la_lettura_20131124

24
Anno 3 - N. 46 (#105) Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano - Supplemento culturale del Corriere della Sera del 24 novembre 2013, non può essere distribuito separatamente Enzo Cucchi per il Corriere della Sera Giù la piazza nessuno #105 Domenica 24 novembre 2013

Upload: antonin-kosik

Post on 21-Jan-2016

168 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

la_lettura_20131124

TRANSCRIPT

Page 1: la_lettura_20131124

Anno

3-

N.4

6(#

105)

Post

eIta

liane

Sped

.inA.

P.-

D.L

.353

/200

3co

nv.L

.46/

2004

art.

1,c1

,DCB

Mila

no-

Supp

lem

ento

cultu

rale

delC

orrie

rede

llaSe

rade

l24

nove

mbr

e20

13,n

onpu

òes

sere

dist

ribui

tose

para

tam

ente

Enzo Cucchiper il Corriere della Sera

Giù la piazzanessuno

#105Domenica

24 novembre 2013

Page 2: la_lettura_20131124

2 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

4 Il dibattito delle ideeBerlinguernon ti voglio benedi PIERLUIGI BATTISTA

5 Il bacio in pubblico,arma di confusione di massadi GUIDO VITIELLO

Orizzonti6 Innovazione

Un manifestoper i Big Datadi SERENA DANNA

7 ScenariIl futuro è l’eradei «dati collegati»di DAVID WEINBERGER

8 Scienze umaneTradire conviene al traditore,collaborare conviene a tuttidi ANNA MELDOLESI

9 Visual DataScrittori, buona la prima. E poi?di EMANUELE TREVI

Caratteri10 Generi

La narrativa argentinaoltre i muri di cintadi GABRIELLA SABA

12 Recensioni/1Raffaele Nigro: Federico II,Pasolini e altri testimonidi ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI

13 Recensioni/2Natsume Soseki: una «porta»sulla modernità egoistadi CINZIA FIORI

14 Classifiche dei libriLa pagelladi ANTONIO D’ORRICO

Sguardi16 L’incontro: Giulio Paolini

Scusate, l’artista non c’èdi STEFANO BUCCI

17 OmaggiCosì Gabriele Basilicosi svelò ad Amos Gitaidi VINCENZO TRIONE

18 Le mostreMan Ray prese Kiki.Di scattodi SEBASTIANO GRASSO

19 Da Parigi a New YorkJoel Arthur Rosenthall’alchimista dei gioiellidi GIOVANNA POLETTI

Percorsi20 Bilanci

Checco Zaloneche liberazione!di LUCA MASTRANTONIO

21 L’interventoBasta bullismo linguisticoridere è una cosa seriadi ANNA MARCHESINI

22 ControcopertinaLa musica sega le sbarreIl progetto «CO2» in carceredi FRANCO MUSSIDAcon un intervento di GINO PAOLI

Sommario

corriere.it/laletturaL'inserto continua online

con il «Club della Lettura»:una community esclusiva

per condividere idee e opinioni

SSSIl dibattito delle idee

N ell’opera Strade per la libertà, pubblicata nel1918, Bertrand Russell fu tra i primi intellet-tuali a proporre quello che oggi chiamiamoreddito di cittadinanza (o di base, in ingleseBasic Income). Scriveva infatti il filosofo in-glese: «Una certa somma di reddito, suffi-ciente per coprire le prime necessità, do-

vrebbe essere assicurata a tutti, sia a chi lavora sia a chi nonlavora; chi poi è disposto a impegnarsi per una qualche atti-vità utile alla collettività dovrebbe ricevere una somma piùconsistente». Nel corso del Novecento, l’idea di Russell è sta-ta oggetto di un dibattito sempre più acceso. Il Basic Incomeè diventato il cavallo di battaglia di Philippe Van Parijs, espo-nente di primo piano del cosiddetto «egualitarismo libera-le»: nel libro Real Freedom for All («Vera libertà per tutti»,1995) il filosofo belga ha proposto una articolata giustifica-zione filosofica del reddito di base come strumento capacedi conciliare capitalismo di mercato e giustizia distributiva.La desiderabilità di un reddito universale garantito (anche sesotto la forma meno esigente dell’imposta negativa: cfr. ilglossario) è stata appoggiata anche da molti pensatori liberi-sti, primi fra tutti Hayek e Friedman. Dal 1986 è attivo unnetwork di riflessione e pressione politica a favore del BasicIncome, prima solo europeo e poi, dal 2004, mondiale (Bien:Basic Income Earth Network). Ed è attualmente in corso unapetizione (tecnicamente: un’«iniziativa di cittadini euro-pei») per chiedere alla Commissione Ue di inserire il redditodi base nella propria agenda sociale.

Se passiamo dal mondo delle idee e delle proposte a quel-lo delle istituzioni e delle politiche concrete, come si presen-ta la situazione? Diciamo subito che il reddito di cittadinanzao di base non esiste da nessuna parte (eccettuato un mode-sto schema introdotto in Alaska e finanziato dalle entrate pe-trolifere). In tutti i Paesi anglosassoni e in quelli europei oc-cidentali (Ue a 15), escluse Italia e Grecia, esistono però for-me più o meno articolate e generose di reddito minimo ga-rantito. Nella tabella della pagina a fianco vengono elencatele denominazioni che questa prestazione assume nei varicontesti nazionali e gli importi previsti per una personacompletamente priva di risorse, senza familiari. Le sommesono puramente indicative: in alcuni casi il reddito minimo ètassato, in altri no; il livello di aiuto cambia di molto a secon-da della composizione della famiglia; spesso sono previsteaggiunte e integrazioni anche consistenti. Inoltre nella mag-gior parte dei Paesi Ue vi sono assegni universali per i figli,che si aggiungono al reddito minimo. È dunque difficile (an-

che se non impossibile) fare dei raffronti precisi tra Paesi. Unfatto va tuttavia ribadito. Insieme alla Grecia, il nostro Paeserimane, incredibilmente, privo di questo fondamentale tas-sello del welfare: quello che impedisce la «caduta libera»nella povertà e nell’esclusione sociale di membri a pieno ti-tolo della collettività.

Rispetto al reddito di cittadinanza, il reddito minimo ga-rantito presenta due importanti differenze: è erogato solo al-le persone povere ed è accompagnato da un programma di«attivazione». Il beneficiario s’impegna infatti a seguire unpercorso di integrazione lavorativa e/o sociale, ad esempiofrequentando un corso di formazione. Il sussidio è un vero eproprio diritto soggettivo, nel senso che, se il richiedentesoddisfa i requisiti, lo Stato è tenuto a concederlo. Siamocioè lontani dalla assistenza sociale del passato (anche se inalcuni Paesi questa espressione è ancora utilizzata nel nomedello schema), la quale aveva un’impostazione discrezionalee spesso arbitraria, senza vere e proprie garanzie di tutela incaso di bisogno.

Rispetto ad altri diritti sociali (come la pensione), il reddi-to minimo è però un diritto sui generis: gli studiosi lo defini-scono un «diritto individualizzato condizionale». L’importodella prestazione è legato infatti a caratteristiche molto spe-cifiche del richiedente (età, stato familiare e occupazionale,situazione economica ecc.). La fruizione dipende a sua voltada comportamenti definiti da un patto — spesso scritto eformalizzato — con lo Stato: se il patto non è rispettato dalbeneficiario, il diritto cessa, la prestazione è revocata. L’enfa-si crescente posta sull’attivazione fa sì che il reddito minimoconfiguri una forma inedita di welfare pubblico: un welfaredi natura contrattuale, una piccola rivoluzione nella storiaormai più che secolare dello Stato sociale europeo.

Lo scopo principale della condizionalità è abbastanza ov-vio: si vogliono evitare comportamenti opportunistici e «pa-sti gratis». La stipula del patto intende incentivare compor-tamenti responsabili e virtuosi da parte dei beneficiari, talicioè da condurli nel minor tempo possibile al recupero del-l’autosufficienza. Da un punto di vista economico, il ragiona-mento non fa una piega: le prestazioni sociali non devonoincoraggiare il cosiddetto «azzardo morale», ossia (in que-sto caso) approfittare del sostegno esterno per non lavorare.Ma dal punto di vista della teoria politica liberale è lecitochiedersi: un controllo così ravvicinato del comportamentoindividuale non rischia di essere troppo «paternalista», di

di MAURIZIO FERRERA

Redditipiùgiusti:minimoemassimo

Equità La lotta alla diseguaglianza, il rischio del paternalismo

GlossarioReddito di cittadinanza

o reddito di baseAssegno periodico

«perpetuo» erogato senzacondizioni, in forma

automatica e nonrimborsabile

Reddito di partecipazioneAssegno periodico a tutticoloro che partecipano almercato del lavoro o che

svolgono lavoro di cura afavore di familiari, oppure che

sono impegnati in attivitàformative

Reddito minimo garantitoAssegno periodico a chi si

trova in una situazioneeconomica disagiata, al di

sotto di soglie minime direddito/patrimonio

predefinite. È condizionatoalla disponibilità al lavoro o a

percorsi di integrazioneImposta negativa sul

reddito o credito d’impostaSussidio monetario erogato a

tutti gli «incapienti», ossiacoloro che hanno un redditoinferiore al reddito «soglia»,

oltre il quale si è tenuti aversare l’imposta personale

sul redditoSalario minimo

Soglia minima di retribuzione,fissata per legge, che tutti i

datori di lavoro sono tenuti agarantire per qualunque tipo

di contratto

i

Page 3: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 3

LoStatosocialevarivoluzionato:un«salario»peripoverieuntettoaisuperstipendi

to con possibili datori di lavoro, percorsi che davvero pro-mettono reinserimento e inclusione. La teoria economicatende a preoccuparsi troppo di azzardo morale e troppo po-co di asimmetrie di potere, abusi paternalistici e, soprattut-to, inettitudine burocratica.

Sempre ragionando ai confini fra efficienza ed equità, oc-corre poi tener conto di un altro problema. Anche se accom-pagnato da forme di attivazione (non oppressive), il redditominimo interviene pur sempre ex post: rimedia a un bisognoacuto già emerso. Ma perché le persone cadono vittime dellapovertà? Per un complesso di fattori, molti (anche se non tut-ti!) al di là del controllo individuale, e spesso connessi a unainiqua distribuzione delle opportunità. Se questo è vero, ilmodo migliore per combattere la povertà è agire ex ante, cer-cando di neutralizzare il più possibile la trasmissione inter-generazionale dello svantaggio. Il discorso porterebbe lonta-no. Mi limito qui a dire che per raggiungere questo obiettivoservono due strategie. La prima è accrescere i cosiddetti «in-vestimenti sociali», in particolare per l’istruzione e la forma-zione, sin dall’infanzia. Disporre di un adeguato capitaleumano è la chiave per imboccare corsi di vita che consenta-no di migliorare la propria posizione di partenza e di restare«sicuri» dal punto di vista economico e sociale.

La seconda strategia è quella di incidere direttamente sul-la distribuzione già esistente delle opportunità, e in partico-lare dei redditi. Luigi Einaudi raccomandava, nelle sue Lezio-ni di politica sociale, sia un «innalzamento dal basso» deipiù sfavoriti, tramite servizi e sussidi, sia un «abbassamentodelle punte» dei più favoriti, tramite l’imposizione progres-siva e le tasse di successione. Potremmo tuttavia interrogarcisu un’opzione ancor più radicale: istituire, oltre a un redditominimo garantito, anche un «reddito massimo consentito».L’idea è molto meno peregrina di quanto sembri. Nel marzoscorso, gli svizzeri hanno votato l’introduzione di regolemolto restrittive per la definizione degli stipendi dei mana-ger. E proprio oggi — 24 novembre — nella Confederazioneelvetica si tiene un nuovo referendum sui «salari equi». Se-condo la proposta messa ai voti dai giovani socialisti, nessu-na retribuzione dovrebbe superare il multiplo di 12 rispetto

imporre vincoli eccessivi alla libertà personale? La criticapuò essere rivolta a tutte le politiche di workfare, quelle checollegano il godimento di una prestazione alla immediatadisponibilità al lavoro (spesso qualsiasi lavoro). Una notarassegna delle esperienze di workfare degli anni Novanta èsignificativamente intitolata Un’offerta che non puoi rifiuta-re: un’espressione usata dal Padrino (quello di Mario Puzo)per evocare metodi di convinzione non proprio ortodossi ecerto non rispettosi delle preferenze dell’interlocutore.

Il rischio di paternalismo in effetti c’è, ma esistono anche ipossibili antidoti, già sperimentati da alcuni Paesi. Innanzi-tutto il patto deve essere negoziato fra le parti e tener conto,appunto, degli obiettivi, desideri e vincoli del richiedente.Ma c’è di più: il patto deve vincolare anche l’amministrazionepubblica a fornire opportunità concrete di entrare in contat-

alla retribuzione più bassa, all’interno della stessa impresa,pubblica o privata. La Svizzera (non la Scandinavia socialde-mocratica, non la Cina comunista) potrebbe essere il primoPaese al mondo a dotarsi di una «banda» reddituale vinco-lante, sia verso l’alto (salario equo, la formula 1:12), sia verso ilbasso. Nei prossimi mesi è infatti previsto un ulteriore refe-rendum sull’introduzione di un vero e proprio reddito di cit-tadinanza, nel senso pieno del termine.

Quali indicazioni fornisce la teoria liberale riguardo adeventuali tetti massimi sui redditi? Le posizioni sono diverse:Robert Nozick ad esempio sarebbe inorridito al solo pensie-ro, mentre John Rawls, al contrario, avrebbe detto: le diffe-renze di retribuzione sono giustificate se aumentano il red-dito complessivo di una società e se i frutti di questo aumen-to tornano a vantaggio dei più sfavoriti. Nessun tetto, dun-que: ma uno scrutinio rigoroso sulla corrispondenza fra alteretribuzioni, alto merito individuale, alta performance.Quanti stipendi di manager pubblici e privati in giro per l’Eu-ropa supererebbero questo test?

Ma veniamo all’Italia. Come mai non abbiamo un redditominimo garantito né, tantomeno, una strategia di investi-menti sociali e di lotta alla povertà? Perché il nostro welfaresi è sviluppato solo verso l’alto (inventando le pensioni «ba-by» e quelle «d’oro») e non ha mai costruito robuste fonda-menta «in basso». Come stupirci se un simile edificio è di-ventato un vero e proprio campionario di iniquità? Come po-tevamo sperare che senza fondamenta la casa potesse starein piedi, reggere i venti della globalizzazione, i vincoli del-l’euro, lo tsunami della crisi? E infatti la casa non sta reggen-do: né sotto il profilo finanziario né sotto quello sociale. No-nostante le riforme, le pensioni ancora consumano il 15 percento circa del Pil e siamo il Paese Ue con la più alta percen-tuale di trattamenti sopra i 3.000 euro al mese. Sul versanteopposto, l’8 per cento della popolazione vive in condizioni dipovertà assoluta.

Negli ultimi mesi qualcosa finalmente si è mosso. Da unlato si è cominciato a parlare di tetti alle prestazioni più ge-nerose e alle retribuzioni più elevate, soprattutto nel settorepubblico. Molti si sono scandalizzati per l’attacco ai diritti ac-quisiti. Ma in un sistema pensionistico a ripartizione comequello italiano, i diritti acquisiti tendono a trasformarsi in«oneri scaricati» sulle giovani generazioni. Per quanto ri-guarda le retribuzioni, ricordiamo poi che quelle dei nostriburocrati sono fra le più alte del mondo.

Dall’altro lato, sono state recentemente formulate propo-ste concrete per introdurre anche da noi il tassello mancan-te. Il Movimento 5 Stelle vorrebbe il reddito di cittadinanzaper tutti coloro che hanno redditi sotto la soglia di povertàrelativa. A parte lo svarione terminologico (si tratta in realtàdi uno schema di reddito minimo), la proposta è fuori linearispetto alle migliori esperienze straniere e costerebbe unosproposito. Molto più serie e praticabili le altre due propostesul tappeto. La prima è quella, molto dettagliata, del Redditodi inclusione sociale (Reis), formulata mesi fa dalle Acli. Laseconda è quella, più generale, del Sostegno d’inclusione at-tiva (Sia), elaborata da un gruppo di lavoro nominato dal mi-nistro del Lavoro Enrico Giovannini. Anche l’Istituto per la ri-cerca sociale (Irs) ha fatto una sua proposta, che ha il meritodi indicare le possibili fonti di finanziamento: una incisivarazionalizzazione delle prestazioni assistenziali già esistenti,che a volte trasferiscono risorse a famiglie che certo poverenon sono.

Con un po’ di coraggio politico e serietà istituzionale, cisono oggi le condizioni per ribilanciare la struttura sbilencadel nostro stato sociale e costringerlo a svolgere quella chedovrebbe essere la sua prima funzione: aiutare i più deboli.Certo, ci sono i problemi della burocrazia, dell’evasione, del-l’economia nera e persino della mafia. Ma qual è l’alternati-va? Tenerci cinque milioni di poveri, fra cui un milione dibambini? E difendere al tempo stesso grotteschi privilegi so-lo perché «ci sono»? Non occorre scomodare la filosofia nél’economia per capire che lo status quo non è in alcun modosostenibile e che le riforme non possono più aspettare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ILLUSTRAZIONE DI BEPPE GIACOBBE

Da quando è comparso per la prima volta sulla terra, l’uomo tutte le sere se ne va a dormire invece che divertirsi o fare qualcosa di utile. Nessuno ha mai capito perché. La risposta è in un articolo appena pubblicato su

«Science»: durante il sonno il cervellosi pulisce. C’è un sistema (che funziona soltanto di notte) per eliminare le sostanze tossiche che accumuliamo di giorno. E quelli che di notte lavorano?

Tutti a nanna per ripulire il cervello

{Sopra le righedi Giuseppe Remuzzi

Fonte: UE, Mutual Information Systemon Social Protection (MISSOC), 2013

Il sistemadelle tutelein Europa

C.D.S.

Importo minimo in euro(indicativo)

LussemburgoReddito minimogarantito

1.315

DanimarcaContributo di assistenzasociale

930

IrlandaAssegno sociale

806

BelgioReddito d’integrazione

801

AustriaAssegno di sicurezzaminima orientataai bisogni

794

Paesi BassiSussidio generale

660

SpagnaReddito di inserimentoattivo

532

FinlandiaContributo di assistenzasociale

524

FranciaReddito di solidarietàattiva

483

SveziaContributo di assistenzasociale

450

GermaniaAssistenza per le spesedi sussistenza

382

Regno UnitoSostegno del reddito

360

PortogalloReddito di inserimentosociale

189

Ti va di fare un gioco?

Il nuovo libro di

feltrinellieditore.itChiara Gamberale

#Per

diec

imin

uti

Page 4: la_lettura_20131124

4 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

Sugli incroci della vita il film «Sliding doors» ha costruito la propria fortuna. In «One on One» di Craig Brown (Edizioni Clichy), c’è molto di più della casualità generata da una porta che si chiude in metropolitana. Ci sono

101 incontri reali che hanno cambiato o avrebbero potuto cambiare il mondo, come quando John Scott-Ellis, il 22 agosto 1931, investì a Berlino Adolf Hitler. Ma andava piano, Scott-Ellis, a bordo della sua Fiat…

La casualità di 101 incontri straordinari

{Il dibattito delle ideePost it

di Stefano Righi

L'incursioneSSSdi MARCO CUBEDDU

CARI AMICI SCRITTORI,IMPEGNATEVI SUI ROMANZIINVECE DI TWITTARE

S ul rapporto tra l’autore e la sua operariecheggia ancora la frase di GustaveFlaubert: «L’artista deve far credere ai posteridi non avere mai vissuto». Perfino l’istrionicoOscar Wilde, sulla carta, la pensava allo

stesso modo: «Rivelare l’arte e celare l’artista è la metadell’arte». Se anche a queste riflessioni si volesseattribuire un pizzico di ipocrisia narcisista, èinnegabile che un certo fascino enigmatico, dallafigura di Omero a Thomas Pynchon, passando perShakespeare e J. D. Salinger, si sia dimostratovincente. Che il «vengo, non vengo» morettiano sialatente in ogni scrittore, per natura dedalo dicontraddizioni, è fuor di dubbio. Non sarebbe illecitopensare che lo stesso Salinger, famoso impallinatoredi importuni, sia giunto all’isolamento in seguito auna radicale risposta alla domanda: «Come mi si notadi più?». Ma una cosa è l’autofiction o la trovatapubblicitaria estremizzata nell’esibizionismoperformativo alla Simenon, ipoteticamente disposto ascrivere in una casa di vetro, un’altra sono gli stati suFacebook e i cinguettii su Twitter, che danno vita a uncorpus di frammenti non editi e non inediti da cuioggi quasi nessuno scrittore può dirsi esente. C’è chi,come Teresa Ciabatti, dà vita a veri e propripersonaggi e a narrazioni semiautobiografiche; chicommenta con sagacia le partite di calcio comeMichele Dalai; chi trasforma la sua bacheca in uncircolo femminista, come Loredana Lipperini, cheattacca «Striscia la notizia» per difendere LauraBoldrini: «All’epoca, si chiamava manganello. Oggi sichiama Tapiro»; chi, come Roberto Saviano, non siconcede il lusso dell’ironia nemmeno su Twitter:«L’ultima volta a Pordenone fu da uomo libero.Domani torno dopo sette anni a Pordenonelegge»;

chi, come Giuseppe Genna, sponsorizza iniziative«sportive»: «È assolutamente necessario che imilanesi di qualunque età stiano bene. Quindi devonofare questo corso di yoga all’Arci Bellezza... siamo tuttilì»; e chi, come Christian Raimo, nella pausa delladivertente narrazione delle sue vicende scolastiche,approfitta per sollevare una questione filosofica:«Quella delle scarpe maschili estive. Ci può essere unaterza via blairiana tra scarpa chiusa con fantasmino equesto?» con allegata foto di infradito. Il fast thinking,e soprattutto il fast sharing, oltre a incentivarel’aforisticismo, di fatto molto simile all’arteriosclerosi,rendono surreali anche alcune conversazioni, quandouno degli interlocutori si blocca, prende un appuntomentale e verbalizza il processo con la frase «potreimetterlo su Facebook». Oltretutto la conquista dei«mi piace» richiede tempo e concentrazione perelaborare il contenuto, scegliere l’ora in cuipubblicarlo, dargli una struttura narrativa e unacoerenza etica ed estetica con il resto dei post. Seinvece di socializzare con i lettori cercando di venderela nostra immagine a suon di like, impiegassimo undecimo di tutta questa energia nello scrivere romanzi,forse non staremmo sempre qui a lamentarci chenessuno compra i nostri libri, spesso meno brillantidei nostri tweet. E forse, tra isolamento e casa divetro, il giusto mezzo sta nella massima di VladimirNabokov, già ripresa da Alessandro Piperno, cheraccomanda agli scrittori «la vituperatissima torred’avorio, purché ovviamente fornita di telefono e diascensore». Una riflessione che condivido al puntoche quasi quasi la condivido su Facebook.

@cubamsc© RIPRODUZIONE RISERVATA

SSSElaborazioni digitali

La conquista dei «mi piace»su Facebook, richiede impegno e

tempo per elaborare il contenuto,scegliere l’ora in cui pubblicarlo,dare struttura e coerenza al post

MARCO CUBEDDU Nato a Genova nel 1987, scrittore. Collaboracon «Nuovi Argomenti» e scrive su diversi giornali e riviste tra cui«Panorama» e «Il Secolo XIX». Il suo primo romanzo è«C.U.B.A.M.S.C. Con una bomba a mano sul cuore» (Mondadori).

Passioneeideologia«Ildesideriodiesserecometutti»èbellomanarraunaveritàcosìpersonaledatrasformarsiinunabbaglioMemorieaconfrontosuglianni70e80

Berlinguer non ti voglio beneIl libro di Francesco Piccolo esalta la Buona CausaMa ricordo che dalla parte «giusta» stava Craxi, non il Pcidi PIERLUIGI BATTISTA

O gnuno di noi conserva il ricordodella partita del cuore, la partitadella svolta in cui la passionesportiva si è mescolata e fusacon quella esistenziale della po-

litica. La mia è stata la sfida di hockey sulghiaccio tra Unione Sovietica e Cecoslovac-chia del 21 marzo 1969. Il giovane Jan Palachsi era appena bruciato nella Praga occupatadai carri armati del Patto di Varsavia, e sen-tire dagli spalti del pubblico di Stoccolma ilgrido rabbioso e commovente «DubcekDubcek» straziò il cuore del giovane e scon-siderato estremista che ero. E lo rese persempre anticomunista. La svolta politica diFrancesco Piccolo invece, lo racconta nelsuo bellissimo Il desiderio di essere cometutti (Einaudi), coincide con il settantottesi-mo minuto della partita di calcio GermaniaOvest contro Germania Est nei Mondiali del‘74, quando il piccolo Piccolo, accanto econtro il padre di destra che tifava per i te-deschi occidentali, esultò quando JürgenSparwasser della Ddr segnò il gol che riscat-tava i poveri ragazzi infagottati nelle mode-ste «maglie azzurre con lo scollo a V bian-co». Avevano vinto i deboli, erano statisconfitti i forti e ricchi prepotenti del-l’Ovest.

Fu allora che Francesco Piccolo consumòil suo parricidio simbolico. Fu allora cheFrancesco Piccolo diventò «davvero comu-nista». Esattamente l’opposto di quanto eraaccaduto a me. Per me la Ddr incarnava unregime mostruoso, una caserma oppressivache aveva spinto fino alla perfezione la suavocazione poliziesca, il cui simbolo erano iVoPos che dall’alto delle torrette sparavanosenza pietà a chi scappava nei modi più av-venturosi da quello Stato-prigione, come èancora documentato nel museo situato aBerlino a pochi passi dal Checkpoint Char-lie. Per questo mi commossero di più tuttiquei giovani entusiasti e ancora increduliche un po’ di anni dopo avrebbero buttatogiù a picconate il Muro, mentre Mstislav Ro-stropovic celebrava con il suo sublime vio-loncello la fine dell’arroganza totalitaria chelo aveva tirato su.

Questo per dire a Piccolo che i ricordi cheformano il tessuto di un’esperienza umanaed emotiva destinata a intrecciarsi con le vi-cende della politica sono vari e spesso con-trastanti tra loro, e non solo nel senso piùbanalmente anagrafico-generazionale (tra

me e lui corrono nove anni di differenza, amio sfavore). Il suo libro racconta meravi-gliosamente l’andirivieni contraddittorio diemozioni e sentimenti tra la storia moltopersonale di un ragazzo borghese nato a Ca-serta nel ’64 e la storia «grande e terribile»,per dirla con Kipling, che lo scaraventa fuo-ri del cortile di casa, e gli fa sentire la morsadi un destino comune condiviso con il restodell’umanità.

Con Il desiderio di essere come tutti Pic-colo si conferma lo strepitoso scrittore checonoscevamo. Basterebbero le pagine sulcolera e sul terremoto per dimostrarlo, oquelle sul primo amore che muore nel gior-no di San Valentino, per colpa del militanti-smo ideologico e di un orribile pacchetto inrosa che una commessa sdolcinata avevaconfezionato per il regalo d’amore (rifiuta-to). Però nel libro si parla di Berlinguer, diCraxi, di Moro, del compromesso storico,del berlusconismo, dell’antiberlusconismocome altrettanti momenti della maturazio-ne politica di uno scrittore che sa guardarsidentro con il dono raro dell’ironia.

E dunque non è infondato rileggere que-sto romanzo anche dal punto di vista politi-

co. È vero: Piccolo sostiene una posizionemolto coraggiosamente minoritaria. Ber-lingueriano per scelta, non ignora la debo-lezza di una sinistra in cui «ogni sconfittapolitica», dalla Prima alla Seconda Repub-blica, «diventa un rafforzativo delle proprieidee. Una conferma che il mondo è corrottoe che il progresso è malato. Una confermache le persone giuste e i pensieri giusti sonominoranza, fanno parte di un mondo altro,che non comunica più con il Paese, perchéil resto del Paese, impuro e corrotto, si èperduto». È vero, Piccolo addirittura acco-sta, parlando della sinistra, due aggettiviche, affiancati, suonano come una bestem-mia per i sacerdoti della superiorità antro-pologica della sinistra: «puri e reazionari».È vero, le corrucciate e arcigne vestali dei«pensieri giusti» hanno già provveduto abacchettare il reprobo Piccolo, come è acca-duto sulle colonne del «Fatto Quotidiano».

Però, forse è proprio sbagliato dare perscontato che la parte «giusta» sia stata quel-la cantata e sferzata al contempo da Piccolo.Piccolo più volte dice di sentirsi affine al Ro-bert Redford che in Come eravamo, incon-trando Barbra Streisand ancora impegnatadopo tanti anni a testimoniare qualcheBuona Causa, le dice con ammirazione af-fettuosa: «Tu non molli mai, eh». La citazio-ne significa due cose. Che Piccolo-Redfordsi sente un po’ in colpa. E che la militanteStreisand, pur prigioniera di una purezzapoliticamente inconcludente, è migliore dichi si rassegna, di chi «molla», di chi non èall’altezza della sua integrità: «Tu non mollimai». Ecco, forse questo implicito presup-posto di Piccolo che innerva tutte le paginedel romanzo, non è poi così scontato. Scriveche nei funerali di Berlinguer si riconobbe-ro «tutti». Non è vero: i comunisti erano unterzo degli italiani, gli altri due terzi si com-mossero per la morte di Berlinguer, ma nonper questo sentivano di ammettere la «su-periorità» etica del partito di Berlinguer.

Dalla parte «giusta» sulla scala mobile,poi, era Craxi, non Berlinguer. Dalla parte«giusta» sulla trattativa per salvare la vita diMoro c’era Craxi, non Berlinguer. Dalla par-te «giusta» del riformismo moderno eraCraxi, non il partito berlingueriano in cui«riformista» e «socialdemocratico» eranoparolacce e al massimo, pudicamente e ipo-critamente, si poteva dire «riformatore».Sulle riforme istituzionali dalla parte «giu-sta» era Craxi, con un po’ di anticipo, e nonchi gridava al golpe anticostituzionale. E sulfinanziamento illecito non c’erano partitipuri e partiti impuri, malgrado le unilatera-lità e gli strabismi delle «narrazioni» suc-cessive. O almeno, così ricordo, anche se al-la memoria, come al cuore, non si coman-da. Al massimo la si può restituire nei suoiaspetti più vividi, compito nel quale Il desi-derio di essere come tutti di Piccolo riescemagnificamente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La partita del cuoreLa vittoria della Ddr contro la

Germania Ovest ai Mondialidel ‘74 emozionò il

protagonista-autore che viscorse il riscatto dei deboli

SSS

Le due speciedi dogmatici

De Waal, Dio e la morale

di ANTONIO CARIOTI

Cresciuto in una famiglia cattolica olandese, ilprimatologo Frans de Waal ha abbandonatoogni credenza religiosa da ragazzo. E nel

libro Il bonobo e l’ateo (Raffaello Cortina, pp. 322,€ 28) esprime una visione naturalistica. Lo studiodelle scimmie lo ha convinto che la morale va «dalbasso all’alto»: non ha un’origine trascendente, maè frutto di una sensibilità innata, tipica di tutti imammiferi. Nel contempo però de Waal rifiutal’idea che la biologia possa «spiegarci il significatodella vita» e critica chi pretende che ognicomportamento umano abbia base genetica. Perlui la fede non è una piaga da sradicare e neppureun errore da correggere, ma «una parte dellanostra natura», il cui ruolo «è stato vitale inpassato e potrebbe restarlo nel prossimo futuro».Certi campioni dell’ateismo, tipo Richard Dawkinse Sam Harris, lo infastidiscono quanto i credentibigotti: «I dogmatici battono con tanta forza i lorotamburi — scrive — che non riescono a sentirsil’un l’altro». De Waal probabilmente non conoscecerti cattolici integralisti italiani, né polemisti ateicome Piergiorgio Odifreddi e Paolo Flores d’Arcais.Ma sembra proprio che parli di loro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Arthur Benda, «La danza con idischi d’oro», 1931, al Mambo(Bologna) in «La Grande Magia.Opere Scelte dalla CollezioneUniCredit» fino al 16 febbraio

Page 5: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 5

Zhu Xi (1130-1200), filosofo del Fujian, figura tra i sommi del «neoconfucianesimo»; fu autore di opere speculative, in particolare i commentari ai «Quattro libri». È considerato il Tommaso d’Aquino d’Oriente. Ora nella

prestigiosa «Biblioteca cinese» delle Belles Lettres esce, con testo a fronte, «Memoria sigillata sulla situazione dell’impero» (pp. 252, e 27). Una forte requisitoria contro la corruzione e i vizi della politica (ancora utile).

Il Tommaso d’Aquino d’Oriente

{Il dibattito delle ideeVa pensiero

di Armando Torno

A sinistra: il baciofotografato da AlfredEisenstaedt a TimesSquare, New York, nel1945: simbolo della finedella guerra negli Usa. Alcentro: il celebre «bacioalla sovietica» del 1979,tra Erich Honecker,segretario generale dellaSed tedesco-orientale, eLeonid Brežnev, segretariodel Pcus: icona dellaguerra fredda. A destra:la manifestante No Tavche durante il corteo in Valdi Susa, lo scorso 16novembre, bacia la visieradi un poliziottoin tenuta anti-sommossa(foto Afp)

Icone di un’epoca

Il bacio, arma di confusione di massaDa Giuda a Giulio Andreotti, dalla Russia alla Val di SusaStorie di atti fraintesi o inventati: con fini mediatici e politicidi GUIDO VITIELLO

P eccato che le citazioni false sia-no false, perché spesso offronoimbeccate a cui è doloroso ri-nunciare. Come questa, attribu-ita a Henri Cartier-Bresson:

«Una fotografia è un bacio oppure unosparo». La frase originale è ben diversa (ilfotografo disse che la sua Leica era «comeun caldo bacio, come un colpo di pistola ecome il lettino dello psicoanalista»), mateniamoci stretta la versione apocrifa: è ladidascalia ideale per la foto della manife-stante No Tav immortalata mentre baciasulla visiera un poliziotto in tenuta anti-sommossa, lo scorso 16 novembre in Valdi Susa, salvo rivelare di lì a poco che sitrattava di un gesto di disprezzo, di unaprovocazione. La ragazza, una ventenne dinome Nina De Chiffre, ha dissipato l’equi-voco in meno di quarantott’ore, a diffe-renza di Caroline de Bendern — la Ma-rianna del maggio parigino fotografatamentre svettava sulla folla sventolandouna bandiera vietnamita — che aspettò labellezza di trent’anni prima di confessareche: primo, era salita sulle spalle di unamico perché non ne poteva più di cam-minare (ma in cambio le avevano appiop-pato la bandiera); secondo, aveva messosu quella faccia ispirata e solenne perché,da mannequin qual era, si era accorta distare sotto l’occhio dei fotografi.

Lunga è la storia del bacio politico —dal bacio-manifesto al bacio-sparo, pas-sando per il bacio che suggella un’allean-za — lunga almeno quanto la storia deifraintendimenti a cui si è prestato, dei ge-nerosi abbagli che ha suscitato. Cosa dipiù romantico, per esempio, del marinaioamericano che bacia l’infermiera in mez-zo a Times Square pochi minuti dopo l’an-nuncio della resa del Giappone, nell’ago-sto del 1945? Eppure, a quanto racconta ilfotografo Alfred Eisenstaedt, autore delleggendario scatto pubblicato su «Life»,quel marinaretto correva per le strade co-me un satiro impazzito, agguantandoqualunque donna capitasse a tiro, «chefosse una nonnetta, tarchiata, magra, vec-chia, non faceva differenza». Purché portila gonnella, voi sapete quel che fa. Si deveipotizzare che, più che un languido ab-bandono, quello dell’infermiera fosse unindietreggiamento tattico o una resa al-

l’invasore (in un modo o nell’altro, sem-pre di guerra si tratta).

Ma è solo una delle tante versioni: deci-ne di marinai e di infermiere si sono fattiavanti, nel corso dei decenni, per sostene-re che erano proprio loro quelli della foto,un guazzabuglio di teorie contraddittoriein cui hanno cercato di mettere ordineLawrence Verria e George Galdorisi in unlibro dal titolo The Kissing Sailor.

E che dire della foto del bacio di Van-couver, scattata nel 2011 da Richard Lamin mezzo alla rivolta dei tifosi dopo unapartita di hockey? Due ragazzi distesi sul-l’asfalto, divinamente noncuranti dell’in-ferno di fumogeni intorno, dietro la sago-ma scura di un agente con il manganello.Che magnifica allegoria vivente! Peccatoche prima un video su YouTube, poi lastessa giovane coppia, abbiano rimessotutto in prosa: lei era finita a terra in una

carica della polizia e se ne stava lì in predaallo shock, lui era andato a cercare di cal-marla. Cosa sempre romantica, beninte-so, ma meno Paolo e Francesca di quantosi fosse immaginato.

Spesso a generare equivoci è l’ambigui-tà dei codici culturali, che fanno incorrerein errori di traduzione. Leonid Brežnev edErich Honecker avvinti nel «bacio alla so-vietica» della celebre foto del 1979 sem-brano oggi un manifesto dell’orgogliogay, ed erano promiscui quanto basta —fisicamente e politicamente — da con-sentire all’artista russo Dmitri Vrubel, chenel 1990 ne fece un murales sul muro diBerlino, di aggiungere la didascalia: «Diomio, aiutami a sopravvivere a questoamore mortale»; ma quando, in una fotodi dieci anni dopo, toccò a Gorbaciov ba-ciare il leader della Ddr, a più di un osser-vatore venne in mente Giuda.

Il malinteso russo si è ripresentatol’estate scorsa quando le staffettiste Tat-yana Firova e Kseniya Ryzhova hanno fe-steggiato con un bel bacio in bocca la me-daglia d’oro vinta ai Mondiali di atletica diMosca: il gesto di esultanza, che fece scal-pore ovunque fuorché in Russia, vennescambiato per una sfida alle leggi omofo-be di Putin.

Altre volte ancora l’ambiguità è attizza-ta ad arte, come nella campagna «Unha-te» di Benetton del 2011, che invitava adis-odiare tramite fotomontaggi che ri-mettevano in scena il bacio Brežnev-Ho-necker con protagonisti aggiornati: la Me-rkel baciava Sarkozy, Obama l’allora presi-dente cinese Hu Jintao, e soprattutto c’eraRatzinger bocca a bocca con l’imam delCairo (nessuno dei due gradì la tresca).

Ma tra tutti i baci travisati, simulati edenigmatici del mondo, il più bello, si puòdire, è cosa nostra: il fantomatico baciotra Andreotti e Riina, un bacio-trattativanato dall’estro letterario del pentito Bal-duccio Di Maggio (si può essere gangstere bravi drammaturghi, ci ha insegnato ilWoody Allen di Pallottole su Broadway).La scena, già così potente, ha oltretutto unmagnifico sequel: «Giulio, non ti baciosolo perché so che non ti piace», disse Ni-cola Mancino il giorno dell’ottantesimocompleanno del senatore. Questo è tea-tro!

Resta da capire il perché di questo con-tinuo cortocircuito erotico-politico, e ilracconto della militante in Val di Susa alleprese con l’agente offre un buon punto dipartenza: «Avevo una scelta: sputargli obaciarlo». Possibile che le due cose, aqualche livello, siano intercambiabili?

Certo è che l’amore e la guerra parlanodue dialetti di una lingua comune, comeinsegna il Medioevo cavalleresco; anzi, èvero fin dalla preistoria, se non altro lapreistoria da fumetto. In una striscia diB.C. di Johnny Hart che apparve nel 1969,tra liberazione sessuale e contestazionedella guerra in Vietnam, due cavernicoli siazzuffano sotto gli occhi di una donnaprimitiva bella e civettuola. Arriva un ter-zo a dividerli: «Piantatela! Fate l’amore,non la guerra!». E quelli: «E per cosa crediche ci stiamo pestando, stupido?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Galleria criticaLawrence Verria e GeorgeGaldorisi hanno raccolto

teorie e contraddizioni sultema in un libro dal titolo

«The Kissing Sailor»

SSSIdiomi del corpo

L’amore e la guerraparlano due dialetti di una

lingua comune, comeinsegna il Medioevo

cavalleresco e cortese

SSS

Gesti Artisti e pubblicitari hanno messo a frutto l’ambiguità dell’azione più intima che si possa fare e fotografare in pubblico

Ferdinando Botero(Medellín, Colombia, 1932),«Il bacio di Giuda»(2011, olio su tela,55 x 63 centimetri,particolare), dal ciclo«Via Crucis. La passionedi Cristo», New York,Marlborough Gallery

Page 6: la_lettura_20131124

6 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

di FEDERICO GUERRINI

ETICA DIGITALE

SSS

Su Adtruism si sceglieuna non profit da sosteneree il logo compariràsul proprio sito o blog

L’attivismo da divano rinasce con la pubblicità

Facile promuovere una causa online, a colpi di clic: fasentire in pace con la coscienza senza doversi sforzaretroppo. I risultati però sovente non sono granché, tanto

che in inglese è stato coniato un termine vagamentedispregiativo: slacktivism (attivista fannullone). A rivalutarel’attivismo da divano ci pensa una startup irlandese, Adtruism,che sembra aver trovato il modo di coniugare beneficenzareale e dolce far niente. «Eravamo stanchi di vedere così tantivuoti gesti di sostegno alle buone cause online — dice ilfondatore Brian Mc Cormick, che con sei studenti delleuniversità di Dublino e Belfast (alcuni nella foto) ha lanciato inestate l’iniziativa — perciò abbiamo trovato una maniera perfare qualcosa di davvero utile, con un minimo di impegno».

Funziona così: ci si reca su Adtruism.com, e si sceglie una nonprofit da supportare; ce ne sono una ventina, fra cui l’Unicef eMedici senza frontiere. Si inserisce poi il codice fornito sulproprio sito o blog, dove apparirà un annuncio pubblicitariopromosso da uno dei network partner di Adtruism. A ogni clicsull’annuncio, il 100% del ricavato andrà all’organizzazioneselezionata. E Adtruism, cosa ci guadagna? Nulla: si sostienegrazie al finanziamento di due fondazioni benefiche, la HealyFoundation e Social Entrepreneurs Ireland, e grazie al supportogratuito di simpatizzanti e aziende che ne condividono lafilosofia di fondo. La bontà, a volte, può essere contagiosa.

@fede_guerrini© RIPRODUZIONE RISERVATA

OrizzontiNuovi linguaggi, scienze, religioni, filosofie

Società L’università americana ha organizzato un incontro per scrivere il futuro del rapporto tra navigazione online, sorveglianza e libertà

Un manifesto per i Big DataI pilastri del Mit per un uso sostenibile delle informazioni personali

dal nostro inviato a BostonSERENA DANNA

S uccede ancora che il mondo ac-cademico si assuma la respon-sabilità di mediare tra la societàe il futuro, di accogliere i cam-biamenti dell’industria e di pro-

vare a indirizzarli in una direzione soste-nibile. Se l’Università di Stanford in Cali-fornia si caratterizza — da sempre — perun’adesione totale alle ragioni (commer-ciali) della vicina Silicon Valley, all’estre-mità opposta degli Stati Uniti, il Massa-chusetts Institute of Technology (Mit) diBoston — polo orientale per l’innovazio-ne e la tecnologia made in Usa — sta ten-tando un approccio più critico e propo-sitivo alla rivoluzione in corso.

Con questo spirito, il 17 novembre, ilSENSEable City Lab, il laboratorio di ri-cerca urbanistica dell’università ameri-cana diretto da Carlo Ratti, ha organizza-to Engaging Data 2013, una giornata distudio sul tema dei Big Data, invitandodocenti, ricercatori, tecnici e giornalistiall’elaborazione di un manifesto. L’in-contro, al quale ha partecipato anche «laLettura», è stato aperto da una discus-sione tra il linguista Noam Chomsky e ilpremio Pulitzer Barton Gellman sullospionaggio di massa a opera della Natio-nal Security Agency, rivelato dall’ex di-pendente della Cia Edward Snowden.

Obiettivo del Mit: l’individuazione dipilastri tematici per delineare i confinietici ed economici dell’utilizzo dei dati

personali degli utenti da parte di azien-de e governi. «Ogni sistema di potere —ha affermato un battagliero Chomsky —che sia lo Stato, Amazon o Google, stacercando di utilizzare la migliore tecno-logia disponibile per controllare, domi-nare e massimizzare il proprio potere».Il paradosso è che, ha sottolineato Gell-man (al lavoro su un libro dedicato allasorveglianza industriale di Stato), «tuttele persone addette alla sorveglianza, sia

nel pubblico sia nel privato, sono con-vinte di proteggere i cittadini, o almenocosì dichiarano».

Dopo il dialogo tra lo studioso e ilgiornalista (che insieme a Glenn Gre-enwald e Laura Poitras sta curando il ri-lascio di documenti sulla Nsa da parte diSnowden) e un intervento dell’economi-sta e sociologa Saskia Sassen, nel pome-riggio i partecipanti di Engaging Data2013 si sono riuniti in workshop a tema

— guidati, tra gli altri, da Simon Gilles diAccenture, David Weinberger dell’Har-vard Berkman Center e Michael Rappadella North Carolina State University —per la stesura del manifesto.

Il punto di partenza, evidenziato damolti degli studiosi intervenuti, è il farwest legislativo in cui avviene il traccia-mento degli utenti sulla rete, dimensio-ne che, come ha sottolineato Ben Wiznerdella American Civil Liberties Union,

ILLUSTRAZIONEDI FRANCESCA CAPELLINI

Da Claudio Villa ai Lumineers,dalla Carrà ai Mumford & Sons: non manca quasi nessuno nel «Dizionario del Pop-Rock 2014» (Zanichelli) tomo monumentaledi Enzo Gentile e Alberto Tonti. Operazione desueta un’enciclopedia di carta ai tempi di Wikipedia? Sembra di no: vi è un’interfaccia digitale e il dizionario è critico, con stellettee giudizi. E sfogliarselo, pure a caso, dà ancora un certo gusto.

Un dizionario vecchio stile

{Solchidi Matteo Cruccu

Page 7: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 7

delle organizzazioni che le estrapolano elavorano.

Per selezione si intende, invece, la ne-cessità di individuare quali sono i pro-blemi e le opportunità che possono dav-vero provenire dai Big Data. Uno degliesempi dell’ambiguità di scopi legata alloro utilizzo arriva proprio dal casoSnowden: gli Stati Uniti hanno sempreaffermato che il controllo e lo spionag-gio di cittadini stranieri a opera dellaNational Security Agency servisse soloper ragioni di sicurezza, in particolareper prevenire eventuali azioni terroristi-che. Tuttavia, i più importanti esperti dialgoritmi e analisi predittive — dal do-cente di Internet governance di OxfordViktor Mayer-Schönberger allo statisti-co-blogger Nate Silver — hanno dimo-strato che proprio gli attentati terroristi-ci come le catastrofi naturali— in quan-to eventi «unici» nel tempo e nello spa-zio — sono impossibili da prevedereattraverso l’uso di Big Data, al contrariodelle abitudini di consumo, le quali, ba-sandosi su prodotti e numeri, sono piùfacilmente decifrabili.

In un settore al momento dominatodalla tecnica è necessario riabilitare con-cetti come umanesimo ed etica: dueobiettivi emersi dai workshop organiz-

zati dal Mit riguardano, infatti, l’impor-tanza del «fattore umano» nel processotecnologico. Nel caso di Big Data signifi-ca dare all’interpretazione dei dati pari omaggiore dignità delle altre fasi (estra-zione, correlazione, archiviazione) e farein modo che l’efficacia non diventi l’uni-co parametro per giudicare la qualità diun processo.

Secondo gli studiosi, la città — a diffe-renza di nazioni o continenti — si pre-senta come il laboratorio perfetto, perscala e significato, per sperimentare ac-cordi e valutazioni sul tema. «Quando icittadini vengono messi a conoscenzadel funzionamento della metropoli, dicosa determina cosa, possono attuarecambiamenti sul loro comportamentocivico», ha dichiarato Ludwig Siegeledell’«Economist». Il riferimento è alleopportunità offerte dalle nuove tecnolo-gie mobili per misurare e quantificaretutte le attività legate ai cittadini e allacittà, argomento di studio privilegiatodal SENSAble City Lab dell’università.Più che auspicare interventi di autoritàcentrali, i firmatari del manifesto del Mitcredono che sia auspicabile la costruzio-ne di un ponte diretto tra i governi localie le corporation che si occupano di tec-nologia.

È emersa poi la necessità di avere deiparametri di riferimento comuni perl’analisi dei dati, griglie condivise a livel-lo internazionale per poter costituirepunti di riferimento dagli Stati Uniti aRoma fino al Kenya. Infine, urge un ri-pensamento dell’idea stessa del rappor-to tra gli utenti e la rete. Se fino a oggi èvalsa l’idea che la moneta di scambio perInternet gratis fosse accettare di esserenoi stessi prodotti commerciali, il futurovede la centralità di un utente attivo che«sceglie» di fornire i propri dati in cam-bio di offerte, denaro o servizi. Un sanolibero arbitrio commerciale sintetizzatoin una semplice frase da Geoff Hollin-gworth di Ericsson: «La condivisione didati dovrebbe essere organizzata comeuna transazione di affari: vuoi usare imiei dati? Paga».

@serena_danna© RIPRODUZIONE RISERVATA

«sfugge a ogni controllo e verifica daparte di cittadini e organismi di tutela».

Eppure, il problema, oltre che nell’in-dividuazione di regole, sta anche nellascelta dei regolatori. «A chi affidare ilcontratto di utilizzo dei dati?», si è chie-sto Marco Bressan del Banco BilbaoVizcaya Argentaria, denunciando una si-tuazione in cui, da un lato, la società sirivela incapace di gestire le proprie in-formazioni, dall’altro, aziende e governisono alleate nell’interesse di portareavanti l’anarchia in materia.

E se è vero che una maggiore respon-sabilità e consapevolezza dei cittadini èla premessa per un utilizzo più «giusto»dei dati, tutti gli studiosi intervenuti — acominciare da Noam Chomsky — hannoauspicato un ruolo attivo da parte di me-dia, accademia e organizzazioni civiliper informare i cittadini su diritti e dove-ri della navigazioneonline. Come ha ri-badito Saskia Sas-sen, non esistonodati buoni o cattivi:«Tutti i dati sonopotenzialmente uti-li o nocivi — ha di-chiarato la sociolo-ga —, è una que-stione di utilizzo econtesto. La do-manda da porsi è:come far funzionarein maniera corretta e responsabile BigData?». Proprio contesto è emersa comeuna delle parole-chiave del manifestodel Mit. Termine che ritorna anche nelleteorie più attuali legate alla tutela dellaprivacy dei cittadini (quella della filosofaHelen Nissenbaum per esempio): l’ideache non esista una legge, teoria o ideauniversale, ma che diverse situazionieconomiche, culturali, sociali e politi-che richiedano approcci filosofici e nor-mativi diversi.

La trasparenza si delinea come un re-quisito imprescindibile per una correttagestione dei dati personali: nel futuro gliutenti dovranno essere informati sullatipologia delle informazioni raccolte esul loro utilizzo da parte delle aziende e

Scenari Oltre gli algoritmi, arrivano i Linked Data

Accesso condiviso dalla reteper discutere, verificare, inventaredi DAVID WEINBERGER

I Big Data hanno avuto origine nel-l’era dell’informazione. Entrandonell’era della rete, le loro caratteri-stiche e il modo in cui sono sfruttaticambiano. Quando sono concepiti

nel quadro dell’era dell’informazione,consistono di un’enorme quantità di datie di sofisticati algoritmi in grado di trar-ne un valore. Quando sono pensati nel-l’era della rete, alcuni dei loro valori cam-biano.

Un elemento caratterizzante di Inter-net è la sua ampiezza, ma per aumentarela scala dei Big Data bisogna essere di-sposti a tollerare un grado maggiore diimprecisione: è meglio ottenere rapida-mente dei dati un po’ imprecisi piuttostoche non ottenere mai dei dati perfetta-mente accurati. Per fortuna le inesattezzepossono essere ridotte mettendo a puntoalgoritmi di correzione. Per questo moti-vo, alcune raccolte di Big Data hanno ri-nunciato a nascere con un schema stan-dard unificato. Così si introduce disordi-ne, ma si consente che i dati siano inviativelocemente.

Su data.gov, il sito federale statuniten-se di Big Data, i dati sono accettati in mol-te forme diverse, anche se nel tempo pos-sono cambiare. Possiamo cominciare avedere un futuro in cui l’accesso ai BigData dalla rete diventi una cosa normale.L’obiettivo è costruire una sorta di spaziocomune in cui un gran numero di ideepossano essere discusse e verificate. Que-sto spazio comune amplificherebbe no-tevolmente il progresso della conoscenzae trarrebbe dai Big Data un valore assaimaggiore. A differenza di alcune visioniprecedenti, secondo le quali i computerpotrebbero aiutarci a modellare il mon-do, uno spazio comune in rete avrà suc-

cesso se consentirà un dibattito continuoe vivace, sostenuto da prove fornite da va-ri gruppi di Big Data.

Un modo per arrivare a questo risulta-to potrebbe essere quello di trasformare iBig Data in Linked Data, ovvero dati colle-gati. I Linked Data sono uno standard delweb semantico che consente di esplorarepiù facilmente dei silos di informazioniper trovare relazioni tra i loro dati. ILinked Data rendono anche molto più fa-cile inserire nuove relazioni nella serie didati in sé, in modo che i dati acquistinotanto più valore quanto più sono utilizza-ti. I Linked Data non sono particolarmen-te facili da realizzare, ma la tecnologianecessaria si sta consolidando, ed è inquesta forma che le organizzazioni cheperseguono fini di pubblica utilità tendo-no a rendere disponibili i loro Big Data.

Che si usino o meno i Linked Data,questa prospettiva rappresenta il piùgrande cambiamento che i dati subiran-no nella nostra nuova era. Nell’era dell’in-formazione i dati venivano raccolti e or-ganizzati con uno scopo specifico: si co-struiva un database di risorse umane persostenere le applicazioni dedicate alle ri-sorse umane. L’era della rete vede invece iBig Data come una piattaforma che,quando è liberamente disponibile, è ingrado di sostenere applicazioni ancorada inventare. Perché questo si verifichi,però, i Big Data devono essere più accura-ti e devono fondamentalmente condivi-dere i valori di Internet: l’apertura, l’am-piezza, la tolleranza per una certa dose didisordine, e la soddisfazione di vedere ilproprio lavoro utilizzato e condiviso daaltri.

(Traduzione di Maria Sepa)© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dall’alto in basso:l’economista e sociologaSaskia Sassen; il linguista efilosofo Noam Chomsky; ilmanifesto della conferenzadel Mit; il giornalista premioPulitzer Barton Gellman

PresuppostiIl punto di partenza

è il far west in cui avviene iltracciamento online degli

utenti. Bisogna individuareregole e regolatori

SSS

Page 8: la_lettura_20131124

8 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

Apri a caso e trovi: leggende, descrizioni, raccontiveri e inventati, considerazioni scientifiche (perché soffia il vento, perché si appannano le finestre) e perfino storie così piccole che potrebbero stare in un tweet. È il prezioso

abbecedario scritto da Lev Tolstoj con i suoi scolari bambini, «I quattro libri di lettura» (Isbn,€ 25) con introduzione di Ermanno Olmi (pure preziosa). Dedicato «a tutti i fanciulli perché ne traggano le loro prime impressioni poetiche».

Le favole formato tweet di Tolstoj

{Orizzonti Scienze umaneTarli

di Severino Colombo

Il dilemma del prigioniero fa elaborare la scelta più razionaletra l’essere fedeli al gruppo o pensare soltanto a se stessi

Tradire conviene al traditorema collaborare conviene a tutti

Teoria dei giochi

di ANNA MELDOLESI

D ue traghetti stanno evacuandoGotham City. Il primo traspor-ta detenuti, il secondo comu-ni cittadini. Ogni equipaggioscopre di avere un detonatore

per far esplodere l’altra barca. Il perfidoJoker detta le regole. Numero uno: i pas-seggeri dell’imbarcazione che per primadeciderà di premere il pulsante condan-neranno gli altri alla morte, ma avrannosalva la vita. Numero due: se entro mez-zanotte nessuno si sarà deciso, salteran-no tutti in aria. Le cose sono complicatedal fatto che tra i civili c’è chi non hascrupoli, mentre tra i galeotti (e sulla im-barcazione ci sono anche secondini e po-liziotti) c’è chi ha dubbi sul da farsi.

La scena è tratta da Il cavaliere oscuro,penultimo episodio della saga di Bat-man. I cinefili ricordano questo film so-prattutto per la tragica morte dell’attoreche interpretava Joker. I nerd per la tra-sposizione cinematografica di un grandeclassico della teoria dei giochi: il dilem-ma del prigioniero. Nella versione di ba-se ogni giocatore è costretto a compiereuna difficile scelta, senza sapere cosa fa-rà l’altro. Nel migliore dei mondi possibi-li i due si fidano abbastanza per collabo-rare (nel film questo equivale a non pre-mere il pulsante, sperando nell’arrivo diBatman). Ma la voglia di cooperare devefare i conti con la paura di essere traditi:la barca con i passeggeri buoni potrebbeessere distrutta da quella dei passeggeriegoisti. Se l’egoismo prevale, ci perdonotutti. Se prevale l’altruismo, ci guadagna-no tutti (non nei piani di Joker...).

Il fascino della teoria dei giochi è checerca di spiegare come dovrebbero com-portarsi dei soggetti razionali per fare ilproprio interesse nella variegata casisticadelle interazioni umane, dalle simulazio-ni di guerra alle trattative commerciali.Per questo la branca di studi fondata daJohn von Neumann e sviluppata da JohnNash appassiona psicologi, economisti estudiosi di scienze politiche oltre ai ma-tematici. Il dilemma del prigioniero, inparticolare, ha sessant’anni di vita, macontinua a occupare le pagine delle rivi-ste scientifiche. Può sembrare assurdo,ma solo recentemente qualcuno ha pen-sato di studiare le strategie di gioco deicarcerati (i veri prigionieri). Ecco le rego-le usate: scegliendo entrambi di collabo-rare i giocatori ottengono 7 punti ciascu-

no, chi tradisce un avversario collabora-tivo prende 9 punti, chi collabora mentrel’altro tradisce si ferma a 1, se entrambitradiscono hanno 3 punti a testa. La logi-ca suggerisce il ragionamento seguente:«Se il mio avversario sceglie di collabora-re mi conviene tradirlo. Se mi tradisce,mi conviene tradirlo lo stesso». Le dete-nute arruolate per lo studio pubblicatosul «Journal of Economic Behavior & Or-ganization» in agosto, però, hanno sor-preso tutti scegliendo di collaborare nel-la maggioranza dei casi e più spesso dellestudentesse che sono servite da parago-ne. L’esiguità del campione non consen-te facili generalizzazioni, ma la tentazio-ne c’è. Forse in carcere i tradimenti ven-gono puniti più duramente che in uncampus universitario.

Lo schema ricalca quello degli interro-gatori. Due sospettati vengono portati instanze separate e il poliziotto li incalza:«Se parli per primo avrai uno sconto dipena. Il tuo complice sta già crollando».Che fare? Soluzione: se uno dei due con-fessa evita il peggio e mette nei guai l’al-tro. Se tutti e due confessano finiscono incarcere entrambi. Se nessuno dei dueconfessa, possono sperare di farla franca.

Quando nel 1950 Merril Flood e MelvinDresher della Rand Corporation hannoinventato il gioco, osservando molti ma-tch in rapida successione, c’è stata mutuacooperazione sessanta volte su cento.Negli anni Ottanta Robert Axelrod, del-l’università del Michigan, ha sostituito lepersone con dei programmi per compu-ter, svelando l’efficacia della strategia delcolpo su colpo.

Consiste nel cooperare alla prima ma-no e poi proseguire copiando semprel’ultima mossa dell’avversario. Se lui col-labora, troverà collaborazione. Se tradi-sce sarà ripagato con la stessa moneta. Lamorale è: mai tradire per primi, vendi-carsi sempre, non prolungare la rappre-saglia oltre il dovuto. Non sembra la stra-tegia ottimale ma funziona bene: è «ma-temagica».

Un’altra sorpresa è arrivata da WilliamPress, dell’Università del Texas, che stavamacinando il dilemma del prigioniero alcomputer quando ha iniziato ad andare

in crash. Ha scoperto così che una dellepremesse generalmente accettate erasbagliata e, con l’aiuto del poliedrico Fre-eman Dyson, nel 2012 ha pubblicato su«Pnas» le equazioni per una nuova classedi strategie.

Con la strategia del ricattatore la sim-metria di gioco si rompe e il dilemma sitrasforma in un ultimatum. In sostanza ilricattato deve accontentarsi di poco operdere tutto pur di punire il prepotenteavversario. Se l’emozione non prende ilsopravvento sulla razionalità, «l’intelli-genza e l’ingiustizia trionfano» ha com-mentato William Poundstone, autore dellibro Prisoner’s Dilemma. Il messaggioconsegnato da Press è meno nero: «Fida-ti, ma verifica sempre». Ovvero, se ti ac-corgi che il tuo avversario gioca pesantefallo anche tu. Se entrambi i soggetti usa-no una strategia estorsiva, possono arri-vare a un compromesso in cui ciascunoassesta il punteggio finale dell’altro suuna quota cooperativa. La diplomaziapuò vincere sul conflitto. Vi ricordate laguerra fredda?

Se il gioco si sposta nel campo dellabiologia evoluzionistica, infine, i prepo-tenti possono diventare vittime del lorosuccesso. La vittoria infatti consiste nelvedere le proprie caratteristiche diffon-dersi nella popolazione, con il risultatoche i ricattatori si troveranno a compete-re con altri ricattatori. Paradossalmentepuò affermarsi anche una strategia gene-rosa, che consiste nell’accettare meno diquel che ci spetta. Commentando la va-riante darwiniana del dilemma sul nu-mero di «American Scientist» di novem-bre, Brian Hayes ricava l’ultimo insegna-mento: «La misericordia è più grandedella giustizia». Le persone però non so-no algoritmi, forse è meglio non farsi il-lusioni.

Prendiamo il caso esaminato sull’«In-ternational Journal of Astrobiology». Ildilemma del prigioniero viene usato perstabilire se a noi terrestri convenga cerca-re attivamente gli alieni, correndo il ri-schio che si rivelino ostili, oppure aspet-tare che siano loro a trovarci. Voi che fa-reste?

@annameldolesi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Biblio-filmografiaLa teoria dei giochi

compare nel film sulla vitadi John Nash, «A Beautiful

Mind», del 2001, diretto daRon Howard, con Russell

Crowe. In Italia, da Zanichelli,nel 2004 è uscita la raccolta

«Giochi non cooperativi e altriscritti» di Nash (nella foto).

Tra i film ispirati al dilemmadel prigioniero ci sono

«Formula per un delitto»,con Sandra Bullock,

e «Il tempo di decidere»,diretto da Joseph Ruben.

Questi e altri esempi sonotrattati nel libro «Mathematics

in Popular Culture» (2012) acura di Jessica ed Elizabeth

Sklar. Il lavoro scientifico piùimportante degli ultimi anni è«Iterated Prisoner’s Dilemma

contains strategies thatdominate any evolutionary

opponent», W. Press e F.Dyson, Pnas, 2012.

La rassegna più aggiornata è«New Dilemmas for the

Prisoner», B. Hayes, AmericanScientist, 2013.

L’illustrazione in altoè di PIERLUIGI LONGO

i

Definizioni geopolitiche

Il soft powerè comesushi caldo:inverosimiledi MARCO DEL CORONA

U n sospetto ha sempre accompa-gnato il concetto di soft power,elaborato da Joseph Nye percontrapporlo a un hard powerrappresentato dalla forza o dal-

la minaccia della stessa. Il sospetto, cioè,che si tratti di una definizione sopravva-lutata, magari solo il travestimento dellapiù banale «propaganda». Addirittura,indulgere sulle diverse manifestazionidel soft power induce errori di prospetti-va, quasi sbandamenti cognitivi. La stu-diosa americana Nancy Snow (della Cali-fornia State University, Fullerton, autricefra l’altro del Routledge Handbook of Pu-blic Diplomacy) è convinta che si tratti di«vino vecchio in bottiglie nuove» e che iltermine vada impiegato con più accura-tezza. «Una volta definito, il soft power —spiega a “la Lettura” da Tokyo — può es-sere elemento costitutivo della propa-ganda. Tuttavia il soft power non è rivoltoall’opinione pubblica. Direi così: che ilsoft power è come la bellezza, sta negliocchi di chi guarda. La capacità di sedu-zione della Cool Britannia blairiana, dellaKorean Wave o della “eleganza italiana”dipende dall’individuo, da me, non daquei Paesi. E dal momento che la propa-ganda pensa prima ai propri interessi epoi alla prospettiva del pubblico, alla fineil giochino non funziona».

Snow, di cui a febbraio uscirà Propa-ganda and American Democracy (il suonono libro, Louisiana State UniversityPress), osserva come «oggi certi sedicentiesperti di soft power vadano in giro aconvincere i Paesi a promuoversi attra-verso l’industria. Ma non esiste correla-

PropagandaLa studiosa americana

Nancy Snow: «L’efficaciadel concetto sta

in chi osserva. E quel checonta è il vero potere»

SSS

zione, per dire, tra le vendite all’estero deiprodotti Hello Kitty e il sostegno alle poli-tiche del Giappone». In altre parole, ag-giunge Snow, «vorrei che ci si concen-trasse sul power più che sul soft, o alme-no che l’attenzione vi fosse rivolta in partiuguali. Il soft power non è meno strategi-co delle proiezioni dell’hard power, ovve-ro della forza». Ma quello che può appari-re ad alcuni come soft power, ad altrisembra la decadenza di una cultura. Dinuovo il Giappone come esempio: «Lamusica J-Pop, la moda... Ma che softpower è questo in confronto alla coperti-na di “Time” con il fondatore della Sony,Akio Morita, pubblicata nel maggio 1971?Quelli erano anni in cui il Giappone eraun modello di efficienza produttiva». Po-tere dell’industria. Potere vero.

Ecco il dubbio: che soft power sia unanon-definizione. «Power sta per capacitàdi agire, fare, trasformare, controllare.Soft rimanda a passività, inesperienza. Èun po’ — conclude Snow — come diresushi caldo. Piuttosto, allora, dobbiamoscegliere come definire il soft power infunzione di quanto ci aspettiamo: miglio-rare le relazioni culturali per il bene ditutti? Rappresentare una diplomazia cul-turale per gli interessi di un Paese? Servi-re scopi diplomatici attraverso relazioniintergovernative e scambi di studenti? Ot-tenere più sostenitori per gli interessi na-zionali di un Paese? Beh, se è questo il fi-ne del soft power, tanti auguri...».

leviedellasia.corriere.it@marcodelcorona

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Page 9: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 9

«Questo si richiede a un uomo, che sia utile agli uomini, se è possibile, a molti, se no, a pochi, se no, ai più vicini, se no, a se stesso. Infatti, quando si rende utile agli altri, svolge un compito che riguarda tutti. Come chi si

rende peggiore, non solo a se stesso nuoce, ma anche a tutti quelli cui, resosi migliore, sarebbe stato in grado di essere utile»: Seneca, nel suo «Della vita appartata», ci invita a essere migliori…

Essere o non essere (utili)

{Orizzonti Visual dataClassicamente

di Nuccio Ordine

3, 1, 77 - Dublino

2, 28 - Saint Paul

4, 53 - San Pietroburgo

44, 5 - Godalming

6, 35, 54 - New Albany

7 - New York

8 - Budapest

9, 48, 49 - Eastwood

10 - Salinas

11 - Birkenhead

12 - Langar Rectory

31, 13 - Motihari14 - Londra

15 - Londra

33, 16 - Terre Haute17 - Columbus

18 - Indianapolis

19 - Oklahoma City

20 - Roxie

81, 21 - Lachine

22 - Princeton

23 - Chicago

24 - Camden79, 38, 25 - Londra

26, 27, 32 - New York

29 - Chicago

30, 57 - Merton

34, 75, 80 - Londra 36 - Guthrie

37 - Madison

39 - New York

40 - Berkhamsted

41 - Newquay 42 - Atlanta

43 - Londra

45, 74 - Oak Park

85, 67, 47, 46 - Berdychiv

50 - New York

51 - Long Branch

52 - Newark

55 - Lowell

56 - Saint Mary's County

69, 58 - New York

59 - Londra 60 - Birmingham

61 - Gore

62 - Robinson

63 - Quincy

64 - New York

65 - Manchester

66 - Parigi

68 - Sauk Centre

70 - Jalandhar

71 - Weybridge

72, 83 - Chaguanas

73 - New York

76 - Edimburgo

78 - Bombay

82 - Lake Mills

84 - Dublino

86 - New York

87 - Hanley

88 - San Francisco

89 - Tewkesbury

90 - Bombay

91 - Coweta County

92 - Albany

93 - Leigh-on-sea

94 - Roseau

95 - Dublino

96 - Newport News

97 - New York 98 - Annapolis

99 - New York

100 - Indianapolis

5759 40

34

2932

3335 65

2734

38

6924

29

3844

38

76

78

3534

59 45

33

74

54

29

30

39

90

31

424647

376768

24

3848

27

3766

2628

3035

45

23

50

52

32

29

65

32

596061

73

2629

31

45

91

4043

65

24

40

74

90

29

3844

80

38

85

47

30

2531

3542

6334

41

84

29

63

25

44

87

47

74

43

82

82

2930

78

19

4266

77

2831

75

2670

95

25

84

3536

6739

84

74

45

28

3547

26

36

80

3643

89

2730

62

404358

75

3843

4547

50

67

27

5663

78

2529

47

81

292976

23

48

78

29

3566

23

41

91

3945

76

32

91

45

70

30

56

3954

74

28

62

84

74

39

28

82

44

29

64 41

31

40

2724

6840

21

66 34

28

26

36

71

3943

88

28

3736

81

54

26

89

39

87

7730

49

42

85

80

35

38

76

89

3739

79

4155

85

2629

84

Aldous Huxley

Joseph Heller

Arthur Koestler

David H. Lawrence

James Joyce

Vladimir Nabokov

Francis S. Fitzgerald

John Steinbeck

Malcom Lowry

George Orwell

Virginia Woolf

Theodore DreiserCarson McCullers

Kurt Vonnegut

Ralph Ellison

Richard Wright

Saul Bellow

John O’Hara

Edward M. Forster

Henry James

James T. Farrell

Ford M. Ford

Evelyn Waugh Robert P. Warren

Thornton Wilder

James Baldwin

Graham Greene

William Golding James Dickey

Anthony Powell

Joseph Conrad

Henry Miller

Norman Mailer

Philip Roth

Jack Kerouac

Edith Wharton

Max Beerbohm Walker Percy

Willa Cather

James Jones

John Cheever

Jerome D. Salinger

Anthony BurgessSinclair Lewis

Lawrence Durrell

Richard Hughes

Vidiadhar S. Naipaul

Nathanael West

Muriel Spark

Rudyard Kipling

Wallace Stegner

Elizabeth Bowen

Edgar L. Doctorow

Arnold Bennett

Jack London

Henry Green

Salman Rushdie

Erskine Caldwell

William Kennedy

John Fowles

Jean Rhys

Iris Murdoch

William Styron

Paul Bowles

James P. Donleavy

Samuel Butler

Robert Graves

James M. Cain

John Dos Passos

Sherwood Anderson

Ernest Hemingway

Dashiell Hammett

William S. Maugham

Booth Tarkington

William Faulkner

Come si legge?numero:

posizione dei romanzi in classifica

Asia, America del Nord, Europa, America del Sud

età al momentodella morte precocità: distanza

tra esordio e 1°capolavoro

età al romanzo d’esordio

circonferenza = durata della vita

nascita

morte

100 anni

età al 1°capolavoro

= primo capolavoro coincide con l’esordio

età al 2°capolavoroetà al 3°capolavoro

età al 4°capolavoro

*

*

*

*

*

*

La visualizzazione esplora gli autori dei cento migliori romanzi in lingua inglese del Novecento, secondo la classifica stilata dalla Modern Library. L'ordine degli autori indica quanti anni sono trascorsi tra l'età al momento del romanzo di esordio e l'età al momento del capolavoro inserito in classifica (per i primi 22 il romanzo d'esordio coincide con il capolavoro inserito in classifica). Per gli autori che hanno più di un capolavoro in classifica si considera il primo in ordine temporale. Per ogni autore sono inoltre restituite la posizione in classifica del romanzo, la città natale, il continente di appartenenza, l'età al momento del romanzo di esordio, l'età al momento della pubblicazione del romanzo inserito in classifica.

Fonti: biography.com, britannica.com, modernlibrary.com

85 - Città nataleNome Autore

colore:

romanzo pubblicato

postumo

*autore ancora in vita

D alla classifica dei cento mi-gliori romanzi in lingua in-glese stilata dalla casa edi-trice americana Modern Li-brary, si può desumere un

fatto abbastanza sorprendente: unanotevole percentuale di scrittrici escrittori che hanno fatto centro al pri-mo colpo. Servirebbe a ben poco evo-care la classica fortuna del principian-te. Non meno di quello del talento odell’ispirazione, anche quello del librod’esordio è un ingombrante mito psi-

La Modern Library ha classificato i cento miglioriromanzi in lingua inglese. Quasi un quarto degli autori haraggiunto il successo all’esordio. Ma questa non è fortuna

Scrittori, buona la prima. E poi?

Classifiche

cologico, più ambivalente di quelloche si può pensare. Prendiamo il casodi Carson McCullers, che pubblica nel1940, a soli ventitré anni, quello strabi-liante capolavoro che è Il cuore è uncacciatore solitario.

Il rischio è non andare oltre: comese dalla perfezione toccata in sorte allaprima manche non si potesse che re-trocedere, mentre il primo libro assu-me la fisionomia di un Eden da cui siviene scacciati da un terribile angelocon la spada fiammeggiante. Il fatto èche ogni atto espressivo, tanto più seiniziale, implica una rinuncia a vivere

indefinitamente nell’utero delle possi-bilità — quel luogo mentale che è ad-dirittura più forte del tempo e dellamorte, poiché lì deve tutto ancora ac-cadere, e i fatti brillano della luce dellepromesse. Sarà per questo che il mon-do è pieno di persone che non sonodisposte a scambiare il possibile peruna banale bibliografia, e il primo li-bro (beati loro!) non lo pubblicheran-no mai. L’unica terapia buona sembraconsistere, come al solito, nella capa-cità di sdrammatizzare. Come feceThomas Pynchon nel 1984, all’apicedella sua gloria, quando ormai L’arco-

baleno della gravità era universal-mente considerato un classico del No-vecento e in tutto il mondo l’attesa diVineland si faceva spasmodica. Ebbe-ne, Pynchon raccolse in volume tutti i

suoi primi esperimenti, intitolandoliUn lento apprendistato. La lentezza èun buon compromesso emotivo,un’ottima imbarcazione per attraver-sare le acque tempestose che separanoil Tutto dal Niente. Non c’è niente ditragico, osserva Pynchon rievocando ilsuo slow learning: si tratta solo di pas-sare dal rango di apprendista a quellodi «operaio specializzato». È già tanto,ma esistono ancora quei margini dimiglioramento che per tutti gli uomi-ni, che scrivano o meno, sono la piùpreziosa delle fonti di energia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di EMANUELE TREVI

Gli autoriLa visualizzazione è a cura di Accurat(www.accurat.it) società diinformation design che analizza dati eproduce visualizzazioni statiche edinamiche. Accurat è diretta daGiorgia Lupi, Simone Quadri, GabrieleRossi: ha sede a Milano e a New York.

Page 10: la_lettura_20131124

10 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

L’amore di Vince Gilligan, autore di «Breaking Bad», per Walt Whitman non è un segreto. La serie tv è zeppa di rimandi alle sue opere, dai titoli degli episodi («Gilding Over All») alle citazioni («When I Heard the Learn’d Astronomer»). Un gioco continuo sulla doppia W che accomuna il protagonista Walter White e il poeta conduce alla svolta narrativa finale affidata a una copia di «Leaves of Grass» («Foglie d’erba», Bur ed Einaudi).

Walter White, cioè Walt Whitman

{Ciak, si leggedi Cecilia Bressanelli

CaratteriNarrativa italiana, straniera, saggistica, classifiche

Generi Claudia Piñeiro e Maristella Svampa, Carla Castelo e Raúl Argemí: scrittori e registi esplorano il fenomeno dei barrio cerrado

Letteratura oltre i muri di cintaDelitti, orge, disagio: storie dai quartieri blindati dell’Argentina

di GABRIELLA SABA

N el suo romanzo più famoso, Beti-bú (Feltrinelli, 2012), la scrittriceargentina Claudia Piñeiro raccon-ta l’indagine sulla morte di un uo-mo il cui cadavere viene trovato

dalla domestica nella sua bella casa, sgozza-to e accanto a una bottiglia di whisky vuota.Stessa fine era toccata alla moglie, per la cuimorte era stato processato e assolto qualcheanno prima, ed è infatti intorno alla somi-glianza tra i due delitti che si snoda la storia.Ambientato in un country-club dal fantasio-so nome La Maravillosa, il libro ricostruiscele caratteristiche di quei mondi rarefatti eautosufficienti che sono i veri country (cono-sciuti oggi anche come barrio cerrado): i set-tecento complessi esclusivi in cui abitano288 mila argentini di classe alta, proliferatiin tutto il Paese sotto il governo di Carlos Me-nem e costruiti in genere all’esterno dellegrandi città. Micromondi con una decisa vo-cazione all’isolamento e corredati di quantoserve per garantire un’autarchia dorata: villefirmate (a volte raffinate e a volte kitsch),strutture sportive, scuole e centri commer-ciali e in qualche caso perfino le chiese. Sofi-sticati sistemi di controllo garantiscono la si-curezza, muri alti vari metri proteggono daipericoli e, in generale, dal mondo fuori.

Da quando, alla fine del 2002, María MartaGarcía Belsunce venne ammazzata nella suacasa nel barrio cerrado del Carmel, i countrysono diventati un soggetto interessante, ol-tre che per i sociologi, anche per gli scrittori,a partire da Claudia Piñeiro che, dall’osserva-torio del country in cui abita, descrive conironia un mondo che si muove tra campi digolf e polo, prati costellati di laghetti e rego-

le interne tra il surreale e il paranoico. E loracconta non solo con lo sguardo di chi ci vi-ve ma anche di chi quei luoghi li guarda dauna postazione meno privilegiata: guardianie domestiche, giardinieri e operai. Tanto chela prima scena di Betibú è proprio la rico-struzione della trafila a cui i lavoratori deicountry devono sottoporsi prima di entrarenei complessi, compreso il fatto di mostrareil contenuto delle borse che viene registratoe ricontrollato all’uscita. Mentre in Le vedovedel giovedì, ambientato in un barrio cerrado

durante la pesantissima crisi economica del2001, la storia narrata da Claudia Piñeiro par-te dall’abitudine di quattro uomini di ritro-varsi il giovedì sera senza mogli né figli. Suquesto filo conduttore si innestano gli omi-cidi che danno all’autrice il destro non soloper sviluppare un noir trascinante, ma ancheper tratteggiare vezzi e manie di una societàcompetitiva ed escludente che incassa gli ef-fetti della crisi (alcuni degli uomini perde-ranno il lavoro) senza capire in realtà quelloche succede. Bestseller in Argentina e pub-

blicato in Italia dal Saggiatore nel 2008, il ro-manzo è stato riadattato in film, diretto daMarcelo Piñeyro con grande successo dipubblico.

Un altro film sul tema è quello della qua-rantenne Celina Murga, Una semana solos(Una settimana da soli, 2009), realizzato sot-to la supervisione di Martin Scorsese: ungruppo di ragazzini viene affidato per unasettimana alle cure di una domestica mentrei genitori sono in vacanza, ma eludono i con-trolli e vanno in giro a rubacchiare per il

Street artSopra, da sinistra: dueimmagini del graffito realizzatodallo street artist italiano Bludurante il suo soggiorno inArgentina (2007-2008):l’umanità finisce sulla graticoladel rogo provocato dallaspeculazione finanziaria. Lesue opere sono state esposte,tra l’altro, al Pac di Milano ealla Tate Modern di Londra

di LUCA BIANCHINISSS

Luca Bianchini (Torino, 1970) ha appena pubblicato «La cena di Natale» (Mondadori), ideale sequel di «Io che amo solo te» (130 mila copie).

A Rosetta sarebbe tanto piaciuto ballare,ma non sognava né tanghi né mazurche. Leivoleva imparare i balli di gruppo. Così avevainiziato a frequentare un corso,dove aveva conosciuto Luis, e Luis le avevafatto scoprire l’Alma Latina, in cuiorganizzava le serate e le offrivacoca e rum. In poco tempo, era diventata

la regina della macarena. Lei però aspettavasolo fine serata per stare un po’con Luis, sperando che la riaccompagnassealla macchina. Non succedeva mai. Una seraRosetta s’infilò i tacchie iniziò a prendere lezioni di tango.Ma continuò a tornare a casa da sola.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’INEDITOUn romanzo

di cento parole

Io ballo da sola

Page 11: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 11

country. Sono viziati, belli e arroganti, e nonfanno alcun caso ai rimproveri della muca-ma (la domestica). Quando il fratellino diquesta, che è scuro e povero, si unisce a loro,lo sfottono per i suoi modi poco fini. E untrattamento simile toccherà alla guardia cheaccorrerà alla fine per metterli in riga: unadelle ragazze lo riprende sprezzante perchéha sbagliato un verbo, e basta questo per to-gliere sicurezza all’uomo che si ritira umilia-to.

Giudizi morali a parte, i barrio cerrado so-no un tema socio-antropologico moltoghiotto su cui sono stati versati fiumi di in-chiostro. L’indagine della giornalista e scrit-trice Carla Castelo cominciò il giorno in cuiconobbe un anziano politico decaduto che,privo di introiti, ricorreva a qualunque espe-diente pur di non lasciare la sua casa in unfamoso country. La Castelo non aveva maifrequentato country prima, ma da quell’in-contro le venne l’idea di descriverne «dall’in-terno» gli abitanti e riuscì nell’impresa nonfacile di ottenere entrature in una ventina. Ilrisultato è Vidas perfectas (Vite perfette,2007): ritratti di adulti e adolescenti che lagiornalista racconta «senza pregiudizi, an-che se per me che frequentavo ambientibohémienne quello era un mondo totalmen-te alieno».

E infatti il quadro che emerge non è preci-samente esemplare, ma non manca, in alcu-ni casi, di simpatia. «La cosa più evidente èlo scollamento dalla realtà della maggiorparte di queste persone, soprattutto delledonne. Se infatti gli uomini devono usciredal country per andare a lavorare, la maggiorparte delle mogli passa la vita chiusa lì den-tro a parlare di chirurgia estetica e vestiti fir-mati e non ha idea di quello che succede fuo-ri. Molte hanno ammesso di annoiarsi amorte, mentre altre dichiarano senza ipocri-sia che non saprebbero vivere in altro mo-do».

Tutt’altro approccio quello della sociolo-ga Maristella Svampa, che ha dedicato al te-ma decine di libri ed è considerata la mag-giore esperta al riguardo. Per la Svampa, laghettizzazione dei country è la conseguenza(enfatizzata dai governi liberisti) della divi-sione tra vincenti e perdenti, separati in que-sto caso da un muro non solo fisico. È pro-prio leggendo i libri della Svampa che a Celi-na Murga è venuta l’idea del film. Mentre lo

scrittore Raúl Argemí si è ispirato anche lui,per il romanzo Retrato de familia con muer-ta (Ritratto di famiglia con morta, 2008), al-l’omicidio della Belsunce: quello che avreb-be, secondo molti, segnato la fine dell’inno-cenza dei country, simboli fino ad allora disicurezza e serenità. Per Argemí, però, quelmito non è mai esistito, e infatti è sul contra-sto tra l’apparenza idilliaca dei barrio cerra-do e il comportamento spregiudicato di al-cuni abitanti che si fonda Retrato: romanzoa metà tra il sociale e il noir il cui protagoni-sta è un giudice-detective che indaga sullauccisione di una donna fino a scoprire cheall’origine del crimine c’è un giro di denarosporco proveniente dal traffico di droga. Mo-rale della favola: da una parte la famiglia uni-ta in cui si cerca protezione finisce per tradi-re e dall’altra la società si sfascia quando de-cide di mettere al primo posto il denaro, daottenere con qualunque mezzo.

Da qualche tempo, la vulnerabilità deicountry è d’altronde una realtà con cui con-vivere. Il numero di assalti e furti si è molti-plicato, e hanno fatto scalpore quelli subitida molti personaggi famosi del country Nor-delta, l’esempio più eclatante della nuova ge-nerazione dei barrio cerrado: microcittà di13 mila persone nel delta del fiume Paranà,che ospita naturalmente anche scuole e ci-nema. Nel Villa Golf della città di Río Cuartoè stata invece strangolata qualche tempo faNora Dalmasso, probabilmente duranteun’orgia che ha aperto scorci morbosi sullavita dei country.

«Nei mondi piccoli e chiusi, gli stimoli so-no pochi», ha dichiarato a «la Lettura» unapsichiatra che vive in uno di quei complessie che chiede di non essere nominata. «Lepassioni sono enfatizzate e si eccede neicomportamenti che smentiscono la teoriabenpensante e conservatrice di questi luo-ghi». Non tanto conservatrice, ultimamente,dato che molti ragazzini si vergognano di di-re all’esterno che vivono in un country, men-tre altri vanno in città di nascosto per vedereun po’ di mondo. Di certo non aiuta la pessi-ma stampa di cui godono i country nel Pae-se, salvo che per chi ci abita. Il famoso archi-tetto Clorindo Testa, morto qualche mese fa,li aveva addirittura assimilati a un ritorno alMedioevo, però in versione malata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Parole e opere Libri come «Belle per sempre» e «Shantaram» narranouniversi marginali. Come una mostra alla Triennale di Milano fa con Nairobi

Letteratura degli slum(e oggetti come racconti)di PAOLO FOSCHINI

«I ricchi combattono per cose stupide,perché i poveri non dovrebbero fare lostesso?». È la constatazione in sé ovvia eproprio per questo banalmente vera concui una donna di Annawadi — il piccolo

slum adiacente all’aeroporto di Mumbay: di là dal mu-ro l’assalto all’oasi dei dutyfree, di qua tremila dispera-ti a contendersi un pezzo di lamiera — chiosa un pas-saggio di Belle per sempre: romanzo-reportage del giàpremio Pulitzer Katherine Boo, alla quale è valso ilBook Awards della critica americana, tradotto l’annoscorso in Italia da Piemme. Una storia e una scritturacalate tra uomini e topi , entrambe «potenti come solola verità della miseria sa essere», hanno detto. Il puntoè che, tirandola un po’ ma nemmeno poi tanto, il feno-meno è sempre meno isolato e c’è già chi ha messo ingiro una battuta specifica: dopo le famose tre «S» ga-ranzia di forza per qualsiasi soggetto narrativo — sol-di, sangue, sesso — forse da un po’ di tempo ne sta ar-

rivando una quarta. Slum, appunto.Che la povertà estrema rappresenti un «materiale»

letterario e artistico di prepotente efficacia non è natu-ralmente una scoperta di oggi, Charles Dickens e le fo-gne dei Miserabili sono nati molto prima di quelle cheoggi chiamiamo favelas, bidonville, baraccopoli,township e sinonimi vari: e da un punto di vista icono-grafico, in fondo, persino l’Inferno dantesco è talmen-te assimilabile a uno slum che dovendo riassumere inuna parola la quotidianità di quest’ultimo non c’è ter-mine — probabilmente — più calzante di «bolgia».

La novità forse, sottile ma non del tutto irrilevante, èun’altra. E forse riguarda anche la letteratura, come si èdetto: il successo di Shantaram dell’australiano Gre-gory David Roberts, odissea in cui la sopravvivenza tral’umanità più misera dell’India rappresenta una delleparti fondamentali dell’avventura, risale ormai a qual-che anno fa e il libro continua a mietere lettori. Ma perprovare a spiegarla, quella novità sottile, può veniremeglio in aiuto una mostra attualmente in corso allaTriennale di Milano.

Si intitola «Made in Slums». E lo slum in questioneè quello di Mathare, uno dei 199 di Nairobi. E il piùgrande del Kenya. Per avere un’idea: se a chi ha lettoBelle per sempre hanno fatto impressione i tremiladannati di Annawadi, qui stiamo parlando di mezzomilione di persone schiacciate in poco più di un chilo-metro quadrato. La mostra, curata da Fulvio Irace, rac-coglie una serie di oggetti di uso quotidiano realizzatidagli abitanti di quel posto con quel che hanno a di-sposizione. Un fornello ricavato da una bombola digas, sandali intagliati in pezzi di copertone, pentolederivate dal fondo in alluminio delle auto da safari,lampade a olio che prima erano bombole di insettici-da, trappole per topi che prima erano pezzi di rete inferro. Ma anche strumenti musicali, vestiti e manichi-ni per esporli, attrezzi per desquamare il pesce, giocat-toli per bambini fatti fondendo plastica raccolta tra irifiuti. Cose fatte con quel che si ha, ma comunque «inuna logica — sottolinea il curatore — di produzioneseriale» di volta in volta reinventata: espressione diuna «economia interna nata per soddisfare i bisogni dipersone che non hanno accesso a beni di consumoproposti dal mercato» e tuttavia emblema appunto diuna piccola, minuscola economia di mercato a sua vol-ta. Piccola fino a un certo punto, in verità, visto che ri-guarda mezzo milione di individui.

La particolarità è che l’interesse della mostra non èdi tipo socio-antropologico. O meglio, quella è forseuna conseguenza. La particolarità sta nel fatto di esse-re stata allestita non in un centro missionario, ma inun contesto quale la Triennale. Una faccenda di «arte»,dove l’oggetto di uso quotidiano finisce per assumereforma e significato autonomi — e proprio per questopiù forti — a causa del contesto in cui viene collocato:qualcosa come la Fontana di Duchamp, orinatoio sra-dicato dal suo posto e dilatato in qualcosa di «altro»,una volta divenuto oggetto di esposizione. È un altrolinguaggio. Ma il risultato è che fa ridiventare (o alme-no ci prova) interessante, sorprendente, straniante,una realtà talmente riproposta ai nostri occhi di oggida rischiare di essere altrimenti sempre più invisibile.

«Design dello scarto e dell’affollamento», è il sotto-titolo della mostra. «Oggi — scrive Silvana Annicchia-rico nell’introduzione — l’irruenza della globalizza-zione ci obbliga a fare i conti con un design che diven-ta professione di massa non solo nei Paesi occidentaliricchi». Cento reportage giornalistici potranno e do-vranno ancora raccontare, come già fanno da moltotempo, quanta parte di pianeta vive accalcata tra le la-miere delle bidonville. Ma l’arte e la letteratura, in que-sto modo specifico, hanno appena cominciato a farlo.Ed è una strada che può portare lontano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nelle immagini: unmartello di ferro, unascatola-contenitoreper oggetti e indumentipreziosi costruita conlamierino di alluminiopiegato e rivettato, duescatole di lamiera divarie dimensioni usatecome «salvadanai»:sono esposti allaTriennale di Milanoper «Made in Slums.Mathare Narobi», lamostra curata da FulvioIrace, ideazionee coordinamentogenerale LiveinslumsNGO, catalogo Corraini,fino all’8 dicembre(Info Tel 02 72 43 41,www.triennale.it)

MetamorfosiIl fondo delle auto da safari

diventa una pentola, i copertonisi trasformano in sandali

Una produzione seriale per quantivivono a Mathare: mezzo milione

SSS

Page 12: la_lettura_20131124

12 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

Poesia civile che confronta frammenti di storia dalla metà degli anni Ottanta fino a oggi. Una visione desolante attende le nuove generazioni, prive di fermenti e ideali, nella silloge «Immutati giorni» di Antonio Maria

Pecchini (Nomos, pp. 88, € 14). L’autore, nato a Busto Arsizio nel 1947, compone un quadro di un dolente tempo in crisi, ove la salvezza sta solo nella speranza, quel dissacrante istinto di credere ancora.

Dagli anni Ottanta a oggi, in versi

{Caratteri NarrativaSoglie

di Franco Manzoni

Il nuovo libro di Raffaele Nigro ricapitola con nostalgia le vicendeitaliane per un nonno e il nipote. Con colpo di scena finale

Federico II, Pasolini e altri testimoniIl passato è un museo delle cere

Amarcord

di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI

Stile UUUUU

Storia UUUUU

Copertina UUUUU

RAFFAELE NIGROIl custode del museo

delle cereRIZZOLI

Pagine 281,e 17,50

i

È suggestivo ascoltare le antiche emeno antiche storie d’Italia rac-contate da uno scrittore che leconosce particolarmente bene,per averle, nei suoi libri, visitate

e rivisitate — soprattutto quelle del Meri-dione —, come Raffele Nigro. I re e le re-gine, le dame e i cavalieri, i monaci e i sol-dati, gli amori e le guerre, ma anche i poe-ti e gli scrittori egli ci narra nel suo nuovosingolare e ironico e romanzo Il custodedel museo delle cere. Pretesto per rievoca-re personaggi e avvenimenti del nostropassato è la visita di un ragazzo al museodelle cere in compagnia di un nonno ab-bastanza speciale, coltissimo, prepotentee spiritoso, che ha praticamente impostol’escursione al nipote, il quale, per partesua, ha fatto il possibile per sottrarsi allaspedizione, avendo in programma un de-cisivo appuntamento con una bella ritro-sa che da tempo corteggia vanamente.

Entrano dunque — i due — nel museobarese di Palazzo Carafa, polveroso e po-co visitato come lo sono spesso i museidelle cere, e si potrebbe pensare di rico-noscere nel nonno certi tratti dell’autore,non soltanto perché l’esperto di storia è,per l’appunto, il vecchio signore, ma an-che perché i suoi racconti risuonano del-l’esperienza diretta dello scrittore, deitanti amici e colleghi, poeti e letterati cheha incontrato in giro per il mondo, deiluoghi visitati insieme a loro, delle con-versazioni tenute, delle vicende ascoltate.Altrove, si ha, per contro, l’impressioneche sia piuttosto il nipote il vero alter egodell’autore e che la visita con il nonno siaun suo ricordo d’infanzia molto reale. Masappiamo bene che chi narra somiglia alcamaleonte, facilmente può mimetizzarsia piacere, diventare ora questo ora quello,maschio o femmina, re o mendicante,giovane oppure vecchio. Prova ne è, inquesto caso, per esempio, il codice lin-guistico del ragazzo, riprodotto in manie-ra davvero esemplare; né è da meno quel-lo dell’anziano, pedante al punto giusto,leggermente antiquato, corretto. Insom-ma, madame Bovary c’est moi, come c’estmoi ora il nonno e ora, invece, il nipote.

Comunque sia, nel museo i due incon-trano le statue di personaggi come re Fe-derico II, la sua amante e moglie per qual-che giorno, Bianca Lancia, il loro figlioManfredi, Gottfried, il falconiere incari-cato da Papa Onorio II di spiare il re svevo,il monaco Cassiodoro, il soldato longo-bardo Erchemperto, il poeta turco NazimHikmet, il brigante Giuseppe Schiavone,

ma anche Pier Paolo Pasolini, CarmeloBene e Leonardo Sciascia. Prendono vita,le statue di cera, una dopo l’altra, parlanoe parlano, conducendo nonno e nipotelungo un viaggio avventuroso attraversoepoche e contrade: sono principi, gene-rali, regine, monaci, poeti, soldati e gentecomune i cui racconti portano a scoprire inessi sotterranei che sembrano legare fraloro tutte le storie. Al di là dell’invenzioneletteraria delle statue di cera che all’im-provviso si muovono e parlano, l’autore èriuscito a dare vera vita ai personaggi cheraffigurano, pur chiusi come sono inquella struggente melanconia — e no-stalgia — di chi da tempo ormai appartie-ne a un altro mondo. Fanno pensare allaCommedia certi incontri nei quali dalprofondo del materiale cera si sente re-spirare la vivissima umanità: e perciò do-lore, speranza, forza, determinazione, de-lusione, rabbia ancora accesa o, anche,rammarico infinito.

Apprendono i due visitatori — e assie-me a loro i lettori — soprattutto le vicen-de minori delle redivive figure storiche,vicende in gran parte sconosciute, di-menticate o rimaste nascoste dietro aquelle importanti studiate sui libri: e nonsono dettagli e neppure cascami curiosi,bensì, piuttosto, l’altra facciata di una pa-

gina famosa dove non c’era più spazio perulteriori annotazioni. Sono, insomma,delle prosecuzioni, dei seguiti che getta-no luce là dove si era per lo più lasciata re-gnare la penombra, e che aiutano a me-glio comprendere i grandi eventi lontani,come, per esempio, la fine dell’imperoromano, la discesa in Italia di re Carlo VIIIoppure l’Unità d’Italia. Non manca, ovvia-mente, il colpo di scena, come in tutti iromanzi che si rispettano; un colpo discena melodrammatico, perfettamentein linea con l’ambiente, il teatro dei pupiche sono i musei delle cere: a maggior ra-gione, se, come qui, le statue prendonovita, si fanno intorno al visitatore per rac-contare quelle loro vicende in buona par-te dimenticate, e poi, di nuovo, tornanosilenziose al loro posto. Più che silenzio-se, si vorrebbe dire, visto che il colpo discena viene scatenato da un impianto diaria condizionata che in pieno agosto ba-rese non vuole proprio funzionare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Psicologie Un’opera delicata e ricca di pathos di Luisa Brancaccio

La cognizione del dolore: una cattedraledi IDA BOZZI

N on sono molti gli scrittoricapaci di raccontare ildolore e il male senza

patetismi, ma con pietas, e alme-no un paio di loro sono ex «can-nibali». Una è ora anche quellaLuisa Brancaccio che era apparsaquale coautrice con Ammanitidel racconto Seratina nella stori-ca raccolta Gioventù cannibaledel ‘96. Da allora non ne abbia-mo saputo molto, editorialmenteparlando, se si esclude una breveintervista a «la Lettura» in cuil’autrice annunciava un romanzo.Ora quel romanzo è arrivato.Sebbene abbia un titolo respin-gente e un po’ incongruo, cioèStanno tutti bene tranne me, il

libro ha il raro dono di costruirela scrittura del dolore non con leparole del pathos ma con i mec-canismi dell’ethos, l’antica teoriadel vivere. In breve, ecco la trama(in cui finalmente fabula e in-treccio sono diversi l’uno dall’al-tro): emersi all’improvviso, comeda una finestra aperta nella casaa fianco, alcuni personaggi, vici-ni di casa, giovani, vecchi, cop-pie, famiglie, i loro cani, sonoraccontati a mano a mano chenei piccoli margini del caso leloro vite si intrecciano le une allealtre. Margherita, la protagoni-sta, è moglie e madre in unafamiglia di maschi atletici, leicosì depressa e inane. Il suo psi-

coanalista è un anziano signoreper il quale la vita, che ha amato,è ormai passata. Chiara e il mari-to sono una giovane coppia cui èappena morto il figlio neonato eche cerca un senso di vita tra lacittà e la campagna. Mentre Mar-gherita scopre che la famiglia dicui è ai margini nasconde unorrendo segreto, l’amore traChiara e il marito tramonta conritmi naturali, e inoltre in ungiardino quasi paradisiaco, trafanciulle e cucciolotti di cane, ilvecchio psicoanalista capisce chela vita ha un senso di continuitàsuo proprio, lancinante: e allafine il disegno della natura ac-quista un senso. Il quasi roman-

zo «si fa» da sé, emergendo dagliintrecci che le diverse storie (rac-conti in sostanza indipendentigli uni dagli altri) costruisconotra loro: eppure sono legamiflebili, come in una cattedralealla Carver, e flebili sono mante-nuti, senza mai spingere troppo,senza che l’affinità tra vicini dicasa sbocchi in esplicito amore,ad esempio, o senza che la natu-ralezza, anzi la Natura (simboleg-giata dai molti cani che s’infilanogli uni nelle case degli altri) siamai forzata. Efficace è il modo diraccontare il dolore: mai diretta-mente, bensì sempre attraversoazioni e ambienti: istantaneo, osordo, o incombente che sia. Lamorte per suicidio di un figlio diMargherita che acquista sensoattraverso una illuminazionetremenda, eppure liberatoria. Ilvecchio psicoanalista che chiac-chiera in giardino con la giovane

vicina di casa, lui 82 anni, lei 21, eripensa alla vecchissima sorellaormai morta, ricordandola anco-ra ventenne («se la ricorda, suasorella a ventun anni», «gli por-tava in soggiorno una coppettadi gelato di soia all’amarena e glidava un bacio sulla testa») quan-do dava lezioni d’amore (che nonavrebbe avuto) al fratello sedi-cenne, che ora sa e l’accarezzacon un pensiero tenero. Anchese è tardi. Questo è il modo in cuilo strazio e la felicità si mostra-no, senza dire, e toccano il cuore,commoventi, tanto che ci si ritro-va con gli occhi lucidi. E questa èun’autrice da tenere d’occhio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Stile UUUUU

Storia UUUUU

Copertina UUUUU

Luisa BrancaccioStanno tutti bene tranne me

EINAUDIPagine 144,e 15,50

Formazione Il ritornodi Nicola Gardini

Note stonatein casadi melomanidi MATTEO GIANCOTTI

C ome nel precedente Le paroleperdute di Amelia Lynd, NicolaGardini inquadra di nuovo con

Fauci il tema, per lui cruciale, dellapedagogia. L’educazione, che i perso-naggi dei suoi romanzi ricevono fuoridalle istituzioni, è anche una forma diiniziazione che ne trasforma il caratteree la capacità di «leggere» il mondo. Ilprotagonista di Fauci è Sergio, laurean-do in lettere, provinciale e di famigliaumile, digiuno di cultura operistica;l’incontro, durante il servizio militare,col coetaneo Marcello, melomane, co-

smopolita e ricconipote di un cele-bre tenore, nonsolo colmerà lesue lacune musi-cali, ma lo cambie-rà nel profondo.Siamo nel 1985, traAlbenga e Milano.Marcello introdu-ce Sergio alla pas-sione per l’opera ea frequentazionisociali elevate cheincludono i com-

ponenti nevrotici ed egoisti della suafamiglia, nonché il cane Titus, sul qualela zia e la cugina di Marcello hanno lacattiva abitudine di sfogare i propriscompensi umorali. Il divario sociale traSergio e la famiglia di Marcello, solo inparte colmato dalla comunanza degliinteressi musicali, si trasforma a questopunto in un grande divario morale:Sergio non tollera che Titus venga mal-trattato e cerca di metterlo in salvo.Avendo scelto la strada del «romanzomusicale» in cinque parti, punteggiatodi riferimenti impliciti ed espliciti allatradizione operistica, Gardini devespesso adeguare il proprio stile a unfraseggiare breve, ritmato, veloce, co-struito talvolta su misure di versi canta-bili «nascosti» nella prosa. Ciò anche inconseguenza dell’opzione, dichiarata,per «un romanzo divertente, veloce».Ma se per apprezzare meglio gli interes-santi aspetti morali e sociali del raccon-to si sarebbero preferiti trama e caratte-ri più approfonditi, a dare senso pieno aquesto stile cantabile dovrebbe forseintervenire proprio la musica; e non èda escludere che Gardini intenda com-pletare questo lavoro trasformandolo inperformance.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nicola GardiniFauciFELTRINELLIPagine 190,e 16

Gottfried Helnwein«Epiphany I (Adoration ofthe Magi)», 1996, tecnicamista, Denver Art Museum,Kent Logan Collection

Page 13: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 13

La Walt Disney Hall di Los Angeles, la sala da concerto avvolta da lamine d’acciaio scintillante nella luce della California del Sud, non esisterebbe se non fosse per una signora dai modi cordiali e dalla volontà ferrea che si è

spenta martedì scorso a 77 anni. Diane Disney Miller, figlia di Walt, scelse molti anni fa di costruire una grande istituzione culturale dovela Los Angeles Philharmonic potesse suonare, un tempio della musica dedicato a suo padre.

Un tempio della musica a Los Angeles

{Caratteri NarrativaTributi

di Matteo Persivale

Il romanzo conclude una trilogia di Natsume Soseki scritta fra il 1908 e il 1910Attraverso l’amore di una coppia isolata mostra gli choc dell’epoca Meiji

«La porta» aperta sulla modernità egoistache il Giappone imparò dall’Occidente

Oriente

di CINZIA FIORI

L a porta di Natsume Soseki (1867-1916) è un romanzo sulla difficol-tà di trovare in se stessi le risorseper far fronte a un periodo di tra-sformazione rapida e radicale. Si

tratta dell’ultimo titolo di una trilogia,composta tra il 1908 e il 1910, che è di fattoun’indagine sui costi umani dell’era Meiji(1868-1912). I suoi protagonisti sono tre«inetti», come li chiameremmo pensan-do alla letteratura del nostro Novecento:un giovane studente (in Sanshiro), un in-tellettuale trentenne (in E poi) e un uomomaturo in La porta. La rivoluzione cheSoseki e i suoi contemporanei vivono ètotale. In poco più di un quarantennio, ilGiappone passa dall’organizzazione feu-dale alla centralizzazione imperiale. Perla prima volta il Paese si apre al mondogenerando una modernizzazione accele-rata su modello dell’Occidente.

Lo «tsunami partito dall’Europa», perdescriverlo con le parole del protagonistadi E poi, è anche uno tsunami culturale.Per esempio, saltano i legami che asso-ciavano gli uomini, abituati a riferirsi alclan, al gruppo, alla famiglia allargata.D’un tratto, ciascuno è solo davanti al suodestino.

È il prezzo dell’individualismo, scriveràSoseki ne Il cuore delle cose (1914). Mal’individualismo d’importazione richiedeun difficile aggiustamento di mentalità,incide sull’etica generando inediti egoi-smi di guadagno, e smarrimento nell’ani-mo dei cittadini, che si ritrovano a coniu-gare i propri valori con una realtà aliena.È questo il contesto che l’autore narra,l’ambito in cui matura la (diversa) passivi-tà dei personaggi chiave della trilogia e,in particolare, l’indolenza di Sosuke, ilprotagonista de La porta.

L’uomo è un impiegato pubblico digni-tosamente povero, che vive proteggendola propria fragile emotività dai problemidell’esistenza. Neppure il fratello, che glichiede sostegno per gli studi, è disposto aperdonargli l’apatia. Ai suoi occhi è col-pevole di egoismo. In realtà, è una perso-na sopraffatta da qualcosa che è accadutotanti anni prima e dalle pesanti, doloroseconseguenze che nel tempo sono deriva-te. Spartisce con la moglie un enormesenso di colpa per l’atto di slealtà che hadato origine alla loro unione e la rasse-gnazione di chi accetta il destino avverso

La nostrastoria

di Dino Messina

L’ESEMPIODI LEONEGINZBURG

I n questo novembre 2013non si ricordano soltantogli 80 anni della casa

editrice Einaudi, nata aTorino nel 1933, ma ricorreanche il settantesimodell’arresto, a Roma, delpersonaggio cui si devel’idea di un editoreindipendente nell’Italiafascista. Lo studioso, chemorì nel febbraio 1944 per imaltrattamenti subiti incarcere, si chiamava LeoneGinzburg (1909-1944). Aquesto intellettuale difamiglia ebraica, approdatoda Odessa al liceo d’Azegliodi Torino, dedica un ritrattoappassionato FlorenceMauro, giornalista esaggista francese che hatradotto in racconto perl’editore Donzelli un suofilm documentario. Vita diLeone Ginzburg.Intransigenza e passionecivile (pp. 150,e 18,50) èun’inchiesta sulla breveparabola di un intellettualeche ha influenzato un beltratto di cultura delNovecento. L’autrice ritrae lafamiglia di Leone: la madreVera, i fratelli maggioriNicola e Mariussa,l’affettuosissimo padreTeodoro (Fjodor in russo)che volle riconoscerel’ultimogenito, nato da unarelazione della moglie conl’italiano Renzo Segré. Forseè anche per questo che unadelle prime preoccupazionidel giovane Leone fu diottenere la cittadinanzaitaliana, che gli vennericonosciuta, ma poi negatain seguito alle leggi razziali.«Le lascio immaginare —scriveva il 1° agosto 1943 aBenedetto Croce dal confinodi Pizzoli, in Abruzzo — ilsenso di malinconia e dirabbia che mi dà ilcontinuare a essereconsiderato uno stranieronel mio Paese». Più tardiCroce riuscì a far riavere lacittadinanza al giovaneamico. Il racconto diFlorence Mauro èconcentrato sui venti annidal 1923, quando i Ginzburgsi stabiliscono a Torino inpianta stabile, al 1943. Imaestri riconoscono lequalità eccezionali di Leone(«Fu mio scolaro perché fumio maestro», scriveràAugusto Monti) , chetraduce Puskin, Tolstoj,studia Leopardi e Manzoni,ottiene la docenzaall’università, ma vi rinunciaperché non giura fedeltà alfascismo. Anzi, la nascitadell’Einaudi passaattraverso una precisa sceltapolitica, non priva di rischi:Leone finisce in carcere nel1934, nel 1940 al confino.Ciò non gli impedisce dilavorare (dirige collane,traduce Guerra e pace) e disposare una donnastraordinaria, Natalia Levi,anche lei scrittrice, da cuiavrà tre figli: Carlo, storico;Andrea, economista;Alessandra, psicoanalista.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

come una punizione per i propri atti.Iniziando La porta, il lettore entra in

uno scenario che capisce soltanto in par-te. Dapprincipio, Sosuke appare sempli-cemente come un uomo avvilito dallapropria condizione di impiegato-massa,afflitto dalla disumanizzazione nelle rela-zioni sociali. Ma l’autore, nel corso dellanarrazione, torna sul suo passato miste-rioso illuminandolo progressivamente.Riesce così a creare un meccanismo di su-spense, mentre narra la Tokyo del 1909 inun romanzo mosso da pochi personaggi,eppure molto permeabile al mondo, tan-

volgere di tre stagioni: autunno, inverno,primavera. Dall’esterno, la monotoniadelle giornate degli sposi e la loro reci-proca pacatezza fanno pensare all’esito diun matrimonio combinato. Invece, è la ri-sposta della coppia alla società che l’haesclusa per via dell’antica macchia. E se ilrimorso abita i recessi della loro anima,quando sono insieme dimenticano ilmondo in un rapporto di profondo affet-to, delicato e rispettoso. Ciascuno evita intutti i modi di turbare l’altro, dando luogoa un’unione di conforto e protezione dal-le avversità.

Junichiro Tanizaki dirà che la maggio-re acquisizione dai testi stranieri per lanascente narrativa giapponese fu l’amo-re. Tradizionalmente gli scrittori giappo-nesi trattavano l’erotismo, al massimo sioccupavano dell’innamoramento comefosse una sorta di malattia. Non diversa-mente qui Soseki sembra affrontare l’in-fatuazione della coppia. In uno stile accu-rato, preciso nella scelta dei vocaboli,quasi privo di locuzioni figurate, improv-visamente irrompe un prosare metafori-co e allusivo, che nel giro di poche frasi ri-solve l’innamoramento tra i due e le sueimmediate implicazioni. Ne risulta unasorta di stordimento imbarazzato, che dàconto dello stato d’animo della coppia altempo dei fatti.

Ma lo scopo di Natsume Soseki è giun-gere al cuore dei problemi di Nonaka So-suke, il protagonista che, sin dall’asso-nanza con il nome dell’autore, rivela unasua centralità, nascondendo in sé, forse,il nodo tematico dell’intera trilogia. So-suke busserà alla porta della propria inte-riorità e la troverà chiusa. Non era facile,tutt’a un tratto, imparare a far riferimentoa se stessi. Se nella letteratura del Nove-cento europeo assistiamo allo smarri-mento di una soggettività forte che non siorienta più nella società in cambiamento,quella narrata da Soseki è parimenti unacrisi legata alla mutazione sociale, ma è lacrisi di un’individualità che deve formarsiquasi dal nulla.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

to da offrire lo spaccato di un’epoca.Le sue sono pagine di grande armonia

compositiva, che torniscono i protagoni-sti attraverso la relazione con l’ambiente edanno senso alle azioni con le loro riso-nanze psicologiche. Un peso importanteha il rapporto con la natura, quasiun’estensione della coscienza individua-le, ma anche l’indiretta testimonianza diuna soggettività poco differenziata dalsuo habitat.

Il romanzo si presenta come la storia diun amore, l’affiatamento fuori dal comu-ne tra Sosuke e Onyone raccontato nel

NATSUME SOSEKILa porta

Traduzionedi Antonietta Pastore

NERI POZZAPagine 237,e 16

i

Steve McCurry, «Geisha insubway», 2007, Il fotografoespone al museo di SantaMaria della Scala a Sienafino al 6 gennaio

Stile UUUUU

Storia UUUUU

Copertina UUUUU

False memorie Un testo del 1975 dello scrittore-artista

Attore per Chaplin, in lite con HitlerTutte le vite immaginarie di Topordi ALESSANDRO BERETTA

R accontare la propria vita è un gesto inbilico tra sincerità, omissione e men-zogna, ma quando a scrivere è un ar-

tista eclettico come il francese Roland To-por, la tradizione esplode in un viaggio sur-reale. Così, aprendo Memorie di un vecchiocialtrone, apparso nel 1975 e ora disponibi-le per la cura di Carlo Mazza Galanti, l’auto-re svela immediatamente la sua inclinazio-ne per le arti plastiche: «A tre anni traccia-vo con la forchetta nella purea dei Klee chelasciavano a bocca aperta la mia famiglia».

La modestia non è una qualità di Topor,ma lo sono la fantasia e l’umorismo, perchéè presto chiaro che tutto quanto racconteràè inventato: fin dal luogo di partenza dellastoria, il Lussemburgo, quando il disegna-tore, scrittore, attore, regista, fotografo,scenografo — per dire alcune delle arti chepraticò — nacque e morì parigino (1938-1997). L’artista crea una vita che ha sognatoe lo fa con ritmo e gioia infantile travolgen-ti: Sarah Bernhardt posa nuda per lui, recitaper George Méliès e Chaplin, Jean Cocteaugli trova lo studio, litiga con Hitler, per sba-glio uccide Lev Trotsky e si pizzica varie vol-te con Pablo Picasso, reo di avergli rubato ilcubismo che lui ha fondato per ben quattrovolte.

Topor, di origine ebreo-polacca, si fingeprotagonista invisibile e duttile del XX se-colo: non cambia tratti somatici come Zelig

di Woody Allen, ma viaggia dovunque, rivo-luzionando l’arte e incontrando i protago-nisti del tempo. Dà consigli a tanti, come aProust per la madeleine o a Orwell per1984, ma nessuno lo ringrazia: «Sono sem-pre stato in anticipo sull’avanguardia. Allo-ra mi dovevo fermare e aspettare il resto

della brigata, e ognivolta quelli poi mi su-peravano. È per que-sto che mi dimentica-no dappertutto». Unaconclusione in partereale: oggi Topor nonè molto noto in Italia,nonostante il fascinonero ed erotico dellasua opera grafica enarrativa portata tra iSessanta e i Settantada Giovanni Gandinisu «Linus» e apprez-zata da Federico Felli-ni che lo coinvolse nelCasanova, né all’este-

ro, dove Roman Polanski dal suo enigmati-co L’inquilino del terzo piano trasse unfilm. Se l’autobiografia è finta, in controlu-ce le passioni che la animano sono vere: perl’arte, le donne, l’alcol, per l’essere giovanisempre. Un godibilissimo falso d’autore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Roland ToporMemorie di unvecchio cialtroneTrad. e curadi Carlo Mazza GalantiVOLANDPagine 160, € 14

Page 14: la_lettura_20131124

14 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

La vetta parla italiano, poi spagnolo con regine e lumacheIl longseller di Agassi torna in gioco, Dan Brown cambia «pelle»

La pagellaRobert Galbraith(J. K. Rowling)Il richiamo del cuculoSalani

di Antonio D’Orricovoto

8,5

La magia neradella quotidianità

C ormoran Strike ha trentacinqueanni, era un detective dellapolizia militare ma ha perso unagamba in Afghanistan ed ètornato a Londra dove ha aperto

un’agenzia ma il suo oroscopo è infausto,gli affari vanno male, i sentimenti peggio.Una lunga, tempestosa storia d’amore si èconclusa (velenosamente). Cormoran è aun passo dal precipizio. Dorme in ufficiosu una brandina da campo, mangiaspaghetti disidratati, si lava dicontrabbando alla casa dello studente. Enon può più permettersi una segretariaproprio adesso che ne ha trovato unabravissima che si chiama Robin, haventicinque anni, è carina e, soprattutto,discreta (virtù fondamentale per l’ombrosodetective, figlio di una groupie, finitatragicamente, e di una rock star). Poi una

mattina l’ombra di unpotenziale cliente siprofila dietro la porta avetri dell’agenzia. È ilfratello di un vecchiocompagno di scuola diCormoran, unragazzino che morì inun incidente inbicicletta. L’uomo èavvocato in uno studiolegale assai prestigioso(come se ne trovanosolo a Londra) e non

crede che sua sorella, la famosa modellaLula Landry, sia morta suicida buttandosidal balcone di casa. Cormoran accettal’ingaggio anche se dubita che dietro lamorte della bellissima Lula ci sia qualcosadi losco. L’indagine lo porterà nell’altasocietà londinese e nel luccicante mondodella moda. Ma c’è poco da luccicare... J. K.Rowling per non dare adito a chiacchierestupide ha firmato questo romanzo conuno pseudonimo e, così come era successocon Il seggio vacante, il suo primo librodopo la serie di Harry Potter, si confermascrittrice di gran classe capace dipadroneggiare generi diversi (dallacommedia nera al giallo tradizionaleanglosassone) che sono però sempre alservizio della sua idea di fondo: non c’èmagia più nera di quella che si annida nellavita di tutti i giorni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

J. K. Rowling è nataa Yate nel 1965

L’incipit dei lettoridi Elisa Nicole Picozzi

28 anni, aspirante scrittriceBusto Arsizio (Varese)

Gli occhi di Edward

Edward aveva appenaterminato di tagliare il pratointorno alla morente pianta

di melograno e, asciugandosile gocce di sudore conun fazzoletto di cotone vermiglio,si fermò a osservarla con occhiindagatori. Poco distante,la passiflora si teneva lontanadal tronco del fragile albero,attorcigliandosi alla recinzione

del giardino nella direzioneopposta. Il castagno del vicinonon aveva fatto frutti dal latoin cui si avvicinava alla pianta.

Insieme all’incipit — che deve essere inedito —inviate un indirizzo email corretto e controllato conregolarità in modo da poter essere contattati dallaredazione in caso di scelta e pubblicazione. Verrannoprivilegiati gli incipit brevi (massimo 100 parole).

Invia il tuo incipitcorriere.it/lettura

Top 10Michele SerraGli sdraiati

Feltrinelli, € 12

Fabio VoloLa stradaverso casaMondadori, € 18

Gianrico CarofiglioIl bordo vertiginosodelle coseRizzoli, € 18,50

Ildefonso FalconesLa regina scalza

Longanesi, € 19,90

Luis SepúlvedaStoria di una lumacache scoprì...Guanda, € 10

Andrea CamilleriLa banda Sacco

Sellerio, € 13

Khaled HosseiniE l’eco rispose

Piemme, € 19,90

Robert GalbraithIl richiamodel cuculoSalani, € 16,90

Andre AgassiOpen. La mia storia

Einaudi, € 20

Paolo FoxL’oroscopo 2014

Cairo, € 10

1(5)

1 100

2(1)

5 97

4(-)

N 34

5(-)

N 30

7(4)

5 27

9(-)

N 23

10(-)

N 23

8(6)

5 25

6(3)

5 28

3(2)

5 36

ebookdi Alessia Rastelli

Il film rilanciail saggiosu Steve JobsLo sconto torna adominare la classificadigitale. Tutti inpromozione, a un prezzotra 0,99 e 1,99 euro, gliebook nella Top Five diBookrepublic. Al primoposto il romanzo Lalegge del deserto diWilbur Smith. Secondo ilsaggio di EvgenyMorozov Contro SteveJobs. In questo caso, adifferenza degli altrititoli, in sconto per ungiorno, l’offerta è duratadal 14 al 17 novembre,lanciata in occasionedell’uscita del film Jobs,con Ashton Kutcher. Alterzo e quarto posto,due gialli: Stanzanumero 10 di ÅkeEdwardson e Lamisteriosa morte dellacompagna Guan di QiuXiaolong. Quinta, infine,la raccolta di articoli diGianni Mura, Non giocopiù, me ne vado. Sulfronte di Bookrepublic, ilgruppo lancia il progettoLagenzia e arricchiscel’offerta della sua casaeditrice digitale 40kUnofficial con le firmedel magazine deiblogger «PaperProject». «Lagenzia èun’iniziativa di contentmarketing, cioè unprogetto rivolto alleaziende per aiutarle adialogare con i clienti —spiega Marco Ghezzi,cofondatore diBookrepublic —. Ilmetodo è la creazionedi storie, da diffonderesia sul sito della ditta siasui social network».

@al_rastelliehibook.corriere.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

1 100 Wilbur SmithLa legge del deserto

Longanesi, € 6,99ePub con Adobe DRM

2 95 Evgeny MorozovContro Steve Jobs

Codice, € 2,99ePub con Social DRM

3 92 Åke EdwardsonStanza numero 10

Baldini & Castoldi, € 5,99ePub con Social DRM

4 88 Qiu XiaolongLa misteriosa morte

della compagna GuanMarsilio, € 7,99

ePub con Adobe DRM

5 85 Gianni MuraNon gioco più,

me ne vadoil Saggiatore, € 7,99

ePub con Social DRM

(11-17 novembre 2013)

La classifica

Narrativa italiana

1 (4)1100Michele SerraGli sdraiati

Feltrinelli, € 12

2 (1)597Fabio VoloLa stradaverso casa

Mondadori, € 18

3 (2)536Gianrico CarofiglioIl bordovertiginosodelle coseRizzoli, € 18,50

Staffetta italiana in top ten: Volo passa il titolo dipiù venduto della settimana a Serra. Nellaclassifica di categoria il thriller medievale diSimoni scala nove posizioni ed entra nellacinquina di testa. Unica novità è la raccolta didelitti di Natale edita da Sellerio, con racconti diManzini, Giménez-Bartlett e de Giovanni.

Narrativa straniera

1 (-)N34Ildefonso FalconesLa regina scalza

Longanesi, € 19,90

2 (1)527Khaled HosseiniE l’eco rispose

Piemme, € 19,90

3 (2)525Robert GalbraithIl richiamodel cuculo

Salani, € 16,90

L’avvocato-scrittore Falcones conquista la vettanegli Stranieri e il quarto posto assoluto con unromanzo ambientato nella Spagna delSettecento con protagoniste una gitana e una exschiava. Inferno di Dan Brown, uscito ora concopertina diversa e prezzo più contenuto, tornaad affacciarsi ai piani alti della classifica.

Saggistica

1 (9)123Bruno VespaSale, zucchero e caffè

Mondadori, € 19

2 (6)116C. Augias, M. VanniniInchiesta su Maria

Rizzoli, € 19

3 (1)115Federico RampiniBanchieri

Mondadori, € 16,50

Al primo posto sale Vespa che, ispirato dai ricordi dinonna Aida, racconta fatti e personaggi. Tra le novità:l’inchiesta su Chiesa e ‘ndrangheta di Gratteri-Nicaso; sempre bene l’utilità dell’inutile di Ordine.Titoli da top ten nella Varia — il longseller di Agassi(uscito nel 2011 e arrivato a 350 mila copie) — e neiRagazzi: la favola di Sepúlveda, elogio della lentezza.

Varia

1 (3)123Andre AgassiOpen.La mia storiaEinaudi, € 20

2 (4)123Paolo FoxL’oroscopo 2014

Cairo, € 10

Ragazzi

1 (-)N30Luis SepúlvedaStoria di una lumacache scoprì...Guanda, € 10

2 (-)N19Rick RiordanIl figlio di Nettuno.Eroi dell’Olimpo

Mondadori, € 17

{Caratteri Le classifiche dei libriLegenda

(2) posizione precedente S stabile

1 in salita R rientro

5 in discesa N novità

100 titolo più venduto (gli altri in proporzione)

3Donna TarttThe goldfinch

Little, Brown, $ 30

2C. Cussler with J. Du BrulMirage

Putnam, $ 28,95

1John GrishamSycamore row

Doubleday, $ 28,95

Stati Uniti

Page 15: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 15

4 (3)528Andrea CamilleriLa banda Sacco

Sellerio, € 13

5 (14)121Marcello SimoniII labirintoai confinidel mondoNewton Compton, € 9,90

6 (6)S19Marco MalvaldiArgento vivo

Sellerio, € 14

7 (7)S16Sveva CasatiModignaniPalazzo Sogliano

Sperling & Kupfer, € 19,90

8 (5)514Francesco PiccoloIl desideriodi esserecome tuttiEinaudi, € 18

9 (8)513Andrea VitaliDi Ildece n’è una sola

Garzanti, € 14,90

10(9)513Simonetta AgnelloHornbyVia XX Settembre

Feltrinelli, € 18

11(19)111Cassandra RoccaTutta colpadi New York

Newton Compton, € 9,90

12(10)511Santo PiazzeseBluesdi mezz’autunno

Sellerio, € 12

13(-)N11AA.VV.Regalo di Natale

Sellerio, € 14

14(11)5 10Erri De LucaStoria di Irene

Feltrinelli, € 9

15(13)59Silvia AvalloneMarina Bellezza

Rizzoli, € 18,50

16(12)58Elena FerranteStoria di chi fuggee di chi resta

e/o, € 19,50

17(17)S8Massimo GramelliniFai bei sogni

Longanesi, € 14,90

18(15)57Valerio M. ManfrediIl mio nomeè Nessuno.Il ritornoMondadori, € 19

19(16)56Licia TroisiIl sacrificio.I regni di Nashira

Mondadori, € 19

20(-)R5Alessandro D’AveniaBianca comeil latte, rossacome il sangueMondadori, € 13

4 (3)521Glenn CooperIl calicedella vita

Nord, € 19,60

5 (-)N16Dan BrownInferno

Mondadori, € 17

6 (4)516Milan KunderaLa festadell’insignificanza

Adelphi, € 16

7 (5)516E. L. JamesCinquantasfumaturedi grigioMondadori, € 5

8 (8)S15E. L. JamesCinquantasfumaturedi neroMondadori, € 5

9 (7)514E. L. JamesCinquantasfumaturedi rossoMondadori, € 5

10(6)513Joël DickerLa veritàsul casoHarry QuebertBompiani, € 19,50

11(-)N11Lauren WeisbergerLa vendettaveste Prada

Piemme, € 19,50

12(16)110Jonas JonassonL’analfabeta chesapeva contare

Bompiani, € 19

13(9)510Nicolas BarreauUna seraa Parigi

Feltrinelli, € 15

14(10)510Jamie McGuireIl mio disastrosei tu

Garzanti, € 16,40

15(12)58Henning MankellLa mano

Marsilio, € 12

16(13)57Jeffery DeaverL’uomodel sole

Rizzoli, € 19

17(11)57George R. R. MartinLa danzadei draghi

Mondadori, € 10

18(15)57Alice MunroNemico, amico,amante...

Einaudi, € 12

19(-)R7Vanessa DiffenbaughIl linguaggiosegreto dei fiori

Garzanti, € 9,90

20(14)57Alice MunroDanzadelle ombre felici

Einaudi, € 19,50

4 (2)514Eugenio ScalfariL’amore, la sfida,il destino

Einaudi, € 17,50

5 (3)510Malala Yousafzai(con C. Lamb)Io sono Malala

Garzanti, € 12,90

6 (5)58Papa FrancescoE. ScalfariDialogo tra credentie non credentiEinaudi, € 8,90

7 (4)58Aldo CazzulloBasta piangere!Storie di un’Italia...

Mondadori, € 14,90

8 (12)18E. SchlossK. BartlettSopravvissutaad AuschwitzNewton Compton, € 9,90

9 (14)17Jorge Mario BergoglioÈ l’amore cheapre gli occhi

Rizzoli, € 15

10(11)17Nuccio OrdineL’utilitàdell’inutile.ManifestoBompiani, € 9

11(16)17V. Feltri, G. SangiulianoUna Repubblicasenza patria

Mondadori, € 19

12(13)16Thomas HardingIl comandantedi Auschwitz

Newton Compton, € 9,90

13(8)56Cristina De StefanoOriana.Una donna

Rizzoli, € 19

14(10)56Umberto EcoStoria delle terree dei luoghileggendariBompiani, € 35

15(-)N6E. BerthoudS. ElderkinCurarsi con i libri

Sellerio, € 18

16(-)N6N. Gratteri, A. NicasoAcqua santissima

Mondadori, € 17,50

17(7)56Dacia MarainiChiara di Assisi.Elogio delladisobbedienzaRizzoli, € 17,50

18(-)N5Vittorio SgarbiIl tesoro d’Italia

Bompiani, € 22

19(-)N5Benedetta TobagiUna stellaincoronata di buio

Einaudi, € 20

20(20)S5A. Borsellino, S. PalazzoloTi racconterò tuttele storie che potrò

Feltrinelli, € 18

3 (1)520Benedetta ParodiÈ pronto!Salva la cena...

Rizzoli, € 17,90

4 (2)514Javier Zanetti(con G. Riotta)Giocare da uomo

Mondadori, € 17,50

5 (9)17Loretta GoggiIo nascerò

Piemme, € 16

6 (8)17Raffaele MorelliIl segretodell’amore felice

Mondadori, € 17,50

7 (5)56Ferzan OzpetekRosso Istanbul

Mondadori, € 16,50

8 (-) R 6Carlotta FerlitoCosa pensomentre volo

Fabbri, € 14,90

9 (7)5 6JovanottiGratitude

Einaudi, € 14,50

10(6)5 6O. FarinettiS. HayashiStorie di coraggio

Mondadori Electa, € 16,90

3 (1)519AA.VV.Beauty book.Violetta

Walt Disney, € 12,90

4 (2)515Geronimo StiltonGrande ritornonel Regnodella FantasiaPiemme, € 34,50

5 (8)113Silvia D’AchilleIl Nataledi Peppa Pig

Giunti Kids, € 9,90

6 (5)513AA.VV.Le canzoncinedi Peppa Pig.Con cd audioGiunti Kids, € 9,90

7 (4)512AA.VV.Fashion book.Violetta

Walt Disney, € 14,90

8 (7)511Silvia D’AchilleIo coloro Peppa

Giunti Kids, € 3,90

9 (9)S10Silvia D’AchilleCiao,io sono Peppa!

Giunti Kids, € 9,90

10 (3)510Silvia D’AchilleLa macchina nuova

Giunti Kids, € 7,90

Fantasia al potere tra le righe (e gli acronimi) del fiscoFra tasse, imposte e tributi anche il 2013 ha visto la pubblicazione di 80 titoli sul Fisco (studi, commenti, guide, sussidi). Giusto per farci capire qualcosa. Ma in questo ambito, specialmente in Italia — che, fra le tante virtù, non vanta certo il record della semplificazione e

della chiarezza —, la strada è sempre in salita. Prendiamoad esempio gli acronimi del settore, che negli ultimi mesi hanno invaso il campo della lingua italiana come le cavallette nell’ottava piaga d’Egitto. Ormai ci vorrebbe un dizionario ad hoc. Qualche anno fa, era il 22 luglio 2007,

avevamo ipotizzato che — in sostituzione dei Pacs, dei Dico e dei Cus — bussassero alle porte della politica, piuttosto insistentemente, i «Tuc Tuc» (Tutela conviventi). Oggi veniamo a sapere che sta per arrivare un nuovo Tuc, il Tributo unico comunale. Un’altra fantasia al potere!

di Giuliano ViginiIl numero

(Elaborazione a cura di GfK. Dati relativi alla settimana dall’11 al 17 novembre 2013)

Il podio del criticodi Ivana Bruno

Ivana Bruno (Palermo, 1968), ricercatrice, insegna Museologia e Comunicazione museale all’Università di Cassino e del Lazio meridionale. Tra i suoi lavori LaCamera picta (Sciascia Editore). Coordina il progetto scientifico-didattico «Museo facile» realizzato con il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo.

Inghilterra

1Jeff KinneyDiary of a WimpyKid: Hard Luck

Puffin, £ 12,99

2Alex FergusonMy autobiography

Hodder & Stoughton, £ 25

3AA.VV.Guinness WorldRecords 2014

G. W. R. Limited, £ 20

Germania

1Khaled HosseiniTraumsammler

S. Fischer, € 19,99

2Jussi Adler-OlsenErwartung

Dtv, € 19,90

3Henning MankellMord im Herbst

Zsolnay, € 15,90

Francia

1J.-Y. Ferri, D. ConradAstérixchez les Pictes

Albert Rene, € 9,90

2Stéphane De GroodtVoyagesen absurdie

Plon, € 15,90

3Pierre LemaitreAu revoir là-haut

Albin Michel, € 22,50

1Mario AndaloroLa pittura medievalea Roma 312-1431Jaca Book, € 165

2M. V. Marini ClarelliIl museo nel mondocontemporaneoCarocci, € 20

3Francesco AntinucciComunicare nelmuseo. Con DvdLaterza, € 28

Page 16: la_lettura_20131124

16 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

Tommy è un ragazzo. Tommy è cieco e sordo e muto per colpa di uno choc e delle violenze subite. Tommy è un campione del flipper, perché non gli serve vedere né sentire né tantomeno parlare. Lui gioca con l’olfatto, fino a sconfiggere per sempre gli handicap. «Tommy» è un’opera rock ambiziosa e visionaria, bandita nel 1969 dalla Bbc per l’audacia dei testi, nati dalla penna del chitarrista Pete Townshend. Il cd degli Who torna in versione deluxe. E Tommy vince ancora.

Tommy vince ancora a flipper

{Incisionidi Renzo Matta

SguardiPittura, scultura, fotografia, design, mercato

L’incontro Parla uno dei grandi esponenti del Concettuale, alla vigilia dell’«antologia» che gli dedica il Macro di Roma

Scusate, l’artista non c’èGiulio Paolini: evviva Bach e le orecchiette, abbasso il cioccolato e il Maxxidal nostro inviato a Torino STEFANO BUCCI

L’appuntamento«Giulio Paolini. Essere o non

essere», a cura di BartolomeoPietromarchi, Roma, Macro, dal29 novembre al 9 marzo 2014

(inaugurazione giovedì 28novembre, ore 19);

da luglio alla WhitechapelGallery di Londra. Catalogo

edito da Macro, WhitechapelGallery di Londra, Quodlibet

(Info Tel 06 67 10 70 400,www.museomacro.org)

Le opereIn mostra quattordici opere diPaolini: tredici realizzate tra il

1987 e il 2013 più una«L’autore che credeva di

esistere (sipario: buio in sala)»,site-specific per il Macro

L’autoreGiulio Paolini (foto sopra)

è nato a Genova nel 1940.Vive e lavora a Torino.

È considerato «uno dei piùimportanti esponenti

dell’arte contemporanea».Si è dedicato, in particolare,

all’indagine «in chiaveconcettuale sull’autore e sul

suo ruolo». È presentenel Padiglione Italia della

Biennale d’arte di Venezia, chechiude oggi, 24 novembre

Le immaginiQui sopra e a destra:

«Tempus Tacendi» (2012) eun angolo dello studio torinese

di Paolini. Nella paginaaccanto, dall’alto: la luminaria

«Palomar» progettata daPaolini e ispirata a Calvino;

«Camera con vista» (2012) ealtri quattro scorci dello studio.

(Il servizio fotograficoè di Alessandro

Falzone/Lapresse)

iC hiedo scusa, l’artista non c’è. Anzi,«non c’è mai stato». D’altra parteper Giulio Paolini, definito tra iprincipali esponenti dell’arte(concettuale e no) del nostro tem-

po, «l’artista non esiste, ma piuttosto esisteun testimone oculare di un flusso creativouniversale». O, in alternativa, si può trattare«di un semplice spettatore che non ha nienteda dichiarare né da mettere al mondo, che at-tende l’alzata del sipario, l’inizio o la fine dellarappresentazione».

Lo ribadisce, quasi con l’aria di voler chie-dere scusa, anche a «la Lettura», alla vigiliadella mostra curata da Bartolomeo Pietro-marchi che si inaugura al Macro di Roma gio-vedì prossimo (28 novembre): quattordiciopere (tredici realizzate tra il 1987 e il 2013 piùun inedito site-specific pensato per il museoromano), tutte giocate «sul tema della pre-senza-assenza dell’artista» (dall’autoritrattoDelfo IV a Big Bang, da Immacolata concezio-ne a Contemplator enim, da Photofinish aBlack out), che dal Macro — la mostra chiudeil 9 marzo 2014 — passeranno poi, nel luglio2014, alla Whitechapel Gallery di Londra.«Giulio Paolini. Essere o non essere» è, tantoper ribadire, il titolo della mostra («Un’anto-logia, non un’antologica» chiarisce immedia-tamente Paolini) e, L’autore che credeva diesistere (sipario: buio in sala), quello del-l’inedito ispirato al libro che Paolini avevapubblicato nel 2012 per Johan & Levi Editore.

Nel suo studio torinese di via Po («Un ma-gazzino, non un loft come si dice adesso»), inuna giornata grigia e mentre fuori sfilano i la-voratori in corteo, Giulio Paolini sceglie diraccontarsi, dopo qualche tentativo di negar-si («Cosa mi racconta?» chiede all’intervista-tore). Sembrerebbe dunque una battagliapersa, ma poi questo signore dai capelli bian-chi e lo sguardo acuto (nascosto dietro un pa-io di occhiali rotondi), le mani curate e soloun filo di barba lunga, tutto vestito con i tonidell’autunno comincia a parlare. Senza tantischermi (e lo farà ancora di più davanti a unpiatto di orecchiette con le cime di rape e unbicchiere di vino rosso nella piccola trattoriapugliese a fianco dello studio anche se pur-troppo «non ama il cioccolato»). Si parte dal-la scelta del Macro piuttosto che del Maxxi.«Non amo l’espressività esagerata di ZahaHadid come non amo quella di Gehry — dicePaolini — e mi riesce difficile varcare anchefisicamente la soglia del Maxxi, un’architettu-ra proibitiva, impraticabile, presuntuosa,inaccettabile per un artista. Eppure ho unbuon rapporto con Anna Mattirolo, direttricedel museo d’arte. Ma questi contenitori cosìspettacolari finiscono per soffocare il conte-nuto. Insomma, è un’architettura che si metteinutilmente in competizione». Meglio allo-ra... «Il Macro perché c’è analogia, o direipiuttosto simpatia, con l’arte contempora-nea. O meglio l’Arsenale della Biennale, con i

di PAOLO MANAZZA

VALORI

SSS

Perché un Castellani viene battutoa 300 mila dollari negli Stati Unitie rischia di fermarsi a 250 milain Italia? I segnali di un declino

New York strapazza Milano. Sul contemporaneo

M ilano-New York. La differenza tra queste due città, sotto ilprofilo del business sull’arte contemporanea, è abissale.Inutile dilungarsi sulle molteplici cause. Le norme, la

burocrazia, le gabelle e le italiche restrizioni da una parte. L’assolutalibertà e, soprattutto, la valorizzazione dei soldi spesi in arte ecultura dall’altra. La dicotomia è ancestrale. La distanza ormaicristallizzata in deficienze abnormi. In qualsiasi comparto ladistribuzione è fondamentale. Vale per il cinema con il controllodelle sale come per i supermercati nell’alimentare. Esistono grandigallerie italiane che ricoprano questo ruolo? Grandi musei dell’artecontemporanea attivi a livello internazionale nel segmento degliscambi? Purtroppo no. Il miliardo e duecento milioni di dollari spesinelle aste newyorchesi di Christie’s e Sotheby’s parlano da soli.

Martedì prossimo la sede milanese di Sotheby’s offre un catalogo di200 opere (stima complessiva tra 6 e 8 milioni di euro). Perparadosso la clientela straniera guarda con attenzione a queste,marginali, vendite italiane. Al contrario di quel che dovrebbe essere, inostri maestri valgono meno di quel che accade all’estero. Unesempio? Nella Day Auction Sotheby’s del 14 novembre un EnricoCastellani (Superficie bianca) del 2003 è stato acquistato a quasi300 mila dollari, mentre dopodomani a Milano un altro Castellani (asinistra), stesse misure, ma del 1981, parte in asta da 120 mila euroed è stimato sino a 180 mila (meno di 250 mila dollari). In teoriadovrebbe valere di più. Ma il circo massimo dell’arte sembra ancoravoler fuggire dal Belpaese. Non è un peccato, è una vergogna.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

suoi spazi tutti da scoprire. O il Castello di Ri-voli, un contenitore che, con grande mode-stia, si mette alla pari con le opere». Ci saràpure qualche architetto che ama di più: «Po-trei salvare Jean Nouvel, ma per ragioni affet-tive».

A (quasi) cinquant’anni dalla sua primapersonale (a Roma, nel 1964), racconta i suoiesordi: «Da giovane sono sempre stato un vi-sitatore attento e devoto di mostre e musei. Epoi, a Torino negli anni Sessanta c’era davve-ro un’offerta incredibile. Mi ricordo ancorauna bellissima mostra sull’arte moderna traFrancia e Italia e una su Osvaldo Licini. Ma hoavuto anche la fortuna di essere stato ungrande frequentatore dell’Einaudi, quella diGiulio Einaudi che faceva disegnare le coper-tine dei libri a Bruno Munari». Eppure, ag-giunge Paolini (nato a Genova nel 1940, mapraticamente da sempre torinese) «se la miafamiglia non mi avesse spinto a studiare gra-fica (mio padre era rappresentante di inchio-stri), sarei ancora qui a dipingere dal vero»(quel divano e quelle sue due poltrone chehanno fatto da sfondo a tanti suoi lavori arri-vano proprio dalla sua famiglia). Nessun rim-pianto? «No, tutt’altro. Quella formazione miha dato più stimoli». E oggi? «Ci sono troppemostre, che senso ha esporre se oramai pos-sono farlo tutti e dappertutto? La mia prima

mostra ho dovuto sudarmela».Questa volta non si parla tanto delle sue

opere: collages dentro teche di plexiglas, in-stallazioni con un tavolo da lavoro e una qua-dreria oppure con un paio di scarpe, incisio-ni, disegni a matita e tante, tantissime foto-grafie più o meno ritoccate. E nemmeno poitanto della sua idea di (non) artista. Ma, inqualche modo, del privato, un privato molto«piccolo»: il tragitto quotidiano casa-studio-casa, un tragitto molto breve (da via Po allacontigua piazza Vittorio); un universo fami-liare molto ristretto (Paolini e la moglie An-na); senza assistenti in studio, due grandi ta-voli moderni su cui si progettano le installa-zioni («Non riesco a fare due progetti con-temporaneamente sullo stesso tavolo, devotenerli lontani»), una scrivania da ufficio de-gli anni Trenta con il piano ingombro di ma-tite, una musica in sottofondo. Cosa amaascoltare? «Soprattutto Bach e Mozart», nontanto gli «sproloqui di Berlioz» (ma per Pao-lini bellissima è stata anche l’esperienza dimise en scène delle Walchirie e di Parsifal alSan Carlo di Napoli, «il più bel teatro delmondo, credo»).

Paolini il grande concettuale, l’artista cherinnega l’arte, dichiara di amare «Raffaellocon la sua perfezione quasi rileccata, Las Me-ninas di Diego Velázquez («un quadro uni-

Page 17: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 17

c’è una mia foto a colori che mi piaccia come le mie fotoin bianco e nero, che mi coinvolga, ma non vedo perchédevo limitarmi a usare per sempre il bianco e nero comese fosse la difesa di una bandiera o di un’ideologia».

Si pensi alla serie su Beirut (del 1991). Una città ferita amorte. Come «uno scheletro senza pelle, con i muscolifuori». Desolate, le architetture sono mostrate in ma-niera discreta. Ogni dettaglio è scrutato con esattezza,secondo la lezione di Walker Evans. Tra rovine e mace-rie, si modula un’archeologia della contemporaneità. Si

accede a un set da cui so-no stati espulsi tutti gliattori. Ecco ciò che rima-ne di una città, dopo uncrollo. Evidenti le analo-gie con i labirinti di Pira-nesi. In filigrana, richia-mi a de Chirico e a Sironi.Basilico indugia su fram-menti che attestano la fi-ne di un mondo e, insie-me, rendono incombentimomenti di quello stessomondo. L’occhio si posasu ruderi che, alla Man-ganelli, posseggono un«eloquio indiretto, insta-bile, aggrovigliato, allusi-vo»

Come emerge da que-sto ciclo, Basilico tende aiscrivere il disordine me-tropolitano in un equili-brio. Attento alla compo-sizione — che è «pro-spettiva, punto di vista»—, salvaguarda sempre lacentralità delle riprese.Non mira a restituire latotalità di un determinatoscenario. Sospende nelvuoto le sue città. Le de-contestualizza. Le conge-la. Le rende ignote a sestesse. Spegne ogni suo-

no. Resta un silenzio agghiacciante. Il traffico si dirada,la folla svanisce. Trionfa il silenzio. Si arresta il tapis-roulant che scorre sotto la realtà. Si offrono visioni sen-za tempo. Infine, le metropoli si fanno metafisiche. Maicontaminate da presenze umane. Eppure, confessa Ba-silico ad Amos Gitai, «io fotografo il paesaggio urbanosenza persone, ma penso che la mia fotografia sia pro-fondamente dedicata all’umanità del luogo che è statocostruito da persone che non si vedono».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Mostre a Modena e a Roma,con un film del regista israeliano

Così Basilico si svelò a Gitai«Le città, la mia famiglia»

Omaggi al fotografo

di VINCENZO TRIONE

L a visività, ha scritto Daniele Del Giudice, èl’«unico punto fisso» di cui possiamo esserecerti. Solo nel dialogo con questa dimensionesi definiscono e vengono alla luce la nostra in-teriorità e la tecnica di cui ci serviremo. Occor-

re adottare sofisticate strategie di compenetrazione conl’esteriorità. Che si dà come spazio in attesa di esserereinventato in forme nuove.

Potremmo muovere da queste parole per cogliere ilsenso della ricerca di Gabriele Basilico, cui, a pochi mesidalla scomparsa, il Maxxi di Roma dedica un riccoomaggio (a cura di Giovanna Calvenzi e Francesca Fa-biani, dal 28 novembre). Una mostra che si tiene in con-comitanza con l’esposizione promossa dalla Galleria ci-vica di Modena («Gabriele Basilico nella collezione del-la Galleria civica», fino al 26 gennaio). L’itinerario pro-posto, oltre 70 fotografie provenienti dagli archivi delMaxxi, presenta anche un film-documentario ineditodel regista israeliano Amos Gitai. Si tratta di un film gi-rato il 1° settembre 2012 a Venezia, durante la Biennaledi Architettura.

Vi si coglie subito la profonda consuetudine che halegato Basilico e Gitai. I due si erano conosciuti nel 1991.Il cineasta era rimasto colpito dal lavoro su Beirut del fo-tografo italiano (esposto al Palais de Tokyo di Parigi).Perciò lo aveva invitato a fare un reportage sulle archi-tetture di suo padre, Munio Gitai Weinraub. Dai primianni Novanta, inizia uno stimolante confronto intornoai temi del documentare, del dire il presente, dell’inter-rogarsi sui mali della storia. Epilogo di quest’amicizia èil «nuovo» film, che ha il valore di una struggente con-fessione di poetica. Un dialogo sull’arte del fotografare,in cui lunghi primi piani vengono intervallati da mate-riali di repertorio. Quasi un’involontaria autobiografia.

Sollecitato da Gitai, Basilico, con il suo inconfondibi-le tono riflessivo, parla della sua filosofia dell’immagi-ne. Gli esordi. Le perlustrazioni della periferia milane-se, segnate dalla lezione di Bernd&Hilla Becher. E, poi, ilreportage su Beirut. Le fascinazioni di Piranesi. I ritrattidi Roma. Soggetti diversi, «affidati» sempre alla stessametodologia, che si fonda su un processo di adesione edi distanziamento dalla visività. L’adesione, innanzitut-to. Decisivo, per Basilico, è l’incontro con il reale. All’ori-gine di ogni sua avventura, vi è l’empatia. Indispensabi-le il gesto del camminare tra strade e piazze. Basilico haun atteggiamento quasi «servile»: si mette al serviziodei centri storici e delle periferie. Per lui, la fotografia èstrumento di verità. Dispositivo per comprendere lacomplessità dello spazio abitato. Linguaggio fatto di«poche cose», che esige la «concentrazione del corpo».

Non occorrono effetti speciali. Basilico si limita a farvibrare la luce dei mondi che percorre. L’obiettivo, se-condo lui, è come il bisturi per il chirurgo. Si pone inascolto delle città, che gli appaiono come anatomie lacui bellezza è turbata da malattie. Le tratta come corpiche, tagliati, emozionano. Le attraversa. Prova a cono-scerle, «con rispetto e con modestia». Le considera co-me territori dell’insicurezza. Ne visita tante, ma ovun-que porta un po’ delle sue origini. Dice: «Interessante èriuscire a ricostruire, nello spazio dove vai a lavorare, unpo’ di ambiente familiare».

Per pronunciare Milano, Beirut, Parigi o Mosca, Basi-lico sceglie di distanziarsi dai suoi soggetti. Prediligel’artificio della frontalità, che indica pause, stasi, indugi.Osserva da lontano, per disciplinare ciò che ha dinanzi asé. Nei suoi ritratti di metropoli, colleziona sezioni dipalazzi, sfruttando le simmetrie ortogonali. Insegue ilrigore dell’impaginazione. Tende a ricondurre l’«este-riorità» in griglie ferme. Trasforma le città in testi go-vernati da una grammatica chiara. Le sue sono rappre-sentazioni ordinate, semplificate. Che suggerisconobasse soglie d’intensità. E si basano sull’astrazione delbianco e nero, che permette di «rallentare» lo sguardo eavvicina alla struttura delle cose. Basilico spiega: «Non

co»), certe Madonne del Bellini dove il Bam-bino tiene i piedi poggiati sulla balaustra(«un modo per annullare le distanze tra arti-sta e spettatore»), l’Imbarco per Citera diWatteau («un bel quadro, ma soprattutto mipiace l’idea di questi vacanzieri in partenzaper il Paradiso»). E soprattutto Duchamp e deChirico («Il suo vero capolavoro è stata la suavita»), che ha voluto ritrarre anche lui vicinoal divano di famiglia, Tempus Tacendi (2012).Nessuno, invece, «tra i viventi». Scusi, Hirst ele altre superstar delle aste? «Vittime del si-stema». E com’è stata l’esperienza del Padi-glione italiano di quest’ultima Biennale di Ve-nezia, dove il curatore, ancora una volta Pie-tromarchi, l’ha messa idealmente a confrontocon Marco Tirelli? «Un’esperienza riuscita».

Ma Giulio Paolini è anche l’uomo delle pa-role (per definire certe esperienze artisticheormai tramontate usa, ad esempio, la parola«catacombale»). E degli scrittori. Con de Chi-rico, sul solito divano, ha collocato tra gli altrii suoi grandi amori, da Borges a Calvino:«L’ho conosciuto, era un uomo silenzioso,che però ha anche amato il mio lavoro, scri-vendo per me pagine bellissime». Dove Calvi-no citava e lodava «la grande ambizione e lagrande modestia» del pittore, Paolini appun-to, che aveva esposto «una riproduzione foto-grafica d’un ritratto di Lorenzo Lotto», intito-landola Giovane che guarda Lorenzo Lotto etrasformando gli spettatori «in altrettantiLotto, a loro volta fissati dalle pupille della fo-tografia, del quadro, del fantasma, del giova-ne». Non a caso, come per un omaggio a Cal-vino, si intitola Palomar la luminaria nataliziapensata per via Po, che Paolini ha voluto rega-lare a Torino e allo scrittore e che da qualchegiorno è tornata in attività.

A questo punto però, la malinconia di Pao-lini, quella stessa che segna sempre il suosguardo, sembra all’improvviso farsi più evi-dente: «La moglie e la figlia di Calvino mi ave-vano chiesto di progettare la sua tomba nelcimitero di Castiglione della Pescaia, ma poi,all’epoca, mi sono fatto prendere da tanti altriinutili impegni e ho consegnato i disegnitroppo tardi. Sono rimasti solo quelli». Ma sedavvero l’artista non esiste («Chi firma unquadro o un’opera è un abusivo»), cosa ne faPaolini dei suoi lavori? «Li tengo tutti nel ma-gazzino di Gondrand — dice tornando a sor-ridere —, perché all’occasione è certamentepiù facile ritrovarli».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La retrospettiva«Gabriele Basilico.

Fotografie dalle collezionidel Maxxi», Roma, Museo

Maxxi, dal 28 novembreal 30 marzo 2014. La mostra

è arricchita dal filmdocumentario di Amos Gitai

(qui sopra a sinistra: lui eBasilico ritratti da Gianni

Nigro nel 2011; sotto: lorostessi in un provino del 2006

in Israele). Basilico, nato aMilano il 12 agosto 1944, èmorto il 13 febbraio scorso

Le immaginiSopra, da sinistra: «Milano,

1980»; «Beirut, 1991»

i

Page 18: la_lettura_20131124

18 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

gres, una foto straordinaria non inclusain quest’album.

Qui, piuttosto, c’è la Kiki «domestica».Che nulla ha a che fare con la ragazzinaconosciuta da Gualtieri di San Lazzaro,«costretta nei primi tempi a lasciarsi pal-pare il seno, per qualche franco, dai ricchisatiri che si aggirano la sera per le viuzzeoscure», oppure a quella superbe che conla sua bellezza quasi intimidisce Breton, ilquale, seduto al tavolo d’un bar, si alzaper farle il baciamano.

Cantante e ballerina, si esibisce al Joc-key, un locale notturno dove talvolta girafra gli astanti, esponendo, su un vassoio,senza veli, i suoi seni generosi. Ma ancheattrice di un paio di film, scrittrice di Sou-venirs, autobiografia uscita nel 1929 conprefazione di Ernest Hemingway.

Modella di Man Ray, ma anche di Sou-tine, Picabia, Kisling, Foujita, Calder, Lé-ger, Picasso, Derain. Nella Montparnasseanni Venti si aggirano tre Kiki: Kiki Ki-sling, Kiki van Dongen e Kiki Kiki.

Kiki è la prima modella-amante di ManRay. L’artista — che in realtà si chiamaEmmanuel Radnitzky, nato a Filadelfia dapadre ucraino e madre bielorussa, e che,verso il 1914, adotta lo pseudonimo (chevuol dire «L’uomo della Luce») — la in-contra in un bar, pochi giorni dopo averemesso piede a Parigi. Luglio 1921.

La ragazza è con un’amica e sta litigan-do con un cameriere che non vuole servir-la perché lei è senza cappello. D’un tratto,Kiki si toglie le scarpe e allunga una gam-ba sulla sedia e l’altra sul tavolo. Quandole rimette giù, qualcuno commenta ad al-ta voce: «Niente cappello, niente scarpe eniente mutande».

Man Ray invita le due ragazze a sedersicon lui e così la querelle finisce. Fanno se-ra. Man Ray invita Kiki per l’indomani:vuole fotografarla. Così, la mattina se-guente lei lo raggiunge in albergo.

Per saperne di più, basta leggere Mont-martre & Montparnasse di Dan Franck(Garzanti, 2000): «Sale nella sua camera esi spoglia: lui vuole fotografarla nuda.Man Ray scatta qualche foto, poi scendo-no al caffè. Le chiede di tornare il giornodopo per una nuova seduta di pose. E an-che per vedere la prima serie di fotografie.Kiki ritorna. Insieme guardano il lavorodella vigilia. Poi Kiki si spoglia mentreMan Ray prepara gli apparecchi. È sedutosul letto, Kiki gli va vicino, nuda; lui leprende la mano, lei lo bacia. Non si lasce-ranno più per sei anni».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«È indecente che una donna vesta come un uomo» dicono gli imam di Raqq a Suad Nofal che in Siria protesta contro il regime di Assad indossando velo e pantaloni. «Non ti è lecito portare brache e tagliare i capelli come un

uomo» era una delle accuse dei domenicani di Rouen a Giovanna d’Arco che anche per questo finì sul rogo nel 1431. Quando sono forti, le religioni danno importanza ai capelli e ai pantaloni.

Capelli e pantaloni

{Sguardi Le mostreDue parole in croce

di Luigi Accattoli

Classici moderni Alla Fondazione Marconi di Milano 83 fotografie. Spazio alla modella-amante prediletta

Man Ray prese Kiki. Di scattoPrima l’incontro fortuito tra l’artista e la cantante e ballerina nella Parigi del 1921poi un sodalizio che durò sei anni e si concretizzò in immagini divenute memorabilidi SEBASTIANO GRASSO

F ormidabile questa mostra mila-nese alla Fondazione Marconi,Modelle, di Man Ray (1890-1976):83 fotografie scattate fra il 1920 eil 1940, raccolte dallo stesso arti-

sta in un album, ristampato in facsimileper l’occasione, accompagnato da un vo-lumetto con testi a firma di Janus.

Formidabile, si diceva, non solo per leimmagini in sé, ma anche per le vicendeche evocano. Dai primi nudi americani(nel 1911, Man Ray frequenta a New York icorsi serali, «in un centro sociale con se-de nei quartieri alti della città», ricorderàegli stesso) alle modelle delle Antille fran-cesi (come Ady, la mulatta provenientedalla Guadalupa) che si esibiscono nei lo-cali di Montparnasse. E ancora: dalle dan-zatrici esotiche a quelle cui egli — dissa-cratore e irriverente — dà nomi di vegetali:Cavolo, Porro, Lattuga, Barba-bietola, Peperoncino, Cipolla,Ravanello, Carciofo («Assomi-gliano a un organismo vegeta-le non farinoso, perfettamen-te assimilabile alla carne», di-ce Man Ray); dalle pose di Kiki(«Regina di Montparnasse»)alle silhouette della pittrice te-desca Meret Oppenheim; dal-l’assistente russa Natasha acorpi senza nome, simili adanfore; da Lee Miller, vista co-me una statua, con le bracciamozze, all’alsaziana Nusch,moglie di Paul Éluard. Per fi-nire «alla ricerca delle fanciul-le in fiore, attraverso il corpo di un’anoni-ma bellezza ritratta tre volte».

«Io cerco l’oro del tempo», proclamaAndré Breton. Man Ray lo aveva già trova-to esplorando il corpo femminile («C’èsempre una donna nuda nel suo desti-no», scrive Janus). E questo album, intri-so di ricordi di un ventennio — dall’arrivoa Parigi nel 1921, al rientro in Usa nel 1940,allo scoppio della guerra (ritornerà a Pari-gi solo nel ’51) — ne sparge «il profumo».Ai corpi reali, Man Ray applica la propriafantasia. Vestiti con copricapo orientali ecostumi tradizionali, paiono assumereanche il ruolo di sacerdotesse. Differenzecon quelle reali? Il seno a nudo. Di modanei locali notturni di Parigi, ma non certoin Cambogia. Le foto, spesso pubblicatesu «Minotaure», fanno discutere i surrea-listi e suscitano la loro ammirazione. Ger-trude Stein compresa, anche se Man Raycon lei non lega perché la scrittrice nonvuole mai pagarlo.

Degli 83 scatti, cinque sono dedicati aMeret Oppenheim diciannovenne («Una

sequenza cinematografica», le definisceJanus); altrettante a Kiki. Due donne chenon potevano essere più diverse. La pri-ma è un’artista di grande valore; la secon-da, una selvaggia capace di trascinarsidietro folle di ammiratori e di ubriacarlicon la sua sensualità e innocenza. Balleri-na, cantante nei bistrot, modella e aman-te di Man Ray e di tanti altri, Kiki si chia-ma Alice Ernestine Prin ed è nata nel 1901.Man Ray la immortala nel Violon d’In-

L’esposizione«Man Ray. Models»,

Fondazione Marconi,Milano, fino all’11 gennaio

(Info Tel 02. 29 41 92 32;www.fondazionemarconi.org).

In mostra 83 fotografieoriginali, scattate fra il 1920

e il 1940, poi raccolte nelvolume «Models», ristampato

per l’occasione (FondazioneMarconi / Cambi). Cofanetto

con libro (pp. 124)e album (pp. 32), € 500

I ritrattiDall’alto: Man Ray

(Emmanuel Radnitzky,Filadelfia, 1890 - Parigi,1976) in una fotografia

del 1934 di Carl Van Vecthen,e Kiki (Alice Ernestine Prin,

1901-1953) fotografatada Man Ray. A destra:un’altra delle modelle

parigine dell’artista

i

Allestimento UUUUU

Rigore scientifico UUUUU

Catalogo UUUUU

FantasiaMeret Oppenheim,

Lee Miller, la mogliedi Paul Éluard: vestiva i

corpi reali con copricapiorientali e costumi

SSS

Page 19: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 19

S’ode a destra un romanzo che accusa chi vive steso, a sinistra risponde un saggio che elogiachi è sdraiato. È in uscita il libro di Bernd Brunner, «L’arte di stare sdraiati. Manuale di vita orizzontale» (Raffaello Cortina editore). La tesi

è che la posizione orizzontale sia perfetta per la contemplazione: pensare, sognare e amare. Pare la replica a Michele Serra che, con «Sdraiati» (Feltrinelli), ha lanciato un’ironica etichetta alla generazione-sui-sofà. Sdraiamoci e leggiamoli.

Scontro di civiltà per la generazione sui sofà

{Sguardi Le mostreOrigami

di Francesco Longo

MILANOLa realtà è un enigmaLa più grande e completaantologica di Tino Stefanoni(Lecco, 1937) con oltre centoopere, realizzate dal 1965 aoggi, che raccontano unpercorso creativo che è unasintesi tra la Pop Art e laMetafisica. Protagonisti dellesue opere elementi semplici,che divengono misteriosi(sopra: Senza titolo, 2009).Gall. Credito ValtellineseFino all’11 gennaioTel 02 48 00 80 15

Calendario

MANTOVALa casa degli dei, atto IIBill Viola (New York, 1951),uno dei maggiori video artistial mondo, firma il secondoevento del ciclo di Palazzo Tedopo l’installazionedi Fabrizio Plessi. Nelle salenapoleoniche sarà proiettatoil video The Raft che sembrauna metafora della lottadell’uomo contro le avversità(sopra: una scena).Palazzo TeFino al 20 febbraioTel 0376 32 32 66

AGRIGENTO1939-1945, arte in guerraGli anni attraversati dalsecondo conflitto mondialesegnano un’importante tappaper l’aspra creatività di FaustoPirandello (1899-1975). Inmostra trenta dipinti enumerose opere su carta,pastelli, sanguigne, acquerelli(sopra: Tetti di Roma, 1944).Fabbriche ChiaramontaneFino al 23 febbraioTel 0922 27 729

LONDRACapolavori sotto attaccoLa prima mostra che raccontagli attacchi subiti dall’arte inGran Bretagna dal XVI secolofino ad oggi. Una tendenzaiconoclasta che distrussesimboli e monumenti permotivi religiosi, politici oppureestetici (sopra: Anon, Christbefore Pilate, circa 1400-25).Tate BritainFino al 5 gennaioTel +44 20 78 87 88 88

N on bastano le leggende per creareun mito. Se il Metropolitan Mu-seum di New York ha appena dedi-cato a Joel Arthur Rosenthal, in arteJar, la prima mostra mai dedicata a

un gioielliere vivente, una ragione deve esserci.La risposta non viene dall’enorme aspettativainternazionale creata attorno a quest’evento,né tantomeno dall’alone di riservatezza che dasempre avvolge il misterioso personaggio.Che, nonostante non abbia mai fatto una rigadi pubblicità e non ami concedere né foto néinterviste, è comunque considerato il gioiellie-re più celebre al mondo.

La ragione è semplice, i 360 pezzi del Metro-politan, presentati nelle vetrine di un’alcova divelluto cremisi, più simile all’occulto acquariodi una Wunderkammer che alla sala di un mu-seo, parlano da soli. Oltre ad essere inarrivabili,per esecuzione e prezzo, le opere create da Jarin 35 anni di attività vanno oltre la normale as-serzione del termine gioiello, sono straordina-rie sculture naturali, indimenticabili creatureibride che splendono di luce propria e paionocuriosamente appartenere al mondo vegetale eanimale, all’arte e alla storia, alla vita e allamorte. E non solo. I suoi gioielli, dai più sem-plici ai più maestosi, sono realizzati con unatecnica rinascimentale così esasperata e osses-siva, che li rende unici e, quindi, inimitabili.

Composti da un infinito numero di pietremulticolori, preziose e meno preziose, antichee moderne, i suoi pezzi sfoggiano diamanti diogni misura, rubini scurissimi, ametiste, tor-maline, zaffiri, topazi, zirconi, opali e granati,pazientemente montati in oro, argento, bron-zo, alluminio e titanio, da artigiani che seguo-no alla lettera le esigenze del maestro.

Jar non disegna le sue opere, semplicementele crea. Avvalendosi di schizzi, modelli o sa-pienti gesti, che trasmette ed elabora con chilavora per lui. In questo modo, nella più asso-luta libertà di tempi e di modi, in ogni operariesce a infondere la sua arte, la passione per imateriali, per la natura e soprattutto per il bel-lo. Incurante delle regole, può montare dia-manti al contrario, ossidare il platino, nascon-dere pietre o sublimi lavorazioni dietro la clipdi un orecchino o una spilla per farle goderesolo a chi le possiede.

I suoi famosi pavé, detti tweed settings perl’incredibile morbidezza e varietà di tinte, sonocomposti da decine di migliaia di pietre colo-rate che creano effetti di luce singolari, simili aquelli delle tele di Seurat o Segantini. Ne fuconquistata anche Liz Taylor che riuscì, final-mente, a indossare orecchini luminosi e can-gianti come i suoi occhi. Utilizzando smalti, co-ralli, perle, conchiglie, legno o persino luttuosinastri grosgrain nero, Jar ha creato pezzi diver-sissimi tra loro eppure inconfondibili.

I suoi celebri fiori, colti nell’attimo fuggentedella fioritura, di un colpo di vento primaverileo di un raggio di sole autunnale, sfuggono dal-l’algido splendore delle gemme per acquistareuna nuova seducente vita. I boccioli di rosa o dialbicocco sono minuscoli capolavori di mine-rale bellezza; i delicatissimi fiori di salice, resida centinaia di minimi zaffiri gialli, aggrappatia un ramo di bronzo patinato e sospesi nel ven-to, sono un inno alla poesia del Sol Levante; ladecadenza di un immenso tulipano striato, inpavé di rubini, diamanti e zaffiri rosa, elegante-mente scomposto nella sua sfioritura, ricorda idettagli di una tavola fiamminga; mentre duesemplici petali di rosa, di ceruleo aspetto, sono

una coppia di orecchini in calcedonio di imba-razzante naturalezza; così come la grande ca-melia, dai petali screziati di madreperla rosa, ètalmente turgida e materica da parer di carne.

Oltre ai fiori, Jar ha creato animali dalle ori-gini antiche: elegantissime pecore dalle chio-me di perle, inquietanti serpenti che si snoda-no tempestati di diamanti e rubini, elefanti ezebre di agata dai pennacchi brillanti, sciami divariopinte farfalle dalle ali cangianti e un mi-nuscolo coniglio di micromosaico antico, po-sato su una croccante foglia di lattuga in pavédi granati verdi. È però impossibile scrivere deisuoi gioielli senza accennare a lui: genio amatoo odiato, considerato arrogante da chi non loconosce e timido da chi lo frequenta, scaltrostratega della sua immagine dai concorrenti ostrenuo difensore della sua privacy dagli amici,Joel Rosenthal è comunque un uomo che dasempre ha scelto di far parlare di sé. La sua cer-tezza nello stabilire senza pietà, e a giusto tito-lo, chi è degno di acquistare e indossare i suoigioielli, gli ha portato dei nemici, ma ha anchenutrito la sua fama di artista esclusivo.

Il suo negozio, aperto nel 1978 con il socio ecompagno Pierre Jeannet in un passaggio diPlace Vendôme a Parigi, è senza porte né vetri-ne, ha solo al centro una minuscola teca di vel-luto rosa, sempre vuota, dove al massimo èesposto un fiore o un oggetto d’arte, e mai ungioiello. I passanti o persino i potenziali clienti,cui è negato l’ingresso senza valida presenta-zione, possono accontentarsi di osservare concupidigia il campanello, un’incantevole came-lia dai pistilli dorati, fiorita come per caso sullostipite di una vetrina. Chi, come la maggiorparte dei mortali, non ha avuto la fortuna di os-servare dal vero le sue opere, potrà accedere alsuo magico mondo visitando la mostra di NewYork o sfogliando i due enormi volumi che rac-colgono le poche centinaia di pezzi unici rea-lizzati finora. Con una sola certezza, quella dinon dimenticarseli più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’appuntamento«Jewels by JAR», New York,

Metropolitan Museumof Art, dal 20 novembre

al 9 marzo 2014(Info Tel +1 212 57 03 951;

www.metmuseum.org),Catalogo Met/ University

Press, pp. 120, £ 25Le immagini

In alto, nella foto grande:«Butterfly Brooch» (1994,

zaffiri, opali, rubini, ametiste,diamanti, argento, oro).

Nelle foto piccole:il campanello a formadi camelia dell’atelier

parigino di Rosenthal e unodei rari ritratti del gioielliere

nato a New York nel 1943

i

Joel Arthur Rosenthal a Parigi seleziona i suoi clienti. E al Met espone 360 capolavori

L’alchimista dei gioielli

Jar crea pochissimi pezzi e si nascondeOra New York lo esalta come il più grandeda New York

GIOVANNA POLETTI

a cura di Chiara Pagani

Allestimento UUUUU

Rigore scientifico UUUUU

Catalogo UUUUU

L’asta di GinevraUna camelia di diamantivale 4 milioni di dollariDiciotto pezzi unici e la più grande collezione digioielli firmati da Jar mai andata all’asta,oltretutto per beneficenza: è successo il 14maggio a Ginevra dove Christie’s ha battutoper 11,5 milioni di dollari i diciotto gioielli creatida Jar per Lily Safra (nata in Brasile, sposata aun ricchissimo banchiere, a capo di una ventinadi charities), diciotto sui settanta che in totalehanno raggiunto 37,9 milioni di dollari. Jar liaveva creati solo per Mrs Safra (a sinistra,dall’alto: la spilla a forma di camelia (diamanti erubini, 1982) venduta per 4.319.591 dollari equella a forma di papavero (diamanti etormaline, 2003) battuta per 1.272. 245 dollari.

Page 20: la_lettura_20131124

20 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

PercorsiStorie, date, biografie, reportage, inchieste

Rompe la cappa del politicamente correttoe il bipolarismo tra risate di pancia e di testa

Checco Zalone, che liberazione!

Bilanci

di LUCA MASTRANTONIO

I l film Sole a catinelle di Gennaro Nun-ziante e Checco Zalone, oltre a supera-re ogni record al botteghino, sta met-tendo insieme fette di pubblico e dicritica lontanissime tra loro. Ha incas-

sato l’apprezzamento, controvoglia, anchedi Michele Serra; incarnazione di quella ra-dical-sciccheria che il comico pugliese hacorroso nell’acido esilarante del film:un’opera «anticonformista», ha scritto sul-l’«Espresso» Serra, arrivando a una conclu-sione che neanche una retrospettiva su Al-berto Sordi curata da Nanni Moretti avrebbepotuto produrre: «Se nel 2013 l’identità tra“ricchi” e “comunisti” è data per assodata efunziona come continuo innesco comico,qualcosa di piuttosto clamoroso è accaduto,negli ultimi anni della nostra vita sociale».

L’accadimento piuttosto clamoroso po-trebbe essere la bocciatura che la maggio-ranza degli italiani ha dato a chi, dopo la ca-duta del Muro, ha continuato a dirsi di sini-stra o, per nostalgia o provocazione, comu-nista, godendo di posizioni di rendita. Unaccadimento, anche filmico, non sfuggito aRenato Brunetta, che in Zalone riconosce la

filosofia anticomunista di Berlusconi: «Sia-mo prudenti nel dirlo perché non vorrem-mo iniziasse un boicottaggio», ha scritto sul«Mattinale» della rinata Forza Italia.

Miracolo numero uno: Serra fa autocriti-ca attraverso un film di destra. Miracolo nu-mero due: Brunetta si inibisce.

Poi ci si chiede com’è che Zalone sta sal-vando la stagione di una buona parte dellesale cinematografiche.

Bipolarismo comicoTorniamo alla domanda di Serra, appli-

candola alla comicità. Cos’è accaduto negliultimi anni? Il grande pubblico (o popolo)non si rispecchia più nei grandi racconti co-mici. La comicità s’è scissa, come il Paese,sul piano politico e sociale.

Semplifichiamo. A destra, le risate grasse,bonarie o volgari, di pancia, al cinema e intv, con il Bagaglino e Zelig, i Cinepanettoni ei Soliti idioti. Dall’altra, a sinistra, le risatinemagre, di testa, cattive e corrosive, complici,spesso cupe: a volte sottili, e brillanti, conNanni Moretti, a volte tristi e isteriche, conSabina Guzzanti e Daniele Luttazzi.

In mezzo, ovvio, c’è tutto un mondo, daitoscani Paolo Virzì, Giovanni Veronesi, Leo-nardo Pieraccioni, ai romani come CarloVerdone, fino ai milanesizzati Aldo, Giovan-ni e Giacomo, e la comicità non ancora arre-sa di Maurizio Crozza in tv.

Ma i poli attrattivi restano opposti: da unaparte il disimpegno, dall’altra la militanza,di là l’autoassoluzione, il condono, di qua lacondanna, senza redenzione.

Con Zalone queste due linee sono tornatea incontrarsi o, quantomeno, sono entratein contatto, sfiorandosi e costringendosi adialogare, a guardarsi. Lo testimonia la pre-

senza importante e consapevole (e imbaraz-zante per gli snob) di Marco Paolini, notoper narrazioni teatrali-televisive di grandeimpegno civile, che nel film interpreta unimprenditore senza scrupoli (viene punito).

Zalone è come se avesse tolto un doppiotappo: un blocco intestinale alla pancia de-gli italiani, che a Natale hanno mangiatotroppi cinepanettoni, e un blocco mentale,alla testa, di chi, per reazione alla trivializza-zione della politica, si è convinto che la buo-na politica sia il politicamente corretto (fon-te inesauribile di inneschi comici).

Non una rivoluzione, ma neanche una in-voluzione. Forse, semplicemente, una libe-razione, un esorcismo, una lavanda gastricaper un popolo intossicato da ideologie tra-sformatesi in antropologia.

L’avanspettacolo politicoIn questi anni la comicità, dilagando, è di-

ventata aliena a se stessa. Se tutto è diventatocomicità, satira, nulla lo è: dalla politica dabarzelletta al giornalismo spettacolare;mentre i comici hanno iniziato a fare con-troinformazione, persino politica.

Politici e comici in Italia si scambiano postoSatira e giornalismo si contaminano a fondo

In alto, a sinistra, Beppe Grillo(Luca Zennaro/Ansa).

Al centro, nei riquadri, in altoa sinistra e poi in senso

orario: Corrado Guzzanti in«Fascisti su Marte», Sabina

Guzzanti in «Le ragionidell’aragosta», Maurizio

Crozza truccato da «Crozzanel paese delle meraviglie»

e Marco Travaglio che fal’imitazione di Franco Battiato.

Nella foto grande, al centro.Checco Zalone che imita

Nichi Vendola.A destra: Anna Marchesini

(1953, un lungo sodalizio conTullio Solenghi e Massimo

Lopez) fotografatada Gianmarco Chieregato

i

CrepapelleSenza assolvere

o condannare raccontacon acida ilarità l’italiano

medio nell’Italia dove il cetomedio è «decresciuto»

SSS

Avvocato e scrittore, Ildefonso Falcones (1959, sposato, padre di quattro figli), vivea Barcellona. Ha esordito con il bestseller«La cattedrale del mare». Il suo nuovo romanzo «La regina scalza», appena pubblicato da Longanesi, narra l’amiciziadi due donne sullo sfondo della Spagnadel Settecento e della persecuzionedei gitani. Da oggi su Twitter consiglia un libro al giorno sull’account @la_Lettura

Ildefonso Falcones è il #twitterguest

Page 21: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 21

ta, spadroneggia e lo umilia; a rincarare la dose la vecchiamadre di Mattia ridotta in miseria sola e malata va a viverecon loro, terrorizzata dal dare disturbo rimane ferma tuttoil giorno rincantucciata vicino al fuoco. Dunque la situazio-ne è al culmine, la suocera vedova Pescatore sta impastan-do il pane, si spalanca la porta, entra Zia Scolastica venuta ariprendersi la vecchia sorella, armata di un piglio che inne-sca la miccia: «La scena che ne segue — dice l’autore —merita di essere rappresentata».

Ecco all’incirca come andò. «”Subito, via, vèstiti! Verraicon me”. Parlava a scatti. Il naso adunco, fiero, nella facciabruna, itterica, le fremeva, gli occhi sfavillavano. La vedovaPescatore, zitta. Finito di abburattare, intrisa la farina e coa-gulatala in pasta, ora essa la brandiva alta e la sbatteva forteapposta, sulla madia: rispondeva così a quel che diceva lazia. Questa, allora, rincarò la dose. E quella, sbattendo piùforte: “Ma sì! Ma certo! Ma come no? Ma sicuramente!”.Poi, come se non bastasse, andò a prendere il matterello ese lo pose lì accanto come per dire: ci ho anche questo. Nonl’avesse mai fatto! Zia Scolastica si tolse furiosamente loscialletto e lo lanciò a mia madre: “Via subito!”. E andò a

piantarsi di faccia alla ve-dova Pescatore. Questa sitirò indietro minacciosacome volesse brandire ilmatterello; e allora ZiaScolastica, preso a due ma-ni il grosso batuffolo dellapasta, gliel’appiastrò sulcapo, glielo tirò giù su lafaccia e, a pugni chiusi, làlà là, sul naso sugli occhi inbocca dove coglieva coglie-va. Quindi afferrò per unbraccio mia madre e se latrascinò via. Quel che seguìfu per me solo. La vedovaPescatore, ruggendo dallarabbia si strappò la pastadalla faccia, dai capelli tut-ti appiastricciati e venne abuttarla in faccia a me cheridevo, ridevo in una spe-cie di convulsione; m’affer-rò la barba, mi sgraffiò tut-to poi come impazzita, sibuttò per terra e cominciòa strapparsi le vesti addos-so, a rotolarsi, a rotolarsi,frenetica, sul pavimento;mia moglie intanto recevadi là, tra acutissime strida,mentr’io: “Le gambe! Legambe!” gridavo alla vedo-va Pescatore per terra.

“Non mi mostrate le gambe per carità!”. Posso dire che daallora ho fatto il gusto a ridere di tutte le mie sciagure ed’ogni mio tormento. Mi vidi, in quell’istante, attore d’unatragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare:mia madre, scappata via, così, con quella matta; mia mo-glie, di là , che... lasciamola stare! Marianna Pescatore lì perterra e io, io che non avevo più pane, quel che si dice pane,per il giorno appresso, io con la barba tutta impastocchiata,il viso graffiato, grondante non sapevo ancora se di sangueo di lagrime, per il troppo ridere. Andai ad accertarmeneallo specchio. Erano lagrime; ma ero anche sgraffiato bene.Ah quel mio occhio (strabico), in quel momento, quantomi piacque! Per disperato, mi s’era messo a guardare piùche mai altrove, altrove per conto suo».

Eccolo, eccolo il senso profondo della natura del Comi-co! Niente a che vedere con il ridicolo, il buffo, l’intratteni-mento spiritoso, la barzelletta, lo sberleffo e la parolaccia,l’invettiva contro i falsi padroni, lo sfottò, i vaffa e gli am-miccamenti volgari: esempi moderni di bullismo linguisti-co ispirati da una osservazione superficiale prêt-à-porter.Che meraviglia! L’autore affonda dentro un dramma, ne af-ferra il contenuto e lo trasforma, gli fa fare una capriola, unsalto mortale carpiato fino a riuscire a restituirgli il sensocomico del tragico: quello che sta sotto, sotto, sotto la gon-na! Che spessore ciccioso!

Mi rendo conto che ho parlato con la testa voltata all’in-dietro, ho parlato al passato. Forse i giganti sono scomparsie tutto quello che per me è stella polare si è estinto; ma ionon mi arrendo, continuo a tenere la mia fiaccola accesa,anche se intorno molte luci si sono spente; io non mi rasse-gno e continuo a leggere, a scrivere a studiare a raccontarele mie storie in teatro, perché la Vita mi vive dentro così in-tensamente come fossi sempre gravida (caruccia!). E ionon posso fare a meno di rischiare di sporgermi oltre ilbordo che affaccia sull’abisso.

Mi sento plurale e più penso e più sento e più sento e piùogni cosa dentro di me diventa un paesaggio. Tengo la fiac-cola accesa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’omaggio a Luigi Pirandelloe Tino Buazzelli

Basta bullismo linguisticoperché ridere è una cosa seria

L’intervento

di ANNA MARCHESINI

I l settimo giorno Dio riposò. E rise, tanto, rise per tuttoquello che aveva combinato traendo dal caos un mon-do così perfettino che per forza a qualcuno sarebbe ve-nuta la tentazione di sfasciarlo. Diavolo e acqua santainsieme, una miscela irresistibile. Infatti egli rise, rise

e ride ancora.Era facile ridere, una volta. Da piccola ridevo quando

guardavo in tv gli spettacoli teatrali con Gilberto Govi, nonsempre capivo ma ridevo, così ridevo con i De Filippo, conRina Morelli, Sara Ferrati e Ave Ninchi nelle Sorelle Mate-rassi; ho riso quando la tv era in bianco e nero e non cono-scevo il teatro; anche il babbo rideva, rideva così tanto e co-sì forte che insorgevamo tutte: io e mia sorella e la mammaper intimargli uno shhh! — non volevamo perdere il filo diquei racconti, neanche un gesto di quel ricamo prodigioso,di quella costruzione magistrale di una trama in cui unsemplice accidente o un equivoco si trasformava in un gua-io paradossale, innescava una serie compulsiva di inciden-ti, inciampi, sottintesi, malintesi, sorprese, colpi di scena,strategie riparatorie, intonate, urlate e poi soffocate inquella miriade di squittii-ciarle-botte-e-riposte, pause te-nute ad arte e poi sbuffi lasciati andare dentro quella musi-ca di bassi e alti, di battere e levare, di sussurri e urla dentroquella esagitata iperrealtà più vera della realtà, perché queicomici possedevano l’arte — il dono — di dire la verità, sudi noi.

C’è una data a cui risale il mio primo incontro carnalecon il comico. Allieva dell’accademia, fui scelta per una pic-cola parte nello spettacolo Il borghese gentiluomo allestitonell’anfiteatro di Pompei e interpretato da Tino Buazzelli. Equi ci starebbe un «non ci sono parole»; invece io vogliotrovarle le parole, per descrivere la forza la potenza espres-siva la grandezza il talento che ho visto sprigionare da quelcorpone sedentario e in affanno durante il giorno, eppurecosì forte, così efficace, così feroce in palcoscenico. Ognisera restavo dietro le quinte non per guardarlo, ma perchénon potevo fare a meno di farlo. Interpretava un borghesegrossolano cafone cialtrone sgrammaticato e borioso chesi mette in testa di diventare un aristocratico dai modi ele-ganti, conoscitore di musica e danza. Usava il suo corpomettendo in scena un insignificante ammasso di grassoflaccido dall’aspetto bovino, sonnolento e lamentoso, unaspecie di mobilio ingombrante, un bradipo cui lui stesso siatteggiava; alla fine delle lezioni di raffineria, ballo, canto,portamento e dizione, veniva sottoposto a una sfilata. At-traversava il palcoscenico tutto parato a festa con la giaccainfiocchettata e piena di nastri, la camicia con le rouches,un parruccone bianco in testa pieno di boccoli, due codazzidi cannoli che sventagliavano schiaffeggiandolo, i calzetto-ni bianchi e le scarpe con i tacchi; sbuffava con goffa e ina-deguata disinvoltura, si guardava attorno feroce e presun-tuoso sbruffone e gabellato, zimbello lui di se stesso; sem-brava una fiera ambulante, il camion dei giocattoli e casa-linghi, sembrava un bue sui tacchi; anzi non «sembrava»,era proprio quello che voleva diventare. Si trascinava uncorpo carico di significati, era lui stesso la fiera delle vanità.

Dentro, dentro la parte, ogni sera raccontava con tutto ilcorpo, sudava, la sua voce tuonava nell’anfiteatro. Quelloche mi incantava era che mentre raccontava la storia, lui di-ventava la storia, l’anima, il motore, la locomotiva; mostra-va a noi (parti piccole e senza battute) la Terra dei Giganti eio mi rendevo conto di quanto in alto si potesse arrivare.

Una sera in una scena in cui litigava con la moglie duran-te la cena, lo scontro cresceva insieme agli insulti; al culmi-ne dell’esasperazione lei gli urla in faccia: «bifolco!» e poiesce di scena. Fu tutt’ uno, Buazzelli si guardò intorno e poile lanciò dietro una bistecca di plastica e la beccò pure intesta. Il personaggio agiva per lui. Bello, carnale , riusciva afar raccontare la sua furia pure alle narici, pure con le ma-scelle che faceva traballare agitandosi; sembrava un toroche caricasse e contemporaneamente i suoi occhi eranoquelli di un uomo malinconico e perdente. Era un vero pae-saggio. Un talento comico privo di narcisismo. Del resto iltalento è il contrario del narcisismo, che è autoreferenziale.Il talento è il prodotto di una sorta di intelligenza moraleche spinge a fare bene le cose per se stesse.

Ecco, a questo penso quando penso al comico, penso al-la scrittura di alcuni testi di Pirandello, penso alle Cosmico-miche di Calvino, a Palazzeschi. Nutro particolare ammira-zione per Pirandello, autore di sottosuolo che racconta l’in-dicibile, squarcia la retorica; come scriveva egli stesso,l’umorismo è un modo di vedere le cose attraverso chissàquale occhio che vede il corpo e la sua ombra, la realtà e ilsuo doppio. La retorica si veste al guardaroba della conven-zione, l’umorismo svela, scopre, affonda l’ispirazione nelprofondo delle storie, delle vite di tutti noi, acchiappa ilsenso invisibile e ingiudicabile; il viaggio di un intronautasolo, e poi lo riporta a galla e scopre e rivela il ridicolo deltragico e il tragico del ridicolo. Altro che superficiale. Altroche facile, il Comico.

Ho in mente tante pagine dell’irresistibile Il fu MattiaPascal. La situazione in cui ci immergiamo è quella di ungiovane uomo, Mattia, infognato in una vita che non avreb-be voluto — orfano di padre, derubato dell’eredità, senzalavoro, costretto a vivere con la suocera, madre della ragaz-za che ha messo incinta per procura di un amico che nonaveva il coraggio di corteggiarla. La suocera non lo soppor-

Re e giullari si sono cambiati di posto.Battute e barzellette sono state per Silvio

Berlusconi strumenti di controllo del con-senso e diversivi mediatici nei momenti dif-ficili (analizzata ne Il Re che ride di SimoneBarillari, Marsilio, 2010), ben oltre il gustodell’aforisma fulminante di Giulio Andreot-ti, gli epiteti di Francesco Cossiga, le stiletta-te di Massimo D’Alema.

Stessa strada, nel senso opposto, l’ha pre-sa Beppe Grillo, i cui spettacoli teatrali dacomico sono stati il prologo della salita sulpalco dell’avanspettacolo politico.

La reversibilità comicità-politica è benrappresentata da Roberto Benigni: nel 1984prendeva in braccio Enrico Berlinguer, lea-der Pci e profeta della questione morale; nel2007, si faceva prendere in braccio dal post-democristiano Clemente Mastella (remake,sequel o parodia?). Benigni che, dopo la Vitaè bella (1997), ha lasciato il caldo e miasma-tico inferno della sua comicità più ruspante,poeticamente volgare, dell’Inno del corposciolto, per ritrovarsi nei Paradisi di marza-pane dell’amore, impegnato a cantare la bel-lezza della Costituzione.

Eugenio Scalfari, pochi giorni fa, ha ricor-dato di vedere benissimo Benigni come suc-cessore di Giorgio Napolitano. Sul Colle piùalto, dove Grillo voleva, invece, Dario Fo, ilgiullare da Nobel.

Questa Italia della comicità impegnatasembra una Repubblica di Platone re-inter-pretata da Aristofane.

L’info-satira dei comicronistiNella guerriglia mediatica e politica di

questi venti anni, in particolare nella secon-da metà, i comici con più senso del dovere, ildover far ridere in maniera originale, hannocentellinato le loro presenze (Corrado Guz-zanti); altri sono stati costretti al silenzioprima dagli editti bulgari e poi dal web chene ha stanato i prestiti non dichiarati (Da-niele Luttazzi); altri ancora, meno ispirati,sono diventati profeti dell’insulto, docu-mentaristi cupi (Sabina Guzzanti), quasi asvolgere un ruolo di supplenza informativa(un po’ come i magistrati che sono scesi inpolitica). Anche perché il comico, rispetto algiornalista, fa più rumore se viene censura-to, tacitato. Perché la libertà di espressione èconsiderata più importante di quella d’in-formazione.

A confondere ulteriormente le cose, il re-gistro comico-grottesco è stato praticato damolti giornalisti, di sinistra e di destra — dai

berlusconiani come Emilio Fede ai giustizia-listi come Marco Travaglio, fino all’anarchi-co Giuseppe Cruciani, che con la Zanzara hatrasformato scherzi telefonici in controversiscoop dai pesanti effetti politici. Fede e Tra-vaglio eccellono nell’arte praticata anche daGrillo (e stigmatizzata da Francesco Merlosu «Repubblica») di storpiare i nomi. Corra-do Guzzanti li chiama «comicronisti».

La parabola di Travaglio, che nel 2007 haritirato il premio di Satira Forte dei Marmi, èsignificativa. È mediaticamente nato pre-sentando L’odore dei soldi nel 2001 in tv, aSatyricon, dove Daniele Luttazzi impallidivanel vederlo ridere compiaciuto mentre par-lava di legami tra Berlusconi e le stragi dimafia. Poi, alla vigilia delle elezioni del 2013,durante Servizio Pubblico di Michele Santo-ro, si è esibito in un siparietto con Silvio Ber-lusconi, che ha spolverato la sedia condivisacon il suo inquisitore. Un colpo di fazzolettoche ha rivelato l’essenza del canovaccio co-mico.

Umorismo liberatorioLa comicità di Nunziante e Zalone, piac-

cia o meno, è già fuori dalle ideologie antro-pologiche di questo ventennio, perché le hadestrutturate tutte o quasi, come ha analiz-zato Christian Raimo sul blog «mini-ma&moralia», attingendo al meglio dellatradizione alta e bassa della recente comicitàitaliana. Assomiglia all’umorismo di cui par-lava un secolo fa Luigi Pirandello, incarnatoalla perfezione da Paolo Villaggio con Fan-tozzi (del 1968): l’umorismo è il sentimentodel contrario, vedere che le cose e le personesono l’opposto di quello che dovrebbero,vorrebbero essere; ma empatizzare, non li-mitarsi a condannare con ipocrisia somma(al comico vero non può essere alieno nientedi umano).

Siamo dalle parti di certe commedie catti-ve di Alberto Sordi, di Cetto Laqualunque diAntonio Albanese e, in maniera embrionale,di certi lavori di Maccio Capatonda. Zaloneincarna oggi l’italiano medio dopo la finedel ceto medio, un italiano incattivito sulpiano morale e «decresciuto» sul piano eco-nomico. In un Paese dove a destra c’è chivuole ancora vendere l’illusione del benes-sere per tutti, mentre a sinistra qualcunoparla della felicità della decrescita.

Le risate innescate da Nunziante-Zalonesmascherano entrambe le bugie.

criticalmastra© RIPRODUZIONE RISERVATA

ANNA MARCHESINIMoscerine

RIZZOLIPagine 252,e 17

i

Page 22: la_lettura_20131124

22 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

Percorsi Controcopertina

La musica sega le sbarrePorto in carcere quattro «stazioni»per educare all’ascolto e dare sollievodi FRANCO MUSSIDA

«Non sparate sul piani-sta»: la scritta cam-peggiava nei saloonwestern del cinemamuto mentre im-perversava la guerri-glia tra bande di pi-

stoleri. Ceffoni, pistole nascoste sotto gli imper-meabili, risse e sberloni erano di casa anche neinight milanesi e torinesi dei primi anni Sessanta,dove i Turatello e i Saccà gestivano bische, spac-cio e prostituzione. Non c’era più il cartello, machi stava nel mezzo, tra il padrone della fabbri-chetta brianzola e i cosiddetti balordi, erano imusicisti. Come i medici, noi abbiamo una sortadi «passaporto per due mondi»: facciamo unmestiere che ci lega all’intimità delle persone, aprescindere. Gino Paoli è uomo navigato, questecose le sa. Ci incontrammo nel ‘93 nel carcere diPoggioreale, lui senatore e io educatore con lachitarra. Appena eletto presidente della Siae miha chiesto di immaginare un’attività che coinvol-gesse le carceri. Pensavo di non ritornarci più.Molto tempo fa avevo frequentato per quasi 15anni San Vittore, Opera e le comunità di recupe-ro. Vi avevo rivisto alcuni di quei ragazzi che michiedevano Gimme Some Lovin’. Ma eravamo or-mai su sponde opposte. Non portavo la chitarra

quattro carceri italiane — tre maschili e unofemminile — quattro Stazioni per l’«ascolto edu-cato della musica». Dieci postazioni dotate di unsoftware elaborato con l’aiuto di psicologi e mu-sicisti, attraverso cui avviare un dialogo privato,che aiuti a definire l’umore del momento per col-legarlo alla musica più giusta per rappresentarlo.Brani selezionati da musicisti e da fini ascoltatoriche disporranno di una griglia per catalogarli inbase a difficoltà di ascolto, poteri emozionali edevocativi prevalenti. Così organizzati, i brani co-stituiranno uno strumento per rispecchiarsi inti-mamente. Alla ricerca di sentimenti che si vor-rebbero provare (ma sono sepolti) o per allonta-narsi da angosce che mordono il cuore.

Lo scopo di questo progetto non è solo quellodi offrire un sollievo immediato, ma un percorsodi educazione ai suoni svolto ogni settimana checoinvolgerà decine di musicisti. Avranno il com-pito di presentare brani e strumenti come fontid’emozione, legare l’ascolto della musica al-l’ascolto di se stessi, guardando in faccia anche leproprie antipatie, partendo da quelle provocateda generi non affini alla propria cultura. Un per-corso di confronto e conoscenza in cui i musici-sti condurranno a composizioni dai contenutiemozionali identici pur con forme diverse.

La malinconia evocata da una ballad dei Me-

per suonare Black Is Black o Turn! Turn! Turn!dei Byrds, ma per aiutare i tossici a riappropriarsidei loro sentimenti. Loro avevano vent’anni dascontare, e i loro sentimenti stavano rinchiusichissà dove.

La proposta giunta ora mi è parsa un segno. Lafine del mio libro La musica ignorata (Skira,2013) tratta degli effetti della musica e terminacon la descrizione di una sperimentazione sulpotere oggettivo di alcuni intervalli. Ho immagi-nato che il finale del libro potesse essere un nuo-vo inizio, così ho steso «CO2». Si tratta di un pro-getto sperimentale che vuole comprovare l’utili-tà della musica per il sistema emozionale dellepersone. Un progetto che, grazie all’organizza-zione curata dal Cpm Music Institute, porta in

Dei dirittie delle pene

Il progetto CO2Il chitarrista e didattaFranco Mussida lanciaun esperimento che parteda brani selezionatida artisti a disposizionedei detenuti: un percorsodi tre anni che comprendeProkofiev e Morricone,Piovani e Rota, Wagner,Mahler e David Gilmour

L’anidride carbonica dell’animaDa Opera a Secondiglianotre anni di note e formazioneIl progetto CO2 («Studio degli effetti di ascolto guidato ededucato alla musica sulla sfera emozionale dellapersona»), ideato da Franco Mussida e organizzato dalCpm Music Institute, è finanziato dalla Siae, di cui èpresidente Gino Paoli. «CO2- Controllare l’odio» nasce dauna metafora: «L’uomo emette di giorno, come le piantedi notte, un suo invisibile veleno, un’anidride carbonica(CO2) fatta dei peggiori umori e sentimenti spessorepressi», spiega Mussida. Ha una durata triennale apartire da questo mese e prevede gruppi di lavoro inquattro carceri: Monza, Opera (Milano) e Secondigliano(Napoli), reparti media sicurezza, e la sezione femminiledi Rebibbia (Roma). Dieci detenuti effettuano lasperimentazione, mentre sono previsti un’audioteca perla consultazione libera a tutti, corsi di formazione perl’uso autonomo del software e corsi di ascolto educatoalla musica con un musicista (due ore a settimana). Sonocoinvolti 25 musicisti, il programmatore che ha messo apunto hardware e software, alcuni psicologi, educatori.

Il programmaOgni impianto avrà dieci

postazioni. Le composizioniproposte cercheranno di

intercettare lo stato d’animodi chi passa l’esistenza in cella

SSS

Page 23: la_lettura_20131124

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 23

«The Metaflora Portfolio: un viaggio alla scopertadell’aura» è la mostra di Walter Chappell (1925-2000) all’ex ospedale Sant’Agostino di Modena fino al 2 febbraio. Ventitré immagini create in camera oscura sperimentando

l’elettrofotografia: alta tensione elettrica applicata a soggetti botanici collocati sulla pellicola. Lui la spiegava così: «Non c’è bisogno di una macchina fotografica: è sufficiente la fine sensibilità della mente umana».

Chappell: foto elettriche, non fotoelettriche

{Scatti flessibilidi Fabrizio Villa

tallica è esattamente quella che vive una signorache ascolta un Notturno di Chopin, o che escedalle corde di tanti assoli di David Gilmour oMark Knopfler, e da tutto il mondo del blues.Quella che vive anche nei portamenti espressivijazzistici delle note della tromba di Chet Baker, onei toni più delicati e struggenti dell’Adagetto diMahler; nelle musiche di Morricone per C’erauna volta in America, in quelle di Piovani e di Ro-ta. Ma non c’è solo la malinconia, c’è tutta lagamma dei nostri sentimenti: immensi territorida frequentare con cui confrontarsi. C’è da fareun pieno di energie senza bisogno di allenarsicorrendo per chilometri, ascoltando Hendrix,Weather Report o il Giulietta e Romeo di Proko-fiev, Wagner. C’è da confrontarsi con le propriediverse inquietudini facendosi guidare dalla de-licatezza di Monk, o ascoltando la colonna sono-ra che Piersanti ha scritto per il CommissarioMontalbano. O rilassarsi, consolarsi con la musi-ca di tante etnie, magari dall’India.

Si partirà con un’analisi dei temperamentimusicali prevalenti delle quaranta persone im-pegnate nella sperimentazione e dai loro gusti.Ci aspettiamo tanto pop, neomelodici, tutto ciòche è nazionalpopolare. Ciascuno dei detenutiavrà compiti settimanali da fare; ascoltare musi-ca strumentale provando a descriverne il conte-nuto. Si terrà traccia del singolo percorso diascolto, di aree e generi più frequentati, di varia-zioni del gusto; una sperimentazione che dureràtre anni.

Per tanti che stanno lì dentro, all’interno distrutture con decine di porte di ferro che separa-no fisicamente dal naturale fluire della vita, c’è

una cosa che chi sta fuori ha sempre meno: iltempo. Lì dentro è impossibile respirare l’ariadei boschi, dei giardini, farsi bagnare la facciadalla pioggia, ritemprarsi fiduciosi al sole; lì den-tro si respira solo l’alito del compagno, del vici-no, carico dei suoi odori e dei suoi dolori. Lì den-tro si coltiva una sorta di CO2 emotivo fatto di ri-sentimento e di odio.

L’esperienza mi fa dire che il ravvedimentonon passa solo attraverso un processo di elabo-razione intellettuale. L’intelletto — grandeorientatore e organizzatore di pensieri — può fa-re poco contro la forza delle emozioni e dei sen-timenti, contro le tempeste emotive che lì si sof-focano, che represse formano una grandineemozionale che devasta l’interiorità delle perso-ne, uccidendo i germogli di positività che diri-genti, operatori, volontari cercano di far loro col-tivare. La meteorologia dell’anima nelle celle so-vraffollate è una scienza necessaria. I meteorolo-gi possono solo avvisare dei fenomeni senzapoterli controllare; non siamo in grado di preve-nire siccità e devastazioni agendo sui flussi di ca-lore che interessano acqua e aria.

Chi fa musica è in grado, anche se spesso lo fain modo inconsapevole, di orientare flussi di ca-lore e di freddezza, di generare simpatia o anti-patia utilizzando l’arte dei suoni. Riflettere il pro-prio stato d’animo abbinandolo perfettamente auna musica, significa far vivere i sentimentiguardandoli in faccia, farli uscire, volare oltrel’invisibile gabbia antidolore che in cella ciascu-no si costruisce, di nascosto l’uno dall’altro. Si-gnifica poter godere di un sole possibile, del ca-lore che può dare una musica consolatoria. Il ve-ro lavoro del musicista non è solo quello di fardivertire il pubblico, ma di orientarne lo statod’animo. Il suo vero lavoro è quello del «meteo-rologo dell’umore». Per creare queste correnti siaffida ai poteri del mondo vibrante, che lui viveinteriormente come li vive l’ascoltatore.

La musica sa quello che deve fare. Siamo noiche ormai non glielo facciamo più fare. La musi-ca continua a essere un ethos come lo era nellaGrecia antica: è suono organizzato in grado dieducare il nostro sentire, renderci percepibileciò che sta intorno alla nostra individualità, invi-sibile essere emozionale. Ma per educarci, perconsolarci davvero, ha bisogno di tempo: ci ri-chiede tempo. E noi raramente siamo in grado didarglielo. Possiamo offrirle un tempo a mezzoservizio, multitasking, lasciandola lavorare disponda mentre si fa altro. L’ascolto attivo dellamusica registrata che si lega al ricordo, prevede ilnon pensare, l’abbandonarsi al suono. Così essapuò entrare, e lavorando finemente attraverso ipoteri di un mondo che vibra è in grado, senzabisogno di parole o immagini, di compiere il mi-racolo di farci cambiare di stato.

Chiederemo a tanti musicisti, anche ad alcunidi quelli che ho citato, di collaborare alla creazio-ne dell’audioteca interna alle Stazioni, che inogni caso rimarrà disponibile per tutti come unanormale biblioteca. Ogni composizione selezio-nata, si porterà quindi dietro oltre a titolo e com-positore, anche il nome del musicista o di chil’ha segnalata. Un modo per legare il fuori e ildentro; sensibilità libere e sensibilità rinchiuse aquel mondo che ci lega tutti, l’immenso comuneoceano emozionale che costituisce il cuore verodella nostra esistenza, quello che dà senso allaparola Umanità.

Verranno ricavati dati che ci auguriamo possa-no configurare un uso diverso della musica comestrumento da lasciare in custodia al ministerodella Giustizia. Una musica che smette di esseresolo intrattenimento ed esibizione, che si ripren-de la sua identità. Se poeticamente ci si può az-zardare a dire che anche l’uomo ha le sue ali, eche queste sono fatte di musica, quelli sono dav-vero i luoghi più adatti per fare addestramento alvolo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SSSUna copertinaun artista

La cosmogonia di Cucchi«Giù la piazza nessuno»:parole poetiche cheevocano un’immaginemetafisica, uno sguardolontano, eppure dentro lecose del mondo. Anzi, incondivisione con i destinidi tante esistenze.

Proprio con queste parole visionarieEnzo Cucchi accompagna il «Trittico»della nostra copertina, un’opera cheriassume sia la sua personalecosmogonia (che lui intende, incontrasto con il significato etimologico di«origine del cosmo», come un ironicogioco di parole che mette insieme cosmoe agonia) sia il mistero della realtàpersonificato dai tre gatti (animali ricchidi simbologie esoteriche) presenti alleestremità dell’opera. Enzo Cucchi (Morrod’Alba, 1949), protagonista della grandestagione della Transavanguardia, è unodegli artisti italiani più affermati nelpanorama internazionale. La sua è unapittura densa di materia, che evoca lagrande tradizione e che rilegge il temadel mito ancorandolo al nostro presente,in una dimensione in cui il tempo restasempre sospeso. Proprio come in quellapiazza lontana, laggiù, abitata solo dalmistero del nostro vivere. (gianluigi colin)

Supplemento culturale del Corriere della Seradel 24 novembre - Anno 3 - N. 46 (#105)

Direttore responsabile Ferruccio de BortoliCondirettoreVicedirettori

Luciano FontanaAntonio MacalusoDaniele MancaGiangiacomo SchiaviBarbara Stefanelli

Supplemento a curadella Redazione cultura Antonio Troiano

Pierenrico RattoStefano BucciAntonio CariotiSerena DannaMarco Del CoronaDario FertilioCinzia FioriLuca MastrantonioPierluigi PanzaCristina Taglietti

Art director Gianluigi Colin

© 2013 RCS MediaGroup S.p.A. Divisione QuotidianiSede legale: via A. Rizzoli, 8 - MilanoRegistrazione Tribunale di Milano n. 505 del 13 ottobre 2011REDAZIONE e TIPOGRAFIA:Via Solferino, 28 - 20121 Milano - Tel. 02-62821RCS MediaGroup S.p.A. Divisione PubblicitàVia A. Rizzoli, 8 - 20132 Milano - Tel. 02-25841© COPYRIGHT RCS MediaGroup S.p.A. Divisione QuotidianiTutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo prodotto puòessere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali.Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge.

Vorrei offrireemozioni libere

Il presidente della Siae

di GINO PAOLI

F accio il comandante di questo Enteimportante per autori ed editori da pochimesi. Le eredità sono quelle che sono.

L’orientamento ora dipende da chi haresponsabilità e ruoli. I primi cento giorni di ungoverno segnano la sua identità. Le nostreintenzioni dichiarate, le azioni dei primi mesivogliono fare la stessa cosa. Stiamo immaginandouna Siae più utile, aperta e onesta; che non difenda,ma promuova la tutela dell’opera d’ingegno, sappiaporsi obiettivi con peso specifico culturale più alti,portare valori forti in questo scoppiettante mondodigitale in cui è difficile tutelare gli autori. Occuparcidel riconoscimento della figura e dell’autore delmusicista; favorire momenti e spazi di promozioneper una maggiore diffusione della Musica dal vivo.Una delle prime azioni punta sulla trasversalitàdella musica, sulla sua capacità di unire, di far starmeglio la gente. Ho chiesto a Franco Mussida —persona che stimo per ciò che ha fatto e fa per igiovani attraverso il Cpm Music Institute, una veraeccellenza, e per la sua lunga esperienza vissutanelle carceri Italiane — di presentarci un progettoche coinvolgesse i luoghi di reclusione. Ne hapresentato uno che ci stimola e ci coinvolgepienamente anche con il cuore. Unirà musicisti,editori, autori e soprattutto ascoltatori. Donne euomini che in questo momento non sono liberifisicamente, ma potranno esserlo almenoemozionalmente, grazie a un uso ancora piùconsapevole della musica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ILLUSTRAZIONE DI ANTONELLO SILVERINIA sinistra: Franco Mussida (foto Stefano Mazzeo).Sotto: Gino Paoli. Il logo è opera di Mimmo Paladino

RepertorioNon ci saranno confini di

generi, perché la malinconiache a uno può trasmettere

una ballata dei Metallica,per un altro si trova in Chopin

SSS

Page 24: la_lettura_20131124

24 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013