mondo ies n8

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Periodico del Villaggio della Salute

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Page 1: Mondo ies n8
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MONDO IES

IL

SOMMARI

O

2

4 L’EDITORIALE di Martina Fusco

8 Città meno inquinate grazie al verde urbano di Alessandro Miani

18 L’Accademia dell’anguria di Angelo Consoli

22 Civita di Bagnoregio, bellezza in bilico di Manuela Pozzi

24 La riscoperta del “pesce povero”: il pesce azzurro delle Marche di Giuseppe Canducci

26 Il Cammino di San Tommaso di Clara Labrozzi

28 La Via di San Benedetto di Claudia Bettiol

30 Scoprire il mondo pedalando di Simone Fattori

Pag. 10

Pag. 14

Pag. 5

L’ENERGIA DEL MARE

TRASPORTO PUBBLICO

A IMPATTO ZERO

LA CITTÀ

DEL FUTURO

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IL

SOMMARI

O

IMPRENDITORIA ETICA SOSTENIBILE

3

Pag. 1048 SEMI PAZZI PER UGO di Ugo Pazzi

50 LA SALUTE VIEN MANGIANDO di Giovanna Corona 52 LE NEWS

54 LA CIPOLLEIDE di Alessandro Cives

MONDO IESPeriodico del Villaggio della Salute

Autorizzazione Tribunale di Roma

N° 264/2014 del 27 novembre 2014

PROPRIETA’Villaggio della Salute S.r.l.

Via Francesco Gentile, 135 – 00173 Roma

DIRETTORE RESPONSABILE Martina Fusco

REDAZIONEAngelo Campus, Giovanna Corona,

Ugo Pazzi, Manuela Pozzi

COLLABORATORILisa Bellocchi, Claudia Bettiol, Giuseppe Canducci, Gianluca

Carrabs, Alessandro Cives, Angelo Consoli, Alberto Esterini,

Simone Fattori, Clara Labrozzi, Idamaria Marini,

Alessandro Miani, Claudia Minenna, Davide Salvia

PROGETTO, GRAFICAe IMPAGINAZIONE

Rachele Messina

STAMPAA&G Comunicazione e Stampa S.r.L.

Via Francesco Gentile ,135 - 00173 Roma

CONTATTITel. +39 06.83.20.64.37 numero verde 800.50.89.79

[email protected]

36 Il fantastico mondo delle spezie di Idamaria Marini

40 Condividere per evitare gli sprechi di Martina Fusco

43 Spreco Zero di Lisa Bellocchi

46 Il picnic eco riciclato è servito di Rachele Messina

Pag. 32

Pag. 38

Pag. 5

AlbertoChefEsterini

QUANDO IL CIBO È

UN’OSSESSIONE

LA CITTÀ

DEL FUTURO

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MONDO IES

L’

EDITORIALE

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Martina FuscoDirettore Responsabile

Riponiamo i cappotti, scacciamo la pigrizia e approfi ttiamo della bella stagione per immergerci nei profumi, nei colori e nei sapori del territorio. Un’occasione per riappropriarci di un modo di vivere più in sintonia con la natura, i suoi ritmi e le sue leggi, ma anche per riscoprire sapori e saperi legati ad antiche tradizioni. Prodotti che rendono ricco e unico il nostro Paese.

Le possibilità sono infi nite: una gita fuori porta, ma anche nel territorio nel quale viviamo, un’escursione in bicicletta, fi no ad arrivare a intraprendere un vero e proprio viaggio a piedi. Cammini religiosi, naturalistici e spirituali che possono darci l’opportunità di scoprire territori ancora incontaminati della nostra penisola, ma anche di conoscere meglio noi stessi. Percorsi fi sici, ma anche interiori, dove a essere importante non è la meta fi nale, ma il viaggio stesso. Un percorso per liberarsi delle abitudini errate e dallo stress quotidiano, spesso causato dall’ambiente poco salubre nel quale siamo costretti a vivere e dai ritmi di vita frenetici e ansiogeni che la vita moderna ci impone.

Albert Einstein affermava: “L’uomo ha scoperto la bomba atomica, però nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi”. Una frase che ci fa capire quanto l’uomo nella sua evoluzione tecnologica e culturale si sia lasciato sedurre dal potere e dalla possibilità di dominare sul mondo, trascurando la sostenibilità e dimenticando l’etica. La conseguenza è una società dominata da inquinamento, guerre, fame e sfruttamento. Un modello da rifi utare per abbracciare un percorso più sostenibile. Un cambiamento che deve partire da noi, dalle piccole scelte che ogni giorno facciamo: prendere l’automobile o andare a piedi, scegliere la frutta di stagione e del territorio o insistere con i prodotti coltivati in serra e provenienti da altri Paesi, selezionare il fornitore energetico in base al solo prezzo o prediligere chi produce energia da fonti rinnovabili. Piccole, ma importanti, decisioni che avranno una ricaduta positiva sull’intera società: minore inquinamento, valorizzazione dei prodotti del nostro territorio, con conseguente crescita delle opportunità di lavoro, fornitori di energia più interessati a investire in energie rinnovabili, ambienti più salubri nei quali vivere e alimentazione più sana. Una reazione a catena che può partire dal basso, mettendo in atto una vera e propria rivoluzione, condizionando i mercati attraverso le nostre scelte. Scelte da compiere rifl ettendo sulle conseguenze che le decisioni sbagliate di oggi potrebbero avere sul domani, con ripercussioni sulla nostra salute e sull’intero pianeta.

Mettiamo quindi delle scarpe comode e approfi ttiamo della bella stagione per riappacifi carci con la natura, la sola che può rispondere a tutte le nostre domande. Natura che ci offre nutrimento e che, nonostante le profonde ferite inferte dall’uomo, resta la nostra più grande alleata. Ricca di risorse che possono aiutarci a redimerci e a riportare salubrità nell’ambiente che ci circonda e quindi nelle nostre vite.

CHE SIA VERA

PRIMAVERA

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L’ENERGIA DEL MARE

di Gianluca Carrabs Presidente Associazione Mondo IES

Il progett o, promosso da IES, per proteggere le coste dall’erosione e contemporaneamente produrre energia pulita

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L’Associazione Mondo IES lancia una grande sfida, quella di competere a livello comunitario sulla Progettazione Europea. Ha creato una sinergia straordinaria tra il mondo scientifico, economico e istituzionale per catturare risorse utili a finanziare un progetto volto alla tutela delle coste soggette a fenomeni di erosione, abbinata alla produzione di energia pulita.

Il progetto nasce dall’invenzione dell’Ing. Manlio Palmarocchi e Ing. Pierfranco Ventura nell’ambito degli sviluppi per la Salvaguardia dell’Ambiente promossi dalla STES (Scienziati e Tecnologi per l’Etica dello Sviluppo), Organizzazione di Volontariato Culturale sorta nel 1989 per sostenere i valori della Bioetica. Il brevetto, comprovato a livello europeo dal Patent Office di Monaco, nasce dalla brillante intuizione di abbinare la tecnica utilizzata per la protezione delle coste, costituita da pali sommersi disposti a pettine ampiamente utilizzata in Olanda, con una nuova tecnologia che permetterà di produrre energia elettrica sfruttando l’energia cinetica del mare e delle sue correnti.

La sfida da affrontare consiste pertanto nella riconversione dei sistemi di difesa attuali delle coste con innovative turbine da disporre in barriere che riproducono quella corallina e contemporaneamente consentono di produrre energia elettrica rinnovabile. L’energia pulita prodotta permetterà di ripagare

i costi dell’intervento e della sua manutenzione, quest’ultima molto meno onerosa di quella tradizionale delle scogliere. Le nuove barriere saranno disposte a qualche centinaio di metri dalla costa, completamente sommerse e segnalate da sistemi luminosi.

Gli attuali sistemi per la difesa delle coste si basano sui ripascimenti artificiali, col prelievo di sabbia dai fondali profondi e portata sulle spiagge, e sulla costruzione di scogliere con grandi massi di roccia da cave a terra. Tali interventi si sono rivelati purtroppo non efficaci e molto onerosi per la spesa pubblica.

L’utilizzo dell’energia rinnovabile marina è quindi una valida risposta per sostenere economicamente la protezione delle coste contenendone le spese attuali e riconvertendole in tecnologie ecologiche innovative in grado di produrre un ricavo in termini economici che viene stimato nell’ordine di 2/4 milioni di euro/anno/km.

L’innovativo sistema presenta innumerevoli vantaggi economici, ambientali e paesaggistici di cui i più importanti sono:

- Produzione di energia rinnovabile e accumulo di sabbia sul litorale per contrastare l’erosione delle coste a seguito dei cambiamenti climatici e il conseguente innalzamento del livello del mare.

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- La riconversione dei costi molto elevati dei tradizionali sistemi di difesa delle coste (ripascimenti e scogliere) in investimenti che, con la nuova tecnologia ecologica, saranno del tutto ammortizzati con una produzione minima di energia elettrica di 1MW per anno a chilometro.

- La produzione di energia pulita sarà continuativa, garantita anche nelle ore notturne. - I dispositivi sono di semplice produzione e non richiedono eccessiva manutenzione. I dispositivi sono i più economici fra le fonti rinnovabili.

- Il sistema assimilabile a una barriera corallina permette il ripristino dell’ecosistema e il ripopolamento ittico lungo le fasce protette, compreso anche per le colture di mitili.

- Riqualificazione del paesaggio e dell’ecosistema marino eliminando le scogliere emergenti che non favoriscono il disinquinamento e l’ossigenazione dell’acqua.

A credere nel progetto promosso da IES sono due Comuni del litorale marchigiano, il Comune di Fano e di Mondolfo, che hanno accolto con entusiasmo la possibilità di installare i primi quattro dispositivi in Italia.

Questo primato garantirà ai Comuni dei diritti per la produzione del nuovo macchinario così da aprire un

innovativo settore produttivo e attivare una nuova filiera di produzione nei campi dell’elettromeccanica, nautica e opere marittime.

L’importante obiettivo delle Amministrazioni è lo sviluppo di nuovi posti di lavoro legati alla produzione di energia pulita in un settore innovativo che darà nuova spinta all’economia marchigiana. Il progetto coinvolge altri importanti partner marchigiani come l’Università degli Studi dì Urbino Centro Studi per i Cambiamenti Climatici, Eurobilding società di lavori marittimi e l’Associazione operatori balneari.

La fase di sperimentazione dei primi quattro macchinari sarà realizzabile grazie a fondi Europei, dove nella nuova programmazione Europea il tema della sostenibilità è di primo ordine: negli ultimi 30 anni abbiamo immesso nell’alta atmosfera 1000 miliardi di ton. di CO2 e per i cambiamenti climatici è previsto dall’ONU (IPCC) l’innalzamento del livello del mare di alcune decine di centimetri che provocherebbero l’allagamento di estese fasce di litorale non protette.

Lo sviluppo di nuove tecnologie energeticamente sostenibili che siano in grado di rispondere non a una sola, ma a molteplici esigenze, come la protezione delle coste, il ripristino dell’ecosistema marino sotto costa e la produzione di energia rinnovabile sono un bisogno reale, non locale ma globale, di tutti noi.

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di Alessandro MianiPresidente Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA - ONLUS)

CITTÀ MENO INQUINATE GRAZIE AL VERDE URBANO

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9Il verde urbano abbellisce le strade rendendo più vivibile l’ambiente e tra le molte ragioni per avere alberi in città, c’è anche quella che sono efficacissimi alleati contro lo smog. Alcuni più di altri. Recenti ricerche italiane hanno stilato una classifica che individua alcune specie come i migliori alberi antismog che potrebbero aumentare la qualità dell’aria delle nostre inquinate città: le piante sono dei filtri naturali per l’aria, grazie al processo della fotosintesi clorofilliana che assorbe anidride carbonica e produce ossigeno, combattono il calore grazie alle loro chiome e danno refrigerio e ombra d’estate (ogni albero rinfresca quanto 5 climatizzatori).

Secondo le ultime ricerche, alcune specie sono ancora più forti di altre nell’aiutarci a combattere la piaga dello smog. Tramite le foglie e le superfici della pianta, una grande quantità di particolato presente nell’aria è trattenuto e poi reso inerte dal metabolismo delle piante che con gli stomi fogliari - presenti sulla pagina inferiore della foglia e la cui funzione è consentire lo scambio gassoso fra l’interno e l’esterno - assorbe e rimuove e poi rende inerti gli inquinanti gassosi. Il processo di neutralizzazione degli inquinanti si conclude poi grazie agli organismi che vivono nella terra, a contatto con le radici della pianta.

L’Ibimet, l’Istituto di biometeorologia del CNR di Bologna, ha compiuto approfonditi studi sulla mitigazione del clima urbano attraverso l’utilizzo delle alberature in città. Secondo questa classifica è il bagolaro (Celtis australis) ad avere le migliori prestazioni contro le polveri sottili. I migliori nell’assorbire CO2 sono il tiglio selvatico (Tilia cordata), il biancospino (Crataegus monogyna) e il frassino (Fraxinus ornus). Hanno dalla loro anche altre preziose virtù: una grande chioma ombrosa per il tiglio, le belle bacche rosse per il biancospino, la resistenza a condizioni avverse per il frassino o orniello. In generale, le specie migliori che possono resistere al forte inquinamento urbano sono quelle autoctone e della flora locale come frassino maggiore, orniello, biancospino, acero campestre, acero platanoide, acero di monte (Acer

pseudoplatanus), bagolaro, albero di giuda (Cercis siliquastrum), gelso, ontano nero, carpino bianco, tiglio e olmo. Tiglio selvatico, frassino e biancospino sono alcune delle essenze che

offrono la massima assimilazione di anidride carbonica per metro quadrato di foglie. Mentre per le polveri sottili sono particolarmente indicati gli olmi, gli ippocastani

e gli aceri. Basti pensare che cinquemila piante in un anno assorbono 228 chili di PM10 (polveri sottili ndr): pari alle emissioni di oltre mille macchine che

percorrono 20 mila chilometri in 12 mesi. Alberi e siepi messe a dimora nelle nostre città sono in grado di migliorare il microclima e ridurre

l’uso dei combustibili fossili di circa 18 kg all’anno per ciascun albero. Anche il piombo, metallo pesante

e uno degli elementi più pericolosi per la salute umana, viene intercettato in maniera

diversa dalle diverse specie di piante: tra queste, i maggiori valori di deposito

fogliare sono stati riscontrati nell’eleagno, nel ligustro e nel

viburno lucido. Dall’analisi microscopica sulle foglie è

emerso che l’eleagno è il miglior accumulatore,

con lo 0.60% dell’area fogliare «coperta».

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TRASPORTO PUBBLICO A IMPATTO ZERO

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TRASPORTO PUBBLICO A IMPATTO ZERO

Primove linea 63

a Mannheim

di Davide Salvia

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L’estate è, ormai, alle porte e con la diminuzione delle piogge ritorna alla ribalta il dannoso fenomeno dell’aumento delle polveri sottili nelle nostre città, dovute all’inquinamento.

Tra le soluzioni adottate per limitare il problema, spesso, si è reso necessario fermare la circolazione veicolare, costringendo la cittadinanza a un maggiore, forzato e mai amato utilizzo dei mezzi pubblici per gli spostamenti.

A questo punto, però, viene spontaneo chiedersi: quanta CO2 immette nell’aria un autobus di linea?Difficile dare dei numeri certi, soprattutto a causa di una molteplicità di differenze che caratterizzano il parco mezzi e per l’orografia del territorio delle nostre città, ma un dato su cui riflettere possiamo comunque riportarlo.

L’Italia, a differenza degli altri Paesi europei, è dotata di mezzi pubblici con un’età media di 12 anni (fonte ANFIA 2015) molti dei quali sono alimentati con motori diesel (EURO 0, EURO 1 ed EURO 2) particolarmente inquinanti. Il traffico cittadino, le lunghe soste ai semafori con il motore acceso, le continue accelerazioni e decelerazioni, quindi, non fanno altro che aumentare i veleni sprigionati.

Vi sarà capitato di sentire in campagna elettorale gli aspiranti amministratori dichiarare che “Il futuro dei trasporti è a trazione elettrica”, una certezza, però, che non appartiene ancora al nostro Paese. Bisogna spostarsi oltre oceano per analizzarne gli effetti.

In California, infatti, è stato sperimentato un innovativo sistema di trasporto all’insegna della mobilità pubblica sostenibile: autobus elettrici che si ricaricano attraverso un sistema denominato “fast charge”. Il meccanismo, posizionato sul tetto del mezzo pubblico, consente il trasferimento di energia elettrica in tempi velocissimi, anche fino a 10 minuti, giusto il tempo della sosta al capolinea.

I californiani in questo modo, oltre a limitare le emissioni velenose, riescono a ottenere un notevole risparmio di risorse che la Foothill Transit (gestore del Trasporto Pubblico Locale) ha quantificato in 600.000 dollari durante la normale vita di un mezzo: 500.000 dollari sono di risparmio di gasolio (18 centesimi di dollari al miglio contro 1 dollaro al miglio dei veicoli diesel) e i restanti 100.000 sono collegati a una minore manutenzione necessaria al funzionamento del bus elettrico.

Ciò che prima poteva sembrare futuro, quindi, qui rappresenta una realtà. Lo sviluppo tecnologico delle batterie per immagazzinare l’energia necessaria alla propulsione elettrica permette sempre maggiori percorrenze che, ricordiamolo, per il trasporto di linea sono poco variabili durante un normale turno lavorativo e permettono una programmazione delle soste per le ricariche abbastanza precisa, limitando i malfunzionamenti e le interruzioni del servizio.

Anche in Europa la mobilità elettrica sta prendendo il sopravvento e rappresenta una lieta realtà in Olanda, in Francia, in Norvegia e in Estonia, dove sono sempre in maggiore aumento le colonnine per

Si diff ondono in tutt o il mondo innovati vi sistemi

di trasporto all’insegna della sostenibilità

ambientale ed economica. Un futuro possibile, ma l’Italia è

ancora indietro

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13la ricarica delle auto elettriche (addirittura in Estonia esiste una rete di ricarica rapida con una stazione ogni 60 KM!).

In tema di trasporto pubblico, però, è la Germania a fare da capofila, con un progetto ambizioso noto con il nome di Primove Mannheim che prevede l’utilizzo di autobus elettrici che si ricaricano durante il normale esercizio, mediante un sistema wireless (tecnologia Primove sviluppata da Bombardier Transportation).

Attraverso l’istallazione di una particolare griglia interrata nel normale asfalto, è possibile ricaricare le batterie con un sistema a induzione durante le normali fermate per far salire e scendere i passeggeri.

Il progetto è stato finanziato dal governo tedesco con una cifra di 3,3 milioni di euro e ha permesso alla città di Mannheim di dotarsi, a giugno 2015, dei primi due bus elettrici prodotti dall’azienda svizzera Carroserie HESS AG.

Sulla linea 63, lunga 9 chilometri, i passeggeri possono godere di una corsa silenziosa e confortevole a bordo di bus totalmente a propulsione elettrica della lunghezza di dodici metri (la stessa di un pullman tradizionale) che si ricaricano in soli trenta secondi in prossimità di punti strategici individuati lungo il percorso.

A oggi la città di Mannheim è leader nell’e-mobility e può vantare, solo attraverso l’utilizzo di questi due primi bus, una riduzione delle emissioni di CO2 di 180 tonnellate su base annua, che corrispondono alle emissioni di 74 auto private.

Mentre nel resto d’Europa il “futuro” è oggi, in Italia, nell’ottica di una mobilità pubblica sostenibile, purtroppo, siamo in notevole ritardo e benché esistano nel nostro Paese delle realtà industriali che producono e commercializzano pullman a trazione elettrica, sono ancora poche le città che si sono dotate di questa tecnologia. Solo a partire dagli anni 2000 si è visto un ridimensionamento nel numero dei bus diesel in circolazione a favore di mezzi a metano che, pur riducendo le emissioni dannose, sono ancora molto lontani da quella formula a “impatto zero” ottenibile con la trazione elettrica.

California, autobus elettrici

ricaricati attraversoIl sistema

“fast charge”

Bus della

Primove

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In diverse parti del mondo si inizia ad assistere a una piccola, grande, rivoluzione. Dai marciapiedi che ricavano energia dal movimento dei pedoni, alle citt à

energeti camente autosuffi cienti e a emissioni zero, il futuro sembra sempre più verde

LA CITTÀ DEL FUTURO

di Martina Fusco

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IMPRENDITORIA ETICA SOSTENIBILE

15M e tropolis, film del 1927 di Fritz Lang,

immaginava la città del futuro decadente, cupa e minacciosa. Una metropoli sviluppata su livelli e con una rigida divisione in classi, con i ricchi che godono dello sfruttamento degli operai costretti a lavorare nel sottosuolo. La pellicola, nonostante rappresenti uno dei più grandi fallimenti a livello commerciale della storia del cinema, è divenuta nel tempo l’archetipo del genere di fantascienza, ispirando gran parte del cinema

moderno, nel quale l’idea di progresso positivo entra in crisi e i termini nei quali si immagina il futuro diventano negativi e apocalittici. Simile per atmosfera la città di Blade Runner. Nella pellicola, tratta dal libro di Philip Dick e diretta da Ridley Scott, la Los Angeles del 2019 appare immersa nel buio, nella pioggia e nel fumo dell’inquinamento. L’anno di uscita del film era il 1982 e il futuro veniva dipinto così: minaccioso, buio e dominato dal caos.

Il tempo descritto in questi film è ormai arrivato. Le nostre città fortunatamente ancora non hanno assunto le tinte fosche e inquietanti descritte da queste pellicole, tuttavia non possono certo essere considerate campionesse di vivibilità. L’inquinamento ha raggiunto livelli preoccupanti, il verde lascia il posto alla cementificazione selvaggia, senza considerare i problemi di sicurezza e la scarsa qualità dei servizi per i cittadini. Il tempo in cui potremo dirigerci a lavoro su astronavi colorate, come nel celebre cartone animato anni Sessanta I Pronipoti, è dunque ancora molto lontano. Tuttavia qualcosa inizia a muoversi: una maggiore sensibilità ambientale comincia a fare breccia nella mentalità dei cittadini, il modello capitalistico basato sullo sfruttamento selvaggio delle risorse del pianeta inizia a essere messo in discussione e, anche grazie alle nuove tecnologie, iniziano a essere sviluppate soluzioni innovative per rendere le nostre città sempre più sostenibili e salubri. A velocità diverse, in differenti parti del mondo, una vera e propria rivoluzione è partita: si investe in nuovi modelli di sviluppo sostenibile e in tecnologie per migliorare la nostra qualità della vita e rispettare l’ambiente, si sperimentano nuove forme di mobilità e si punta sull’efficienza energetica, per ridurre l’impatto ambientale causato dalla presenza e dalle attività di migliaia di persone che consumano energia e producono rifiuti.

A Tolosa in Francia la casa produttrice Sustainable Dance Club ha ideato un dispositivo per ricavare dal movimento dei pedoni che camminano sui marciapiedi, energia da immagazzinare per l’illuminazione pubblica. Un progetto simile arriva anche dalla Sardegna, dove la start up Veranu, ha ideato SEF (Smart Energy Floor), una mattonella capace di generare energia pulita e totalmente riciclabile: basta calpestarla. A Washington è stato invece progettato il primo marciapiede fotovoltaico. A Londra, in una stazione ferroviaria, è stato installato, sotto la banchina, un sistema per raccogliere e sfruttare l’energia prodotta dal transito dei pendolari. Esistono poi progetti per produrre energia dal traffico delle automobili, edifici che assorbono l’inquinamento e altri che producono energia, grazie a pannelli

Masdar City

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16fotovoltaici trasparenti.

Ci sono poi le città che hanno addirittura deciso di rendersi energeticamente autosufficienti. Esperimenti urbani in grado di segnare la strada per il futuro, mettendo fine alla dipendenza da combustibili fossili, proponendo soluzioni ecologiche ed economicamente vantaggiose. Veri e propri laboratori eco-sostenibili.

Primo fra tutti il caso di Feldheim, un piccolo sobborgo della città di Treuenbrietzen, circa 90 km a Sud di Berlino. La piccola cittadina composta da circa 40 edifici e con una popolazione di circa 150 anime ha iniziato la sua transizione verso le rinnovabili nel 1990, istallando la prima turbina eolica. A questa molte altre se ne sono aggiunte e nel 2010, con un investimento di 3mila euro a famiglia, ogni fabbricato è stato dotato di un impianto fotovoltaico che ha permesso di far diminuire il costo in bolletta del 30%. Un successivo investimento ha poi portato alla costruzione di una centrale di teleriscaldamento a bio gas, alimentata con gli scarti dell’alimentazione animale e della produzione di mais. Attualmente di tutta l’energia prodotta a Feldheim, solo il 3% serve per l’uso locale. Una volta soddisfatti i fabbisogni energetici della comunità, l’energia in più viene rimessa in rete.

Tuttavia il caso della piccola cittadina di Feldheim non è isolato. In Polonia a Kisielice, dove vivono circa 2.300 abitanti, l’autosufficienza energetica è stata raggiunta grazie all’energia eolica e a una caldaia a biomassa. C’è poi la città di Burlington, negli Stati Uniti, che riesce a produrre elettricità totalmente da fonti rinnovabili, grazie a idroelettrico, eolico e biomassa. Anche l’Australia può vantare una città totalmente alimentata da fonti rinnovabili. Si tratta di Uralla, una cittadina che conta solo 2.400 abitanti che già da tempo fanno ricorso all’utilizzo di pannelli solari, installati sulle abitazioni e sugli esercizi commerciali, per far fronte alle proprie esigenze energetiche. Un progetto importante che si aggiunge anche a quello portato avanti a Bornholm, un’isola danese del mar Baltico nella quale gli abitanti riescono a far fronte al proprio fabbisogno energetico. C’è poi El Hierro, la più piccola delle isole Canarie, che da agosto 2015 riesce a produrre autonomamente tutta l’energia elettrica di cui ha bisogno, attraverso l’eolico e l’idroelettrico. Ma anche l’Italia non è da meno. Nel nostro Paese ci sono, secondo il rapporto di Legambiente “Comuni Rinnovabili 2016”, ben 39 comuni in cui il mix di impianti diversi permette di raggiungere il 100% di energia da fonte rinnovabile, sia per usi termici, sia per quelli elettrici. Importante poi notare come la svolta sostenibile non coinvolga solo i centri più piccoli. Sono infatti sette i comuni

italiani, con oltre 100mila abitanti, nei quali già oggi si produce più energia elettrica di quella consumata dalle famiglie residenti.

Progetti di successo che in futuro potrebbero essere replicati su larga scala, arrivando a rendere energeticamente sostenibili città con milioni di abitanti. Secondo uno studio congiunto delle Università di Stanford e Cornell, nel 2030 l’intero stato di New York potrebbe soddisfare il proprio fabbisogno energetico grazie alle sole fonti rinnovabili: sole, vento e acqua. Per poter raggiungere l’obiettivo sarà necessario investire sulle centrali eoliche e sull’installazione di pannelli solari sui tetti. Un obiettivo ambizioso, ma non impossibile per lo stato di New York che negli ultimi anni ha fatto notevoli passi in avanti sul tema della sostenibilità e dell’energia verde, grazie anche alla tassa di un dollaro a bolletta che ha consentito al governo di guadagnare notevoli somme da reinvestire in energia pulita.

Da segnalare poi il progetto Masdar City, una nuova città che sta sorgendo a pochi chilometri da Abu Dhabi, che sarà la prima città al mondo a essere progettata e concepita come “Carbon Neutral”, cioè a emissioni zero. Il progetto, seguito dallo studio di progettazione architettonica Foster and Partners, ha l’obiettivo di costruire una città in grado di autoalimentarsi, grazie alle energie rinnovabili, e rendere la produzione dei rifiuti quasi uguale a zero. Il Masdar City project è guidato e finanziato dall’Abu Dhabi Future Energy Company (ADFEC), presieduta dallo sceicco Mohammad Bin Zayed Al Nahyan, con un preventivo di budget di circa 22 miliardi di dollari. La città è nel deserto, si estende su un’area di circa 6 chilometri quadrati, ed è stata progettata per una popolazione di circa 50mila abitanti. I cantieri sono partiti nel 2008 e dovrebbero terminare entro il 2020. L’energia per alimentare Masdar arriverà per l’80% dal sole, è infatti già stata inaugurata una centrale fotovoltaica poco fuori la città ampia 21 ettari, mentre pannelli fotovoltaici verranno istallati anche sui tetti delle abitazioni. La restante energia verrà ricavata dal vento e dai rifiuti. Centrale sarà poi il risparmio idrico e il riciclo dei materiali. A Masdar City si gira a piedi o in bicicletta. Previsti per gli spostamenti più impegnativi taxi elettrici e navette pubbliche privi di conducente, che si muovono grazie a dei magneti posti a intervalli regolari.

I tempi per ottenere risultati su larga scala e mettere in atto un vero cambiamento di mentalità sono ancora lunghi, tuttavia si possono già ravvisare i primi timidi risultati, un aspetto che fa ben sperare in un futuro più verde.

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PARTNER

VILLAGGI

O

DEL

I

GUSTO ANTICOGUSTO ANTICO

per andare

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L’ACCADEMIADELL’ANGURIA

di Angelo ConsoliPresidente del CETRI-TIRES, Circolo Europeo per la Terza Rivoluzione Industriale

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IMPRENDITORIA ETICA SOSTENIBILE

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Nel luglio del 2011 esplodeva la protesta di Nardò contro la vergogna del caporalato. Dalla masseria Boncuri di Nardò partirono iniziative atte a bloccare le attività di raccolta dei prodotti agricoli che utilizzavano

manodopera in forma semi schiavistica secondo le regole di quello che è comunemente conosciuto come caporalato.

La manifestazione NO CAP, mise in evidenza che la lotta dei lavoratori non era solo una lotta di miglioramento delle loro condizioni umane ed economiche, ma anche una battaglia di civiltà per il progresso di tutto il territorio, paradossalmente anche delle aziende che al caporalato, per forza di cose o pigrizia mentale erano costrette a far ricorso. Cominciò a diventare evidente che i produttori agricoli sono schiacciati da un sistema feudale in cui è la domanda che fa il prezzo del prodotto e non l'offerta. Una situazione paradossale che tiene i prezzi dei prodotti agricoli artificialmente e innaturalmente bassi al produttore e alti al consumatore, a tutto vantaggio di una distribuzione organizzata sempre più concentrata in mano a pochi gruppi finanziari globali speculativi. Le aziende agricole italiane, schiacciate fra il ricatto della grande distribuzione e la filiera lunga alimentare agro industriale, non riescono a “fare impresa” nel senso più moderno del termine, valorizzando il prodotto con pratiche di trasformazione che riescano a conferire quel valore aggiunto che fa la differenza nel mercato moderno. L'anno successivo il festival NO CAP offrì dunque l'occasione di compiere un passo in direzione di una nuova imprenditorialità che modernizzi l’agricoltura e offra maggiori redditi a partire dai prodotti della terra sviluppando filiere locali a alto valore aggiunto, contribuendo a superare le condizioni economiche e imprenditoriali che generano la necessità di ricorso al caporalato, e a creare le condizioni di un riscatto umano e professionale non solo per i lavoratori immigrati ma per tutto il territorio interessato e per i suoi cittadini.

ANALISI ECONOMICA DELLE CONDIZIONI CHE CREANO IL CAPORALATOLe cause principali che determinano per gli imprenditori agricoli a ricorrere al caporalato sono principalmente due: la mancanza di una filiera locale di trasformazione e la conseguente necessità di vendita dei prodotti a grossisti e la conseguente necessità di

Come creare valore aggiunto economico,

capitale sociale e occupazione a partire da uno dei più tipici prodotti

agricoli del Mediterraneo

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20comprimere i tempi di raccolta per riempire i camion destinati ai mercati generali dell’ortofrutta spesso controllati da organizzazioni criminali nel più breve tempo possibile. È necessario dunque, per rimuovere le cause profonde dello schiavismo, senza limitarsi a un'ottica puramente repressiva, immedesimarsi nelle vesti dei produttori e ipotizzare nuove strategie economiche miranti a ottenere prezzi più alti per i prodotti agricoli locali e a liberare i produttori dalla dipendenza da pochi compratori legati all’ingrosso. Per perseguire questo obiettivo è necessario creare valore aggiunto trasformando localmente il prodotto.In riferimento all'anguria esistono dei margini di ampliamento del valore molto elevati, in quanto l’anguria è venduta unicamente come frutto da pasto estivo, mentre in altre aree d’Italia, essa diventa un prodotto pregiato di base da pasticceria.

IL POTENZIALE DELL’ANGURIAQuesto prodotto può rapidamente creare una filiera locale della trasformazione dell’anguria con investimenti relativamente modesti e ritorni immediati e cospicui di tali investimenti. Questo scenario economico nuovo garantirebbe all’impresa agricola nuovi introiti permettendole di far fronte all’assunzione regolare di manodopera, e al tempo stesso liberandola dalla necessità di raccogliere tutto il prodotto in poche ore solo per riempire camion in attesa di ripartire per il nord al più presto.Nell'anno successivo alla protesa, la manifestazione NO CAP, passò dunque alla proposta e fu organizzato un Laboratorio del gusto insieme allo Slow Food Puglia per valorizzare l'anguria e dimostrare che si può creare valore aggiunto sul prodotto della terra, anche solo con il semplice tramandare il sapere contadino e gastronomico da una terra all'altra. Il "Laboratorio" (tenuto con angurie acquistate da una azienda "etica") venne infatti tenuto della gastronoma siciliana Anna Maria Vassallo, che portò in Puglia una ricetta a sua volta portata in Sicilia dagli arabi in una logica di condivisione.I manicaretti a base di "gelo di mellone", distribuiti dallo Slow Food nell'edizione 2012 di NO CAP, furono una vera rivelazione per il pubblico pugliese e per la pasticceria salentina in una vera e propria “festa del raccolto”, come si legge sul manifesto dell'evento.

ASPETTI ECONOMICI Nel preparare il laboratorio si calcolò che con

dieci chili di anguria del valore medio di mercato 4 o 5 euro, con l'aggiunta di trecento grammi di amido di mais circa e circa 600 grammi di zucchero, dopo una lavorazione di un'ora comprendente venti minuti di cottura a fuoco lento, si ottengono 3 chili di gelo di mellone pronto all'uso in pasticceria e al consumo del prezzo medio di 18 euro a chilo. In pratica un aumento di valore di oltre dieci volte il valore grezzo dell'anguria. Senza contare che il "gelo" dura molto di più del frutto. Basterebbe che le pasticcerie salentine e pugliesi cominciassero a comprare angurie per fare il gelo di mellone, come in Sicilia, perché la domanda locale di anguria (precedentemente svenduta), si innalzi espandendo il mercato, e aiutando i produttori a trovare le risorse per regolarizzare i rapporti di lavoro.Fu proposto alla Regione Puglia di stabilizzare l'esperimento, finanziando un progetto (“Accademia dell'Anguria”) per realizzare lo stabilimento di trasformazione dell'anguria in gelo, con una cooperativa mista (italiani e immigrati) in una struttura confiscata alla mafia e certificata dallo Slow Food, e auto alimentata da energia solare e biomasse (le ingenti quantità di buccia di anguria). Era il 2012. Oggi, 4 anni dopo, l'idea c'è ancora. E la volontà politica di realizzarla?

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CIVITA DI BAGNOREGIO, BELLEZZA IN BILICO.

VIAGGIO IN UNO DEI PAESI PIÙ SUGGESTIVI DEL LAZIO

di Manuela Pozzifoto di Angelo Campus

A 100 km da Roma un paese unico e imperdibile

Periodo di gite fuori porta e voglia di stare a contatto con la natura

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IMPRENDITORIA ETICA SOSTENIBILE

Su una base di tufo e strati di argilla, costantemente soggetta a erosione e crolli,

circondata da spettacolari Calanchi, sorge Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, in cima a

una collinetta che non raggiunge i 450 metri di altezza.

Circa 10 abitanti d’inverno, massimo 20 d’estate, a soli 100 km da Roma, nel cuore dell’Alto Lazio,

Civita di Bagnoregio si raggiunge percorrendo la S.S. Cassia verso Montefi ascone, direzione Orvieto, dopo 10 km il bivio per Bagnoregio.

Sito di fondazione etrusca è stata colonia romana, borgo natale di San Bonaventura e sede vescovile

meta dei pellegrini che lasciavano la via Francigena

per visitarla.Civita di Bagnoregio è un

patrimonio culturale, religioso e artistico unico. Abbandonata

via via nel Settecento perché soggetta a frequenti terremoti e a continua erosione, da cui

l’appellativo di “città che muore”, nel 1965 fu costruito

un ponte di 300 metri per consentire di raggiungere

questo incantevole paesino, solo a piedi o a dorso di un

asino. Su una ceramica posta

all’ingresso vi accoglie una frase “Giunto così in alto, mentre vaghi per le vie di

questo antico borgo, sii rispettoso.

Della sua storia, ora fatta di silenzio, di voci portate dal

vento, di fi ori che sono la vita, abbi cura”.

Set di fi lm, come ‘La strada’ di Fellini, ‘L’armata Brancaleone’

di Monicelli e ‘I due colonnelli’ di Steno, e di spot pubblicitari, Civita di Bagnoregio è un luogo incantato. Vi si accede attraverso la Porta di S. Maria (o della Cava) che

conduce alle costruzioni medievali, al mulino del XVI secolo e alla casa natale di San Bonaventura,

visibili alcuni oggetti usati nel medioevo come botti di vino, pentolame o il giogo per i buoi. La

Chiesa di San Donato, nella piazza principale, ospita un affresco della scuola del Perugino, un

crocifi sso ligneo del Quattrocento e le reliquie di Santa Vittoria e San Ildebrando.

Nel Museo geologico e delle frane, è possibile capire la geologia del luogo, le frane susseguitesi nel tempo, la storia, l’instabilità ancora in atto e la lotta per la sopravvivenza di Civita.I vicoli pieni di fi ori, alcune trattorie e negozietti di souvenir allieteranno la vostra visita a questo piccolo borgo della Tuscia popolato da tanti gatti, dove da ogni belvedere potrete godere di un panorama unico per foto ricordo suggestive. Il biglietto di ingresso a un prezzo simbolico di 1,50 euro, introdotto quattro anni fa, ha consentito di migliorare i servizi, come il trasporto per i disabili e di eliminare la Tasi e l’addizionale Irpef, fatto questo che ha portato Civita di Bagnoregio a

essere il Comune d’Italia con le tasse più basse.

Alcuni eventi da non perdere: il suggestivo presepe vivente nel periodo natalizio (gli introiti dello scorso Natale sono stati devoluti per l’acquisto di un’ambulanza); il 15 maggio la passeggiata dei Calanchi; la prima domenica

di giugno e la seconda domenica di settembre la festa della Madonna con la corsa degli asini, la così detta Tonna, per omaggiare l’unico mezzo di trasporto consentito (qualche eccezione per i residenti, ai quali in determinati orari è consentito l’uso della bicicletta per attraversare il ponte).

L’impegno di molti per la salvaguardia di questo tesoro unico ha portato alla cifra incredibile di 630.000 visitatori lo scorso anno, 22.000 nei soli giorni di Pasqua, boom tra italiani, stranieri e scolaresche,

un exploit incredibile rispetto ai 40.000 turisti di media degli anni precedenti.

La Giunta regionale del Lazio ha recentemente approvato una delibera perché Civita di Bagnoregio e la valle dei Calanchi diventino patrimonio mondiale dell’umanità. Il riconoscimento dell’Unesco sarebbe utile per prevenire ulteriori crolli con monitoraggi continui e interventi strutturali per aver cura di questo antico borgo.

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Risale alla seconda metà dell’800 l’inizio di un vasto movimento migratorio, anche marinaro. Dalle coste marchigiane al sud America, l’esperienza del pescatore e le sue conoscenze, anche di tecnica di costruzione navale, si sono trasformate in un importante biglietto da visita. In particolare si ricordano due marchigiani: Teodoro Bronzini, dal 1920 al 1966 sindaco di Mar del Plata, poi consigliere provinciale e senatore della Costituente nazionale, fi glio di Giovanni, marinaio di Porto Recanati emigrato alla fi ne del secolo, e Federico Contessi, fi glio di un pescatore di San Benedetto del Tronto, emigrato in Argentina nel 1921, avviò un’impresa

di costruzione di piccole barche di legno per arrivare a costruire un’impresa di grandi e moderni motopesca oceanici e successivamente ditte di lavorazione e commercializzazione del pesce.

Le Marche quindi, hanno avuto da sempre questa cultura marinara così radicata addirittura da esser esportata oltre oceano. Infatti la pesca rappresenta per le Marche un’attività di grande interesse e un’antica vocazione. I maggiori porti dei comuni costieri si sono sviluppati nel tempo intorno a borghi marinari contribuendo allo sviluppo economico delle aree costiere. Con i suoi 174 km di costa, gli 8 porti che radunano una fl otta peschereccia composta da oltre 1.000 battelli, le Marche ricavano dal settore pesca una buona parte dell’economia locale: si consideri ad esempio che dal porto di San Benedetto del Tronto si contano fi no a 6.000 tonnellate di pescato all’anno, di cui il 30% viene assorbito dal mercato di Milano e il 25% distribuito alle attività locali attraverso la fi liera corta.

Ma la cosa più sorprendente è che tra i prodotti pescati, la parte del leone la fa il pesce azzurro, spesso snobbato e considerato “pesce povero” perché ritenuto inferiore alle specie più pregiate, ma che oggi è stato felicemente riscoperto, considerate le straordinarie qualità organolettiche, l’altissimo potere nutritivo grazie alla presenza di grassi polinsaturi (importanti per il controllo del colesterolo), in particolare di Omega 3, di vitamine e di sali minerali.

Ma perché questa defi nizione di “pesce azzurro”? il termine affonda le radici nella colorazione dorsale, tra il blu scuro e il verde-blu di numerosi pesci che rientrano in questa categoria, mentre il ventre si presenta argenteo. Tra il pesce azzurro che frequenta il mare Adriatico troviamo lo sgombro, il suro, la sardina, la palamite, il pesce sciabola e la regina delle Marche: l’alice. Fanno parte della categoria anche il pesce spada, il tonno e la lampuga, specie che però sono più diffuse altrove.

Esistono due sistemi di pesca del pesce azzurro. Il primo è a lampara: dalla barca madre vengono calate diverse barchette con grosse lampadine installate a bordo, ognuna delle quali, attraverso le lampade accese, attira la maggior quantità di pesce possibile che, una volta radunato sotto all’ultimo battello acceso, viene raccolto dalla barca madre che opera in modo tale da raccoglierlo in un’unica rete; una particolarità importante di questa tipologia di pesca, è che quando c’è la luna piena non si “esce a mare”. Poi c’è la pesca a volante: una rete viene tirata da due barche, le volanti appunto, che navigano affi ancate.

A tavola “inoltre”, il pece azzurro è versatile prestandosi a numerose preparazioni. Le alici marinate sono

La tradizione ittica marchigiana e le straordinarie qualità organolettiche del pesce azzurro

di Giuseppe Canduccifoto con le lampare di Paride Acciari

La riscoperta del “pesce povero”: il pesce azzurro delle Marche

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uno dei piatti più importanti delle tradizioni marinare marchigiane, soprattutto se il procedimento include un ottimo aceto casalingo. Sempre le alici, insieme a sarde e sgombri, si prestano bene anche come condimenti per i primi piatti. Se poi andiamo sulle fritture e gli arrosti, le alici trionfano nuovamente: eccezionali sono quelle a “scottadito” che usualmente vengono cotte e mangiate intere senza essere sviscerate. Infi ne ottime sono anche le lavorazioni delle alici o delle sarde sotto sale o sottolio.

Così, grazie anche a un impegno istituzionale che ha sviluppato progetti atti a promuovere e valorizzare il “pesce povero” dell’Adriatico in ambito nutrizionale, si è raggiunto il grande obiettivo di una sua vera e propria riscoperta, favorendone l’affermazione nell’ambito della fi liera ittica anche attraverso iniziative che stanno prendendo sempre più piede, come “Anghiò” che ogni estate fa degustare tante ricette a base di pesce azzurro, piatti della tradizione sapientemente preparati da chef locali e non.

Questa riscoperta e recupero del valore del pescato povero nel quadro di un’alimentazione corretta e salutare, alla luce anche delle conoscenze sul ruolo che gli Omega3 svolgono nella preservazione della salute, è molto importante perché valorizza il pescato regionale, punto di riferimento della tradizione marchigiana e occasione di sviluppo per la marineria regionale.

Barche allesti te per la pesca volante

Pesca a lampara a San Benedett o del Tronto

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2016

Anno dei Cammini

1

di Clara Labrozzi

Un percorso di circa 330 km che att raversa il cuore dell’Abruzzo

fra spiritualità, natura, arte, cultura e gastronomia

Il Cammino di San Tommaso è un itinerario culturale, naturalistico e spirituale che collega la città di Ortona, custode

delle spoglie dell’Apostolo sin dal 1258, a Roma con la Basilica di San Pietro. Un lungo percorso di circa 330 km che attraversa il cuore dell’Abruzzo più autentico, fatto di arte e natura, esaltandone le eccellenze paesaggistiche. Una regione ricca l’Abruzzo, dove arte, cultura, natura e spiritualità si fondono in un connubio di perfetta bellezza fra Chiese, eremi ed abbazie, custodi silenti di spiritualità.

Un pellegrinaggio moderno sulle orme di Santa Brigida di Svezia che tra il 1365 e il 1368 giunse proprio a Ortona a seguito della rivelazione sulla presenza delle spoglie dell’apostolo Tommaso. Santa Brigida giunse in Ortona a estate inoltrata, in un periodo tra il 1365 e il 1370. Era accompagnata dal

vescovo svedese Thomas Joansson,

da sacerdoti svedesi, dalla figlia e da una nobile romana. Giunta alle porte di Ortona, la comitiva non poté entrare in città a causa di un forte temporale, perciò fu costretta ad attendere il mattino successivo. Subito dopo la Santa si recò sulla tomba dell’Apostolo, dove ebbe la seguente rivelazione: “Allora udì una voce che diceva Io sono il Creatore di tutte le cose e il Redentore… Si deve dire e predicare in maniera molto sicura che come i corpi degli apostoli Pietro e Paolo sono a Roma, così le reliquie di San Tommaso mio apostolo sono in Ortona”. Poi le apparve Tommaso e le disse: “Ti darò il tesoro desiderato ormai a lungo da te”. Nello stesso momento, senza che nessuno toccasse la cassa contenente le ossa dell’apostolo, apparve un frammento del dito di Tommaso, che Brigida conservò gelosamente e che oggi si conserva nella

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27Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Nel processo di beatificazione, il 31 agosto 1379, la figlia raccontò tutto quello che era successo in Ortona, dal momento che era presente anche lei. Riferì che era stata due volte in Ortona per visitare la tomba dell’apostolo Tommaso. La figlia concluse il racconto dicendo che tutta Ortona parlava dell’avvenimento straordinario. Le rivelazioni di Santa Brigida di Svezia, riferite dallo scrittore ortonese del 1500 De Lectis, sono state tradotte nel 2005 da Antonio Falcone.

Dopo la visita di Santa Brigida in Ortona, personalità più o meno famose, laici e religiosi, sostarono sulla tomba dell’Apostolo per pregare. Nel 1933 le ferrovie dello Stato dovettero approntare treni speciali diretti a Ortona per far fronte alla massa dei pellegrini e in memoria del passaggio della Santa in terra d’Abruzzo le è stata dedicata un’antica Chiesa, nel vicino paese di Arielli, che, insieme al cippo collocato a Porta Caldari a Ortona, testimonia ancora oggi il pellegrinaggio della Santa nella città.La storia offre uno spunto per riscoprire, con

forme moderne, l’attività del viaggiare, così come è accaduto a Santiago di Compostela, il cui modello è stato preso ad esempio dal Cammino di San Tommaso per unire l’Abruzzo e il Lazio. L’itinerario proposto dal Cammino è percorribile a piedi, in bici su strada e su sterrato, e a cavallo, partendo da Roma per giungere a Ortona nella Cattedrale di San Tommaso. L’Associazione “Il Cammino di San Tommaso”, costituitasi a Ortona, promuove e valorizza tutte le eccellenze naturalistiche, paesaggistiche e culturali dei luoghi collegati dagli itinerari del Cammino di San Tommaso.

La giovane associazione, per lanciare il progetto del Cammino di San Tommaso, ha organizzato il viaggio “ Da Tommaso a Pietro in Cammino” che si è svolto per la prima volta nel 2013. Al cammino, durato 14 giorni, hanno preso parte 76 viaggiatori, 20 camminatori, 20 cavalieri e 36 ciclisti, provenienti dall’Abruzzo, dall’Italia e dall’estero. I partecipanti hanno percorso, pedalato e calcato il lungo itinerario che comprende circa 25 comuni dell’entroterra abruzzese e laziale, tracciando un percorso ben preciso. Al viaggio hanno preso parte anche alcune ragazze straniere coinvolte dallo YAP Italia, organizzazione attiva nel campo della mobilità giovanile internazionale.

L’ultima tappa del viaggio e meta finale è stato l’arrivo a Roma per assistere all’Angelus del Papa: proprio in quella sua omelia Papa Francesco ha parlato dei marciatori di San Tommaso.

Le parole pronunciate dal Papa hanno rappresentato per gli organizzatori e per il presidente Fausto Di Nella un forte riconoscimento storico e culturale e hanno sancito un’ideale collegamento tra Roma e Ortona. Tali parole, inoltre, hanno segnato l’avvio di un percorso spirituale, come quello di Santiago, un pellegrinaggio moderno che al di là degli aspetti religiosi rappresenta la conquista di un nuovo rapporto con la natura, con la storia e con il territorio.

Ma come si sposa con il territorio il Cammino?Dopo il rilascio della carta del pellegrino si ha diritto a usufruire degli sconti nelle strutture convenzionate i cui proprietari vengono indicati come “ambasciatori del Cammino”.

Se si parte da Manoppello (Pe) e si arriva a Ortona, o se si parte da Subiaco e si arriva a Roma (quindi da Volto Santo a Cattedrale San Tommaso, oppure da Monastero di San Benedetto fino a San Pietro) all’arrivo si ottiene anche “la Campana” ovvero l’attestato di compimento del cammino che può essere “laico” e quindi rilasciato dall’associazione oppure “religioso” e quindi rilasciato dal parroco.

Un territorio ricchissimo quello del cammino fatto di vigne e uliveti, mari e monti, dove in pochi chilometri il paesaggio cambia e i gusti e gli odori con esso. Si può decidere se concedersi del pesce freschissimo appena pescato oppure degustare arrosticini abruzzesi. Insomma fra spiritualità, natura, arte, cultura e gastronomia il Cammino di San Tommaso rimane una esperienza unica nel suo genere e irripetibile.

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Pochi credevano che sarebbe accaduto, eppure i Cammini stanno rivoluzionando la vita di

territori ‘minori’, meno conosciuti al grande pubblico. Tutto è iniziato con Santiago de Compostela: nel 1985 la rete di cammini che vi arrivano, e che erano stati percorsi da milioni di pellegrini nel medioevo, sono stati dichiarati ‘patrimonio dell’umanità’ dall’UNESCO e nel 1987 il Consiglio europeo li ha inseriti fra gli ‘itinerari culturali europei’.

Da allora una marea crescente di persone di tutte le età ha cominciato a percorrere gli antichi sentieri che portavano i pellegrini di Francia e Spagna sulla tomba dell’Apostolo Giacomo il Maggiore sin dall’893. Il cammino, nelle sue diramazioni più lunghe, arriva fino a 800 Km e ci vuole circa un mese a percorrerlo tutto.

L’Italia era percorsa invece dalla via Francigena che collegava Canterbury a Roma, sulla tomba dell’apostolo Pietro, e questo cammino è stato riconosciuto dall’Europa nel 1994. Di recente, è stata promossa la via Francigena Sud che collega Roma con Gerusalemme passando dal Santuario di San Michele Arcangelo in Puglia e arrivando al porto di Brindisi. Dal 2001 è nata una associazione Europea della Via Francigena e tutto il cammino è ben segnato.

Il successo di queste due grandi direttrici, che ha visto un numero crescente di viaggiatori percorrere a piedi i sentieri della spiritualità, ha cambiato la prospettiva del turismo. Non più solo mete esotiche o caratterizzate da divertimento, ma itinerari dove il vero viaggio non è la meta, ma il percorso interiore che si compie. Dove i silenzi contano più delle musiche e dove il piacere di riscoprire natura e piccole città d’arte provoca profonde emozioni. C’è spiritualità, ma non dobbiamo pensare che chi compie il cammino sia mosso da una spiritualità solo di tipo religioso.

Il nostro ministro ha dichiarato il 2016 ‘Anno del Cammino’ e in tutta Italia si stanno riscoprendo antichi sentieri medioevali che seguono sempre vie segnate da profonda spiritualità come la ‘Via di San Benedetto’ fra Umbria e Lazio. San Benedetto era nato a Norcia nel 480 e con sua sorella gemella Santa Scolastica hanno rivoluzionato il monachesimo in Europa. San Benedetto ha vissuto per circa 30 anni a Subiaco, fondando 13 monasteri di cui ne restano solo 2 (Santa Scolastica e il Sacro Speco). Dopo un tentativo di avvelenamento Benedetto si ritirò a Montecassino, insieme a sua sorella, e qui definì la sua Regola, Ora et Labora, alla base di tutto il grande ruolo svolto dai monasteri nel medioevo per la nascita della nostra civiltà.

Iti nerari dove il vero viaggio non è la meta, ma il percorso interiore che si compie.

Dove i silenzi contano più delle musiche e dove il piacere di riscoprire natura e piccole citt à d’arte

provoca profonde emozioni

di Claudia Bettiol Energitismo - Special People, Special Places

Via di San Benedett o22016

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Il sentiero, promosso dalle regioni Umbria e Lazio, passa attraverso luoghi emozionanti dove la natura ha ancora un rapporto diretto con la vita delle persone. Il cammino è lungo 310 chilometri ed è diviso in 16 tappe in ognuna delle quali è possibile trovare alloggio con la Credenziale. Questa è una sorta di ‘passaporto del pellegrino’ con il quale si può accedere a strutture religiose che offrono ospitalità o avere sconti nelle strutture convenzionate.

Anticamente i pellegrini partivano con una lettera del parroco o del vescovo che attestava la loro intenzione di compiere il viaggio spirituale e i viaggiatori poi avevano dei segni di riconoscimento. Ad esempio, i pellegrini verso Santiago de Compostela avevano una conchiglia o il simbolo di una conchiglia che li rendeva riconoscibili.

Di recente sono tornata a visitare i monasteri di Santa Scolastica a Subiaco, Casamari e Cassino e ogni volta posso sentire vibrazioni sempre più intense che mi fanno capire perché quei luoghi hanno rivestito un ruolo così importante nella nostra crescita come individui. Non ho ancora mai percorso uno di questi cammini, ma sta crescendo dentro di me la voglia di incamminarmi alla scoperta di me stessa, di percorrere sentieri lontani dalle grandi vie di comunicazione e di riscoprire le bellezze dei piccoli borghi.

Si, penso che il mio prossimo viaggio sarà lungo la Via di San Benedetto.

10 cammini da non perdere in ItaliaEcobnb, la prima community dedicata al turismo sostenibile, ha stilato una classifi ca dei cammini più apprezzati:

1. Alla Scoperta del Monte Nerone e della natura delle Marche. Il cammino di 5 chilometri da Piobbico a Bacciardi tra il silenzio dei boschi, lo scorrere dell’acqua dei torrenti e affascinanti borghi.

2. Nello spettacolare Parco Nazionale della Majella in Abruzzo, il cammino di 14 chilometri lungo il fi ume Orfento.

3. Via Francigena da Pont Saint Martin a Ivrea: una delle prime tappe italiane del pellegrinaggio della

via Francigena, tra boschi e castelli medievali.

4. Ricchezze storiche e culturali dell’Umbria nel verde delle sue dolci colline nell’itinerario da Assisi a Bevagna.

5. L’Appennino Parmense con i suoi numerosi sentieri, come il cammino del lago Buono, un percorso lento tra i boschi di faggi e le pinete, in un paesaggio fi abesco.

6. Alla scoperta delle Cinque Terre, famose in tutto il mondo. Gli incredibili borghi con le loro case colorate, il profumo del mare, i terrazzamenti ti accompagneranno alla scoperta di uno

dei territori più incontaminati d’Italia.7. La meravigliosa Valle delle Ferriere. Un percorso immerso nel verde, che dal cuore storico di Amalfi arriva tra le colline rigogliose della costiera amalfi tana.

8. I paesaggi mozzafi ato della Toscana, il fi ume Orcia e la piscina termale di Bagno Vignoni. Il cammino parte da San Quirico fi no a Radicofani.

9. Terre selvagge nelle cime rocciose dei Lagorai, un gruppo montuoso del Trentino ancora poco conosciuto.

10. Un itinerario nel magico e quasi sconosciuto Bosco Rocconi in Toscana.

1. Piobbico

3. Via Francigena 4. Assisi

8. Bagno Vignoni

2. Ponte della Pietra

6. Cinque Terre5. Appennino Parmense

9. Lagorai

7. Valle delle Ferriere

10. Bosco Rocconi

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Il viaggio è da sempre una delle esperienze più soddisfacenti che una persona possa realizzare. Dagli antichi greci, fino ad arrivare alle più moderne tecnologie aerospaziali, l’uomo è sempre stato affascinato dalla scoperta di nuovi posti e nuove culture che possano arricchire la propria conoscenza ed esperienza. C’è chi viaggia da solo, chi condivide un’avventura, chi viaggia

in macchina, chi in aereo e chi in treno, ma c’è anche chi decide di unire l’interesse per i viaggi con la propria passione sportiva ed è questo il pensiero dei membri della “Grandi Raid”, associazione no profit nata poco più di un decennio fa come dopo lavoro dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato e che oggi organizza viaggi lungo la nostra penisola e in tutto il mondo per gli appassionati di bicicletta. Che sia in Italia, in Terra Santa, in Egitto o ai Caraibi bisogna solo imbarcarsi con il veicolo ecologico in aereo o in treno per poi arrivare sul posto e iniziare dei tour pensati appositamente per ciclisti, su itinerari sempre nuovi e suggestivi.

Erminio Rosati, membro storico dell’Associazione, non è solo un grande appassionato di bicicletta: estimatore del buon vino, dei Castelli Romani, ama la vita in tutte le sue forme. Da Marino Laziale, luogo natio nel quale vive, ha aperto mente e cuore al mondo intero visitandolo non solo come turista, ma

come vero esploratore, sempre attento alle esigenze di rispetto della natura e delle culture incontrate.

Ha accettato entusiasta di parlarci delle sue avventure, perché “l’esperienza del viaggio – ci dice – deve essere condivisa e raccontata: solo così, anche chi non ha visitato luoghi incantevoli può immaginarseli con i nostri racconti”.

Erminio, iniziamo dal principio. Ci racconti com’è nata e quando ha capito che la bicicletta è la sua passione.Dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Per il mio settimo compleanno, ricevetti in dono la mia prima bicicletta: era bellissima e a me sembrava il tesoro più grande. In quegli anni non era cosa strana vedere gente in giro sui pedali per i Castelli. Era sicuramente il mezzo di trasporto più comune e veloce, adatto al piccolo centro o alla spola tra le vigne e le case, con una immancabile sosta alle nostre fraschette. A 14 anni scoprii che la bicicletta non era solo trasporto, ma anche competizione! E fu così che iniziai ad allenarmi per partecipare alle gare dilettantistiche. Crescendo divenne più complicato conciliare la passione con il lavoro nelle ferrovie. Per questo, appena possibile, montavo in sella e partivo per i miei tour locali. Un giorno mi sono chiesto: “perché non condividere questa passione con i miei colleghi?”

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Scoprire il mondo pedalando

Viaggiare in biciclett a è

avventura e libertà. L’amore per la

natura e il desiderio di conoscere luoghi aff ascinanti e altre culture, incontrano

la passione per lo sport

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A questo proposito, qual è lo scopo della “Grandi Raid” e come nascono i vostri percorsi?Siamo nati come gruppo di ex ferrovieri cicloamatori che condivideva la passione per i viaggi e inizialmente, data anche la giovane età e la situazione globale più serena, ci sentivamo più liberi e così più “avventurosi”. Ora, dopo circa 15 anni, crescendo anche di numero, ogni meta è studiata scrupolosamente nelle frequenti riunioni degli organizzatori. Proprio in queste occasioni si propongono i luoghi e i percorsi adatti alle capacità dei partecipanti, si pianificano i trasferimenti di eventuali accompagnatori o familiari, si vagliano le difficoltà per ottenere i visti necessari e, infine, si individuano le strutture ricettive. Non le nascondo la difficoltà, soprattutto burocratica, di organizzare gli spostamenti in alcuni Stati; ogni dettaglio è quindi sempre curato anche con l’ausilio di Tour Operator specializzati che condividono le nostre priorità. Grande attenzione è ovviamente posta all’ecosostenibilità perché la natura e la cultura dei luoghi che visitiamo deve essere non solo rispettata, ma anche mantenuta intatta così da poterla conservare per chi verrà dopo di noi.

Quale è stato il viaggio più significativo che ha compiuto?Questa semplice domanda mi fa ripensare a tutti

i magnifici posti che ho visitato: ciascuno con le sue caratteristiche ne costituisce la singolarità e ne definisce la sua bellezza. Sicuramente qualcuno mi è più caro. Non potrò dimenticare facilmente l’intero Medio Oriente: l’affascinante Giordania con Petra e la sua antichità, il lungomare di Beirut in Libano, i monasteri della montuosa Armenia, gli impervi sentieri dell’Uzbekistan, la spettacolare vista su Gerusalemme. Detta così sembrerebbe il diario di un turista, ma c’è molto di più. Innanzitutto, la fatica degli spostamenti in bicicletta; è capitato in luoghi come i Caraibi o le Meteore in Grecia di percorrere tracciati sterrati in salita o in discesa e senza nessuna protezione ai bordi della strada. Qualsiasi difficoltà è però ripagata dal particolare e diretto contatto con la natura.

Infine, quale messaggio vuole trasmettere a chi inizia a osservare il mondo pedalando?Il messaggio che voglio trasmettere a chi si avvicina a questo sport e a questo particolare modo di viaggiare è semplice: certamente la bicicletta è faticosa, ma dona la possibilità di osservare da vicino e senza mediazioni quanto sia bella e coinvolgente la natura, conciliando più facilmente il paesaggio alle meraviglie delle città, apprezzandone storia e fascino. Al ritorno, non sarete più gli stessi!

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Scoprire il mondo pedalando di Simone Fattori

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RICETTE

Chef

MILLEFOGLIE DI VERDURE CON MOUSSE DI MELANZANA BRUCIATA E SPUMA DI RICOTTA

1 CONF. N. 3 N. 4 N. 2 N. 2 N. 2

N. 10 200 gr 100 gr 50 gr qb

Pulire e tagliare a cubetti tutte le verdure, tranne le melanzane. Tagliare a metà i pomodorini. Tritare fi nemente gli scalogni, mettere a soff riggere in padella con un fi lo d’olio e, quando saranno ben dorati, aggiungere i peperoni. Far rosolare e aggiungere le restanti verdure. Rosolare il tutto e portare a cottura.Passare le melanzane sulla fi amma viva del fornello e far bruciacchiare. Successivamente mettere in forno a 180 grandi per circa 15 minuti. Una volta cotte, tagliare le melenzane a metà e scavare con un cucchiaio prendendo solo la polpa. Lasciare asciugare leggermente in uno scolapasta foderato con della carta da cucina. Una volta intiepidita, passare la polpa con un frullatore a immersione e aggiungere Parmigiano, olio, sale e pepe.Per la spuma frullare il latte, la panna e la ricotta. Aggiustare di sale e pepe e inserire in un sifone da cucina con 2 cariche.Spezzettare in pezzi grossolani il pane guttiau, oliare e passare al forno a 180 gradi per 1 minuto.COMPOSIZIONE DEL PIATTODisporre alla base del piatto un punto di mousse di melanzane e stratifi care con pane guttiau, mousse e verdurine per 3-4 strati. Terminare con la spuma di ricotta al lato della millefoglie.

BAGUETTE CON MOZZARELLA DI BUFALA, PEPERONI, OLIVE TAGGIASCHE, PESCE SPADA AFFUMICATO E PESTO DI PISTACCHI

qb 1 Mazzo N.1 spicchio 100 gr

N. 2

Ingredienti per 4 persone:pane guttiau zucchine romanesche melanzane peperoni rossi patate scalogni pomodorini pachino ricotta panna latteParmigiano ReggianoOlio evo, sale e pepe

N.4 300 gr 400 gr 40 grIngredienti per 4 persone:baguette piccole olive taggiasche peperoni rossi mozzarella di bufala pesce spada aff umicato basilico aglio pistacchi Olio, sale e pepe

100 gr

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RICETTE

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AlbertoChef

INSALATA DI POLPO CONFIT, PATATE, ICEBERG, ANACARDI E CIPOLLA IN AGRODOLCE

Prendere il polpo, pulirlo e metterlo in una casseruola ricoperto d’olio (l’olio non andrà buttato, ma potrà essere usato nuovamente per un’altra cottura) con lo spicchio d’aglio e il timo. Mettere la casseruola sul fornello più piccolo, con il fuoco al minimo. Far cuocere dolcemente per almeno 45 minuti. Per verifi care se il polpo è pronto, controllare con uno stuzzicadenti la consistenza del tentacolo. Quando sarà morbido spegnere il fuoco e lasciare raff reddare nell’olio. Pulire e tagliare le patate a cubi. Sbollentare in acqua leggermente acidulata e freddare. Pulire e tagliare le cipolle a spicchi e disporle in una padella con un goccio d’olio, un pizzico di sale, 3 cucchiai di zucchero, una tazzina da caff è di aceto di lamponi e una d’acqua. Far cuocere lentamente.Sfogliare, pulire e tagliare a julien l’insalata iceberg. Condire con sale e olio.

COMPOSIZIONE DEL PIATTODisporre alla base del piatto l’insalata, poi i dadini di patate, i tentacoli di polpo, dei mucchietti di cipolla e gli anacardi sparsi.

Prendere i peperoni, olearli e passarli in forno a 190 gradi per circa 20 minuti. Una volta cotti, riporli in una ciotola, coprendoli con la pellicola. Una volta freddi spellare i peperoni, levare i semi, tagliarli a fi letti, condirli con olio, sale, pepe, qualche foglia di basilico, uno spicchio d’aglio e le olive taggiasche e lasciare insaporire.Frullare con un frullatore a immersione i pistacchi con abbondante olio, fi no a creare una pasta.Tagliare a fette la mozzarella di bufala.

COMPOSIZIONE DEL PANINOAprire la baguette, spalmare il pesto di pistacchi, adagiare le fette di mozzarella di bufala, i peperoni arrosto e delle fette di pesce spada aff umicato.

Esterini

N. 1 N.4 N. 1 N. 2

1 tazzina N. 1

Ingredienti per 4 persone:polpo insalata iceberg patate cipolle rosse di Tropea anacardi aglio timo Aceto di lamponi, zucchero, sale, pepe e olio evo qb

N. 1 N. 3 100 gr

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IlPARTNER

®

®

Il nome Suljma nasce dall’acronimo di tutta la famiglia di Alessandra Ripanti (Susanna, Ulj, Matilda e Alessandra), una donna che ha deciso di realizzare un progetto innovativo e tradizionale

al tempo stesso: avviare un laboratorio dove preparare biscotti e torte utilizzando materie prime naturali e biologiche, attraverso una rete biologica e biodinamica, con l’uso di grani antichi, che hanno valori nutrizionali importanti, e prodotti di piccole aziende del territorio e con l’acquisto degli ingredienti come cacao e zucchero di canna dal commercio equo-solidale, a dimostrare che un’economia alternativa è possibile, nel rispetto dell’ambiente e della salute dell’uomo.

Alessandra si definisce pasticcera per passione da sempre, per lavoro dal 2000. Nel suo laboratorio di Marino l’attenzione alle materie prime è alla base della realizzazione di prodotti semplici e genuini. Tanti i biscotti proposti, ricchi di fibre e ingredienti naturali, con olio evo e zuccheri, dal malto alla canna, buoni e golosi, perché realizzati con materie genuine. Come il biscotto ‘Solidal’, fatto con zuccheri di canna integrale, noci di macadamia e cioccolato fondente, e i dolci guarniti con confetture e marmellate prodotte direttamente in laboratorio. L’attenzione all’artigianalità e all’ambiente è anche nel confezionamento, con utilizzo di carta riciclata per ridurre l’impatto ambientale.

Il progetto non si ferma però all’offerta di biscotti e torte di pasticceria naturale, ma è incentrato anche sulla formazione per l’autoproduzione, per insegnare a tutti come realizzare e portare in tavola un prodotto sano e buono, per essere tutti dei consumatori consapevoli.

Suljma infatti offre corsi rivolti sia agli adulti, sia ai bambini. Per gli adulti si tratta di corsi di formazione sull’alimentazione naturale, perché Alessandra punta a insegnare come realizzare piatti sani e golosi utilizzando i prodotti dei nostri nonni, riproposti sulle tavole con gusto e allegria, cercando di far fare ai corsisti delle esperienze semplici ma significative, perché

tutti dobbiamo e possiamo essere consumatori migliori, cosa spesso non facile vista l’organizzazione della nostra società e il ritmo di vita frenetico che viviamo. I corsi promettono di aiutare a realizzare ricette facili e anche veloci, per cercare insieme di cambiare la pratica delle piccole cose quotidiane partendo sempre dalla scelta dei giusti ingredienti.

Anche nei corsi rivolti ai bambini c’è lo stesso scopo, qui si punta sulla loro voglia di sperimentare il cibo, lavorando sui cinque sensi. “Non c’è solo il gusto di mangiare biscotti buoni da loro stessi realizzati, ma il tatto e il piacere di ‘pasticciare’ insieme, così come gli odori e i colori che coinvolgono appieno i bambini. È bello vedere come si entusiasmano - ci racconta Alessandra - davanti ad esempio all’uso di coloranti naturali; le verdure meno gradite, come le rape rosse o gli spinaci, diventano glasse colorate per coprire biscotti golosi o per realizzare una pasta originale”. Tutto per lavorare sulla fantasia e avvicinare sin da piccoli i nostri figli all’importanza del rispetto della stagionalità e alla provenienza dei prodotti.

Un’altra esperienza particolare che entusiasma i bambini è il poter macinare il grano con una piccola e antica macina presente in laboratorio, che permette loro di capire come si realizzano le farine e di creare connessione tra prodotto e cibo.

Suljma fa parte anche della Condotta Slow Food di Marino Castel Gandolfo (Alessandra è docente Slow Food per la pasticceria) per la qualificazione e la tutela dei prodotti locali delle piccole aziende e per far fronte alle difficoltà nel promuovere e portare avanti progetti validi, cercando di fare rete nel territorio.

Anche la collaborazione con il Villaggio della Salute nasce dalla stessa ideologia “di creare una rete sul territorio fatta di piccoli produttori locali, - spiega Alessandra - per lavorare e fare sinergia tra chi produce, chi lavora e chi promuove, per portare prodotti di qualità al consumatore finale”, perché il benessere parte dal cibo.

UNA STORIA DI PRODOTTI GENUINI E DI PASSIONE PER I BISCOTTI di Manuela Pozzi

foto di Angelo Campus

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35UNA STORIA DI PRODOTTI GENUINI E DI PASSIONE PER I BISCOTTI

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IL FANTASTICO MONDO DELLE SPEZIE

della Dottoressa Idamaria Marini Medico Chirurgo Specialista in Scienza dell’Alimentazione

Perfette per insaporire i piatti,ma anche preziose alleate per la nostra salute

e il nostro benessere

IL PEPERONCINO è ricco di vitamina C, A, PP, potassio, ferro, calcio e fosforo. Le molteplici proprietà sono da attribuire alla Capsaicina, l’elemento che conferisce piccantezza, nota per le capacità antiossidanti, antidolorifiche e digestive. Il peperoncino può essere consumato fresco nei piatti, mentre essiccato può essere aggiunto in piccole quantità in sughi, salse, carni, verdure e in generale in tutte le preparazioni. Negli ultimi anni si è diffusa l’abitudine di aggiungere piccole quantità di peperoncino anche alla cioccolata.

LO ZENZERO ha proprietà antitumorali, depurative e contribuisce a ridurre la cellulite, i gonfiori e la ritenzione idrica. È ricco di potassio, acido folico, vitamine del gruppo B, vitamina E, J e K. Grazie a questa composizione, velocizza il metabolismo, riduce il senso di fame e regolarizza i livelli di glicemia nel sangue. Sia nei dolci che nelle bevande, si sposa bene con miele, agrumi e mele.

LA CURCUMA ha proprietà antinfiammatorie, antiossidanti, antidolorifiche, cicatrizzanti e depurative. È ricca di potassio, manganese, acido folico, vitamina B1, B2, B3, B6, C ed E. Un paio di cucchiaini da caffè al giorno sono la dose ideale da introdurre nella nostra dieta. Si può aggiungere a fine cottura di molti alimenti e dovrebbe essere assunta insieme al pepe nero o al tè verde per facilitarne l’assorbimento. L’olio di curcuma può essere impiegato per sostituire l’olio di oliva in tutti i suoi usi.

Chi ha detto che la “cucina salutare e dietetica” deve essere necessariamente insapore e inodore? Mangiare bene non vuol dire “mangiare in bianco e nero” e in maniera ordinaria e monotona. Si può consumare cibo più appetibile e gustoso senza l’aggiunta di una sola caloria. Com’è possibile tutto ciò? Avete

mai sentito parlare delle SPEZIE? Le spezie sono sostanze aromatiche di origine vegetale, generalmente di provenienza esotica, che vengono usate per aromatizzare e insaporire cibi e bevande e, specialmente in passato, usate anche in medicina e in farmacia.

L’esatto numero delle spezie non è ancora noto. Alcune, più di altre, sono ricche di proprietà benefiche in grado di rafforzare il nostro sistema immunitario e di regolare i livelli del colesterolo e della glicemia.

Ecco di seguito alcune delle spezie ad alto valore nutrizionale che potrebbero iniziare a comparire nella vostra alimentazione quotidiana:

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Tutte queste spezie non sono elementi aggiuntivi di secondaria importanza ma, come Sofocle ci insegna, vanno considerate “artumata” ossia “condimenti della nutrizione”. È una atmosfera carica di aroma, sapore e colore quella delle spezie; è un percorso sensoriale a cinque stelle verso il benessere e la salute e

spero che questa breve carrellata sarà utile a rendere la vostra alimentazione un po’ più speziale!

IL CUMINO è ricco di ferro ed è adatto alla stagione invernale per via del suo potere riscaldante. Proprio per questo è considerata una spezia che aiuta a dimagrire. Contrasta l’alitosi, stimola l’appetito e riduce i livelli di colesterolo e di glicemia. È un’ottima fonte di calcio, potassio, manganese, selenio, zinco, magnesio, rame, vitamina A, E, C e vitamine del gruppo B. Molto spesso lo troviamo come aroma di formaggi, salumi e carni arrostite; tuttavia questa spezia trova largo uso anche in piatti vegetariani o vegani.

I CHIODI di GAROFANO hanno proprietà antiossidanti e sono utili per alleviare i dolori legati all’artrite e al mal di denti. Sono ricchi di sodio, potassio, magnesio, calcio, ferro, vitamina A e C. I chiodi di garofano sono molto apprezzati nelle ricette dolci come in quelle salate e sono spesso utilizzati per aromatizzare tè e infusi.

L’ANICE STELLATO è un antiossidante, un antimicotico ed è considerato un vero e proprio antibiotico naturale. Dal punto di vista nutrizionale è ricco di calcio, ferro, magnesio, sodio, potassio, vitamina A, B6 e C. È ottimo se aggiunto in brodi e minestre.

LA CANNELLA controlla la glicemia e migliora la memoria. Ha proprietà antitumorali, antinfiammatorie e stimola il sistema immunitario. È ricca di calcio, manganese, ferro, potassio, fosforo, sodio, rame, selenio, zinco, vitamina A, B1, B2, B3, B5, B6, C, E, K, J, acido aspartico e glutammico. Oltre a essere impiegata per aromatizzare i cibi, ha anche proprietà digestive. La cannella sembra combattere la fame nervosa ed è quindi un perfetto condimento per chi segue diete dimagranti.

IL CARDAMOMOè la terza spezia più rara al mondo, dopo lo zafferano e la vaniglia. Il cardamomo contiene vitamina C, potassio, magnesio e manganese. L’assunzione di cardamomo aiuta a combattere il vomito e la nausea ed è un ottimo alleato contro il meteorismo. È utile in caso di tosse e raffreddore e per favorire il dimagrimento. Può essere impiegato, ad esempio, per aromatizzare il caffè.

LA NOCE MOSCATA è ricca di rame, calcio, fosforo, potassio, vitamina B, C, ferro e acido folico. E’ molto utile in caso di pressione bassa, reumatismi e malattie infiammatorie gastro-intestinali. In cucina è utilizzata come ingrediente nei dolci, ma anche in pietanze salate.

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QUANDO IL CIBO È

UN’OSSESSIONE.

IL DISTURBO DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA

NEI BAMBINI

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I disordini alimentari, così come un cattivo rapporto con il cibo, sono la forma più manifesta di un disagio psicologico che può avere radici molto remote e che, da una parte, può verificarsi in un rapporto disfunzionale

con le figure genitoriali e, dall’altra, può innestarsi a seguito di un trauma fisico e/o psicologico subito.

I disturbi del comportamento alimentare coinvolgono anche i bambini, non solo gli adulti come solitamente si tende a pensare; laddove però, mentre il comportamento di rifiuto del cibo viene spesso interpretato come capriccio o testardaggine o come qualcosa di passeggero, il binge eating disorder (ovverosia il disturbo di alimentazione incontrollata) interroga di più il genitore, perché mangiare in modo incontrollato appare, invece, più ascrivibile a un disagio interiore che si manifesta attraverso un rapporto con il cibo disturbato.

Sorge dunque una domanda: perché il mangiare tanto, di tutto (tutto ciò che si trova davanti agli occhi) e non avvertire il senso di sazietà, si presenta davvero come un problema non solo per il bambino, ma anche per l’intero nucleo familiare? Ebbene, perché una problematica di questo tipo scompensa l’intero equilibrio familiare: il bambino passa molto tempo a rovistare fra le dispense della cucina, a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, ovunque, in modo confuso, caotico e frenetico; e anche se i genitori tentano di nascondere il cibo mettendolo in luoghi poco accessibili, come se fosse in uno stato di trance, è disposto a tutto pur di trovarlo, e alla fine lo trova. Si tratta di vere e proprie abbuffate continue, simili a quelle consumate dalle persone affette da bulimia nervosa (disturbo del comportamento alimentare, definito “fame da bue”) che non trovano punti di contatto con i casi di obesità esogena ed endogena. Il denominatore comune di tutti questi casi di disturbi del comportamento alimentare (tranne che per l’anoressia nervosa) è il cibo,

vissuto come un’ancora di salvataggio, un ausilio indispensabile, un conforto/consolazione, un mezzo di appagamento e di riempimento del vuoto che si fa sempre più strada dentro di sé e che allontana da tutto il resto; un vuoto che difficilmente si riesce a descrivere e ad attribuire a una ragion d’essere. Spesso i soggetti affermano di sentire un vuoto così profondo dentro di sé che hanno l’impressione di avere un pozzo senza acqua che devono riempire, di cui però devono superarne l’orlo, non semplicemente colmarlo. Eppure ciò che li arresta in questa lunga ed estenuate abbuffata non è la sensazione di sazietà, ma il senso di colpa e di disgusto verso se stessi; un vissuto di vergogna che accresce i sentimenti di angoscia e di depressione.

Perché, a un certo punto, si fanno strada i vissuti di colpevolizzazione? Perché fondamentalmente ci si rende conto di non essere in grado di controllare gli impulsi e le emozioni e si fa fatica a riconoscerle, scoppiando spesso in lacrime. Si tratta di un circolo vizioso, di un tunnel tanto lungo, quanto buio e insidioso. In questi casi, solo un sostegno psicologico può aiutare il bambino e la famiglia a sviscerare e a elaborare i vissuti emotivi e i comportamenti disfunzionali. Il sintomo, ovverosia il comportamento alimentare disfunzionale, ha un valore simbolico specifico e rappresenta un mezzo di comunicazione “arcaico” e rudimentale, non mentalizzato, che permette, seppur in modo autodistruttivo, di comunicare una sofferenza, un malessere interiore. Il problema alimentare andrebbe letto nell’ottica di un reticolo di relazioni familiari sintomatiche e strutturate. Il bambino con il problema alimentare, spesso, si fa solo portavoce di un qualcosa che non “funziona” come dovrebbe, nonostante avesse trovato la sua omeostasi. Il dialogo, la comunicazione aperta, il riconoscimento delle proprie emozioni e dei propri pensieri, la ricerca di punti di contatto, potrebbero aprire la strada verso la cura.

di Claudia MinennaPsicologa e Psicoterapeuta

Il comportamento alimentare disfunzionale nei bambini rappresenta un mezzo di

comunicazione “arcaico” e rudimentale che comunica una sofferenza e un disagio interiore

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CONDIVIDERE PER EVITARE GLI SPRECHI

ReThink Surplus, il portale che consente agli operatori sanitari la ridistribuzione del surplus di scorte farmaceutiche, attrezzature elettromedicali

presidi medico-chirurgici, combinando le esigenze con le eccedenze. L̓ obiettivo è favorire

lʼeffi cienza e generare risorse dagli sprechi

di Martina Fusco

CONDIVIDERE CONDIVIDERE PER EVITARE PER EVITARE GLI SPRECHIGLI SPRECHI

ReThink Surplus, il portale che consente agli operatori sanitari la ridistribuzione del surplus di scorte farmaceutiche, attrezzature elettromedicali

esigenze con le eccedenze. L̓ obiettivo è favorire lʼeffi cienza e generare risorse dagli sprechi

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La sostenibilità economica del Servizio sanitario nazionale (SSN) è divenuta sempre più spesso oggetto di dibattito. A rendere particolarmente delicata la situazione sono fattori diversi: la popolazione che invecchia, la crescita dei costi legata all’introduzione di nuove tecnologie e di farmaci speciali,

l’aumento delle malattie croniche causato anche dalle scarse campagne di prevenzione e dai cattivi stili di vita seguiti dai cittadini. Condizioni economico-sociali che nei prossimi anni porteranno a un ulteriore incremento dei costi della Sanità, che già oggi combatte per il

contenimento delle spese. Una problematica complessa e urgente che impone la

ricerca di soluzioni innovative, in grado di abbattere i costi, ma allo stesso tempo continuare a garantire la qualità dei servizi e delle prestazioni,

aspetti imprescindibili quando si parla di

salute.

Nella pratica sono molte le azioni da poter schierare per far fronte

a questa problematica, prima fra tutte investire in prevenzione. Un recente studio del “The European

House-Ambrosetti” stima, infatti, che investire un euro in prevenzione nell’arco di un decennio può fruttarne tre. Questo comporta che per ogni miliardo stanziato in prevenzione, se ne risparmierebbero tre in cure. Fondamentale sarebbe quindi sviluppare iniziative concrete per diffondere la cultura della prevenzione, puntando a un profondo cambiamento di mentalità della popolazione. Un investimento importante che, nel lungo periodo, porterebbe vantaggi sia in termini di qualità della vita delle persone, sia di sostenibilità a livello sanitario.

Per ottenere risparmi nell’immediato risulta, invece, evidente la necessità di interventi mirati all’efficientamento

e al contenimento degli sprechi perpetuati dalla Sanità. Secondo i calcoli della Fondazione Gimbe, in un anno gli sprechi del SSN ammontano infatti a ben 25 miliardi di euro, il 20% della spesa totale. Una cifra importante che da sola potrebbe contribuire a risollevare le sorti della nostra Sanità, rendendola più efficiente, garantendo una migliore assistenza ai malati e la possibilità di investire in ricerca e

prevenzione. Le cause principali degli sprechi, spiega la Fondazione Gimbe, vanno ricercate nelle prestazioni

inefficaci, rischiose e inappropriate, nella corruzione, negli acquisti a costi eccessivi, nel sottoutilizzo,

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La sostenibilità economica del Servizio a sostenibilità economica del Servizio sanitario nazionale (SSN) è divenuta sempre sanitario nazionale (SSN) è divenuta sempre più spesso oggetto di dibattito. A rendere più spesso oggetto di dibattito. A rendere particolarmente delicata la situazione sono particolarmente delicata la situazione sono fattori diversi: la popolazione che invecchia, fattori diversi: la popolazione che invecchia, la crescita dei costi legata all’introduzione la crescita dei costi legata all’introduzione di nuove tecnologie e di farmaci speciali, di nuove tecnologie e di farmaci speciali,

l’aumento delle malattie croniche causato l’aumento delle malattie croniche causato anche dalle scarse campagne di prevenzione anche dalle scarse campagne di prevenzione e dai cattivi stili di vita seguiti dai cittadini. e dai cattivi stili di vita seguiti dai cittadini. Condizioni economico-sociali che nei prossimi Condizioni economico-sociali che nei prossimi anni porteranno a un ulteriore incremento dei anni porteranno a un ulteriore incremento dei costi della Sanità, che già oggi combatte per il costi della Sanità, che già oggi combatte per il

contenimento delle spese. Una contenimento delle spese. Una problematica complessa e problematica complessa e urgente che impone la urgente che impone la

ricerca di soluzioni

Nella pratica sono molte Nella pratica sono molte le azioni da poter schierare per far fronte le azioni da poter schierare per far fronte

a questa problematica, prima fra tutte investire in a questa problematica, prima fra tutte investire in prevenzione. Un recente studio del “The European prevenzione. Un recente studio del “The European

House-Ambrosetti” stima, infatti, che investire un House-Ambrosetti” stima, infatti, che investire un euro in prevenzione nell’arco di un decennio può euro in prevenzione nell’arco di un decennio può fruttarne tre. Questo comporta che per ogni miliardo fruttarne tre. Questo comporta che per ogni miliardo stanziato in prevenzione, se ne risparmierebbero tre in stanziato in prevenzione, se ne risparmierebbero tre in cure. Fondamentale sarebbe quindi sviluppare iniziative cure. Fondamentale sarebbe quindi sviluppare iniziative concrete per diffondere la cultura della prevenzione, concrete per diffondere la cultura della prevenzione, puntando a un profondo cambiamento di mentalità della puntando a un profondo cambiamento di mentalità della popolazione. Un investimento importante che, nel lungo popolazione. Un investimento importante che, nel lungo periodo, porterebbe vantaggi sia in termini di qualità della periodo, porterebbe vantaggi sia in termini di qualità della vita delle persone, sia di sostenibilità a livello sanitario. vita delle persone, sia di sostenibilità a livello sanitario.

Per ottenere risparmi nell’immediato risulta, invece, Per ottenere risparmi nell’immediato risulta, invece, evidente la necessità di interventi mirati all’efficientamento evidente la necessità di interventi mirati all’efficientamento

e al contenimento degli sprechi perpetuati dalla Sanità. e al contenimento degli sprechi perpetuati dalla Sanità. Secondo i calcoli della Fondazione Gimbe, in un anno gli Secondo i calcoli della Fondazione Gimbe, in un anno gli sprechi del SSN ammontano infatti a ben 25 miliardi di sprechi del SSN ammontano infatti a ben 25 miliardi di euro, il 20% della spesa totale. Una cifra importante che da euro, il 20% della spesa totale. Una cifra importante che da sola potrebbe contribuire a risollevare le sorti della nostra sola potrebbe contribuire a risollevare le sorti della nostra Sanità, rendendola più efficiente, garantendo una migliore Sanità, rendendola più efficiente, garantendo una migliore assistenza ai malati e la possibilità di investire in ricerca e assistenza ai malati e la possibilità di investire in ricerca e

prevenzione. Le cause principali degli sprechi, spiega la prevenzione. Le cause principali degli sprechi, spiega la Fondazione Gimbe, vanno ricercate nelle prestazioni Fondazione Gimbe, vanno ricercate nelle prestazioni

inefficaci, rischiose e inappropriate, nella corruzione, inefficaci, rischiose e inappropriate, nella corruzione, negli acquisti a costi eccessivi, nel sottoutilizzo, negli acquisti a costi eccessivi, nel sottoutilizzo,

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42nelle complessità amministrative e nell’inadeguato coordinamento dell’assistenza.

Tra le voci che gravano pesantemente sui costi che il SSN deve affrontare c’è poi il surplus delle scorte di farmaci, attrezzature e presidi medici. Scorte che in molte strutture sanitarie risultano essere in sovrabbondanza e restano quindi inutilizzate, mentre in altre sono insufficienti e necessitano di investimenti per essere integrate. Una situazione che produce da una parte inevitabili sprechi e dall’altra un costo di approvvigionamento. Ma se queste due realtà avessero la possibilità di incontrarsi? Proprio da questa idea, con l’obiettivo di ottimizzare le risorse che la Sanità ha già a disposizione, è nata una brillante iniziativa: ReThink Surplus. Un portale che consente agli operatori sanitari un miglior impiego e la ridistribuzione del surplus delle scorte farmaceutiche, attrezzature elettromedicali e presidi medico-chirurgici. Una rete che combina le esigenze con le eccedenze, favorendo l’efficienza e generando risorse dagli sprechi.

I prodotti sanitari in surplus, integri e ancora utilizzabili, possono essere scambiati con un semplice click tra tutte le strutture del Sistema sanitario nazionale, grazie alla piattaforma che fornisce immediata corrispondenza dei prodotti cercati, rendendo lo scambio e il riuso immediato. La piattaforma è semplice e intuitiva, nonché gratuita. Dopo aver effettuato la registrazione, si accede alla piattaforma per effettuare il caricamento del proprio surplus o la ricerca dei prodotti sanitari di cui si ha necessità, per poi scegliere le modalità dello scambio.

L’obiettivo è quindi permettere agli operatori delle strutture sanitarie di realizzare consistenti risparmi sui costi in modo autonomo, immediato e

aumentando l’efficienza della propria struttura. Ma anche le industrie farmaceutiche possono accedere al sistema ReThink, guadagnando uno strumento che consentirà loro di conferire gratuitamente prodotti o campioni che avranno diffusione immediata.

Surplus di per sé non significa un acquisto errato o una scorta non corretta, ma può corrispondere anche a una mutata esigenza di una struttura. Facciamo un esempio. In un ospedale viene chiuso

un reparto, la struttura sanitaria si trova quindi ad avere a sua disposizione risorse non

più utili alla propria attività e attrezzature che potrebbero

rischiare di rimanere inutilizzate. Altrove

potrebbe invece esserci l’esigenza

di acquistare proprio quelle attrezzature o una richiesta imprevista di farmaci da evadere in tempi brevi. Grazie a questa piattaforma

le eccedenze da una parte

e le richieste dall’altra possono

incontrarsi, in maniera

rapida ed efficace, razionalizzando le risorse

disponibili e diminuendo i costi di approvvigionamento.

Il progetto è ambizioso e si prefigge di raggiungere traguardi importanti. Il riutilizzo di almeno il 50% dei farmaci destinati al macero, consentirebbe di ridurre l´impatto ambientale e i costi. Smaltire farmaci è, infatti, un processo costoso e nocivo per l’ambiente. Inoltre, diminuendo gli sprechi, si potrebbe migliorare il modello dei servizi offerti a favore della collettività. I 5 miliardi che si spendono per medicinali non utilizzati potrebbero essere meglio investiti in favore della ricerca e dello sviluppo.

Oggi fanno parte del circuito ReThink 185 medici, 25 ospedali, 32 laboratori, 27 grossisti, 78 case di cura e 150 utenti.

un costo di approvvigionamento. Ma se queste due realtà avessero la possibilità di incontrarsi? Proprio da questa idea, con l’obiettivo di ottimizzare le risorse che la Sanità ha già a disposizione, è nata una brillante

ReThink Surplus.

ridistribuzione

farmaceutiche,

elettromedicali e presidi medico-chirurgici. Una rete che combina le esigenze con le eccedenze, favorendo l’efficienza e generando risorse dagli sprechi.

ad avere a sua disposizione risorse non più utili alla propria attività e

attrezzature che potrebbero rischiare di rimanere

inutilizzate. Altrove potrebbe invece

esserci l’esigenza di acquistare proprio quelle attrezzature o una richiesta imprevista di farmaci da evadere in tempi brevi. Grazie a questa piattaforma

le eccedenze da una parte

e le richieste dall’altra possono

incontrarsi, in maniera

rapida ed efficace, razionalizzando le risorse

disponibili e diminuendo i costi di approvvigionamento.

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IMPRENDITORIA ETICA SOSTENIBILE

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Dal frigo al cassonetto: ogni anno in Europa nella spazzatura 88 milioni di tonnellate di alimenti.

Last Minute Market lavora per trasformare lo spreco in risorse,

con effetti positivi dal punto di vista ambientale, sociale, economico e nutrizionale

SPRECO ZERO

di Lisa Bellocchi

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“Il frigorifero è la coscienza sporca del consumatore!”. Lo sostengono gli esperti di LMM, Last Minute Market, una realtà imprenditoriale nata quasi 20 anni fa come spin off da un’attività di ricerca dell’Università di Bologna e oggi accreditata in Italia e all’estero per

lo sviluppo di progetti territoriali volti al recupero dei beni invenduti (o non commercializzabili) a favore di enti caritativi. All’origine del progetto il professor Andrea Segrè, Ordinario di Politica agraria internazionale e comparata e di Agricultural and rural development policies all’Università di Bologna e, contemporaneamente, instancabile promotore di iniziative d’avanguardia, come il Last Minute Market.

Con le sue ricerche, LMM ha dato consistenza e numeri inaspettati al fenomeno più inquietante dei nostri ben pasciuti tempi: quello dello spreco. Secondo le più recenti indagini, lo spreco alimentare nei Paesi dell’Unione europea vale annualmente 143 miliardi di euro. Ben 88 milioni di tonnellate di alimenti finiscono nel pattume, e il soggetto che contribuisce maggiormente allo spreco alimentare sono le famiglie con 47 milioni di tonnellate: il 70% dello spreco alimentare europeo totale, la cui montagna è fatta anche dai rifiuti provenienti dalla ristorazione e dalla vendita al dettaglio. Ciò che lascia senza fiato è che nelle stesse terre in cui tante tonnellate di cibi finiscono al compostaggio, ci sono numerosissime persone e realtà per le quali garantirsi quotidianamente pranzo e cena è impresa titanica. Fare incontrare chi ha avanzi da distribuire e chi necessita di cibo (come da una quarantina d’anni fa anche il Banco Alimentare) è stato il primo obiettivo dello spin off bolognese.

Dopo alcuni anni di studi e ricerche universitarie, LMM ha messo a punto nel 2000 il primo sistema professionale italiano di riutilizzo di beni invenduti dalla Grande Distribuzione Organizzata. Da un ipermercato di grandi dimensioni sono state recuperate fino a 170 tonnellate di prodotti alimentari in un anno, che corrispondono a circa 300 pasti al giorno per un valore economico stimato (a prezzi al consumo) di circa 650.000 euro. Gran parte dei prodotti

recuperati sono referenze merceologiche fresche e altamente deperibili come frutta, carne, latticini, ecc.

Nel tempo, l’attività di LMM si è estesa ad altri settori di recupero: i prodotti ortofrutticoli che restano in campagna, perché la dura legge del mercato non ne rende conveniente la raccolta; i pasti pronti recuperati da mense aziendali, ospedaliere o scolastiche; i farmaci da banco o i parafarmaci prossimi alla scadenza, ma ancora utilizzabili, e molto altro.

Perché lo spreco si annida anche dove non ti aspetti. Dal 2004, ad esempio, sono stati recuperati più di 80.000 libri destinati al macero, che hanno trovato nuova vita presso istituzioni benefiche nazionali e internazionali.

Dati alla mano, un singolo centro di cottura può recuperare oltre 7 tonnellate all’anno di prodotto cotto.

Otto mense scolastiche di Verona sono riuscite a far “risparmiare” circa 8 tonnellate all’anno di alimenti cotti, equivalenti a 15.000 pasti.

Una caserma può evitare lo spreco di oltre 12 tonnellate all’anno di menu.

Dalla mensa di uno degli ospedali di Bologna si recuperano ogni giorno 30 pasti pronti, per un valore complessivo di oltre 35.000 euro all’anno. Si calcola perciò che le mense ospedaliere possono arrivare a “salvare” complessivamente una media di 3 tonnellate all’anno. Un normale self-service può ridistribuire in media 5 tonnellate all’anno di prodotto non servito.

Il percorso virtuoso che LMM propone alle imprese alimentari, della GDO e della ristorazione, offre un vantaggio tutt’altro che trascurabile anche sotto il profilo economico. Riciclare il più possibile comporta infatti una significativa riduzione della quota di rifiuti prodotti e quindi un sensibile risparmio nei costi di smaltimento.

L’adesione a queste “buone pratiche” unisce poi un miglioramento dell’immagine aziendale anche

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sul piano della tutela dell’ambiente. Nella sola Bologna, i “Waste watchers”, i guardiani dello spreco, hanno quantificato che il riciclo ha evitato di riempire 1.776 cassonetti della spazzatura, evitando all’inceneritore l’emissione di 2,5 milioni di chili di anidride carbonica. In alcune città italiane, la buona prassi viene incentivata anche con riduzioni della Tassa sui rifiuti.

Oggi Andrea Segrè, che è anche presidente del Comitato Tecnico Scientifico costituito dal Ministero dell’Ambiente per lo sviluppo del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, si batte a 360 gradi per una vita “a spreco zero”. Ogni strumento è buono – libri, conferenze, campagne sociali e spettacoli teatrali – per indurre le persone a risparmiare anche acqua, suolo ed energia. “Sprecare un bene – spiega – significa che, per chi compie quell’azione, quel bene non ha più valore. E una società dove il cibo

non ha un significato nutrizionale, economico, ambientale, sociale, culturale, storico, conviviale, emozionale è davvero arrivata al capolinea”. Alla base, sostiene il docente, c’è sempre un problema di educazione. Solo chi è formato a capire il valore di ciò che incontra può rispettarlo. Perciò, “voglio – afferma – un cibo ‘educato’. Un solo aggettivo, che non ha bisogno di tante parole di contorno. Così ci riprenderemo il diritto al cibo, e non il suo rovescio”.

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Il picnic eco riciclato è servito!

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Una volta fi nito il pane non gettate le buste di carta. Conservatele e usatele per confezionare un praticissimo cestino per la frutta! A picnic fi nito non dimenticate di buttare la carta nella differenziata.

Un picnic non si può considerare tale senza un

barbecue! Basta un barattolo, della stagnola, una griglia e

della carbonella.Realizzarne tanti quanti

saranno gli ospiti, cosìcché ognuno cuocerà la propria porzione a suo piacimento.

Finalmente fa caldo e quale occasione migliore per organizzare un picnic e uscire a godersi i primi raggi del sole con amici e parenti? Lo sapevate che in casa avete già tutto l’occorrente per realizzare un perfetto picnic? Quindi non ci sono più scuse: uno, due, tre... Il prato aspetta solo te! Mi raccomando eliminate l’uso della plastica, usate le stoviglie di tutti i giorni, i barattoli di vetro con chiusure ermetiche come contenitori per gli alimenti. Ritirate fuori la coperta che la nonna vi ha regalato per il corredo, stendetela per terra e per il resto dell’occorrente date un’occhiata qui sotto...BUON ECORICICLO!

di Rachele Messina

Ideale per le candele alla citronella, allontano gli

insetti in maniera naturale.Di facile realizzazione sono utilissime e riutilizzabili in terrazzo e in giardino.

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L’AGRONOMO

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L’interesse crescente per prodotti salutistici e frutto di produzioni etiche e sostenibili trova finalmente il giusto spazio in un mercato in cui, fino a pochi anni fa, si

voleva migliorare il regime alimentare del grande pubblico, o basandosi su privazioni di alcune categorie alimentari, o basandosi su prodotti che da soli non rappresentano quote e quantità significative della dieta giornaliera di un individuo. Questo cambiamento sostanziale è stato possibile quando sono divenuti più comuni nel mercato prodotti trasformati di alcune categorie di prodotti base per l’alimentazione quotidiana come i legumi e i cereali, con caratteristiche di qualità superiori.

Proprio su quest’ultima categoria di prodotti, vi è un grande interesse da parte del pubblico (e di conseguenza del mercato, con la grande distribuzione organizzata in testa) poiché tra gli aspetti salutistici dei cereali, non vi è solo l’assenza di residui di prodotti chimici, ma quote significative di fibre, antiossidanti naturali e una giusta presenza di glutine. Il primo aspetto è quello più rilevante per chi consuma prodotti da agricoltura biologica, ma è come se fosse intervenuto un ulteriore livello di qualità richiesta dal consumatore, fatta dei tre aspetti sopramenzionati. Ora per quanto riguarda le fibre, basterà scegliere prodotti biologici e integrali, ma per gli altri due aspetti occorre introdurre il discorso sulle differenti varietà dei cereali. Infatti alcune caratteristiche di qualità sono prevalentemente dettate dal patrimonio genetico della varietà di cereale coltivata e impiegata per una data trasformazione e possono essere rafforzate o mitigate (in misura secondaria) anche dalla tecnica colturale e dal luogo di coltivazione. Ma i consumatori hanno cominciato ad appropriarsi di diciture nuove come Manitoba, Creso, Kamut, grani di forza, glutine, gluten sensitivity e a non accontentarsi del solo marchio bio.

Molte ricerche indicano che i consumatori sono frammentati in una miriade di sottogruppi, attraversati da tendenze spesso non rilevabili, influenzati da paure e da mode e comunque molto propensi a cercare stili di vita distintivi. Non è facile rilevare le leve su cui poggiano le

scelte dei consumatori, ma in fatto di cereali si sta constatando una polarizzazione delle tribù su due gruppi: coloro che consumano prodotti industriali e sono particolarmente sensibili ai prezzi e coloro che sono animati da una maggiore sensibilità e cercano prodotti unici.

Quindi ultimamente si registra la possibilità reale di acquistare prodotti con differenti livelli di qualità (non esiste più solo la pasta industriale o il pane comune) con giustificate differenze di prezzo e più in generale, si nota come la questione del consumo dei cereali sia divenuta centrale per una dieta equilibrata e sana.

In questo contesto occorre fare chiarezza sulla natura merceologica dei cereali e dei prodotti derivati che arrivano sulle nostre tavoleNella storia umana i cereali sono stati la base alimentare dell’umanità, e anzi dove vi erano i cereali, sono nate grandi civiltà (riso in Cina, farro e orzo nel Medio Oriente, mais in America centrale) quindi l’uomo ha affinato, dopo la nascita dell’agricoltura, i propri gusti su prodotti a base di cereali che consuma varie volte al giorno senza che questo determini stanchezza al gusto o senso di ripetitività. Proprio la coevoluzione dell’uomo con i cereali è stata gestita sulla base di una selezione genetica che ha sempre portato ad aumentare le rese per sostenere una popolazione terrestre che negli ultimi diecimila anni, nonostante guerre, carestie, cataclismi, è andata sempre aumentando. Ma nel caso dei cereali la selezione genetica è avvenuta per incorporazione di specie che ha incrementato il patrimonio genetico e che è collegato in natura con fattori di adattamento evolutivo di fronte a condizioni avverse o a specifiche attività di ibridazione artificiale e che ha determinato livelli di glutine crescenti.

In origine, il Triticum monococcum o “farro minore” detto anche “farragine”, e databile X/IX millennio a.C., ha una pianta piccola, ogni spighetta contiene un solo seme appiattito, è portatore del genoma “A” (2n = 14 cromosomi AA). Esso sarebbe derivato da forme selvatiche quali il Triticum boeticum e il Triticum urartu. Ciò avvenne nell’area geografica della Mezzaluna Fertile, la regione del Vicino Oriente situata fra l’Egitto e la Mesopotamia. Intanto, dopo circa un altro millennio dalla scoperta del primo antenato del frumento fatta sui monti Zagros in Medio Oriente, comparve una forma più evoluta: il

CHE NE SAI TU DI UN CAMPO DI KAMUT

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AGRONOMO

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SEMI PAZZI PER “UGO”Conoscere, amare e dilettarsi in agronomia con il Dott. Ugo Pazzi

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Triticum dicoccum o farro medio. Esso differiva dal primo anche perché oltre a essere portatore del genoma “A”, portava anche il genoma “B” (2n = 28 cromosomi AA BB), in altre parole il primo antenato aveva inglobato spontaneamente un genoma diverso proveniente da una delle varie specie di un genere chiamato Aegilops speltoides (T. sitopsis) o altre Aegilops strettamente imparentate alla prima. Una mutazione successiva fece apparire una forma nuda della cariosside per il distacco a maturazione di questa dagli involucri fiorali. Possiamo invece datare la comparsa del “grano tenero” (Triticum aestivum) verso il 7500 a.C. Anch’esso è il prodotto d’inglobamento nel T. turgidum di un terzo genoma diverso conosciuto con la lettera “D”. A fornire questo genoma sembra sia stata l’Aegilops squarrosa o Triticum tauschii. Poi lo stesso processo è avvenuto anche nel frumento tenero.

I cereali sono elemento indispensabile a una dieta corretta ed equilibrata. Entrando nello specifico, i cereali sono stati modificati per ottenerne prodotti con elevato tenore di glutine poiché questo determina un valore aggiunto per la trasformazione sia in pane (frumento tenero), sia in pasta (frumento duro). La ricerca genetica ha puntato tutto sul glutine, ma ha tralasciato elementi poco importanti per la trasformazione industriale, ma fondamentali come gli

antiossidanti e le caratteristiche organolettiche.

Per cui oggi il panorama delle coltivazioni è dominata da varietà industriali, con aree sparute ma in crescita in cui si stanno riaffermando varietà locali che mantengono la biodiversità e le tradizioni, che consentono di ottenere prodotti ad alto valore aggiunto e con un livello di glutine che l’organismo tollera in modo migliore.

L’esempio del Kamut è un caso di discrimine interessante, poiché è grano antico, ma è stato sottoposto a tutela di brevetto, per cui esso ha caratteristiche complessivamente positive, ma contiene un aspetto particolarmente negativo, il pagamento delle royalty a coloro che hanno brevettato tale varietà che determina la nascita di filiere chiuse e limita gli scambi tra gli agricoltori locali. Quindi si assiste al tentativo delle grandi aziende industriali di proporre prodotti salutistici e con forti connotazioni storiche (vere o verosimili) che siano semplici da comunicare al consumatore (proprio per questo in grado di generare profitti) per cercare di recuperare la distanza dai desiderata del grande pubblico, ma esistono delle alternative assolutamente valide rispetto al Kamut, in cui si impiegano varietà antiche di grani italiani (Sieve, Verna, Gentilrosso..) in cui i semi non sono coperti da nessun brevetto. La frammentazione locale di decine di produttori consente la fruibilità di tali prodotti su scala prevalentemente locale, impedendo alla Grande distribuzione organizzata di appropriarsi di questa fetta di mercato.

Dal punto di vista botanico, si tratta di Triticum turanicum detto anche grano orientale o Khorasan. È stato domesticato, migliaia di anni fa, nella Mezzaluna Fertile. La storia narra della sua riscoperta per opera di un soldato americano che riporta dopo la Seconda Guerra mondiale una manciata di semi di questo cereale in un sarcofago rinvenuto in una tomba in prossimità di Dashare in Egitto. I semi furono conservati e ritrovati in un’azienda del Montana. I titolari dell’azienda selezionarono una serie di semi dal piccolo recipiente, cercarono di moltiplicarli nel corso dei dieci anni successivi e lo ribattezzarono “Kamut”, un’antica parola egizia per indicare il grano e ne depositarono il nome Kamut come marchio commerciale.Ha una grandezza da due a tre volte superiore a quella del grano comune e contiene dal 20 al 40% in più di proteine (e di glutine in particolare), percentuali più elevate di lipidi, amminoacidi, vitamine e minerali nonché caratteristiche di elevata digeribilità.Non ha mai subito le alterazioni delle tecniche di manipolazione genetica dell’agricoltura moderna, che sacrificano sapore e contenuto nutrizionale a vantaggio di rendimenti elevati.Attualmente Kamut è un marchio depositato della società Kamut Enterprises of Europe. Quindi un grano con più glutine, con interessanti livelli di acidi grassi che lo rendono prodotto ad alto valore energetico, ma con mediocri caratteristiche organolettiche (rispetto ai grani tradizionali), poco sostenibile in quanto pur coltivato in bio in molte zone, viene spinta la sua produzione proprio per la sua natura di commodity mondiale, con una presenza eccessiva di glutine, probabilmente correlata con la tetraploidia (4n) che recenti ricerche mettono in relazione ad una serie di disturbi noti con il nome di gluten sensitivity, volgarmente nota come celiachia.

Il KAMUT

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50Porta a tavola il benessere con la Dott.ssa Nutrizionista Giovanna Corona

LA SALUTE VIEN MANGIANDOLA SALUTE VIEN MANGIANDOLA SALUTE VIEN MANGIANDO

Dall’inizio degli anni 2000, sembra essersi sviluppata, nella popolazione mondiale, una maggiore coscienza ambientale e salutista, per cui, con il passare del tempo, si sta ponendo attenzione in maniera più accentuata ai processi di

produzione, lavorazione e consumo che possano essere sostenibili, ovvero che non arrechino danni all’ambiente e, indirettamente (ma in una certa misura anche direttamente), alla salute umana.

A livello agricolo parliamo, principalmente, di agricoltura biologica, km zero, slow food e agricoltura biodinamica.

Le produzioni biologiche hanno iniziato a prendere piede da quando si è sviluppata una maggiore consapevolezza che i pesticidi, gli erbicidi, gli anticrittogamici, gli insetticidi, i farmaci, che tanto hanno aiutato le produzioni agricole e animali, proteggendole dai patogeni, potevano, nel lungo periodo, essere dannosi per chi mangiava quei prodotti trattati senza avere cura di pulirli a fondo. L’attenzione, in questo caso, è rivolta prevalentemente alle possibili ripercussioni sulla salute umana, come rischio di intossicazione e avvelenamento da sostanza chimica, per concentrazioni molto elevate. Ma anche laddove i residui siano ridotti al minimo, se questo minimo viene, in ogni caso, consumato in maniera costante e cronica per una vita intera, può interferire con i sistemi endocrini (c.d interferenti endocrini) del nostro organismo, causando disfunzioni o insorgenza di patologie, anche gravi.

A livello legislativo la comparsa di una norma relativa alle produzioni biologiche risale al 1991, con il Regolamento CEE n.2092, sostituito nel 2007 dal Regolamento CE n.834 e nel 2008 dal Regolamento CE n. 889, mentre nella normativa italiana è apparso nel 2009 con il D.M. 18354.

Il principio di base delle produzioni biologiche è il rispetto della natura, delle sue creature, dei suoi ambienti, delle sue leggi. Niente di sintetico e di intensivo deve intervenire nelle produzioni biologiche e sia gli animali sia i vegetali non devono subire alcun maltrattamento durante la loro vita. Le coltivazioni devono essere spontanee, non forzate da fertilizzanti di sintesi industriali, ma alimentate solo con prodotti naturali, residui di materiale organico, compost, letame. Non devono essere utilizzati pesticidi, fitofarmaci né alcuna altra sostanza di sintesi industriale, ma le

coltivazioni devono essere preservate con metodi naturali, attraverso la scelta di specie più resistenti, la rotazione delle coltivazioni (ovvero non si coltiva due volte lo stesso prodotto nello stesso posto per evitare la colonizzazione dei patogeni specifici per quel vegetale), la disposizione delle varie coltivazioni in modo che una pianta sia repellente per il patogeno della pianta accanto, la plantumazione, intorno al campo coltivato, di specie arboree e arbustive che siano da habitat per i predatori dei patogeni.

Quando dovesse essere necessario intervenire con sostanze esterne, è necessario che queste siano di origine naturale, estratti di piante, farina di roccia o minerali naturali. Il terreno non deve essere sfruttato in maniera intensiva, ma solo per quel che è in grado di dare.

In ogni caso, il Regolamento Europeo prevede una lista (detta lista positiva) di tutti i prodotti di origine naturale autorizzati per le coltivazioni biologiche. Per quanto riguarda gli allevamenti biologici il principio di base è rispettare l’animale, i suoi ritmi, il suo habitat, i suoi tempi e le sue caratteristiche. Non esiste allevamento intensivo, gli animali vivono nel proprio habitat naturale, non vengono trattati con antibiotici, ormoni né alcuna altra sostanza che interferisca con il loro processo di crescita e di produzione (naturalmente in caso di necessità è consentito l’intervento veterinario per la cura di un singolo animale). Gli animali vivono in numero proporzionale allo spazio a loro disposizione, in caso di trasferimento il tragitto deve essere il più breve possibile, non devono essere maltrattati, forzati né devono essere loro somministrati tranquillanti durante il viaggio. L’alimentazione deve essere bilanciata e deve rispecchiare gli effettivi fabbisogni della specie e non deve includere alimenti arricchiti artificialmente, contenenti ormoni o farmaci di alcun tipo, non deve contenere residui animali (a eccezione di latte e prodotti lattiero - caseari) né organismi geneticamente modificati. Naturalmente anche il cibo per gli animali di un allevamento biologico deve provenire da una coltivazione biologica.

La produzione a “km zero” promuove l’acquisto e il consumo di prodotti locali, dal produttore al consumatore, abbattendo l’intermediazione della grande distribuzione. Questo sistema porta una serie di vantaggi in diversi ambiti:

1) Salvaguardia dell’ambiente: comprare prodotti

SCEGLI SANO, GENUINO E RISPETTOSO DELL’AMBIENTE

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LA SALUTE VIEN MANGIANDOLA SALUTE VIEN MANGIANDOLA SALUTE VIEN MANGIANDOlocali evita lunghi trasporti, che favorirebbero l’incremento della CO2 in atmosfera, con aumento dell’inquinamento e del riscaldamento globale; 2) Abbattimento dei costi: relativi sia ai trasporti stessi che all’intermediazione di terzi per la distribuzione dei prodotti. 3) Garanzia di genuinità dei prodotti: le realtà locali non sono a coltivazione intensiva come lo può essere un’industria agricola e i prodotti non subiscono i trattamenti tipici della produzione industriale (raccolta quando ancora non maturi e maturati artificialmente con metodi chimici; sfruttamento in serra per produrre alimenti fuori stagione, ecc).

Il progetto Slow Food è nato per riavvicinare la popolazione a un utilizzo sostenibile delle risorse, a una corretta alimentazione e per tutelare l’ambiente nella sua biodiversità. Produzione e consumo devono rispettare gli ecosistemi, devono essere tutelate le specie in via di estinzione e, in fase di acquisto, si promuove la scelta di produttori che rispettino gli esseri viventi, sia animali sia vegetali, i loro tempi, le loro stagioni, i loro habitat naturali, i loro cicli biologici, senza alcuna forzatura nella crescita, lo sviluppo e la riproduzione.

Alcuni esempi del progetto Slow Food: 1) Riscoprire specie animali e specie vegetali locali. Negli anni coltivatori e allevatori hanno dato vita a nuove razze da incroci e nel tempo queste sono diventate simboli delle tradizioni della terra, da conoscere, preservare ed apprezzare.2) Favorire i produttori locali, che lavorano nel rispetto delle leggi della natura così come le leggi della sicurezza alimentare e della sicurezza ambientale. 3) Ridurre il consumo di alimenti la cui produzione non sia sostenibile, come il consumo eccessivo di carne, soprattutto nei tagli più sfruttati a livello commerciale o trattata a livello industriale o favorire il consumo di pesce e frutti di mare locali e non provenienti da zone di pesca intensiva, anche se questo vuol dire prediligere alcune specie rispetto ad altre. 4) Preferire, sempre e comunque, alimenti di stagione, per i quali non ci sia stata forzatura nei ritmi biologici, non siano stati trattati per regolarne i cicli di maturazione fuori stagione e che non siano stati coltivati in maniera intensiva in serre. Con le coltivazioni biodinamiche entriamo in una visione spirituale e filosofica del mondo, di cui una parte è rappresentata dall’agricoltura. Si parte da principi comuni anche alle coltivazioni biologiche, promuovendo una produzione nel rispetto dell’ambiente e della sostenibilità e si associano a questi l’osservazione delle fasi della Luna e l’importanza attribuita alle “forze cosmiche” e alla “energia vitale”.

L’approccio biodinamico consiste nel rispettare i tempi fisiologici di sviluppo delle piante, lasciarsi

guidare nella scelta delle operazioni colturali da calendari basati su fasi lunari e astrali, rinunciare all’utilizzo di composti fitosanitari di sintesi e concimare in modo naturale.

Il tutto parte da un filosofo, Rudolf Steiner che ha dato inizio a questo metodo basato su alcuni principi di base, comuni anche all’agricoltura tradizionale: 1) Mantenere la terra fertile 2) Mantenere le piante in buona salute 3) Accrescere la qualità dei prodotti

Le sostanze utilizzate come concimi devono, di base, essere completamente naturali, non devono essere di sintesi chimica o tossiche e devono apportare vita. Secondo Steiner la vita può nascere solo dalla vita, quindi il concime utilizzato per far crescere vegetali deve essere di per sé vivo, per cui sono completamente bandite le sostanze chimiche e sono utilizzate sostanze provenienti, spesso, dalle stalle o, comunque, da animali.

I principi della concimazione biodinamica sono simili a quelli della medicina omeopatica, in quanto le sostanze vengono diluite, in quanto si ritiene che più una sostanza è diluita più fa effetto sugli esseri viventi con cui entra in contatto. Le sostanze utilizzate possono essere: zxcompost ricavato da concime da cortile, materiale vegetale con funzione di fertilizzante, sostanze minerali per contrastare i parassiti.

Così come anche per le agricolture biologiche, è importante ruotare le coltivazioni, ovvero non effettuare due cicli della stessa coltivazione consecutivamente, in questo caso per incrementare la fertilità e la resa del terreno.

La particolarità della biodinamica, come dicevamo in apertura, è che all’utilizzo di sostanze naturali si affianca una calendarizzazione delle operazioni di coltivazioni in base alle fasi lunari, ben note sin dai tempi antichi, ma attualmente alla base di questo metodo di agricoltura.

In generale, la luna crescente favorisce lo sviluppo vegetale delle piante e i succhi risalgono in superfi cie; la luna calante ha l’effetto opposto, ovvero i succhi si ritirano verso la radice e la terra è ricettiva.

Il consiglio è di seminare in luna calante ciò che monta a seme, tipo basilico, prezzemolo, insalata mentre in luna crescente tutto il resto che non va a seme, come peperoni, melanzane, pomodori, fagioli. In genere i semi messi a dimora in luna crescente germinano più velocemente. È sconsigliato però per i tuberi (carote, patate, ravanelli ecc.) perché in luna crescente sviluppano velocemente l’anima e la parte interna diventa molto dura.

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COMUNI RINNOVABILI 2016In Italia in 10 anni la crescita delle fonti rinnovabili ha portato il contributo, rispetto ai consumi, dal 15 al 35,5%, grazie a oltre 850mila impianti diffusi da Nord a Sud, dalle aree interne alle grandi città. Questo ha permesso un aumento della produzione pulita di 57,1 TWh, mentre il numero di Comuni nei quali è installato almeno un impianto da fonti rinnovabili è passato da 356 a 8.047. In 2.660 Comuni l’energia elettrica pulita prodotta supera quella consumata. Ma sono 39 i migliori Comuni d’Italia dove il mix di impianti diversi permette di raggiungere il 100% di energia da fonte rinnovabile. I dati sono contenuti nel rapporto Comuni Rinnovabili 2016 di Legambiente.

BANDIERE BLUCresce il numero delle località italiane che potranno fregiarsi della Bandiera Blu 2016, il riconoscimento internazionale assegnato dalla Foundation for Environmental Education (Fee). 152 Comuni rivieraschi (cinque in più rispetto allo scorso anno), 293 spiagge (contro le 280 del 2015) e 66 approdi turistici.Il riconoscimento premia la qualità delle acque di balneazione, ma anche il turismo sostenibile, l’attenta gestione dei rifi uti e la valorizzazione delle aree naturalistiche.In vetta alla classifi ca la Liguria, con 25 località. Seguono la Toscana con 19 bandiere e le Marche a quota 17 bandiere.

CRESCE L’INQUINAMENTO MONDIALESecondo i dati diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità, nonostante i miglioramenti registrati in alcune aree geografi che, nel quinquennio 2008-2013 i livelli globali di inquinamento atmosferico sono cresciuti dell’8%, coinvolgendo oltre l’80% di chi abita in aree urbane, con situazioni più gravi nelle regioni meno ricche.Il 98% delle città con più di 100mila abitanti nei Paesi a basso e medio reddito ha un inquinamento dell’aria che supera i limiti, mentre nei Paesi ricchi il dato riguarda il 56% delle città. Se la qualità dell’aria peggiora, aumenta di conseguenza il rischio di ictus, malattie cardiache, tumore al polmone, malattie respiratorie croniche e acute.

AUMENTANO I PESTICIDI NELLE ACQUELe acque superfi ciali (fi umi, laghi e torrenti) presentano pesticidi nel 63,9% dei 1.284 punti di monitoraggio; le acque sotterranee risultano invece contaminate nel 31,7% dei 2.463 punti controllati. A rivelarlo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque 2016, relativo al 2013-2014. Nelle acque superfi ciali, il 21,3% del punti presi in esame presenta concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali, mentre nelle acque sotterranee i limiti vengono superati nel 6,9% dei casi. Il rapporto è stato costruito sulla base dei dati forniti dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, ma la copertura del territorio non è completa: non si dispone infatti di informazioni relative a Molise e Calabria e mancano i dati su cinque Regioni per le acque sotterranee.

LA PATATA DEL FUCINO DIVENTA IGPUna nuova eccellenza agroalimentare italiana ottiene il riconoscimento di Indicazione geografi ca protetta (Igp) nell’Unione europea. È la Patata del Fucino, tubero della specie Solanum tuberosum della famiglia delle Solanacee coltivato in Abruzzo sul fondo dell’omonimo lago “Fucino” prosciugato e bonifi cato nel 1875, posto a 700 metri sopra il livello del mare. Le Dop e le Igp italiane registrate in ambito comunitario salgono così a 282, consolidando il primato che il nostro Paese detiene da anni per i prodotti agroalimentari di qualità.

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GIORNATA MONDIALE DELL’AMBIENTEIstituita nel 1972 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, anche quest’anno il 5 giugno si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi ambientali del nostro pianeta e promuovere azioni a tutela. Ogni anno le manifestazioni sono incentrate su un tema comune, la Giornata Mondiale dell’Ambiente 2016 ha come tema la lotta al commercio illegale di fauna selvatica, con lo slogan “Go Wild per la vita”. Questo tipo di commercio colpisce la preziosa biodiversità della Terra e ci priva del nostro patrimonio naturale portando intere specie animali all’estinzione. Celebrando questa giornata a livello individuale, locale o globale, ricordiamo a noi stessi e al mondo intero l’importanza della cura del nostro ambiente, ogni azione conta!

RISCHIO IDROGEOLOGICO IN ITALIASono 7 milioni gli italiani esposti al rischio idrogeologico per frane e alluvioni secondo il dossier Ecosistema rischio 2016 di Legambiente realizzato grazie alle risposte fornite dalle amministrazioni locali e a un questionario inviato ai Comuni. La particolare fragilità del nostro territorio è dimostrata dalle oltre 3.600 persone sfollate, le 18 vittime e un disperso e i 25 feriti relativi solo allo scorso anno, dati forniti dall’Irpi (Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica) e dal Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) che sottolineano l’importanza di un serio impegno per mettere in sicurezza i terreni e il suolo, così come la corretta manutenzione dei corsi d’acqua per mitigare gli effetti devastanti a cui sono soggetti costantemente i cittadini.

PIANTARE ALBERI CON UN CLICKEcosia.org è un motore di ricerca che pianta alberi con i suoi introiti pubblicitari. Dalla sua fondazione, avvenuta nel dicembre del 2009, ha generato più di 2,5 milioni di euro destinati a progetti di riforestazione. Il costo di un albero è di 0.28 euro, questo ha permesso di piantare più di 4 milioni di alberi. Il progetto di riforestazione si sta concentrando in Burkina Faso, riportando acqua, piante e animali nelle zone colpite da siccità. Queste foreste fanno parte del progetto internazionale per la creazione in Africa di una “Grande Muraglia Verde”, con lo scopo di migliorare le condizioni ambientali, sociali ed economiche. L’obiettivo di Ecosia è di riuscire a piantare un miliardo di alberi entro il 2020.

UN VILLAGGIO DI BOTTIGLIE DI PLASTICA

Presto nell’isola di Colon a Panama sorgerà il primo villaggio al mondo nato dal riciclo di migliaia di bottigliette di plastica. Il progetto, partito nel 2015, si chiama Plastic Bottle Village ed è stato lanciato dall’imprenditore Robert Bezeau, al fi ne di incentivare il riciclo dei rifi uti accumulati nelle discariche della zona.La prima abitazione è stata realizzata con 20mila bottiglie, utilizzate come materiale isolante. Ci sono in cantiere 120 abitazioni che saranno formate da uno scheletro in acciaio nel quale saranno inserite le bottiglie poi coperte di calcestruzzo.

IMPRESE BIOTECHA fi ne 2015 erano quasi 500 le imprese biotech attive in Italia. A rivelarlo il Rapporto 2016 “Le imprese di biotecnologie in Italia – Facts&Figures” realizzato da Assobiotec, Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica, in collaborazione con ENEA. Nella grande maggioranza dei casi il biotech italiano è costituito da imprese micro o di piccola dimensione. Il fatturato supera i 9,4 miliardi di euro e le previsioni indicano un +12,8% al 2017 e un +18,1% al 2019. Gli addetti superano le 9.200 unità, gli investimenti in ricerca e sviluppo gli 1,8 miliardi con un’incidenza del 25% sul fatturato, con punte anche del 40% del giro d’affari.

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