ha praticamente contato in Israele. Tutta la Dtr, ma specialmente 1Sam - 2Re, è riletta dal deuteronomista come la realizzazione della parola di Dio di condanna. 5w Momento ermeneutico della Dtr Non si può negare che la teologia sottesa alla Dtr risulti angusta e tutto sommato viziata di notevole giuridismo. Nonostante

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le dilatazioni al castigo dovute alla misericordia e pazienza di Dio, l’impressione che si ricava dalla lettura di questo blocco letterario è quella di una logica che non lascia scampo: al delitto segue inesorabilmente la pena. Un cristiano farà fatica a leggere libri come questi, nei quali al prevalente interesse per il diritto di Dio viene sacrificato ogni interesse per l’uomo che non sia quello della fedeltà o infedeltà di tipo cultuale a Dio. Gli autori non sono affatto interessati agli aspetti esistenziali, profani e umani dei loro protagonisti: il compromesso in politica e quindi il sincretismo in religione sono quasi inevitabili in un popolo che è costretto a condividere lo stesso palmo di terra con un altro popolo di cultura e di fede diverse; d’altronde, per mantenersene immuni si può cadere nei difetti opposti, il nazionalismo e l’integrismo, e l’epoca successiva all’esilio ne è una testimonianza non meno ingloriosa per Israele. Fatte queste riserve bisognerà dare il massimo rilievo agli aspetti validi del messaggio della Dtr. Tra questi va posta la capacità di lettura dei segni dei tempi: ogni tempo ha il suo segno, quello di sciagura può mostrarne di più vistosi, ma anche i normali e prosperi possono rivelare sintomi di smarrimento dell’uomo. Bisognerà allora interrogarsi: ogni segno oltre che sintomo è appello. Se non sempre si dovrà vedere in una sciagura la colpa dell’uomo, in essa c’è però sempre un appello a verificare il proprio impegno nel mondo, la propria fede, la propria vita. Di qui deriva l’attenzione all’altro aspetto valido del messaggio della Dtr, la responsabilità dell’uomo, vista nella doppia dimensione personale e sociale. Il deuteronomista addebita la responsabilità ai re perché il loro peccato diviene inevitabilmente il peccato di tutto il popolo; ma accusa anche ogni re in particolare perché ha fatto proprio il peccato del suo predecessore, quando lo doveva e lo poteva evitare. Per quanto implicitamente, salta agli occhi nella Dtr un’altra verità che è poi al fondo del messaggio cristiano: l’impotenza di fatto dell’uomo all’autorealizzazione e all’autosalvezza. Per l’uomo di oggi, così consapevole delle sue possibilità praticamente immense e insieme così dilacerato, fragile e insicuro, che trova ulteriori occasioni di asservimento lì dove pensava di affermare la sua libertà e potenza, il bisogno di aprirsi alla trascendenza, a quel Dio che veramente libera, lo farà sentire contemporaneo e fratello di tutte le generazioni di credenti il cui “grido” è stato accolto da Dio che l’ha trasformato in salvezza.