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NOME SOCIETÀ A NNO VI — N UMERO III GENNAIO 2012

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Mensile scolastico del Liceo Classico Statale Giosuè Carducci.

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Page 1: L'OblòSulCortile_2012aGennaio

Gennaio 2012

NOME SOCIETÀ

ANNO VI — NUMERO I II

GENNAIO 2012

Page 2: L'OblòSulCortile_2012aGennaio

L’Oblò Sul Cortile presenta: speciale Fabrizio De AndréL’Oblò Sul Cortile presenta: speciale Fabrizio De AndréL’Oblò Sul Cortile presenta: speciale Fabrizio De AndréL’Oblò Sul Cortile presenta: speciale Fabrizio De André

ANNO VI — NUMERO I I I

A ssurdo. Dice? Mah, dico. Assurdo cosa? Assurdo tutto: assurdo lei, assurdo io, assurda

la gente, quella che aspetta, quella che fugge, quella che non gliene frega niente. Bien-

venue. Dice? Mah, dico. Bienvenue a chi? Bienvenue a tutti: a lei, a me, alla gente,

quella che ha aspettato, quella che è fuggita, quella che non gliene fregava niente.

Andiamo. Dice? Mah, dico. Andiamo da chi? Andiamo da tutti: andiamo da lei, da me, dalla gente,

quella che ci aspetterà, quella che ci fuggirà, quella che non gliene fregherà niente.

Originale. Dice? Mah, dico. Originale cosa? Originale tutto: (lei, io, la gente, quella di prima) origi-

nale un’idea, una capigliatura, l’asfalto che s’accoppia con la natura.

In Italia. Dice? Mah, dico. In Italia dove? In Italia dappertutto: dove è lei, dove son io, dov’è la

gente, quella che ti aspetta, quella che mi fugge, quella che non gliene frega, in Italia, dell’Italia,

niente; dove si evade il fisco, dove c’è la Tobin Tax, dove non c’è Don Verzè, dove non più scrive

Bocca, dove le case davanti al Colosseo sono (quasi) regalate, dove c’è bisogno di una nuova legge

elettorale.

Lascio. Dice? No, prendo. Dice? Mah, dico. Prende cosa? Prendo tutto: (lei, io, la gente, quella

tutta) prendo una pausa, prendo un gatto, prendo una sveglia, prendo un volo, parto, me ne va-

do, prendo una decisione, prendo una posizione, prendo un’opinione e con la fionda la scaglio,

lontano, se può servire, spero, prendo le mie soddisfazioni, mi riprendo le mie opinioni.

Dico. Dice? Mah, dico. Dice cosa? Dico tutto: di lei, di me, della gente, di tutta quella gente che

continua a non fregargliene niente; dico sì, dico no, dico però, dico che mi piace dire, dico che

faccio, dico com’è, ti dico quand’è, dico che i Dico han diritti per sé, che mi piace il tè, che prendo

un caffè, dico che dico ciò che dico e non so il perché.

Educazione. (dice?dico.non dico.lo faccio?). Un’educazione? Ora il discorso è sì strano. Perché

educazione? Le strade sono vuote, il mercato ha bisogno di guadagno. Gli studenti si chiedono

perché il governo non investa su di loro. Troppo deboli, troppo giovani, troppo brillanti per alimentarne il pensiero, troppo in bilico, trop-

po futuro, troppo di troppo. Troppo e basta: fatevi i “cazzi” vostri.

In Italia. Dice? Mah, dico, ovvero ripeto. In Italia o ovunque? Ovunque, ma soprattutto in Italia. (Per lei, per me, per tutta la gente che

c’è).

Editoriale. Dice? Mah, dico. Editoriale per chi? Editoriale per tutti: per lei, per me, per la gente, quella che lo aspetterà nel prossimo nu-

mero, quella che l’ha fuggito sin dal primo, quella che non gliene frega, non gliene è mai fregato e non gliene fregherà mai niente. Giusta-

mente.

- Suggerimento esterno: non pubblicare l’editoriale. Obbligo morale del giornalista: l’editoriale è indispensabile. Pensiero del lato non

giornalistico del giornalista: ma chi m’o fa fa’?-

L’ho fatto. Risolto. Tutto tranquillo. Po’ anna’?... “mah, veramente”… po’ anna’, po’ anna’, fidate.

P.S. Se deve cambia’, ‘na vorta tanto. E ‘n romanesco perché me piace. Rende l’idea. Buona lettura attiva!

Chiara Compagnoni

L’Editoriale SOMMARIO

PAGINA 2

COPERTINA DI FEDERICO REGONESI 1

EDITORIALE + FABER 2

G8—III PARTE 3

PUNTI DI VISTA: MANOVRA MONTI 4

PUNTI DI VISTA: MANOVRA MONTI 5

COGESTIONE: PAROLA AI PROF. 6

RESOCONTO CdI 7

RECYCLING + ORCHESTRA 8

LA FOTO DEL MESE 9

RUBRICA CINEMA 10

RUBRICA CINEMA 11

RUBRICA CINEMA 12

RUBRICA CINEMA 13

LA BIBLIOBUSSOLA 14

BACK PACK: APPUNTI DI VIAGGIO 15

PILATO E DEMOCRAZIA 16

COM. SANT’EGIDIO + CONCORSO 17

RUBRICA MUSICA + TEATRO 18

LA BACHECA 19

LA REDAZIONE 20

Dico? Mah, dica.

L a musica, il pensiero e la vita di De André saranno il tema centrale di una straordinaria rubrica XL, in usci-ta sul numero di febbraio dell’Oblò

sul Cortile. Ci ha terribilmente affascinati la sua personalità varia, imprevedibile e sfug-gente, libera da qualsiasi stereotipo o cate-goria: ci sembrava interessante poter legge-re l’opinione carducciana riguardo a De André e ai temi ricorrenti nella sua arte. Puoi scriverci di De André e Bob Dylan, Bras-sens, Luigi Tenco; oppure del suo rapporto con il potere, la religione, la contestazione, l’amore, la sua città… Puoi analizzare una sua canzone, un suo album, fare un con-fronto con l’Antologia di Spoon River, spie-

garci il suo racconto di sé nei libri “l’Amico Fragile” e “Una Goccia di Splendore”.O se preferisci disegnaci qualcosa, contribuendo al nostro tentativo di “intrattenimento intel-ligente”.Comunicaci prima la tematica, il numero di caratteri del tuo articolo (3000 o 6000 spazi inclusi) e poi invialo a [email protected] entro Venerdì 17 Febbraio 2012. Per qualsiasi informazione contatta Jacopo Malatesta (3C) o Eleonora Sacco (4F). Aspettiamo tuoi commenti!

N.B. in caso di sovrannumero verranno pub-blicati gli articoli ritenuti migliori dall’insin-dacabile giudizio di tutti i redattori.

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ATTUALITÀ GENNAIO 2012 PAGINA 3

modo per dimostrare che c’era ancora la costituzione e che il diritto a manifestare non poteva essere impedito” il corteo del giorno dopo, dunque, si farà e sarà pacifico. Sono 300.000, difatti, le persone che il matti-no seguente si riuniscono in Piazza Sturla per prendere parte al corteo autorizzato; hanno come destinazione Piazza Galileo Ferrari, dove si terrà il comizio finale del GSF. All’im-provviso, però, succede di nuovo: davanti al corteo compaiono gruppi di Black Block, a cui si aggiungono teppisti e provocatori armati e dal viso coperto. Non sempre i manifestanti riescono a respingerli: veloci e determinati come sempre distruggono tutto provocando la reazione delle Forze dell’Ordine. La Polizia, allora, di nuovo carica il corteo, nel tentativo di fermare i Black Block già dileguatisi tra i manifestanti. Di nuovo vengono sparati gas lacrimogeni dagli elicot-teri che sor-volano i manifestanti e sfoderati i tonfa, quei manganelli “in grado di spezzare le ossa di un bue”. Men-tre la testa del corteo riesce a pro-seguire per la sua desti-nazione, le restanti quasi 200.000 persone, rinchiuse tra un imponente bastione a destra e il mare a sinistra, rimangano imbottigliate tra le cari-che della polizia. Si crea una caotica ressa dove c’è il rischio di rimanere schiacciati e si ripete esattamente allo stesso modo quanto era successo il giorno prima: pestaggi, inse-guimento di manifestanti isolati, scene tragi-che e surreali e tantissimo sangue. Le perone riescono a disperdersi fuggendo verso l’auto-strada e la stazione d egli autobus. I fermati finiscono a Bolzaneto o a Forte San Giuliano. Con la sera sembra essere finito tutto, molti manifestanti sono tornati a casa. 140 sono solo i feriti registrati, ma è ancora una cifra provvisoria perché quella notte, quando tut-to sembra ormai essersi calmato, ci sarà una sorpresa.

La scuola Diaz si trova in Via Battisti, una stradina corta e stretta. Nella palestra della scuola è stato allestito un dormitorio per i manifestanti. Di fronte, nella scuola m edia Pascoli, ci sono gli uffici del GSF e gli sudi di Radio Gap e di Radio Popolare Network. Al-l’improvviso, verso mezza notte, 150 uomini della DIGOS e delle Forze dell’Ordine fanno irruzione in Via Battisti. La prima persona che incontrano ancora in strada è un giornalista inglese, Mark Covell, che finirà in coma all’o-spedale con otto costole rotte, una mano fratturata e un polmone perforato. Gli agenti sfondano con un blindato i cancelli della Diaz e riversandosi all’interno della scuola iniziano a picchiare e a calciare alla cieca i presenti. Irrompono poi nell’edificio di fronte, facendo irruzione negli studi delle radio che trasmet-tono tutto in diretta. Gli agenti sequestrano rullini e macchine fotografiche e sfondano i computer. “In quel momento tu vivi la sensa-zione della paura, perché non sai soprattutto quello che ti per accadere, non hai elementi per capire. In quel momento nessuno poteva

di Martina Brandi

D opo gli scontri del 20 Luglio, i fermati tra i manifestanti vengono trasportati nei principali centri di raccolta e im-matricolazione di Forte San Giuliano

e Bolzaneto, da dove avrebbero dovuto essere spostati nei carceri fuori Genova di Pavia, Vo-ghera, Vercelli e Alessandria. Le operazioni, però, vanno a rilento, le caserme si ingorgano e alcuni tra i fermati saranno rilasciati solo dopo 35 ore. Le condizioni di detenzione non sono semplicemente disagevoli, ma addirittu-ra, per alcuni, le ore di detenzione trascorse nel centro di Bolzaneto rimarranno nella me-moria come qualcosa di indegno ed indicibile; per i trattamenti subiti alcuni manifestanti esporranno una denuncia in tribunale. Una giovane studentessa, Arianna Subri, ricorda così i momenti terribili trascorsi tra quelle mura:“[…] a quel punto un altro agente mi ha preso dal braccio e mi ha lanciato proprio ver-so un cordone di poliziotti e li hanno comin-ciato a picchiarmi, finchè non mi hanno butta-to in terra, uno mi è saltato sulla schiena, mi ha bloccato alla schiena con il ginocchio, e ha cominciato a dirmi ‘Cosa ci fai qui ragazzina? Lo vedi che non lo sai che cos’è la globalizza-zione?!’ e intanto un altro mi schiacciava la mano con lo scarpone e dietro questi altri poliziotti che dicevano ‘Puttana comunista! Troia comunista!’ e continuavano a insultarmi […] e io ero scioccata da quello che mi era successo, insomma non ci potevo credere che mi stavano arrestando […] gli ho detto ‘Ma io non ho fatto niente, ero dentro un bar, in un bagno’ e quando uno di questi agenti, che era un capo, ha sentito che io dicevo che ero in un bagno ha detto ‘Eri in un bagno a fare pompi-ni’ e dietro un altro ha detto ‘E dopo ce li fai vedere’. Io a quel punto ho capito che non avevo nessuna possibilità di spiegare quali erano le mie motivazioni, capivo che era una situazione abbastanza irreale. A Bolzaneto, poi, […] mi hanno portato dove c’era la cella delle donne e poi sostavano sempre sul cancel-letto che dava sul corridoio ed era una minac-cia continua, si è ripetuta per ore: […] le mi-nacce erano soprattutto di tipo sessuale ‘Tanto entro stasera vi scoperemo tutte’, venivano e ci sceglievano, soprattutto i ragazzi più giovani che sembravano addirittura del servizio di leva. […] A un certo punto, quando eravamo abbastanza, ci hanno ordinato di metterci in fila e ci hanno ordinato di alzare il braccio de-stro a fare un saluto romano, praticamente, ci han fatto camminare lungo il corridoio così, come proprio dei burattini, e ci dicevano ‘A guarda come sono belli, adesso, questi sporchi comunisti! Guarda come va meglio adesso!’ A me sembrava proprio di essere in un incubo.”. Intanto, mentre all’interno di Palazzo Ducale procede regolarmente l’assemblea dei grandi della terra, il Genoa Social Forum (GSF) si riuni-sce con tutti i rappresentati per decidere se tenere lo stesso l’altro grande corteo previsto per l’indomani, quello internazionale, nono-stante i violenti scontri di quel giorno. Sostiene Vittorio Agnoletto, portavoce del GSF: “ Sape-vamo che da tutta Italia erano partite altre centinaia di migliaia di persone. L’irresponsabi-lità per un gruppo dirigente sarebbe stata quella di permettere che 300.000 persone fossero arrivate a Genova avendo cancellato il corteo. A quel punto, il giorno dopo, più nessu-no avrebbe diretto la situazione. Vi sarebbero state centinaia di micro cortei, di micro iniziati-ve sparse, senza nessuna direzione, col rischio di enormi violenze. Ci siamo assunti la respon-sabilità […] anche perché il corteo era l’unico

G8 di Genova, 2001G8 di Genova, 2001G8 di Genova, 2001G8 di Genova, 2001

-III parte, l’incubo della scuola Diaz- venirti a salvare: la Polizia era già lì! Era la Polizia che stava facendo tutto questo. Sono saltati tutti i punti di riferimento e la paura in quei momenti prende il sopravvento. Capisci che le garanzie che credi di avere nel tuo paese, un paese democratico, e le istitu-zioni in cui puoi avere fiducia sono cose che possono sparire da un momento all’altro. […] c’è chi ha pensato ad un colpo di stato” questa la testimonianza del giornalista Lo-renzo Guadagnucci, che ha vissuto come in un incubo l’assalto alla scuola Diaz. Fra mez-za notte e le due arrivano i Via Battisti 38 ambulanze, una processione impressionante di ragazzi coperti di sangue. Quando la Poli-zia si ritira, i giornalisti possono entrare subi-to nella scuola e vedere quanto è accaduto: le facce erano esterrefatte, c’erano pozzan-ghere di sangue e ciocche di capelli impasta-

te nei termosifone.

Ma perché lì a quell’-ora? La Polizia so-sterrà di aver saputo che quello era un covo di Black Block dove erano nascoste anche delle armi. Il giorno dopo, con una conferenza stampa, vengono mostrati gli oggetti sequestrati durante la perquisi-zione: bastoni, maz-za, picconi, una doz-zina di coltellini sviz-zeri ma, soprattutto, due bottiglie molo-

tov trovate, dice il verbale della Polizia, al-l’ingresso, visibili a tutti e quindi tutti sape-vano che c’erano. Dei 93 fermati della scuola Diaz (di cui 87 ferito), 28 sono ancora in ospedale; tutti sono accusati di associazione a delinquere finalizzata ala devastazione e al saccheggio: Black Block. Ma c’è qualcosa che non torna nella ricostruzione della Polizia, proprio a partire dalle bottiglie molotov. C’è un poliziotto, infatti, che le riconosce per averle trovate quel Sabato pomeriggio in un’aiuola di C.so Italia e averle poi custodite in un mezzo del Reparto Mobile che aveva partecipato all’assalto della Diaz, e da lì era-no finite nei reperti sequestrati. Ma anche la dinamica dell’intervento della Polizia che in un primo tempo parlava di “violenza conte-nuta da parte delle Forze dell’Ordine” cam-bia. Saranno gli stessi Poliziotti a definirla una scena da “macelleria messicana. Come afferma sotto processo il Vicequestore Ag-giunto Michelangelo Fournier, che aveva preso parte all’assalto:” C’erano quattro o cinque poliziotti […] che stavano facendo quello che non avrebbe dovuto essere fatto, cioè una volta inertizzati stavano infierendo sui feriti […] poco più avanti ho visto una ragazza alta circa1,80 m […] che giaceva in una pozza di sangue, ma sangue veramente copioso e la cosa più allarmante è che io ho potuto verificare che c’erano dei grumi, grumi che sul momento io ho scambiato per materia cerebrale. Ero piuttosto spaventato, oltre che al dispiacere per la persona. Si stava creando uno scenario davvero inquie-tante”. Tutti i 93 fermati quella notte dalla Polizia, alla fine, verranno completamente scagionati. Il vertice del G8 si conclude alle 12.00 di Domenica 22 Luglio. Nelle stanze di Palazzo Ducale non è arrivata quasi neanche l’eco di quello che è accaduto fuori.

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ATTUALITÀ PAGINA 4

Il punto di Michele Spinicci

N on parlerò di economia, o alme-no non troppo. Non ne ho né competenze né la voglia. Del resto, qualsiasi giornale abbiate

aperto in questi due mesi sarà stato quasi interamente dedicato alle manovre finan-ziarie che il governo Monti sta varando, quindi dell'economia non sentirete la man-canza. Vorrei parlare di politica, questione al momento dimenticata, ritenuta, forse a ragione o forse no, di secondo piano. Quello che si è instaurato il 18 novembre è un governo tecnico, non direttamente elet-to dal popolo (anche se in realtà non si e-legge mai un governo, ma solo il parlamento che lo costituisce) e la cosa ha anche i suoi vantaggi. Non solo non ha remore eletto-rali e non si pone il problema di essere impopolare, ma non ci costringe a subire valanghe di insensati litigi in televisione, ondate di demagogia o ideali tirati in ballo senza motivo. Il gover-no tecnico non risente di uno dei massimi problemi della democra-zia: non deve piacere, del consenso non se ne fa nulla e può veramente occuparsi del bene del paese. Inoltre davanti al dramma-tico populismo della nostra classe ammini-strativa, quello di Monti può essere il go-verno con cui tornare al dibattito. Non possiamo accettare un governo che lavori solo su di un cambiamento economi-co, perché al paese ne serve anche uno politico o addirittura prepolitico. Può occu-parsi un governo tecnico di politica, di que-stioni che dovrebbe essere il volere popola-re a decidere? E' una questione complessa e io che non sono abbastanza competente, o convincente, la rimando. Ma quelle di cui noi stiamo parlando sono appunto questio-ni prepolitiche , ovvero i requisiti minimi per definire un paese civile: i ministri do-vranno occuparsi del sovraffollamento delle carceri, arrivato all'emergenza umanitaria, della corruzione, delle mafie, dei costi della politica, della legge elettorale, palesemente anticostituzionale. Sono le forze politiche che si devono confrontare e decidere lo

sviluppo del paese, ma prima serve un terreno in cui sia praticabile un dibattito. E in Italia questo non c'è. Questo governo ed anche i futuri hanno il difficile compito di combattere problemi, insoliti nei paesi europei, di primaria importanza e per troppo tempo tralasciati. Senza la solu-zione di essi lo stato di diritto non è tale. Chi invece è tenuto a risvegliarsi è la po-polazione: noi. I vent'anni di seconda repubblica hanno spostato la dicotomia sinistra-destra a quella berlusconiani-antiberlusconiani. Ciò ha portato ad un vuoto di ideali o ad ideali sempre meno profondi e convin-

centi. Quando Marco Pannella disse ad Annozero: "credevo di essere a TeleBerlu-

sconi, loro parlano e dicono che Silvio ha

ragione, noi ci arrabbiamo e ribattiamo

che dice stupidaggini" non aveva tutti i torti. Inoltre la fiducia per la politica è calata vertiginosamente, insieme proba-bilmente all'interesse per essa. C'è un breve discorso da fare su questo punto. Generalizzare è sbagliato ed è sbagliato ripetere "sono tutti ladri", anche perché considerare un criminale chiunque entri nel mondo della politica favorisce proprio i disonesti ed impedisce ai cittadini di pensare un qualsiasi cambiamento per-ché "tanto è tutto uguale". Accusare tutti è quanto di più conservatore si possa fare, e non ne abbiamo bisogno. Ma an-che pensare che ci sia una grande mag-gioranza di onesti è sbagliato. La classe politica italiana è lontanissima dal paese, per i suoi privilegi, la sua condotta e spes-so la provenienza dei suoi componenti. Il recente rifiuto dei "sacrifici" da parte di senatori e deputati, dimostra come si stia

addirittura raggiungendo lo scontro tra par-lamentari e cittadinanza. Complice è anche la nostra disastrosa legge elettorale, che non prevede le preferenze e permette ai partiti di candidare chiunque (un parlamen-tare su nove in Italia è stato condannato, indagato o rinviato a giudizio). Due sono adesso le fasi per cui deve passare la riforma del paese. La prima, già citata, in cui il governo attuale apporta importanti cambiamenti al sistema politico italiano, garantendone la trasparenza e chiudendo tutti gli spazi alla corruzione e all'abuso. Ma insieme a un cambiamento dall'alto, ne ser-ve uno dal basso, più difficile. Il nostro. La presenza di un governo tecnico, o la situa-zione economica, non possono farci pensare che la nostra crisi politica sia finita. Il gover-no Berlusconi è caduto per motivazioni eco-nomiche, la sua stessa presenza sfiduciava i mercati nei confronti dell'Italia. Ma se ha perso la fiducia degli Italiani, come insieme a lui tutto il sistema partitico, le ragioni sono strettamente politiche. Non è stata però la cittadinanza a far cadere il governo e nem-meno a pretendere riforme che eliminino i privilegi, chiudano lo spazio all'abuso di potere, rendano la nostra democrazia più controllata dai suoi votanti. E' invece pro-prio questo che si deve fare, e dirlo non comporta neppure spronare alla rivoluzione, bensì all'occupazione dello spazio che in democrazia è assegnato al popolo. L'autore-volezza necessaria al governo per toccare le ingiustizie che minano la nostra democrazia, può arrivare solo da noi, dalla nostra mobili-tazione. Nell'antica Roma, in tempo di crisi, per ristabilire l'ordine, si eleggeva un tiran-no che per sei mesi aveva assoluto potere. Non metterei mai in dubbio i meravigliosi vantaggi pratici della tirannia, ne il senso logico dei nostri antenati latini, ma oggi, questo governo, che a quanto sembra ha poco a che vedere con la volontà popolare, dovrà mettersi totalmente al servizio di que-sta, anche per permettere che essa sia ri-spettata in futuro dai prossimi governi elet-ti. Sta a noi non metterci nelle mani di un tiranno, ma in quelle di un nostro servo. Magari il governo Monti può rifare l'Italia, salvarci dal tracollo finanziario, abbassare il debito, rinnovare le politiche del lavoro e riportare la crescita. Magari anche ridare una dignità alle istituzioni e al paese. Ma prima gli Italiani dovranno rifare gli italiani. Senza il loro contributo la macchina non funziona. E non sarebbe giusto che lo faces-se.

I punti di vista: I punti di vista: I punti di vista: I punti di vista: ANNO VI — NUMERO I I I

Mario Monti

Page 5: L'OblòSulCortile_2012aGennaio

ATTUALITÀ PAGINA 5

I punti di vista: I punti di vista: I punti di vista: I punti di vista: GENNAIO 2012

manovra Montimanovra Montimanovra Montimanovra Monti Il punto di Ermanno Durantini

L a manovra varata dal Governo del premier Mario Monti il 4 di-cembre e le discussioni relative occupano le prime pagine dei

giornali ormai da giorni. Tra chi adorna la manovra e i suoi autori con elogi spertica-ti e chi la critica per le troppe tasse o la mancanza delle solite presunte “liberalizzazioni necessarie”, non si trova nessuno nella nostra sempre più imbaraz-zante classe politica in grado di dare una lettura più ampia e globale della situazio-ne, che vada oltre il discutere se sia più giusto alzare l’età pensionabile o diminui-re lo stipendio dei parlamentari. La crisi globale, a mio parere, ci pone davanti agli occhi un’evidenza innegabile. Siamo in un momento di profondo e repentino muta-mento, un punto di rottura che non potrà fare altro che dare origine a una società ben diversa da quella che conosciamo sin dalla nascita. Ciò che conta in questo mo-mento dunque non sono i contenuti della singola manovra varata da Berlusconi o da Monti, ma è capire quali finalità hanno queste manovre che ci vengono presenta-te come fondamentali e necessarie per la salvezza del paese. Mario Monti, il professore di Vare-se che poco più di un anno fa a “L’infedele” dichiarò che la Grecia rappresentava il suc-cesso dell’Euro e costituiva un esempio di stabilità (si è visto come è andata a finire), è stato nominato dal Presi-dente della Repubblica Premier, dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi. E’ stato imposto dall’alto un governo tecnico guidato da un uomo che negli ultimi 10 anni è stato international advisor per Goldman Sachs (una delle più grandi banche d’affari del mondo), e che è tutto-ra presidente europeo della Trilateral Commission (un gruppo di interesse neoli-berista che esercita pressioni sui governi per indirizzarli in linea con le proprie stra-tegie) e membro del comitato direttivo del Club Bilderberg (i cui incontri, anche volendo non cadere nel complottismo, lasciano più di una perplessità per la se-gretezza quasi settaria con cui si impedi-

sce, a tutti i costi, a un qualsiasi giornali-sta di presenziarvi). In definitiva, Mario Monti appare come un uomo saldamente legato alle più influenti organizzazioni dell'alta finanza. Un'immagine stridente con quella di salvatore della Patria con cui viene delineato dai media e da buona parte del mondo politico, in primo luogo il Presidente della Repubblica. Tali o rga n i zza z i o n i infatti hanno a cuore tutto fuor-ché l'interesse della nazione italiana e dei suoi cittadini. La crisi economica ha fatto trovare tali gruppi di interes-se nella necessità di poter indirizzare completamente a proprio piacimento la politica economica degli Stati a maggiore rischio di default. Due degli Stati a mag-giore rischio di default, Italia e Grecia, si sono dunque trovati da un giorno all'altro privi dei rispettivi governi, per permette-re la discesa diretta in campo di uomini votati a evitare il default che metterebbe

in pericolo i capitali investiti da questi gruppi di potere in tali Stati. E' a questo punto che si può comprendere come l'accezione di "tecnico" data a questo governo sia così determinante; infatti le manovre varate da Monti e Papademos avrebbero causato a qualsiasi governo di destra o di sinistra opposizioni ferocissi-me da parte di quasi tutti gli strati della società. La natura tecnica permette inve-ce a tali governi di procedere a vere e

proprie operazioni di macelleria sociale con l'esclusiva finalità di salvare l'alta fi-nanza, che tuttavia sono percepite come giuste e necessarie per salvare il paese.

Questo è dunque il vero obiettivo dell'in-staurazione di questo governo e della ma-novra varata un mese fa: salvare dalla crisi

le banche d'affari, l'alta finanza e i loro investimenti andando a colpire i cittadini e sottraendo da questi il denaro necessario per portare avanti un sistema economico che si rivela ogni gior-no di più contraddit-torio e fallimentare. Per accorgersi di que-sto, basta convincersi

di un concetto basilare: la strada intrapre-sa dall'Italia e dalla Grecia non è l'unica percorribile. C'è più di un esempio di nazio-ni che hanno agito in senso diametralmen-te opposto, chi decidendo di recuperare la propria sovranità monetaria tornando a stampare denaro in proprio (senza il trami-te di banche di proprietà privata) e chi

dichiarandosi insolvente di un debito completamente illegittimo in quanto per la maggior parte frutto di signoraggio bancario (per un argomento così com-plesso invito a un appro-fondimento personale in rete). E' abbastanza noto da qualche mese a questa parte l'esempio dell'Islan-da, meno noto quello del-l'Ecuador, ma anche in Ungheria si sta preparando una svolta di questo tipo, con il varo di leggi che re-

golamentano e limitano la libertà d'azione delle banche d'affari in territorio naziona-le. E se permane qualche dubbio sulla le-gittimità di tale svolta che porti all'emanci-pazione degli Stati da organismi sovrana-zionali non eletti da nessuno, invito a riflet-tere sul fatto che un tempo le banche era-no uno strumento nelle mani della società, mentre al giorno d'oggi è ormai la società ad essere uno strumento nelle mani delle banche.

“La natura tecnica permette

invece a tali governi di procedere

a vere e proprie operazioni di

macelleria sociale con l'esclusiva

finalità di salvare l'alta finanza…”

Il primo ministro greco Lucas Papademos

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CRONACHE CARDUCCIANE PAGINA 6 ANNO VI — NUMERO I I I

L a cogestione scolastica è un sistema di conduzione della vita scolastica alternativa a quella usuale (i professori inse-gnano e gli studenti ascoltano).

I ragazzi organizzano dei corsi di vario genere, tenuti da “esperti”, che possono spaziare dalla musica all'educazione stra-dale, e così via. Alcuni professori collaborano all’organizzazione del progetto, mentre altri organizzano corsi extracurricolari di materie o argomenti in cui sono ferrati. Si tratta di una collabora-zione alunni-docenti sia a livello organizzativo sia a livello attuati-vo del progetto.

A parte il disagio dell’interruzione dell’attività didattica prevista dal progetto, e l’effettivo interesse per quanto proposto da parte della maggioranza dell’utenza, il mio giudizio negativo sul proget-to, in relazione alle precedenti esperienze, riguarda principalmen-te la vastità delle proposte (alcune su tematiche discutibili) e la preparazione di alcuni “esperti” intervenuti.

Nel caso del liceo Carducci la cogestione è stata approvata dal Collegio Docenti per cui risulta una attività didattica alternativa del tutto legale. Diventa illegale nel momento in cui vengono vio-lati i sotto elencati articoli del codice penale, del codice civile e della costituzione.

CODICE PENALE: art. 663 Invasione di terreni o edifici, art. 340 Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, art. 635 Danneggiamento (si spera che in una cogestione non succedano mai atti di vandalismo), art. 345 Offesa all'autorità mediante danneggiamento di affissione

CODICE CIVILE: art. 2043 Risarcimento per fatto illecito

COSTITUZIONE: art. 2 La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, art. 13 La libertà personale è inviolabile, art. 33 e 34 Sul diritto alla pubblica istruzione

Lo scorso anno scolastico il progetto co-gestione è stato effettua-to parallelamente alle attività di recupero, scelta poco produttiva che ha generato non pochi problemi soprattutto per la partecipa-zione alle attività di recupero. Nel precedente anno scolastico le due attività sono state svolte, come previsto per il corrente anno, in due momenti distinti: riferisco le mie risposte all’attività di co-gestione svolta nell’a.s. 2009-2010. Reputo che l’attività sia stata organizzata in modo più che positivo, meno positivo il giudizio sull’effettiva realizzazione (non sempre si è verificata la corrispon-denza fra la scelta effettuata e la partecipazione alla lezione relati-va alla tematica scelta).

Sicuramente il progetto co-gestione non è condiviso dal 100% degli studenti, il progetto organizzato nelle ore destinate all’attivi-tà didattica impone sicuramente ad alcuni studenti di dover parte-cipare ad attività non gradite o a dover effettuare assenze.

La mia proposta è di limitare il numero delle tematiche affrontate e di effettuare il progetto cogestione in orario pomeridiano nella settimana dedicata al recupero in cui gli allievi sono meno pressa-ti da esigenze di studio, proponendo un ventaglio di incontri di due/tre ore, aperti a tutti gli studenti realmente interessati all’ar-gomento proposto.

L a scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici (…). In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione al diritto allo

studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio (…). La scuola (…) valorizza le inclinazioni personali degli studenti (…), la possibilità di formulare richieste, di sviluppare temi liberamente scelti e di realizzare iniziative autonome. La scuola si impegna a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare: (…) offerte formative aggiuntive e integrative, anche mediante il sostegno di iniziative liberamente assunte dagli studenti e dalle loro associazioni. Queste non sono mie opinioni e riterrei un serio problema, per la nostra scuola, che qualcuno contestasse la sostanza di queste asser-zioni. Si tratta di stralci del Decreto del Presidente della Repubblica n. 249/1998 modificato dal DPR n. 235/2007, dal titolo “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria” (rispettivamente l’art. 1, comma 2, l’art. 2, comma 1 e 8b).

E’ invece mia opinione che l’attività cosiddetta di cogestione rientri perfettamente nello spirito e nella lettera del testo normativo citato. Non dubito che esistano anche altre forme di realizzazione, all’interno della nostra scuola, dei principi affermati nello Statuto, ma ritengo difficile negare che la cogestione sia una di queste forme e addirittu-ra, dal mio punto di vista, ne sia quasi una traduzione letterale. Che non si tratti di un’opinione peregrina si coglie anche dal fatto che molti Istituti includono esplicitamente nel loro POF l’attività di coge-stione, o la possibilità di richiederla, proprio citando lo Statuto degli studenti.

Suppongo, a questo punto, che il dubbio sulla “legalità” della coge-stione riguardi le sue modalità organizzative. Su questa materia un punto di riferimento chiaro è il Regolamento sull’autonomia (DPR 275/1999), all’art. 4, comma 2, punto d: “Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. A tal fine le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune e tra l'altro: [...] l'articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso” e comma 3: “Nell'ambito dell'autonomia didattica possono essere programmati, anche sulla base degli interessi manifestati dagli alunni, percorsi formativi che coinvolgono più discipline [...]”.

Chi debba poi organizzare, chi sorvegliare e come farlo, non lo può certo dire un DPR: per questo c’è un Collegio docenti e, direttamente responsabile, un Dirigente Scolastico. E possiamo anche discutere, se ci piace, su come fare l’appello al mat-tino.

Osservo principalmente che includere l’attività di recupero nella coge-stione ha portato, credo, più svantaggi che vantaggi, e che buona parte delle difficoltà organizzative sono sorte dalla pretesa di mante-nere due strutture organizzative parallele, quella ordinaria e quella di cogestione (che scardina orario e classi).

Due suggerimenti: riterrei utile, da parte di una commissione di stu-denti e insegnanti, il vaglio di tutte le proposte presentate, non per censura, ma per una razionalizzazione di contenuti e risorse; la mac-china organizzativa della cogestione non può fare a meno della colla-borazione effettiva del Collegio, che l’ha approvata, e della Dirigenza, responsabile in prima e ultima istanza di quel che succede a scuola (cogestione organizzativa). A tutti l’augurio di una “buona” cogestione.

Cogestione: la parola ai professoriCogestione: la parola ai professoriCogestione: la parola ai professoriCogestione: la parola ai professori PRO — Prof. Elisa Mascellani CONTRO — Prof. Antonio Galli

Qual è la vostra opinione generale riguardo il progetto cogestione ?

Quella della cogestione è una questione legislativa quantomai

ambigua e intricata, interpretata in modi differenti, talvolta

addirittura contrastanti. Come si pone la co-gestione davanti

alla legge? E’ legale o illegale?

Che impressioni avete avuto sull’organizzazione e la messa in

pratica del progetto negli anni passati?

Quella della cogestione è una questione legislativa quantomai

ambigua e intricata, interpretata in modi differenti, talvolta

addirittura contrastanti. Come si pone la co-gestione davanti

alla legge? E’ legale o illegale?

Che impressioni avete avuto sull’organizzazione e la messa in

pratica del progetto negli anni passati?

Cosa suggerisce di perfezionare o modificare nel progetto?

Ha in mente qualcosa che permetta agli studenti di trattare a

scuola tematiche di norma escluse dai programmi didattici?

Page 7: L'OblòSulCortile_2012aGennaio

CRONACHE CARDUCCIANE PAGINA 7

di Federico Regonesi

U no degli organi più importanti della nostra scuola, per cui votate tutti gli anni, per cui si riaprono vecchie ferite e si rompono ami-

cizie, è il Consiglio d’Istituto. Ma quanti di voi realmente sono a conoscen-za dei compiti che sono assegnati al consi-glio? E soprattutto, quanti sanno che cosa avviene al suo interno, durante le sedute? Beh, il mio compito è proprio quello di dissi-pare tutti i vostri dubbi riguardanti entrambe le questioni. Prima di tutto, mi preme specificare che il consiglio è un organo pubblico, e tutti posso-no, per loro diritto, consultare il verbale delle sedute, che arriverà però sempre in ritardo di circa un mese, poiché deve essere appro-vato nel consiglio successivo. Come aggirare questo problema? La ri-sposta è semplice: una seduta del consiglio non è diversa da una del parla-mento, in quanto si tratta sempre di un atto pubblico (art. 8 della Legge n. 748 del 11/10/77), e quindi chiunque, purché sia elet-tore(tutti gli studenti, quindi) può parteciparvi, pur senza prendere parola. Quindi questo è quello che succederà: un inviato del giornale studentesco pren-derà parte a tutte le sedu-te del consiglio con il com-pito di riportare i fatti all’-attenzione degli studenti. Un’ultima specifica prima delle notizie più importan-ti. Il compito del consiglio non è di proporre, ma di approvare il lato economico di una proposta. Cioè ha l’ultima parola su tutto ciò che gli viene presentato, ma non sono i membri a decidere che cosa viene preso in esame. L’ultimo CDI ha avuto luogo in data 28/11/11 ed è durato sei ore; il primo punto in esame è stata la presentazione della nuova DSGA, ovverosia colei che amministra il denaro in uscita dalla scuola, e che quindi può far parti-re tutti i progetti come il teatro, il giornale e i corsi extracurricolari. Sono stati approvati i progetti per quest’an-no, per un ammontare totale di dodici ore dedicate ad attività ulteriori allo studio per classe. A tal proposito vale la pena di segnalare l’ap-

provazione del progetto Agorà, non per-ché qualcuno non ne sia già a conoscenza, ma perché per assistere ai prossimi incon-tri bisognerà presentare una tessera. Que-sta tessera sarà gratuita per gli studenti, e si potrà ottenere tramite un modulo da compilare scaricabile sul sito della scuola. Altro punto all’ordine del giorno è stato il dibattito sull’orchestra, di cui potete più approfonditamente leggere su questo numero del giornale. In ultimo c’è il problema del docente refe-rente per l’orientamento in uscita. Come sapete la situazione non si è ancora risolta, in quanto manca ancora una diret-tiva precisa. In questi mesi è emersa l’idea che ogni consiglio di classe avesse il proprio refe-rente, ma il dibattito è ancora aperto. A quanto ho capito da ciò che mi è stato

riferito, il problema risiede in seno al con-siglio docenti, che non riescono ad accor-darsi sul se nominare una sola persona oppure spezzare la carica. I problemi sorti sono questi: per la carica tutta in mano ad una sola persona, i pro-blemi sono due. Prima di tutto non ci sono volontari, e poi una parte del consiglio si lamenta del fatto che la carica sarebbe esercitata in modo scorretto e di parte. Mentre coloro che si oppongono alla spar-tizione della carica lamentano il fatto che il lavoro sarebbe troppo dispersivo, dise-guale e con perdite di ore di lezione non indifferenti. Questo è ciò di cui sono venuto a cono-scenza, poi mi è stato detto: “e qui hanno iniziato a picchiarsi”.

Ecco il solito problema di divisione interna nella nostra scuola. Per quanto io sia a favore dei dibattiti accesi, per quanto io sia indubbiamente una persona di parte e con idee molto precise, trovo questo com-portamento veramente molto infelice, perché a certi livelli non si tratta più di difendere delle sante questioni di princi-pio, ma di utilizzare quelle ore spese all’in-terno del Consiglio d’Istituto per dimostra-re di avere ragione sulla parte avversa. Sarebbe invece molto più decoroso e, soprattutto, produttivo utilizzare quelle ore per dibattere riguardo ai problemi veri ed impellenti della scuola. Un’altra cosa che mi sono sentito dire è stata: “Abbiamo parlato di tanto, ma non abbiamo concluso niente”. E mi sembra inaccettabile che l’organo che decide se impiegare o no i soldi dello

stato si perda in scara-mucce banali e inoppor-tune, quando gli studenti dell’ultimo anno del no-stro liceo si trovano svan-taggiati rispetto agli stu-denti delle altre scuole in una scelta che determi-nerà il corso della loro vita, quando bisogna aspettare mesi per otte-nere un DSGA in grado di far partire le iniziative che esso stesso propone, quando ci sono sprechi infiniti in ogni campo e al contempo fondi che si riducono sempre di più. Ma io esorto tutti gli stu-denti a non fermarsi alla

lettura di questo articolo e di quelli che seguiranno. Il motivo, la segreta speranza che risiede in questo articolo è che da domani tutti vogliano prendere visione dei verbali del Consiglio, che vogliano controllare e giudi-care chi hanno eletto. E’ ora che tutti que-gli studenti che hanno subito passivamen-te gli esiti della situazione comatosa di questo sistema scolastico si sveglino, che si indignino per ciò che loro lasciano che accada! Se tutti riuscissimo ad avere il coraggio di indignarci di fronte a certi fatti, allora a-vremmo anche la forza di non permettere che accadano di nuovo. Giudicare l’operato di chi abbiamo eletto è una questione di coraggio e responsabi-lità, un compito da cui nessuno si può esimere.

Chi, cosa, dove, come e perché del CdIChi, cosa, dove, come e perché del CdIChi, cosa, dove, come e perché del CdIChi, cosa, dove, come e perché del CdI

GENNAIO 2012

Page 8: L'OblòSulCortile_2012aGennaio

PAGINA 8 CRONACHE CARDUCCIANE

di Una Gianna (Eleonora Sacco)

9.01.2012. (Driiin) – Gianna vuole la sua dose quotidiana di caffè. Dopo aver corso come una disperata su per le scale, per arri-vare prima, sgomita per il suo posto in fila alla macchinetta del primo piano. La fauna del corridoio aveva meno strada da fare, e l’ha preceduta: si guarda intorno per ingan-nare l’astinenza, e nota tre strambi paralle-lepipedi a base ottagonale, di fianco al distri-butore. Stupita, s’interroga sulla loro natura: extraterrestre, senza dubbio.

Gianna non sa che alla fine dell’anno scorso, in Consiglio d’Istituto, è stato approvato un progetto di Raccolta Differenziata: non è stato né pubblicizzato né promosso in alcun modo, in un anno di attività.

Gianna non sa che in quella sede si era deciso di collocare su ogni piano, in fondo a sinistra, i tre minuscoli bidoncini (carta, lattine e plastica), sperando che anche gli studenti che alloggiano dalla parte opposta vi andassero a buttare il foglio di brutta, o il City.

Gianna non sa che a Milano lattine e plastica si raccolgono insieme nel sacco giallo: difatti non si accorge che il bidone verde sia super-fluo.

E non pensa che al posto di quello, a scuola,

si sarebbe potuto aggiungere 1/3 in più di bidoni di carta o plastica, per rendere più partecipata la differenziazione.

Gianna dopo qualche minuto capisce che cosa sono i tre oggetti. Finiti il caffè e i suoi 200ml di succo nel brick di tetrapak, non sa dove buttarli: getta “bovinamente” il bicchierino nella plastica, e il brick nella latta. Glielo si perdona, però: da nessuna parte, sul bidone, ci sono indicazioni di smaltimento (il ‘carta’ generico non con-ta), né qualche circolare l’ha mai spiegato.

Solo qualche bidella disperata ha apposto dei cartelli di supplica, al seminterrato: ‘No cartoni della pizza, no fazzoletti, per favore’.

Gianna non sa che la raccolta della latta e della plastica in via Beroldo 9 è tristemen-te vana, e che i bidoni siano pieni dall’an-no scorso, perché non si sa dove svuotarli. Gianna va a controllare il calendario del ritiro rifiuti a Milano, su www.amsa.it, e scopre che nella sua scuola vengono rici-

clati solo carta, vetro e indifferenziato: si sente presa in giro un po’ da tutti.

Gianna parla con la Signora Elena, le chie-de spiegazioni. Scopre che ha provato tante volte a esporre i sacchi di plastica, ma che “la nettezza urbana li ha sempre lasciati lì”.

Gianna s’indegna, vuole che tutti lo sap-piano, e decide di scrivere quest’articolo. Gianna però è triste e desolata. Ormai ha capito come girano le cose, al Carducci.

Gianna non capisce perché nessuno si sia preoccupato di allac-ciare il progetto alla r e a l t à e x t r a -scolastica, di coordi-narne la riuscita. E perché nessuno ab-bia insegnato agli studenti come ricicla-re per non incenerire, spiegandolo chiara-

mente in un documento ufficiale.

Gianna, Gianna, Gianna, Gianna e ancora Gianna, siamo centinaia! Però nessuno se n’è accorto, eh.

13.01.2012. Dopo un’indignata segnala-zione e una telefonata al numero verde AMSA, il Dirigente Scolastico ha allacciato la raccolta interna a quella esterna. Il Pro-getto Raccolta Differenziata risorge dal sepolcro insieme a volantini esplicativi. Alleluia.

La burla dei sacchi gialli, l’AMSA non ritirava la plastica

ANNO VI — NUMERO I I I

di Arianna Magna

I l grande violinista Uto Ughi ha detto “La musica è linguaggio di fratellanza e l’orchestra è l’embrione della società perché tutti devono ascoltare le voci

degli altri”. L’esperienza della musica d’in-sieme è infatti qualcosa di fondamentale per un musicista. Per quanto egli possa essere prodigioso e geniale nel suonare da solo, finché non sperimenta che cosa signi-fichi suonare con altri, rimane un musicista incompleto.

Nella musica d’insieme si impara a dare spazio alle voci di tutti, a rinunciare ad esse-re protagonisti rimanendo comunque indi-spensabili, ad affidarsi ciecamente a qual-cosa che non è del tutto sotto il proprio

controllo, come al movimento delle mani di un direttore d’orchestra o agli accordi di un pianoforte. Pertanto essere riusciti a creare un’armonia con strumenti diversi e ad averlo fatto insieme silenziosamente, senza il bisogno di alcuna parola, è qualco-sa di assolutamente straordinario. È un’e-sperienza di musica che inconsapevolmen-te diventa anche una lezione di vita.

In questi due anni, trascorsi insieme nell’-orchestra del Carducci, noi musicanti ab-biamo condiviso queste sensazioni. Tutta-via, come già Alessandra Venezia ha spie-gato su “L’Oblò sul cortile” di dicembre, il progetto orchestra sin dall’inizio dell’anno scolastico traballava per l’assenza di per-sone fondamentali, in particolare di Mar-

tin Nicastro, causata da problemi buro-cratici. Tutto ciò ha portato alla sospen-sione dell’attività orchestrale dal mese di Novembre.

La vitalità, l’energia e l’importanza della musica ci ha spinto però, con l’avvento del 2012, a reagire. Tutti ci siamo resi conto di non poter rinunciare a qualcosa che ci aveva tanto entusiasmato e abbia-mo deciso di provare a ricominciare a suonare insieme. Il progetto è quindi rinato e presto faremo la prima prova per esprimere nuovamente insieme la nostra passione musicale.

Un ritorno a tempo di musica Un ritorno a tempo di musica Un ritorno a tempo di musica Un ritorno a tempo di musica L’orchestra del Carducci è di nuovo all’opera

Raccolta differenziata: che bidonataRaccolta differenziata: che bidonataRaccolta differenziata: che bidonataRaccolta differenziata: che bidonata

Page 9: L'OblòSulCortile_2012aGennaio

PAGINA 9 CRONACHE CARDUCCIANE GENNAIO 2012

Un ritorno a tempo di musica Un ritorno a tempo di musica Un ritorno a tempo di musica Un ritorno a tempo di musica

Gennaio.

Vi presento tre racconti, tre romanzi retrò, scritti e ritratti da Gaia De Luca di 5H, aedo della fotogra-fia. Narrano di una casa, di una famiglia, di oggetti singolari e meravigliosamente antichi, riscoperti con forte emozione. Descrivono le pigre ore di interminabili giornate uggiose, in inverno, scandite dal silenzio della polvere spostata dalle lancette degli orologi. Scaldano l’aria con affetti e maglioni fatti a mano. Parlano tutte le lingue, per piccoli gesti e minuscoli dettagli incredibilmente studiati. Buona “lettura”…

Il primo scatto è apparentemente semplice, ma nasconde un delicato studio di geometrie e bilan-ciamenti. Riflessa ma dimezzata, l’autrice - quasi anonima, senza volto -, bilancia, insieme alla sua ombra velata, il peso della tenda e della bottiglia. Si nasconde dietro oggetti senza tempo e poveri, un po’ in disordine, polverosi, dimenticati, per lasciare che raccontino senza pudore le loro vite passate. L’orologio ferma il tempo, ci incanta; di-pinge davanti agli occhi il volto dell’ultima persona specchiatasi lì dietro. Il posacenere vuoto trasuda desolazione, nostalgia: nessuno lo usa più. In una natura morta, troviamo solo una donna divisa in due illusioni e una bottiglia piena d’acqua, vita. Il diaframma molto basso aiuta a dimenticare il ri-flesso nello specchio, ciò che d’umano è superstite nel cimitero di sue creazioni; gli ISO a 800 riparano alle scarse condizioni di luce, senza compromette-re la qualità della fotografia, che riesce a mantene-re una calda atmosfera da negozio d’antiquariato.

La seconda fotografia ha una composizione davve-ro particolare, tanto da ricordare il formato delle celeberrime Polaroid. Le linee del soffitto e del muro ci conducono al soggetto, fortemente decen-trato. Dai dettagli sottili e familiari – le mollette, la pila di CD, la cesta a lato, la mansarda – emerge nitida una storia. Il volto della donna è insolito, inaspettato, un pugno nello stomaco. E’ stanca, eppure il suo viso ci spiazza: indecifrabile, noto ma illeggibile. L’1/60 di esposizione ci regala una luce tenue, diffusa e filtrata dalla finestra del retro, calibrata sui 400 ISO; il diaframma è 4.0 a 55mm. A Gaia non piace la profondità di campo…

Il terzo lavoro è una sorprendente unione di tecni-ca ed emozione. Scarpe così, oggi più uniche che rare, rievocano racconti e sogni del secolo scorso; vedendole così ben ritratte, starete pensando quanto le mani sappiano essere incantevoli nella loro versatilità, delicatezza, precisione. Il nostro sguardo è catturato magneticamente dall’allaccia-mento delle stringhe: mille grazie al diaframma 1.8 del 50mm fisso sulla Nikon D80. L’esposizione è a 1/160: eppure pollice e indice sono micro-mossi e leggermente fuori fuoco. L’effetto di lievissimo movimento rende la foto più naturale, più vicina, umana. Davvero eccellente il gioco di luci, esaltato dal bianco/nero: le mani, candide, riflettono la luce, ma sono accarezzate dalle ombre gentili del lato. Mi congedo lasciandovi la favola dietro due mani, una scarpa, e le sue stringhe. Detto ciò, pane e gazzella! Buoni click a tutti!

di Eleonora Sacco

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PAGINA 10

di Chiara Compagnoni

I l viaggio di un Terzani, anziano e saggio al pari di un guru indiano, che “l’unica rivoluzione che può servire” l’ha guida-ta all’interno di sé, e con la morte l’ha

portata a compimento, è raccontato dal dialogo tra un padre, Tiziano, e un figlio, Folco, desiderosi l’uno di narrare e l’altro di ascoltare la storia di un uomo che ha rag-giunto se stesso alla fine della sua vita.

Il film, tratto dal libro omonimo del giornali-sta esploratore di culture, è l’immagine di quel Tiziano Anam, senza nome, che Terza-ni è riuscito a essere nell’ultimo periodo della sua esistenza, partendo dall’Himalaya e tornando alle campagne toscane di origi-ne, compiendo un percorso di svestizione da tutte quelle maschere indossate e da tutte quelle parti recitate durante la sua vita.

La pellicola è nata da un progetto del pro-duttore tedesco Ulrich Limmer e realizzata con la sceneggiatura di Folco Terzani e la regia di Jo Baier. Idea intraprendente e rischiosa, quella di concepire un film dialo-gato è risultata efficace e riuscita nonostan-te le difficoltà registiche, risolte abilmente riuscendo a mantenere l’attenzione dello spettatore sull’inusuale dose di parole tra-mite i momenti di riflessione dei protagoni-

sti e i paesaggi collinari del pistoiese. La sceneggiatura brillante (ma fedele) e gli attori contribuiscono non indifferente-mente all’esito positivo di questa scom-messa: Bruno Ganz nei panni del vecchio giornalista e il giovane Palma d’oro Elio Germano nella veste di Folco Terzani consegnano al film quel quid di qualità in più con un’interpretazione che evidenzia l’ego paterno e mostra invece l’increduli-tà di un figlio che mette alla prova la sincerità dell’uomo stesso che sostiene: “io sono stato tante cose, ma alla fine non sono nessuno”.

La famiglia Terzani, soddisfatta del lavo-ro prodotto, afferma di essersi in parte riconosciuta, in parte riscoperta nella rappresentazione di Baier, che ha co-munque aggiunto alla normalità dei Ter-zani la chiave di lettura cinematografica per il contrasto vissuto e placato tra un Folco all’ombra di Tiziano e di un Tiziano al centro fino alla fine, che, nei suoi ulti-mi giorni, diventa parte del cosmo e parte di quel se stesso che non aveva mai conosciuto.

Il coraggio di Tiziano Terzani nel compie-re il cammino verso il suo “lasciare il corpo” è in parte infuso nella produzione di questa pellicola, che sfida i canoni tradizionali del cinema per sperimenta-

re, in un’era in cui l’ascolto e l’attenzione diventano sempre più difficili da catturare, una forma ricca di contenuti, di sentimenti e di messaggi, rari nel presente quanto nel passato, ma oggi inafferrabili più che mai.

Ecco allora qual è la difficoltà: trasmettere un’idea, nel cinema, nei rapporti, nel mondo, in cui già Tiziano sosteneva non ci fosse più “la libertà di essere chi sei”. L’idea che nem-meno Folco, piccolo, era riuscito a cogliere, nella difformità da suo padre, nel suo prag-matismo distante da quella ideologia comu-nista che diventa anche per il Terzani affasci-nato da Mao irrealizzabile. Ma spesso, anche nel mondo dell’arte, quelle idee che non sono utopie possono essere utili a vivere “una vera vita, una vita in cui tu ti ricono-sci” (Tiziano Terzani).

ANNO VI — NUMERO I I I C INEMA

P opolo del Carducci, il terzo nume-ro del nostro amato giornale ve-de, tra le altre cose, un importan-te traguardo per questa neonata

rubrica: troppo stretta nelle sue due, mise-re, paginette, "Inglourious Reviewers" si è espansa, per la gioia di tutti voi cinefili. Questo, però, non sarebbe potuto accade-re senza il supporto di chi, pur non essen-do in redazione, ha voluto contribuire in-viandoci una propria recensione; per que-sto vi ringrazio, sperando, in futuro, di riuscire a rendere questo spazio sempre

più "aperto a tutti". Passiamo ora al succo della rubrica, presentando brevemente i film che verranno analizzati in queste quattro pagine. Si parte con "La Fine è il Mio Inizio", tratto dall'ultimo libro di Terza-ni, la delicata e drammatica autobiogra-fia di un uomo in punto di morte, dispo-sto a rievocare con il figlio la propria esistenza. Si passa, poi, a "Match Point", capolavoro di Woody Allen in-centrato sull'importanza della fortuna nell'esistenza umana. Seguono due film "forti", sia per tematiche che per impat-to visivo: sto parlando di "Dogville" e de

"L'odio", rispettivamente di Von Trier e di Kassovitz. Il film del 2008 "Il Curioso Caso di Benjamin Button" chiude in grande stile la carrellata di recensioni. Poteva forse mancare una panoramica ge-nerale su ciò che, cinematograficamente parlando, ci riserverà il 2012? Ovviamente no; ed ecco che, tra successi assicurati, spuntano film più di nicchia, poco conosciu-ti, che per un motivo o per l'altro hanno attirato la mia attenzione di umile appassio-nato. Detto questo lascio che vi immergiate nella lettura, augurandovi un tardivo "buon an-no".

Au revoir.

Doris

La rivoluzione dentro Tiziano Terzani

CITAZIONE DEL MESE "Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita."

[Prof. Keating; "L'Attimo Fuggente]

La fine è il mio inizioLa fine è il mio inizioLa fine è il mio inizioLa fine è il mio inizio

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PAGINA 11

di Michele Spinicci

C hris Wilton, giovane insegnante di tennis, conosce Tom, un ragazzo di ricca famiglia, e ne sposa la sorella, Chloe. Comincia così una veloce car-

riera nell'azienda di suo suocero e una vita "molto piacevole". L'equilibrio della sua vita però si spezza a causa della sua relazione con Nola, fidanzata di Tom. Quando lei rimane in-cinta e pretende che Chris rinunci alla sua vita familiare, tranquilla e lussuosa, lui la uccide. Farà lo stesso con la vecchia vicina di Nola, in modo da simulare un furto. Se la trama non vi ricorda nulla, andate a leggervi "Delitto e Casti-go" di Dostoevskij, palesemente citato nel film. Nel romanzo il protagonista, Raskolnikov, ucci-de un'usuraia e la sorella di questa, per dimo-strare a se stesso di essere abbastanza forte da poter affrontare l'omicidio, e che l'uomo possa avere una propria morale, diversa da quella religiosa o civile. troverà poi la sua salvezza in un castigo penale e nella fede religiosa, riconci-liandosi con Dio e l'umanità. Nel film, invece,

Woody Allen vuole proprio mostrarci l'inesi-stenza di qualsiasi morale, l'insensatezza del castigo per la mancanza di un senso e della volontà in qualsiasi atto. Il film si apre con una pallina da tennis che si muove da una parte all'altra della rete: i giocatori non sono neppure inquadrati. Intanto una voce fuori campo ci dice quanto la fortuna conti e quanto la gente abbia paura di ammetterlo, prendendo come esempio proprio la pallina che tocca la rete, e che può andare oltre o restare indietro, facendoci vincere o perde-re. Questa visione, fortemente determinista, porta il film a diventare freddo, quasi misan-tropo (concetto, questo, molto presente in Woody Allen, anche se spesso nascosto dalla comicità). I personaggi non sono mai del tutto positivi o gradevoli, cadono spesso nel patetico, e soprattutto sono volutamente abbozzati e con tratti fasulli, poco simili alla vita reale. Tutto il film è musicato da opere liriche, ed in particolare la scena dell'omici-dio di Nola ha come colonna sonora "Desdemona" dall'Otello di Verdi, aria che

descrive il momento in cui Otello uccide la sua sposa. Questa somiglianza di temi tra le scene dell'opera e del film ci fa pensare ad una ciclicità terribile, quasi ad una predesti-nazione e all'ineluttabilità del delitto che Chris compie. Il destino, visto come un ente superiore e distaccato dalla volontà degli uomini, è uno degli aspetti che avvicina il film alla tragedia greca. Ma, mentre nel V secolo a.C. si preferiva concludere la vicen-da con fiumi di sangue giungendo ad un compimento, nel 2005 Allen non conclude nulla, lasciando il suo protagonista sospeso nel niente e nello squallore, quasi speranzo-so di essere scoperto, perché questo porte-rebbe "una qualche piccola speranza di un possibile significato". Il rischio del film è che, nel caso in cui vi dovesse convincere troppo, potrebbe portarvi alla totale sfidu-cia nella condizione umana, e quindi a la-sciarvi morire per sete e per fame. Però, come consolazione, nei panni di Nola c'è Scarlett Johansson.

Match Point Match Point Match Point Match Point

GENNAIO 2012 C INEMA

di Dario Zaramella (Doris)

D ogville è un minuscolo paesino sperduto tra le Montagne Roccio-se, in America; e i suoi abitanti — una quindicina in tutto — ci ven-

gono presentati come onesti, quasi buffi nella loro semplicità, nonché pieni di piccole manie e difetti tutt'altro che imperdo-nabili. Questo, almeno, nel primo dei nove "capitoli" di cui è composto il film (che, nella versione originale, arriva a sfiorare le tre ore!). Il regista Lars von Trier, figura contro-versa ed eccentrica, si diverte a gioca-re con la telecamera, rifiutando cate-goricamente alcune delle convenzioni registiche più radicate; in questo film, però, non solo spiazza lo spettatore ambientando l'intera vicenda in uno scenario totalmente spoglio, nero, con linee bianche a delimitare i muri degli edifici, ma lo mette anche di fronte ad una sconcertante verità: l'uomo è ani-male, e profondamente egoista. "L'interesse e la paura sono i principi della società", direb-be Hobbes. Ma procediamo con ordine.

Nella tranquilla Dogville giunge Grace (una sublime Nicole Kidman), in fuga da alcuni malviventi, e per questo bisognosa di prote-zione. Qui incontra Tom, giovane leader mo-

rale e spirituale del paese, il quale, presa a cuore la sua causa nonostante la scarsità di dettagli a riguardo — Chi la sta cercando? Perché sta scappando? — convincerà i suoi concittadini ad accoglierla nella comunità: in un'ottica prettamente calvinista, lei dovrà guadagnarsi una posizione all'interno di essa

attraverso il duro lavoro. Ben presto, però, la protagonista si troverà intrappolata in una spirale di ricatto, violenza, abusi e dispera-zione, dalla quale riuscirà ad uscire solo gra-zie all'intervento di un principio regolatore esterno altrettanto spietato, assimilabile al "nomos" di greca memoria. Non a caso ho

recuperato un concetto greco, in quanto quella di Von Trier potrebbe essere defini-ta, a tutti gli effetti, una "tragedia moder-na", con tanto di suddivisione in "atti", scenografia quasi inesistente, e insistenza sull'eterno contrasto tra libertà del singolo e della comunità, tra istinto animale e

Ordine.

Così come in Antichrist, altro film di Von Trier che necessiterebbe di un'analisi dettagliata, uno dei temi principali è l'espiazione, la purificazione di qualcosa di cor-rotto da parte di una forza ancora più grande. È il principio del più forte, rappresentato dal regista con assoluta e sconcertante schiettezza.

Difficile, poi, non notare una pe-sante critica alla società america-na, e, in particolar modo, ai primi colonizzatori, portatori di Ordine

in una comunità rozza, "priva di regole", e p e r q u e s t o e l i m i n a b i l e . L'uomo, in sostanza, non cesserà mai di elevarsi a giudice dei propri simili; e nel fare ciò crederà di essere nel giusto, in quanto protetto da un ideale di "ordine" distorto a proprio vantaggio.

DogvilleDogvilleDogvilleDogville

"Non venire mai alla luce può essere il più grande dei doni"

"Quando qualcuno non riesce a fare per gli altri tutto ciò che vorrebbe,

qualche volta le persone a cui è stato promesso qualcosa impazziscono"

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PAGINA 12 ANNO VI — NUMERO I I I

di Lorenzo Giudici

«Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: “Fino a qui, tut-to bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene.”Il problema non è la caduta, ma l’atterrag-gio.» Con queste parole inizia e si conclude uno dei film francesi più im-portanti, un capolavoro imperdibile consigliato a tutti gli appassionati cinefili e non. L’Odio, di Mathieu Kassovitz, non è solamente una denuncia dei comportamenti tenuti dalla polizia francese nei confronti dei giovani delle banlieues (periferie) parigine; questa pellicola trasmette anche e soprattutto un messaggio che descrive la caduta, l’involu-zione, il fallimento in cui la società dei no-stri giorni, contaminata da abusi di potere, discriminazioni e, appunto, odio, si è imbat-tuta.

La trama è tratta da una storia vera: in una Parigi in bianco e nero, teatro della vicenda, vi furono agitazioni perché la polizia aveva

ridotto in fin di vita un ragazzo detenuto in prigione di nome Abdel. Poi l’attenzione si sposta sulla figura di tre ragazzi: Vinz (Vincent Cassel), Hubert (Hubert Koundè) e Said (Said Taghmaoui). Il primo dei tre ragazzi è orgoglioso e soggetto a scatti

d’ira (come testimonia la scena del monologo allo specchio, che ha sicuramente come modello il Robert de Niro di Taxi Driver) e cerca di farsi rispetta-re attraverso l’uso della violenza; Hubert,

invece, è il più mite, e vive secondo la filosofia “vivi e lascia vivere”, nutrendo, però, un odio profondo verso chi non ri-spetta il prossimo; Said, infine, è una via di mezzo tra i due protagonisti descritti in precedenza. L’avvenimento più importan-te della storia è il ritrovamento di una pistola della polizia da parte di Vinz, il quale si promette vendetta nel caso in cui Abdel morisse.

Per risollevare le sorti del cinema france-se, ormai morente, serviva una produzio-ne nuova e innovativa, e la pellicola di

Kassovitz è girata interamente in bianco e nero, pur essendo del 1995, quasi sicura-mente perché questa scelta premia l’impat-to delle singole scene: infatti la novità del film si basa sull’inventiva del regista, che deve trasmettere un messaggio in pochi secondi. Nel fare questo, Pierre Aim, il di-rettore della fotografia, adotta una partico-lare tecnica di montaggio ad effetto: una porta che sbatte o un pugno che colpisce qualcuno, per esempio, sono seguiti da uno stacco istantaneo della telecamera, e da un suono sordo all'inizio della scena successi-va. Tutto questo è condito dal verlan, un particolare dialetto francese parlato dai tre protagonisti, che permette l’inversione delle sillabe di una parola per poterne poi formare un’altra: numerose sono le battute dei personaggi, anche se, purtroppo, il dop-piaggio italiano non permette di coglierne certe sfumature. Il finale, poi, è un colpo di scena: contestualizza la morale del film nella società odierna che, come un uomo che cade da un palazzo di 50 piani, si ripete per farsi coraggio “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene.” L’importante, però, non è la caduta, ma l’atterraggio.

L'odio “La Haine”L'odio “La Haine”L'odio “La Haine”L'odio “La Haine”

“...e vive secondo la filosofia

“vivi e lascia vivere”, nutrendo,

però, un odio profondo verso

chi non rispetta il prossimo…”

CINEMA

di Mariam Ndyaie

T ratto dall’omonimo racconto del 1922 di Francis Scott Fitzgerald e diretto dall’acclamato regista David Fincher, che ha tra i suoi capolavori il

recente film “The Social Network”, questa singolare pellicola si è aggiudicata tre premi Oscar per miglior trucco, miglior scenografia e migliori effetti speciali. Ha indubbiamente contribuito all’intensità del film il cast compo-sto da attori di calibro già del tutto affermato come il premio Oscar Cate Blanchett (Daisy Fuller) e Brad Pitt (Benjamin Button), di cui colpisce la bravura al di fuori dei tipici ruoli hollywoodiani che aveva interpretato in pre-cedenza.

A New Orleans nel 1918, nel giorno della fine della prima guerra mondiale, Thomas Button (Jason Flamyng) abbandona suo figlio Benja-min davanti alla porta di una casa di riposo, spaventato dal terribile aspetto del piccolo, e, dopo essersi assicurato che fosse in buone mani, fugge. Benjamin viene accolto dalle

braccia materne di Queenie, la governante, e visitato da un medico che subito decreta la morte imminente del neonato a causa dell’o-steoporosi e della debolezza degli arti, tipiche problematiche degli anziani.

Il tempo passa e Benjamin cresce giorno do-po giorno dovendosi adattare ad un corpo che non gli si addice e alle regole di compor-tamento che ne conseguono, ma soprattutto dovendo fare i conti con la sua diversità; all’e-tà di otto anni conosce Daisy Fuller, nipote di una dei coinquilini della casa di riposo, e ha per lei subito una grande infatuazione, però non gli è possibile avere con lei il rapporto che vorrebbe a causa del suo aspetto che lo ingabbia nel ruolo di anziano. Con il tempo Benjamin comincia a diventare sempre più forte, i capelli ricominciano a crescergli e lentamente sembra ringiovanire, così un gior-no si arruola come mozzo su un rimorchiato-re, sul quale poco dopo intraprende un viag-gio per il mondo. Al ritorno ritrova tutte le vecchie conoscenze compresa Daisy che nel

frattempo è molto cambiata.

Nella pellicola la componente fantastica è compensata dai sentimenti e dai temi estre-mamente reali, come quelli della diversità, dell’incapacità di comprendere se stessi e immancabilmente dell’amore. Nonostante la storia sia innegabilmente drammatica, è vissuta dai personaggi in modo talmente positivo e naturale che ne viene sottratto il lato pesante e angosciante che ogni racconto drammatico ha; si riesce quasi ad intravedere la presenza di un destino giusto che dispone i fatti nella loro esatta sequenza e posizione a formare un quadro armonico, sebbene ama-ro, e soprattutto completo. Durante il film non si ha mai l’impressione che i fatti siano stati inventati, ma piuttosto che la storia si svolga nella maniera più naturale possibile senza alcuna forzatura.

Complessivamente questa originale opera

cinematografica risulta particolarmente riu-

scita e lascia dietro di sé un’atmosfera estre-

mamente poetica.

Il curioso caso di Benjamin ButtonIl curioso caso di Benjamin ButtonIl curioso caso di Benjamin ButtonIl curioso caso di Benjamin Button

"L'odio chiama odio"

"Capita a tutti di sentirsi diversi in un modo o nell'altro, ma andiamo tutti nello stesso posto,

solo che per arrivarci prendiamo strade diverse..."

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PAGINA 13 GENNAIO 2012

di Dario Zaramella (Doris)

D ieci anni sono passati, ed eccoci di nuovo lì, sui verdi prati della Contea, ad ascoltare il vecchio Bilbo mentre ci racconta le sue

avventure passate. E che avventure! Anelli magici, nani obesi, uomini-orso, draghi, indovinelli, e un crescente senso di nostal-gia: in poco più di due minuti il primo trailer de Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspetta-to ci suggerisce questo e molto altro; e noi, cultori di Tolkien (e dell'adattamento cine-matografico di Jackson) o semplici curiosi, non possiamo rimanere impassibili all'udi-re Thorin, il capo della compagnia di nani,

intonare quelle note gravi, cariche dello stesso pathos di cui era intriso ogni foto-gramma della trilogia de "Il Signore degli Anelli". Se terminassi qui la mia carrellata molti di voi, fisicamente ancorati ai banchi di scuola, ma mentalmente proiettati al prossimo dicembre, non avrebbero nulla da obiettare. Fortunatamente, però, tra sequel, prequel e nuove rivelazioni, la lun-ga attesa per questo mostro sacro del fan-tasy non sarà così dolorosa. Si parte con il terzo e ultimo film della tri-logia di Nolan dedi-cata a Batman, cioè Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno. Benché l'uscita sia prevista per la fine di ago-sto, L'identità del villain di turno è già nota: sarà infatti Bane, interpretato da Tom Hardy, a raccogliere la pe-sante eredità la-sciata dal compian-to Heath Ledger (un magistrale Jo-ker nel prequel, "Il Cavaliere Oscuro"). Daniel Craig, cono-sciuto dai più per aver interpretato James Bond negli ultimi due film a lui dedicati, torna sul grande schermo con Millennium - Uomini che Odiano le Donne, remake dell'omonimo film uscito appena nel 2009, a sua volta tratto dal romanzo di Stieg Larsson. In un'intervista, il regista David Fincher (The Social Network; Seven) ha dichiarato che "Millennium è prima di tutto un film che scava nel rapporto tra i due protagonisti

piuttosto che una storia sulle malefatte di un serial killer", non prima di aver assicura-to l'intervistatore dicendo che il film sarà "una cosa completamente diversa rispetto al primo adattamento". Mossa commercia-le o no, da un regista del suo calibro ci si aspetta molto. Ritornano anche Ridley Scott e Martin Scorsese, rispettivamente con Prome-theus, prequel della celeberrima saga di Alien, e con Hugo Cabret, interessante avventura dai tratti steampunk, con prota-gonista un giovane orfano. Posto che da entrambi mi aspetto dei film, se non indi-menticabili, almeno discreti, è anche vero che, mentre Scorsese ha dimostrato recen-temente, con Shutter Island, di sapersela cavare anche in generi "non propri", Scott non è sempre sinonimo di qua-lità. Lieto di essere smentito. Gioite, fan dell'accoppiata (non sempre) vincente Burton/Depp: in Dark Shadows, un Johnny Depp più cadaverico che mai interpreterà Barnabas Collins, ricco rampollo di una nobile famiglia, trasformato in vampiro dopo aver spezzato il cuore di una strega. Uno dei film personalmente più attesi dell'anno è sicura-mente The Hunger Games, di Gary Ross. Un po' Il Signore delle Mosche, un po' 198-4, un po' reality show, il film vede una doz-zina di ragazzi e ragazze obbligati a parteci-pare ad una serie di prove mortali, alla fine delle quali uno solo di loro, sopravvissuto, riceverà denaro, onore e gloria. Non vorrei illudermi troppo, ma dal trailer pare che la componente emotiva, il senso di oppres-

sione davanti a questa brutale competizione, nonché le relazioni tra i ragazzi saranno suffi-cientemente appro-fondite. The Iron Lady riper-correrà la vita dell'ex Primo Ministro britan-nico Margaret Tha-tcher, la "donna di ferro" del titolo, dal-l'infanzia fino allo scoppio della guerra delle Falkland; tutto questo narrato sotto forma di flashback dalla stessa Thatcher, ormai ottantenne. Già uscito nelle sale, ma degno di essere menzionato è sicura-mente La Talpa (titolo originale: "Tinker,

tailor, soldier, spy), film in cui Gary Oldman interpreta un'anziana spia inglese, incari-cata di scovare un infiltrato sovietico all'in-terno dei servizi segreti britannici. Presen-tato in concorso all'ultima mostra cinema-tografica di Venezia, il cast del film com-prende attori del calibro di Colin Flirth (un ottimo Giorgio VI nel recente Il Discorso

del Re) e Tom Hardy, a detta di molti vera rivelazione di quest'ultimo anno. Vince forse la palma di "film più originale" Hysteria, uscito anch'esso da poco: parla infatti dell'invenzione del vibratore, inizial-mente usato come rimedio contro l'isteria. Gli amanti dell'azione e del fantasy potreb-bero voler tenere d'occhio Biancaneve e il cacciatore, figlio della tendenza ormai diffu-sa a prendere le favole più note — in que-sto caso quella di Biancaneve, ma ricordia-mo anche Cappuccetto Rosso Sangue, usci-to lo scorso anno — per poi riadattarle in una chiave più moderna, atipica. Riuscirà Kristen Stewart a svincolarsi dal ruolo di Bella? Il trailer non fa ben sperare, ma al-meno una sana dose di azione in salsa fan-tasy pare assicurata. In attesa del Sommo,

ovviamente. Finora ho parlato di film con attori in carne ed ossa, ma non potevo non men-zionare l'ultima perla della Pixar, il film d'animazione Brave - Coraggiosa e ribel-le. Tra siparietti comici mai banali, svariate chiavi di lettura, e un'animazione all'altezza delle migliori produzioni Pixar — i folti

ricci rossi della protagonista sono impres-sionanti! —, è impossibile non attendere con ansia questo film. Una sintesi così ridotta dei film che vedre-mo quest'anno non può, per forza di cose, tenere conto delle innumerevoli produzioni che, all'ombra dei "grandi titoli", puntual-mente spuntano in sordina nei cinema, per poi rivelarsi vere e proprie perle. Parlo di produzioni minori, film indipendenti, o che semplicemente finiscono per rivelarsi più validi di quanto non ci si sarebbe aspettato. Il 2011 ha visto dare il meglio di sé attori come Kate Winslet (Carnage), Nathalie Por-tman (Il Cigno Nero), Sean Penn (This Must Be The Place, The Tree of Life), nonché l'al-tro nascente Ryan Gosling, l'inquieto prota-gonista di Drive. E non a caso cito questo film, in quanto il regista, il danese Nicolas Winding-Refn, è uscito a testa alta dallo scontro con gente del calibro di Malick, Polanski, Sokurov. E il 2012? Bene o male ho già presentato quelli che si prospettano essere i volti dell'anno appena iniziato. Personalmente mi aspetto grandi cose da Tom Hardy, e in generale da tutto il cast de Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno, aven-do già dato un'ottima prova di sé in Incep-tion. Per quanto io sia generalmente con-trario ai remake, specialmente se così vicini nel tempo all'originale, non vedo l'ora di scoprire come Fincher riuscirà a rendere nuovamente appetibile una storia già nota ai più. In uno slancio di estrema fiducia, infine, conferirei l'Oscar a tutto il cast de Lo Hobbit, dal regista agli attori, dai costumisti fino al più piccolo collaboratore. Quando si dice "non lasciarsi trasportare dalle emozioni"…

2012 al cinema2012 al cinema2012 al cinema2012 al cinema

CINEMA

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B IBLIOBUSSOLA ANNO VI — NUMERO I I I

Q uando ho letto per la prima volta la quarta di copertina di questo roman-zo non riuscivo a capacitarmi di co-me fosse possibile che un libro le cui

protagoniste sono una portinaia e una ragazzi-na di dodici anni potesse aver venduto oltre 5 milioni di copie. Col senno di poi, credo di aver capito che proprio qui stia il trucco: Muriel Bar-bery - l'autrice, francese nata in Marocco - pia-ce così tanto perché ha la capacità e la bravura di raccontare l'eccezionale che c'è in tutti noi, portinaie e bambine comprese. È la storia di Renèe, la portinaia quasi sessantenne di un condominio abitato da gente ricca e snob in centro a Parigi, e di Paloma, una ragazzina dodi-cenne che ci vive con la sua famiglia. La prima desidera apparire zotica per accontentare i ricchi condòmini che pensano a lei come al classico stereotipo della portinaia, così nel frat-tempo viene lasciata in pace e può dedicarsi ai suoi amati libri; la seconda è dotata di un'intelli-genza parecchio sopra la norma per una ragaz-zina della sua età e si è ripromessa che si toglie-rà la vita il giorno del suo compleanno, se non avrà trovato in tempo un motivo valido per cui vivere. Ciascuna delle due donne porta avanti tranquillamente il suo segreto, Renèe affaccen-data tra il pulire le scale e leggere Tolstoj, Palo-ma odiando sua sorella maggiore sciocca e pre-

suntuosa, suo padre sempre preso dalla politica e sua madre, una donna snob che parla con le sue piante mentre le annaffia e spende barcate di soldi in inutili sedute dallo psicologo… fino a quando l'arrivo del nuovo inquilino, monsieur Ozu, sconvolge la loro vita. Renèe vede riaffiorare lo spettro di un antico segreto e Paloma viene aiutata a capi-re che forse non tutto in questo mondo fa schifo, in un vortice frenetico di avvenimenti imprevisti, fino allo sconvolgente finale. La grandiosa bellezza di questo romanzo sta nella sua semplicità. Con l'espediente del diario, la Barbery impreziosisce tutta la nar-razione di riflessioni, commenti e idee pro-vocatorie che mettono in gioco il lettore e lo costringono a confrontarsi con la storia delle due protagoniste, così diverse fra loro, eppu-re ambedue così profonde, intelligenti e fondamentalmente buone. È un continuo pizzicare il lettore senza mai lasciargli tirare il fiato, facendogli toccare con mano l'ipocri-sia dei ricchi condòmini, sviluppando nel suo cuore un'articolata idea della bellezza per cui vale la pena di esistere, quella bellezza che sia Renèe che Paloma, ognuna a modo suo, inseguono per tutto il romanzo. Il personag-gio di Renèe è commovente nella sua falsa rozzezza: è sua l'“eleganza del riccio”, quella

dolcezza tenera e buona tutta rannicchiata dentro ad un guscio aspro ed acuminato, portando agli estremi l'aspetto della riserva-tezza femminile. Paloma non è cattiva, sem-plicemente si interroga davanti alla vita; vuole capire a tutti i costi come funzionano le cose, e da dove viene quel senso di non appagamento che non le dà mai pace. Lei si chiede il perché della vita; Renèe invece si accontenta delle lezioni già pronte della filosofia, e preferisce non mettersi in gioco; inevitabilmente le due finiranno per scon-trarsi, ognuna spingendo l'altra a scendere a fondo della propria esistenza, tutte e due scombussolate dal silenzioso e raffinatissimo monsieur Ozu, un personaggio capace di scivolare facilmente nei segreti del cuore delle due donne e ovviamente anche del lettore. Consiglio questo romanzo soprattut-to alle ragazze, perché secondo me possono apprezzarlo maggiormente, per come è scritto, per come è proposto, per le idee che espone. Senz'altro è un libro che mette in moto il cervello. Riesce anche a far com-muovere, grazie alla sua grande umanità, alla sua semplicità, e all'idea che dipinge della bellezza unica ed incomparabile che c'è nella “semplice” e “comune” vita di ognuno di noi.

PAGINA 14

E' un piacere ritrovarvi, neo-affezionati della Bibliobussola! Dopo l'incontro dello scorso numero, questa volta facciamo un salto oltralpe e andiamo a girovagare per i sentieri di Francia. Per qualsiasi critica, domanda, consiglio scrivete a [email protected].

Q uesto romanzo è qualcosa di assolu-tamente originale e sconcertante al tempo stesso, una vera bomba a orologeria, un fuoco d'artificio per

come si legge rapidamente. Raramente ho letto una storia raccontata così bene. Süskind –l’autore- è un bardo dei giorni nostri, un gran-de cantastorie, un incantatore: c'è qualcosa nel modo in cui scrive che aggancia il cuore, diver-te, emoziona, e fa penetrare il lettore negli sporchi vicoli della Parigi del diciottesimo seco-lo. La storia è semplicemente geniale: racconta la vita di Jean-Baptiste Grenouille, venuto al mondo sotto ad un bancone del pesce al mer-cato, cresciuto in una casa-orfanatrofio, e deci-so a riuscire in una missione delle più partico-lari: creare il profumo perfetto. Lui può riuscir-ci, perché è scellerato e privo di qualsiasi vin-colo morale... e soprattutto perché è dotato

del miglior olfatto del mondo. Grenouille è un personaggio meraviglioso. Per certi aspet-ti somiglia al suo autore, Patrick Süskind, uno scrittore, sceneggiatore e drammaturgo te-desco geniale quanto misterioso, ritroso, riservato al punto da non aver mai voluto ritirare alcuni dei premi letterari più presti-giosi di tutta la Germania. Grenouille è un lupo solitario, abituato a sopportare i soprusi dei suoi padroni, totalmente indifferente ai piaceri della lussuria, alla fame di denaro o al desiderio di potenza: lui vuole di più, vuole il potere sovrano, perché sa bene che “colui che domina gli odori, domina il cuore degli uomini”. Escogiterà un incredibile metodo per estrapolare l'odore caratteristico di ogni cosa, mettendosi addirittura ad assassinare per raggiungere il suo obbiettivo: perché l'odore di cui ha bisogno è quello di una certa

ragazza... Vi direi di leggere “Il Profumo” anche soltanto perché è una storia intrigan-te e scritta benissimo, ma non si limita sol-tanto ad intrattenere il lettore. Grenouille è l’ultimo bastardo del mondo, un vero e pro-prio relitto umano, eppure perfino lui (anzi, soprattutto lui, proprio perché è abietto) avverte questo morboso desiderio di dare la caccia al “profumo perfetto” che può dare un senso alla sua esistenza, perché costrin-gerà tutti quanti a seguire il suo volere egoi-sta. Grenouille interpreta male quello che è uno dei bisogni viscerali dell’uomo, cioè lo stare con gli altri, l’essere ben voluto. Lui cerca disperatamente di intrappolare in un profumo quella forza che sta alla base dei bisogni di ogni uomo. Quella forza senza confini né età, che ci piace chiamare amore.

Il ProfumoIl ProfumoIl ProfumoIl Profumo

L’Eleganza del RiccioL’Eleganza del RiccioL’Eleganza del RiccioL’Eleganza del Riccio

di Carlo Simone

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GENNAIO 2012 V IAGGI PAGINA 15

A d ammaliare i rou-tards di tutto il mon-do è sicuramente il brivido del gradino

del treno, la fantasia nel fare le valigie, o l’emozione in gola di quando si raccontano le avventure. E, soprattutto, il poter rivivere per sempre il viaggio sfogliando i sudati scatti. I viaggiatori carduccia-ni ci sono. E tacciono, prepa-rano in silenzio le vacanze estive già a dicembre, consul-tano con le dita incrociate i siti di Ryanair, Easy Jet, Inter-Rail, Trenitalia. Passano po-meriggi interi a studiare carte e cartine, a consultare ma-

nuali di viaggio, a progettare viaggi impossibili. Assillano gli amici sperando di convincerli a se-guirli in capo al mondo. E quando ci sono, con le vene pulsanti urlano la gioia di aver scoperto il Nuovo Mondo. Urlano perché devono sfogare il loro bisogno di libertà. E tornati a casa, in realtà,

non lo saranno mai. Questa nuova rubrica è dedicata a chi a casa non ci vuole stare, e vive per viaggiare, scoprire, annotare, fotografare e ricordare per sempre. Tenete da parte le mance della nonna, consultate i suggerimenti dei vostri compagni in questa rubrica, e non smettete mai di sognare. Eleonora Sacco

Madrid. Prima della partenza l’opinione di visitatori precedenti rendeva l’aspettativa decisamente scarsa: “meglio Barcellona!” affermavano molti, interrogati sulle qualità della città, cui non attribuivano altri pareri. L’idea generata dall’influenza di tali giudizi individuava durante il viaggio d’andata una Spagna fredda, impersonale, privata del fascino barcellonese. Ma la Spagna, dal vivo, non può che essere una terra calda, vibrante di emozioni e, nella capitale, seppur diversa stilisticamente dal porto catalano, attraente e vitale. Madrid è città basilarmente diffe-rente dalla più contemporanea e giovane Barcellona, merita piuttosto attenzione per i suoi palazzi storici, gli edifici ottocenteschi e barocchi, i musei d’arte pittorica e scultorea.

Il Prado, Museo Nacional, è la traduzione spa-gnola del Louvre, con una quantità inferiore di opere esposte, ma di quasi altrettanto valore (in quanto spagnolo cito il maestro Goya). Di interesse sono anche i musei d’arte moderna Thyssen e Reina Sofia. Della “cattolicissima Spagna” potete ammirare il Palacio Real, invi-diabile dal “versagliese” Luigi XIV. Non si re-spira, però, un’aria monarchica, bensì pro-gresso e gioventù hanno largo spazio, in una città ricca di novità, dove il tango è passato di moda e i matador sono sotto contestazione. Per assaporarne meglio e letteralmente il gusto, denso di innovazione anche nella tradi-zione, assaggiate la frittura pura dei churros, magari intinti in una libidinosa cioccolata. Chiara Compagnoni

Sudafrica. Cape Town: Riserva Naturale del Capo di Buona Speranza, Table Mountain, quartieri e giardini botanici; Regione di Mpu-malanga: Blyde River Canyon, Kruger National Park. E’un paese dai forti contrasti: miscuglio di etnie, ricchi e poveri, obesi e morti di fame, palazzi e lodge lussuosi ccanto a enormi to-

wnship. La differenza è presente anche in ambiente, flora e fauna: i paesaggi spaziano dalla savana alla rainforest, dal clima mediter-raneo del Capo alle foreste di conifere dell’al-topiano di Johannesburg. Colori sgargianti e

accesi sono ciò che colpisce del Sud Africa, giustamente soprannominato rainbow na-

tion dai contrasti eccezionali tra mare e terra e tra cielo e deserto. Le persone si alzano molto presto al mattino, camminano spesso a piedi nudi e aprono l’ombrello solo per ripararsi dal sole… E non lasciatevi prendere dagli allarmismi: il Sudafrica è più sicuro di quanto possiate immaginarvi. Forse è per via dei suoi caldi tramonti, o della sua fresca brezza oceanica, se adesso mi ritrovo terribil-mente affetta da mal d’Africa. Beatrice Sacco

Foto di Eleonora Sacco

Foto di Chiara Compagnoni

Londra. È in un frizzante pomeriggio di dicembre che io e un’amica partiamo per Londra. Passiamo là tre intensi giorni. Per prima cosa facciamo una visita alla National Gallery, imponente, su Trafalgar Square: ospita così tanti dipinti (più di 2000!) che è consigliabile suddividerne la visione in gior-nate, oppure rischiate un’eccitante overdo-se d’arte! Molto meno lunga è stata la visita al museo di Sherlock Holmes, in Baker Street. Qui è stata riprodotta la pensione in cui l’investigatore e il suo braccio destro Watson abitavano: è possibile curiosare tra

Miami. Sentendo parlare di Miami probabil-mente le prime cose a cui pensereste sareb-bero sole, mare e zarri, e in effetti non avre-ste tutti i torti, ma c’è di più. Passeggiando lungo Ocean Drive il rischio di imbattersi in personaggi che paiono essere usciti dal Jersey Shore è molto alto e il clima pressoché caraibico non ostacola canotte bianche e costumi leopardati, ma basta allontanarsi dalla famigerata “beach” per entrare in un altro mondo. Dietro le ampie vie strabordanti di negozi e club esclusivi si estende la meno turistica Little Havana, il colorato quartiere

cubano che odora di caffè e frutta fresca. Girato l’angolo e attraversato qualche pon-te si piomba poi nel quartiere più moderno di Miami i cui grattacieli di vetro si rispec-chiano nell’acqua della laguna e da lì, con un taxi guidato da un sudamericano deside-roso di emulare le corse di fast and furious, si arriva in fretta al Design District, dove si possono ammirare murales realizzati dai più importanti artisti contemporanei. Insomma, siete liberi di limitarvi agli eleganti hotel di ocean drive se vi va, ma la vera Miami è davvero molto meglio. Francesca Motta

Foto di Francesca Motta

Foto di Alice Superci le sue cose e meditare seduti alla sua scri-vania, magari fumandosi un sigaro! Nel tempo restante abbiamo girato per la città, non potendo evitare di fare una visita a Buckingham Palace, al Big Ben e al parla-mento… e di fare un po’ di sano shopping lungo Oxford Street e Portobello. D’obbligo è stata anche una visita a Soho, a Chinatown e a Carnaby Street. Se consiglio di andare a Londra? Ovvio! Non è romanti-ca quanto Parigi, non ha i palazzi di Roma però è giovane, allegra e cosmopolita. E poi chi non ha mai pensato di andarci almeno una volta nella vita? Alice Superci

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CULTURA ANNO VI — NUMERO I I I PAGINA 16

di Jacopo Malatesta

Liberamente ispirato al monologo di Asca-

nio Celestino “Ponzio Pilato”.

V i racconto una storia. C’era una volta Ponzio Pilato: intellettuale, politico, prefetto della Giudea. Un giorno decise di mettere alla

prova la democrazia. Prese due prigionieri e li portò davanti al popolo. E disse: “Popolo,

è Pasqua: scegli chi liberare”. Ma il Popolo era un bambino. Che ne sapeva di democra-zia? Il Popolo tosava le pecore, mungeva le vacche, zappava l’orto. Era manipolato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani: non pen-sava con la sua testa. Allora Pilato interven-ne: “Ti do un suggerimento: uno è Barabba,

un ladro di polli; l’altro è Gesù Cristo, Dio

sceso in terra. Popolo, chi vuoi liberare?”. E il Popolo disse Barabba. Barabba, disse il Popolo. A questo punto Ponzio Pilato cos’a-vrebbe potuto fare? Criticare la democra-zia? Accusare il popolo? No. Ponzio Pilato fece il gesto più alto della storia dell’uomo: Ponzio Pilato si lavò le mani. Straordinario. Come per dire: contro l’ignoranza non si può fare niente, ma contro la sporcizia la battaglia non è ancora persa. La democrazia è indifendibile; il popolo non è pronto per la democrazia, non la capisce.

Tutta questa vicenda è di un’attualità stra-biliante. Duemila anni fa, una delle più illu-minanti parabole sulla democrazia e il ruolo del popolo, capace di trafiggere e rovescia-re ogni certezza moderna. L’esperimento attuato da Pilato ci pone di fronte al falli-mento del potere condiviso. Alla prima grande elezione democratica della storia l’uomo votò Barabba. Barabba non era un ladro di polli, come la tradizione comune-mente suggerisce, ma un esponente del partito degli Zeloti. Distante dal compren-dere la portata innovativa della sua predica-zione, il Popolo a Cristo preferì Barabba, incarnazione dei sogni di indipedenza e di difesa dell’ortodossia ebraica condivisi da gran parte dei Giudei. Il suo giudizio – vuo-tato di ogni pretesa di ragionevolezza – fu falsato dall’atto di persuasione di chi era più forte e influente, i maestri della Legge e gli anziani. In un meccanismo che di demo-cratico non ha nulla: il potere non è in ma-no al Popolo – bambino plagiabile e condi-zionabile – quanto piuttosto ai soggetti influenzatori, che ne distorcono il pensiero: millenni dopo Gramsci l’avrebbe chiamata egemonia culturale. Di fronte all’incapacità del Popolo di scegliere in maniera razionale, Ponzio Pilato può solo lavarsi le mani, vitti-ma di una situazione che non può capire né

influenzare: l’acqua lo pulisce da ogni re-sponsabilità e dubbio, lasciando gli eventi al loro corso naturale.

E’ un copione intramontabile nel grande film della storia: un Barabba ingiustamente pre-ferito a un Gesù Cristo, un popolo sguarnito di discernimento, dei Maestri della Legge che pensano al posto suo, una democrazia manipolata e corrotta. E per ognuna di que-ste cantonate, manipolazioni, ingiustizie e falsità ci sarà sempre un Ponzio Pilato pron-to a lavarsene le mani, a lasciar scorrere il sangue sulle coscienze altrui. In fondo è meglio così: dopotutto nel 33 d.C. le cose

andarono per il verso giusto. Pilato asse-condò il volere del Popolo allontanando il pericolo sommossa; Cristo fu crocifisso, ma tornò in vita e liberò gli uomini dal peccato e dal male: ogni tassello tornò al suo posto, ogni attore recitò la sua parte. Nella trama più famosa nella storia del-l’uomo.

Forse le cose tendono ad aggiustarsi da sole, secondo un disegno logico che giu-stifica ogni nostra azione. Meglio se non mi preoccupo troppo. Meglio se lascio correre le cose. Nel dubbio, io, mi lavo le mani.

Se l’esperimento Pilato rovescia la democraziaSe l’esperimento Pilato rovescia la democraziaSe l’esperimento Pilato rovescia la democraziaSe l’esperimento Pilato rovescia la democrazia

PILATO IL PERPLESSO: TRA DEMOCRAZIA E OPPORTUNISMO

Al di là di ogni bizzarra speculazione che possiamo trarne, la storia si è a lungo addentrata nella questione Pilato, logorandosi o addirittura sbizzarrendosi. In ultima analisi, Pilato fu un perplesso, «un giudice che mancava di ogni strumento per poter giudicare, che ignora-

va le cause del conflitto e ancora più impotente a immaginarne le conseguenze» (Massimo Cacciari). Ebbe da una parte gli ebrei ortodossi e dall'altra Gesù: scelse che se la vedessero tra loro, donde la condanna. Si piegò all’urlo di una popolazione indomabile e punì un uomo che riteneva innocente. (1) Scelta opportunistica la sua, ma difatti fedele all’unica logica conosciuta dalla democrazia, quella dei numeri. Il gesto di lavarsi le mani lo liberò da ogni responsabilità su una decisione che lo perplimeva; in fondo tra lui e Cristo sussi-steva una sostanziale differenza di linguaggio: per l’ebreo verità era “emet”, fermezza, stabilità; per il romano era “veritas”, che al tempo di Tiberio poteva significare compren-dere la realtà delle cose. Quel potere dall’alto a cui Cristo alludeva Pilato non lo concepiva: parlavano due lingue diverse. (2) Su di lui in seguito i grandi pensatori si sarebbero divisi: Nietzsche e Kelsen ne prenderanno le difese; per Kierkegaard, fece bene Gesù a non ri-spondere. Poteva permetterselo. La sua vita era la risposta. (1)

“Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco: io l’ho esaminato da-

vanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate. […]

Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. » (Giovanni 23, 14-15) (2)

«Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo

chi mi ha consegnato a te ha un peccato ancora più grande.» (Giovanni 19, 11)

“Pilato uscì di nuovo, e disse loro: «Ecco, ve lo conduco fuori, affinché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». Gesù dunque uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora. Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!».”

Contro l’ignoranza non si può niente, ma contro la sporcizia la battaglia non è ancora persa.

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CULTURA GENNAIO 2012 PAGINA 17

di Alessandra Ceraudo

“Oggi è il 25 Dicembre, al mio tavolo non si trovano i miei familiari e parenti, ma un gruppo di amici che vivono in larga parte per strada: barboni, profughi, bambini rom, ma anche mendicanti, stranieri, anziani soli, malati di AIDS, malati psichiatrici e car-cerati. Faccio parte della Co-munità di Sant’Egidio e ho ac-colto due famiglie di origine cinese con i loro bambini, che durante l’anno frequentano la scuola della pace, seguita da me e da altri volontari. Ad es-sere presenti, però, oltre agli invitati, non siamo solo noi della Comunità; accanto ai poveri si raccoglie anche tanta gente co-mune alla ricerca di un senso vero del Natale, diventato spesso solo un rito vuo-to: danno una mano, aiutano a preparare, a raccogliere ciò che è necessario o a ser-vire durante il pranzo. Questo è il Natale che ho scelto, lontano dal comune modo di trascorrere questo giorno, distante dal consumismo, dall’ipocrisia, dalla chiusura in noi stessi; queste le persone che hanno reso il mio Natale un giorno meraviglioso”. Il pranzo di Natale con i poveri è una tradi-zione della Comunità di Sant'Egidio da

quando, nel 1982, un piccolo gruppo di persone povere fu accolto attorno alla tavola della festa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. Un numero sempre crescente di persone ogni anno si avvicina alla Comunità, spinto dal desiderio di tra-

scorrere un Natale diverso, dove l’aiuto e l’affetto nei confronti del prossimo sosti-tuiscono l’insipida banalità dei tradizionali cenoni di famiglia. Tutti lavorano al meglio per un’ottima riuscita della festa. Il pranzo si conclude con auguri in quaranta lingue del mondo, pronunciati da invitati di varie nazionalità; questo pranzo è l’insieme di età, lingue, tradizioni, religioni diverse: un immenso popolo senza confini. Con un’Ita-lia colpita dalla crisi, la povertà in crescita e i sempre più numerosi disoccupati, la percezione di un senso di impotenza è

forte. Sembra impossibile riuscire ad aiutare gli altri: siamo soffocati dal pensiero di noi stessi. Spesso, per dare una mano a coloro che si trovano in difficoltà, non serve solo il denaro, ma anche degli amici, dei sorrisi, delle persone sulle quali poter contare: e

tutto ciò non implica dispendio eco-nomico. Allora noi giovani, nonostan-te ci troviamo in tempo di crisi, ab-biamo la possibilità, ma anche il do-vere, di andare a recuperare un po’ di buona volontà, che ci permetta di dare qualcosa agli altri; tutti sappia-mo quanto sia bello ricevere, viviamo in modo più o meno agiato, ma vi siete mai chiesti quanto sia meravi-glioso dare? A casa di Lisa, bambina cinese di otto anni, Babbo Natale non è passato per via della crisi; im-

maginate la sua tristezza. Non c’è nulla che ci impedisca di provare a rendere felice Lisa donandole affetto e disponibilità. Possiamo essere pronti non per forza a grandi imprese, ma anche a piccoli gesti che possono rende-re gli altri, in questo caso una tenera bambi-na, molto felici. Dunque non pensate che sia sufficiente aiutare e amare solo a coloro che fanno strettamente parte della vostra cer-chia di amici e parenti; non vi preoccupate di dedicarlo a coloro che all’inizio non conosce-te, perché il nostro cuore lo ha reso una fon-te rinnovabile.

Una mano sempre tesa verso gli altriUna mano sempre tesa verso gli altriUna mano sempre tesa verso gli altriUna mano sempre tesa verso gli altri

B en trovati, amici e nemici de “L'Oblò sul Cortile”! Le vacanze, la neve e i panettoni han portato riposo alla redazione del vostro

vecchio giornalino, e le indigestioni natalizie ci han fatto venire un'idea un po' bizzarra: vi proponiamo di cimentarvi in un CONCOR-

SO DI RACCONTI BREVI. L'Oblò ha sempre avuto fra i suoi punti cardine il sogno di sensibilizzare gli studenti del Carducci e di coinvolgerli in progetti dilettevoli, come ad esempio è stato per i vari concorsi di foto-grafia. Questa volta ci è sembrata un’idea interessante quella di mettervi alla prova in un amichevole agone di racconti. Prendete carta e penna, o piazzatevi davanti al com-puter, e date libero sfogo alle vostre capaci-

tà narrative! Mettete per iscritto quella storiella buffa che immaginate fin da quando siete bambini... o raccontateci quell'aneddoto assurdo, incredibile in cui vi siete ritrovati invischiati... o fateci veni-re i brividi raccontandoci qualche storia dell'orrore! Qualunque cosa, non avete limiti, nessuna restrizione all'immaginazio-ne: il TEMA di cui potrete scrivere è asso-

lutamente LIBERO, quindi sbizzarritevi. Avete a disposizione un MINIMO di 6000

e un MASSIMO di 12000 CARATTERI. La data entro cui farci pervenire i vostri ela-borati è il 27 Febbraio. Inviateli all'indiriz-zo e-mail [email protected]. Li valuteranno dei severissimi giudici scelti fra quel gruppo di bizzarri individui che

ogni giovedì in sesta ora (la redazione è aperta a tutti, vi ricordiamo!) si riunisce in una grotta giù nel seminterrato. I 10 rac-conti brevi meglio scritti e coinvolgenti ver-ranno pubblicati in un inserto speciale che uscirà in allegato a più numeri dell'Oblò. Sia che siate scrittori provetti, sia che a stento sappiate tenere in mano una penna, voi provateci: può essere una buona occasione per scoprire una dote nascosta, o che vi diverte cimentarvi in quella balzana attività appresa in prima elementare: scrivere. Non avete niente da perdere. In bocca al lupo a tutti voi, giovani roman-zieri!

Carlo Simone e La Redazione

Concorso di scrittura: racconto breveConcorso di scrittura: racconto breveConcorso di scrittura: racconto breveConcorso di scrittura: racconto breve

La cena di Natale alla Comunità di Sant’Egidio

È lieto di È lieto di È lieto di È lieto di presentarvi...presentarvi...presentarvi...presentarvi...

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ANNO VI — NUMERO I I I CULTURA PAGINA 18

di Luca Cassanego

Boxcutter Questo mese la rubrica si apre con un irlan-dese di nome Barry Linn, meglio conosciuto come Boxcutter. Il ragazzo in questione è uno degli iniziatori della Dubstep, un genere musicale recentemente portato alla ribalta dall’artista americano Skrillex e dal sito inglese UKF. In realtà i due promotori hanno dato un’immagine distorta del genere in questione, in quanto la musica da loro diffusa è in-fluenzata da un uso frequente del drop (l’attimo in cui si modi-fica la linea di basso o di batte-ria) e a sonorità molto vicine alla musica house, e quindi facilmente ballabili. La musica di Linn si basa invece su toni cupi e pesanti, sfrutta dei bassi elastici e gommosi e il tempo è decisamente più lento. Il risulta-to sono dei brani che permettono all’ascol-tatore di immergersi e perdersi all’interno della melodia, in un contesto di assoluta tranquillità animata solamente da una bat-teria e da un basso.

Klaxons Si ritorna in ambito prettamente indie rock con i Klaxons, gruppo londinese formatosi nel 2005 che due anni fa ha pubblicato il proprio secondo lavoro “Surfing The Void”. Si tratta di un album dai precedenti parti-colarmente travagliati, con voci che parla-vano di cambio radicale di stile, live di pietosa qualità, di poco antecedenti alla pubblicazione e preoccupanti indiscrezioni

su una possibile sosti-tuzione di manager. A sorpresa invece il disco si rivelò una vera perla dell’indie rock più prossimo a influenze elettroni-che, con suoni che ricordano una versio-ne sottoposta a MDMA dei Muse, e brani ideali per espri-mere le proprie doti

canore e “dancerecce”. Un album fresco e veloce, con toni che spaziano dal prog al pop fino alla dance, per uno dei più pro-mettenti gruppi indie in circolazione.

The Zen Circus

Anche su questo numero all’interno della rubrica viene assegnato uno spazio al fronte indie italico, questa volta rappresentato dagli Zen Circus. Si tratta di una band che dal 1994 calca le scene musicali, ma che nell’ultimo periodo ha trovato nuova linfa vitale, anche grazie al continuo supporto del sito Rockit.it (un portale di musica italia-na, particolarmente attento agli artisti e-mergenti provenienti dalla fascia meno mainstream). Tre anni fa il trio ha ottenuto numerosi consensi con il disco “Andate Tutti Affanculo” lavoro dalla forte compo-nente satirica, che affronta l’immagine del Belpaese nell’ultima decade, che ha conso-lidato la loro figura di esponenti di spicco dell’indie rock italiano. I brani si susseguono in modo graffiante, con suoni punk e folk tipici delle loro precedenti pubblicazioni, senza disdegnare però sonorità più rock. I tre ragazzi di Pisa ad ottobre dell’anno ap-pena trascorso hanno pubblicato “Nati per subire”, preceduto dal singolo “L’Amorale”.

L’indie che non conosci L’indie che non conosci L’indie che non conosci L’indie che non conosci

di Chiara Conselvan

C ristine Nöstlibger è un’attenta e innovativa autrice per ragazzi, vincitrice del premio internaziona-le Hans C. Anderson per la lettera-

tura per l’infanzia. Ma nella piccola sala Baush dell’Elfo Puccini, di giovanissimi che attendevano di assistere alla trasposizione di uno dei suoi geniali romanzi per teatro non ne ho visti molti. Il titolo della rappre-sentazione è già di per sé curioso e invitan-te: “Il bambino sottovuoto”. Appena letto sulla locandina, questo strano appellativo non mi sembrava nuovo: infatti mi sono ricordata di un testo presente nella mia antologia delle medie intitolato allo stesso modo. L’incipit era lo stesso che mi aveva conquistato anni fa, ma, non avendo com-pletato la lettura del romanzo, non ho mai saputo come proseguisse la storia. Il brillan-te monologo di un’ora e mezza di Cristina Crippa in quella piccola sala del Teatro dell’-Elfo ha saziato la mia curiosità! L’attrice interpretava Berta Bartolotti, un’originale donna di mezza età che vive sola, separata dal marito ormai da anni, e si procura da vivere realizzando tappeti unici nel loro genere. Molto creativa e disordinata, un tempo la signora Bartolotti aveva sentito il desiderio della maternità ma, una volta

separata, si era legata senza molti impegni al farmacista Giuseppe, assai diverso da lei perché tanto abitudinario da sembrare noioso. Quando un giorno la signora Bar-tolotti si vede recapitare inaspettatamen-te un barattolo dentro il quale “un nano raggrinzito” chiedeva fosse versata una soluzione nutritiva perché potesse diven-tare un bambino, la sua vita cambia radi-calmente: ora è una mamma e deve imparare a comportarsi di conseguenza. Marius è un bambino sinteti-co creato da una potente multina-zionale per soddisfare le richieste di geni-tori esigenti con poco tempo da dedicare ai figli. La signora Bartolotti instaura da subito con lui un rapporto speciale, dato anche dal fatto che parte delle cose che un bambino dovrebbe imparare da una madre, tra cui le regole di comportamen-to, Marius già le ha apprese, mentre la neo-mamma, poco abituata a trattare con i bambini di otto anni, sta prendendo con-fidenza con una realtà del tutto nuova, che è Marius a insegnarle.

Quando, infatti, la multinazionale si accorge dell’errore di consegna e sempre più fatto-rini vengono a reclamare il bambino, lei non è disposta a cederlo e, insieme all’uni-ca amica di Marius, Kitty, elaborano un piano infallibile. La multinazionale cerca un bambino buono e ubbidiente da consegna-re alla famiglia che ne aveva fatto richiesta. Così, in pochi giorni, grazie alle mirate lezio-

ni di Kitty, Marius si tra-sforma in un bambino in-solente e indisciplinato. Alla vista del prodotto “avariato”, gli emissari della fabbrica e i potenziali genitori si allontanano delusi. Marius rimarrà quindi con la signora Bar-

tolotti accudito anche dal farmacista Giu-seppe. Ma dovrà rimanere discolo o torna-re il bambino perfetto come uscito di fab-brica? Le risposte discordanti dei genitori fanno intendere come l’educazione di Ma-rius in futuro sarà incentrata meno sui com-portamenti studiati a tavolino e imposti al bambino dalla multinazionale e più sulla valorizzazione della sua personalità, poiché alla signora Bartolotti, come anche a noi, la naturalezza, l’unicità e l’originalità piaccio-no più della monotona perfezione.

Il bambino sottovuotoIl bambino sottovuotoIl bambino sottovuotoIl bambino sottovuoto

“Marius è un bambino sintetico

creato da una potente

multinazionale per soddisfare le

richieste di genitori esigenti”

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GENNAIO 2012 ANIMI RELAXATIO PAGINA 19

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ANNO VI — NUMERO I I I PAGINA 20

Collaboratori esterni: Luca Cassanego 4F, Ermanno Durantini 5G, Lorenzo Giudici 4G, Arianna Magna 5H, Francesca Motta 5F, Mariam Ndyaie 2B, Michele Spinic-ci 3E, Alice Superci 4F.

Correttori di bozze: Silena Bertoncelli 3C, Chiara Compagnoni 5G, Ja-copo Malatesta 3C, Eleonora Sacco 4F, Dario Zaramella 4A

La Redazione si tiene ogni Giovedì alle 13.15 nel seminterrato! Ti aspettiamo!

La Redazione dell’Oblò Sul Cortile Caricature a cura di Elena Di Luca