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Around Marketing News Newsletter n° 83 - Dicembre 2016
Benvenuti nel numero di dicembre della nostra newsletter. E’ per me un grande onore
dare il benvenuto all’interno della newsletter al professor Gianpiero Lugli, autore di
una rubrica nella quale esporrà il suo pensiero a proposito di tematiche relative al mondo
del marketing e del trade marketing. In questo numero riprende un tema a lui caro,
ovvero quello della Brand Choice Overload. Nella sezione Tendenze e previsioni si
parla di Gran Bretagna sia per quanto riguarda la spesa LCC dei millenial che a
proposito del mercato degli orologi, che ha tratto benefici dalla sterlina debole. Ma si
parla anche del promettente mercato dei profumi. Particolarmente sostanziosa la parte
dedicata a I numeri del web, dove si tratta da diverse angolazioni il tema dei sistemi di
pagamento digitali e non, del credito all’acquisto digitale, dei comportamenti online dei
boomer, dei dati inesatti forniti da Facebook e anche di nuove funzionalità di alcuni social
media come Instagram e Pinterest, per collegare la fruizione alla vendita di prodotti e
servizi delle aziende inserzioniste. Nella sezione dedicata all’E-Commerce si affronta il
tema di due momenti critici della customer experience dell’acquisto online. Ovvero
l’attesa della consegna prima e la necessità di fare un reso poi. Spigolature infine relative
ad Amazon, Alibaba e Yoox - Net a Porter. Protagonisti de l’Innovazione nel retail brick
& mortar sono Amazon (ancora!), Mark & Spencer, Total Wine and More, Apple e QVC.
Nella rubrica Marketing a 360 gradi segnalo l’esperienza di Nescafé volta ad assumere
una fisionomia più digital. Dal mondo della marketing information apprendiamo che
comScore è stata certificata per un servizio nell’area dell’intercettazione dei
comportamenti fraudolenti in rete ai danni di inserzionisti ed editori. Infine Lo spunto
del mese è dedicato al profilo del Chief Digital Officer, non così scontato. Come non lo è
nemmeno la sua collocazione all’interno dell’azienda. Buona lettura e, a questo punto, i
migliori auguri di feste serene e per un felicissimo anno nuovo!
Le notizie più interessanti in anteprima (quasi) ogni giorno su LinkedIn e su
Twitter: @Filippo_Genzini
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Il menù del mese
Il pensiero di Gianpiero – pag. 4
Brand choice overload
Tendenze e previsioni - pag. 7
Millenial protagonisti della spesa in Gran Bretagna – Brexit favorevole nel breve per il
mercato degli orologi – Vie en rose per il mercato dei profumi
I numeri del web - pag. 9
Sempre in crescita i budget digitali – Bene le e-mail commerciali in Francia –
Concorrenza nel settore dei pagamenti ‘mobile’ – ‘Mobile’ molto usato per decidere un
acquisto, poco per pagarlo – Il contante non è morto – Uso dei dati social nel marketing
– Anche i senior sui social? – Informazioni contraddittorie sull’uso degli strumenti
‘mobile’ – Tracciati negli aeroporti – Millenial e sanità. Come intercettarli? – Venmo e i
millenial – Chatbot per assistere i clienti – Affirm: soluzione per vendere online a rate –
Facebook continua a sparare i numeri alla ….. – Cosa funziona nei video ‘mobile’ di
YouTube – Fnac usa Tiendeo in Spagna – Instagram fa vendere – Anche Pinterest evolve
– WeChat funziona – Walgreens suggerisce piccoli regali su Pinterest
E-Commerce – pag. 22
Tempi di consegna brevi? La questione è soggettiva – Resi. Ancora un problema per gli
e-tailer – E-Commerce per lo sviluppo delle vendite dei prodotti di lusso – Yoox – Net a
Porter sempre più ‘mobile’ – Strategie di private label di Amazon – Alibaba coccola i
clienti migliori
Innovazione nel retail brick & mortar – pag. 27
Dinamiche del retail cinese on e offline – Sempre male il retail sudafricano – Affitti
stellari – Cresce anche negli Stati Uniti il click & collect – I negozi di Amazon – QVC
sempre più multicanale – Il nuovo format degli Apple Store fa riflettere – Ritirata di
Mark & Spencer – Il format particolare di Total Wine and More
Marketing a 360 gradi - pag. 33
Australia e Nuova Zelanda: ingredienti in e out – Nescafé per i nativi digitali – La radio
sempre regina della musica negli Stati Uniti – Migliorano le metodologie di rilevazione
del risultato delle PR – Markettari stakanovisti?
Dal mondo della marketing information – pag. 36
Nuova certificazione per comScore
Lo spunto del mese – pag. 37
La formazione del Chief Digital Officer
Appuntamenti – pag. 38
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La Newsletter di Around Marketing
è gentilmente offerta da:
www.admirabilia.it
www.valassis.it www.osservatoriofedelta.it
A proposito di Around Marketing
Around Marketing offre:
- consulenza per lo start-up di servizi di marketing in Italia da parte di Società straniere
che desiderano offrire nuove soluzioni a valore aggiunto nel nostro mercato
- affiancamento alle Aziende di Servizi e Business to Business nella gestione di progetti di
marketing in tutti i casi in cui la carenza di risorse interne può rappresentare un vincolo
allo sviluppo.
- supporto nell’organizzazione, pianificazione e gestione della marketing information
Tra i progetti cui ha collaborato in questi anni:
- il posizionamento, la costituzione e il lancio dell’area retail di una grande istituto di
ricerche
- il riposizionamento di una società di comunicazione
- l’acquisizione di testate specializzate da parte di un editore
- la gestione pos del processo di fruizione di strumenti promozionali
- un portale innovativo per la distribuzione di coupon
- l’introduzione nel mercato italiano di una piattaforma loyalty e di strumenti di crm
- il nuovo concept dell’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma
- il riposizionamento di un Centro per Eventi
- l’ideazione di un nuovo circuito promozionale nel mondo dello sport
Around Marketing – Piazza 6 Febbraio, 2 - 20145 Milano
www.aroundmarketing.it
Telefono + 39 3476117033
@Filippo_ Genzini
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BRAND CHOICE OVERLOAD
L’eccesso di scelta può essere analizzato nella consueta prospettiva dell’Insegna
(Category Choice Overload)1, oppure, nella nuova prospettiva dell’industria di marca
(Brand Choice Overload). Naturalmente, cambiando la
prospettiva di analisi, cambia anche l’origine, il significato e le
conseguenze dell’estensione della scelta.
Le ragioni di un’eccessiva estensione del brand. Per
quali motivi il portafoglio prodotti si è progressivamente
ampliato nel corso del tempo, fino al punto di risultare
eccessivo rispetto alla differenziazione della domanda,
oltre che rispetto alle capacità percettive e cognitive degli
acquirenti? Una prima spiegazione può essere ricercata nel contrasto alla saturazione
del mercato; se le vendite della categoria hanno smesso di crescere, innovare il prodotto
scegliendo come target nicchie di domanda insoddisfatta può consentire un ulteriore
espansione del sell out. Questa spiegazione è tuttavia di scarsa validità nel caso di
prodotti a domanda rigida.
Una seconda spiegazione può essere il tentativo di ridurre l’intensità della competizione
di prezzo attraverso la differenziazione del prodotto rispetto ai rivali. In questo caso, il
successo del lancio di un nuovo prodotto dovrebbe essere misurato con riferimento
all’intero portafoglio.
Una terza spiegazione può essere ricercata nell’organizzazione funzionale dell’azienda,
che non permette una piena integrazione tra fronte interno e fronte esterno. L’
innovazione può essere infatti “tirata” dalla fabbrica per cogliere opportunità offerte
dalla R&D, senza considerare:
La presenza e la consistenza di segmenti di domanda insoddisfatta;
L’impatto che l’inserimento della nuova referenza avrà sul processo di acquisto;
1 Lugli G. ( 2012 ), Troppa scelta, APOGEO
Il pensiero
di Gianpiero
A cura del professor Gianpiero Lugli
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Le conseguenze dell’inserimento della nuova referenza sui rapporti con le
insegne.
Infine, ma non per importanza, il lancio di nuove referenze, fino al punto di determinare
un brand choice overload, può essere spiegato col tentativo di conquistare maggior
visibilità al brand in punto vendita. I distributori assegnano infatti ai prodotti un numero
di facing che non rispecchia le quote di vendita, nel tentativo di influenzare
positivamente il sell out dei prodotti a più alta marginalità e, in particolare, il sell out
della marca commerciale. Posto che secondo le regole empiriche di merchandising
bisogna assegnare ad ogni referenza almeno tre facing, indipendentemente dalla
quantità venduta, l’estensione del portafoglio prodotti può essere una via per aumentare
la visibilità del brand.
Le differenze tra category e brand choice overload. L’eccesso di scelta nella
prospettiva dell’insegna (category choice overload) è profondamene diverso dall’eccesso
di scelta nella prospettiva dell’industria (brand choice overload). L’eccesso di scelta a
livello di categoria provoca confusione, panico, ansia, incertezza, paura di sbagliare e,
soprattutto, un aumento del costo psicologico per le opzioni scartate ed un aumento delle
aspettative; ciò che si traduce in una minor soddisfazione nell’acquisto e nel consumo.
Ridurre l’eccesso di scelta a livello di categoria è particolarmente difficile in quanto non
è possibile eliminare semplicemente le referenze a più bassa rotazione se la loro
presenza:
Àncora la scelta di altre referenze;
È giustificata dal profilo degli acquirenti;
Genera ricavi sotto forma di premi di referenziamento e sconti assortimento.
Dal punto di vista industriale, la riduzione dell’estensione del portafoglio prodotti è
invece molto più facile dal momento che non intervengono i limiti indicati più sopra per
le insegne. Tuttavia, la condizione per ridurre l’estensione del portafoglio prodotti senza
conseguenze negative per il brand è il mantenimento della visibilità; occorre dunque
trattare col trade l’asciugamento del portafoglio offrendo la costanza delle risorse di trade
marketing in cambio della costanza della visibilità del brand. Una siffatta soluzione
migliorerebbe anche il posizionamento competitivo della marca industriale rispetto alla
marca commerciale, dal momento che quest’ultima è caratterizzata da un assortimento
asciutto e da una quantità di spazio espositivo molto maggiore rispetto alla sua quota di
vendita. La riduzione dell’estensione del portafoglio prodotti, a parità di esposizione, può
portare ad un miglioramento di performance se:
Il consumatore è fedele al brand e le referenze eliminate non sono offerte dai
competitor;
La penetrazione delle referenze eliminate è molto bassa;
Gli acquirenti hanno un comportamento abitudinario, non considerano tutte le
alternative di brand e raramente sviluppano l’emozione del rammarico se non
provano il nuovo prodotto lanciato dal brand cui sono fedeli.
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Con l’asciugamento del portafoglio prodotti, diminuisce anche la necessità di sostenere
con il sell out delle referenze marginali attraverso la promozione di prezzo. Inoltre,
riducendo l’eccesso di scelta, e migliorando di conseguenza la leggibilità delle alternative
offerte dal brand, si potrebbe avere un aumento del sell out sia del brand asciugato che
della categoria.
Riscontri empirici. La consapevolezza degli effetti negativi dell’eccesso di scelta
all’interno della marca è molto rara; sono dunque decisamente poche le aziende che
hanno adottato la strategia di asciugamento del loro portafoglio prodotti. Non è peraltro
facile individuare casi di riduzione dell’eccesso di scelta a livello di brand perché le
imprese non comunicano l’asciugamento del portafoglio, che è percepito come un
fallimento ovvero come il riconoscimento di un errore. Uno dei pochi casi di cui si ha
notizia certa è la riduzione da 26 a 15 referenze di Shampoo operata da Procter &
Gamble. Questa riduzione dell’estensione della scelta si è tradotta in un aumento del
10% delle vendite della marca all’interno della categoria degli Shampoo.2 Se è possibile
ridurre l’assortimento della marca senza subire una contrazione delle vendite, le
conseguenze sul profitto industriale sono decisamente importanti. Se poi, riducendo
l’estensione dell’assortimento della marca, è addirittura possibile aumentare le vendite,
come nel caso degli Shampoo P&G segnalato più sopra, abbiamo una conferma che
l’eccesso di scelta riduce la propensione all’acquisto sia a livello di marca che a livello di
categoria. Si apre dunque una nuova area di collaborazione tra industria e distribuzione,
in quanto è nell’interesse di entrambe controllare l’estensione dell’assortimento in modo
da non ostacolare la propensione all’acquisto dei clienti.
Esistono poi anche riscontri sperimentali. Lo psicologo sociale Alexander Chernev ha
verificato sperimentalmente che offrendo più varianti di una marca di dentifrici, si
favorisce la migrazione degli acquirenti verso marche che offrono una sola variante. “Se
si inserisce un nuovo prodotto semplicemente per il desiderio di ampliare la scelta
all’interno di una stessa marca, si finirà per offrire numerosi prodotti che hanno lo stesso
denominatore. Il cliente non ha idea di come decidere e di conseguenza potrebbe spostare
le sue preferenze verso un'altra marca che non richiede trade off.”3
Gli indicatori del brand choice overload. Non esistono criteri univoci per decidere
se, e in che misura, un brand è caratterizzato da un eccesso di scelta. Possiamo però
individuare i parametri che l’azienda dovrebbe utilizzare per valutare l’eventuale brand
choice overload. Si consiglia innanzitutto di analizzare la concentrazione delle vendite e
la penetrazione, intesa come numero di consumatori trattanti. Se una referenza si colloca
nell’ultimo 10% della curva di concentrazione delle vendite ed è acquistata da meno del
10% dei consumatori trattanti il brand, rientra nell’ambito assortimentale che può essere
rivisto. Se poi la referenza di cui sopra si caratterizza per benefici in gran parte
sovrapponibili a quelli offerti dalle altre referenze del brand, può essere a maggior
ragione considerata per il delisting. Infine, se i trattanti la referenza di cui sopra non
2 The Economist, 18 dicembre 2010, pag. 113 3 Chernev A. ( 2003), When More is Less and Less is More: The Role of Ideal Point Availability and
Assortment in Consumer Choice, Journal of Consumer Research, Vol. 30
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sono esclusivisti, a maggior ragione questo prodotto può essere considerato per il
delisting.
Naturalmente, l’asciugamento del portafoglio prodotti ha senso se sono molte le referenze
che contribuiscono all’ultimo 10% del sell out e se la penetrazione delle referenze
marginali non ha una forte varianza tra le insegne clienti.
Anche se gli indicatori di cui sopra suggeriscono la presenza di un brand choice overload,
la decisione di delistare alcune referenze dev’essere presa a valle di un test che consenta
di misurare gli effetti di questa decisione sul sell out e sulla marginalità della categoria,
del brand in test e degli altri brand, oltre che sul processo di acquisto in store. Oggi,
esistono tecnologie che consentono di realizzare gran parte di queste misure, senza
coinvolgere l’insegna sul piano della condivisione del patrimonio informativo. Attraverso
microcamere e sensori posizionati sugli scaffali è infatti possibile misurare l’impatto di
diverse configurazioni dell’assortimento di marca calcolando:
La percentuale di passanti che hanno osservato il brand (Traffico)
Il tempo di permanenza – esposizione davanti al brand (Dwell Time – Attenzione)
Il sesso e le fasce d’età
Le interazioni dello shopper con i singoli prodotti (osservazione, presa in mano,
lettura etichetta, inserimento carrello)
Il sale index (% di acquirenti rispetto alla visualizzazione).
Chi desiderasse confrontarsi sul tema con il professor Gianpiero Lugli può
scrivergli all’indirizzo: [email protected]
Tendenze e
previsioni
Millenial protagonisti della spesa in Gran Bretagna
Le famiglie con a capo un / una millenial sono quelle che stanno incrementando di più la
loro spesa di prodotti grocery in Gran Bretagna stando ai dati provenienti dall’Homescan
di Nielsen. A fronte infatti di una crescita complessiva rispetto all’anno passato del 2,7%
del comparto, le famiglie dove il responsabile degli acquisti ha tra 16 e 35 anni spendono
il 7,9% in più. Il secondo gruppo in termini di crescita, ovvero gli ultra sessantenni
acquista ‘solo’ il 3% in più. La famiglia media di millenial con bambini spende 210 sterline
all’anno in prodotti grocery, cifra che si riduce a 113 per quelle senza. Le loro abitudini
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di spesa si distinguono sia per frequenza che per scontrino medio, coerentemente con la
preferenza accordata ai negozi di vicinato.
La spesa delle famiglie di millenial rappresenta per esempio il 17,1% del totale delle
vendite di Asda, rispetto a una quota media nazionale dell’11,4%.
Ma spendono più che proporzionalmente anche presso Aldi, dove la spesa di questo
segmento è cresciuta in un anno del 46%, rispetto al 19% delle altre fasce d’età. E del
28% in Lidl, contro il 15% medio.
Ma non si possono prevedere nemmeno facilmente i loro comportamenti. Perché per
esempio nello stesso periodo hanno incrementato la loro spesa anche presso Mark &
Spencer, dove i prezzi sono molto più alti che nelle 3 catene citate.
E poi bisogna stare attenti ai luoghi comuni. I millenial non sono solo gli hipster londinesi
che fanno la spesa da Whole Foods. Perché la loro concentrazione è più forte
nell’Inghilterra del nord, con una punta in Yorkshire, dove la percentuale è doppia
rispetto ad altre regioni del paese. Insomma, meglio non farsi condizionare dagli
stereotipi!
http://www.retailgazette.co.uk/blog/2016/10/aldi-and-lidl-growth-boosted-by-millennial-spend
Brexit favorevole nel breve per il mercato degli orologi in UK
Con la svalutazione della sterlina dopo il referendum sulla Brexit, gli orologi di lusso
sono diventati particolarmente convenienti se acquistati in UK. Di qui un forte aumento
della domanda da parte dei turisti, coincisa anche con una loro maggior affluenza. A
settembre, secondo la Swiss Watch Industry l’export di orologi in Gran Bretagna è
cresciuto del 32,4%. Mentre secondo GFK gli orologi sopra le 10.000 sterline hanno avuto
un incremento di vendite addirittura del 67% nello stesso mese rispetto all’anno passato.
Quelli sopra le 1.000 sterline sono aumentati del 19,5% da gennaio ad agosto rispetto al
medesimo periodo dell’anno scorso. Anche per il mood che si è creato in Gran Bretagna,
considerata meno pericolosa dell’Europa continentale dal punto di vista della sicurezza.
Ad approfittarne per primi i clienti arabi, reduci a luglio dal Ramadan. Ma anche per gli
americani spesso i prezzi sono del 35% inferiori a quelli di casa loro.
Nel frattempo, per paura del terrorismo, le vendite in Francia sono scese drasticamente.
Tornando alla Gran Bretagna Patek Philippe ha provveduto ad alzare i prezzi del 10%
ad agosto per bilanciarli rispetto a quelli negli altri paesi. E anche per non avere perdite
eccessive in bilancio dovute a fattori valutari. Roger Dubuis ha incrementato i prezzi
dell’8% nello stesso mese. Mentre Rolex ha alzato il listino del 10% a novembre.
Diverso il caso di Richard Mille che vende in franchi svizzeri, secondo il cambio del giorno.
LVMH, invece, potrebbe attendere l’anno nuovo per riallineare i listini.
http://www.nytimes.com/2016/11/02/fashion/watches-brexit-sales.html?WT.mc_id=SmartBriefs-
Newsletter&WT.mc_ev=click&ad-keywords=smartbriefsnl&_r=0
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Vie en rose per il mercato dei profumi
Si stima che il mercato dei profumi raggiungerà un valore di 39,7 miliardi di dollari per
la fine di quest’anno, stando a un report di Future Market Insights dal titolo 'Perfumes
Market: Global Industry Analysis and Opportunity Assessment, 2016-2026’. E continuerà
a crescere fino al 2026 a un tasso medio del 5,9%.
Travel spray e rollerball sono i formati che dovrebbero registrare i tassi di crescita più
interessanti. Grazie soprattutto ai prodotti più naturali, così come a una maggiore enfasi
sulle vendite online, la crescita dovrebbe essere sostenuta anche grazie a una maggior
penetrazione tra i giovani. Ma anche la scala prezzi, ora più ampia e declinata tra i due
estremi di Eau de Parfum e Eau Fraîche, - con in mezzo Eau de Toilette e Eau de Cologne
- ha favorito l’avvicinarsi al mercato da parte di segmenti nuovi di clientela. Secondo un
report dell’FMI l’Eau Fraiche dovrebbe crescere fino al 2026 con un cagr del 7,9%. L’Eau
de Cologne del 7%. Tra i segmenti di genere quello destinato a crescere maggiormente è
l’unisex, come Boy di Chanel. Mentre le fragranze femminili dovrebbero muoversi tra il
4 e il 5,2%.
Il pubblico oggi è anche più informato a proposito delle formule degli aromi utilizzati
dalle principali case produttrici. Così, grazie alle limitazioni nell’utilizzo di alcuni
ingredienti e al costo crescente di altri, i profumi di nicchia e quelli di lusso naturali
dovrebbe avere nello stesso periodo una crescita annua compresa tra il 5,5 e il 6,5%.
Se il canale di vendita digitale rappresenta il più dinamico, nel 2016 quello fisico pesa
ancora per l’80,5%. Di questo Europa e Nord America rappresentano il 50,8%.
L’area Asia Pacific, Giappone escluso, crescerà nel periodo a un tasso medio del 10,2%.
Seguono Middle East & Africa e America Latina, grazie agli alti tassi di consumo pro
capite. Mercati destinati a crescere ancora in misura significativa anche nei prossimi
anni sia a valore che a quantità. E lì stanno investendo tutti i produttori.
https://www.luxurydaily.com/physical-retail-to-continue-global-perfumes-market-domination-report/
I numeri del web
Sempre in crescita i budget digitali
Il fatturato della pubblicità digitale ha raggiunto un nuovo massimo nella prima metà
del 2016, con 32,7 miliardi di dollari (+19%) secondo l’‘Internet Advertising Report’
realizzato da PWC per l’Interactive Advertising Bureau.
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La crescita è dovuta in gran parte agli investimenti nel ‘mobile’ che di questo passo entro
la fine dell’anno sorpasseranno quelli per i desktop. Ora sono al 47% della spesa digitale,
infatti, con 15,5 miliardi di dollari (+ 89% rispetto agli 8,2 del primo semestre 2015). Sono
7 anni consecutivi che per questo segmento la crescita è a due cifre. Non è invece possibile
misurare il contributo delle app rispetto a quello offerto dal web mobile. La pubblicità
video su smartphone e tablet è cresciuta del 178% a 1,6 miliardi di dollari ma anche in
quest’area non si riesce a fare ulteriori segmentazioni, per comprendere per esempio il
ruolo svolto dai social network. I video crescono anche su desktop, comunque, con un +
13% e 2,3 miliardi di fatturato nel semestre. Nei due canali il totale vale 3,9 miliardi, con
un + 51%.
Contrastanti i risultati per la search advertising. – 12% a 8,9 miliardi di dollari sui
desktop a fronte di un + 105% e 7,4 miliardi del ‘mobile’. Di modo che in questo segmento
ormai il 45% del fatturato viene proprio da quest’ultimo canale, rispetto al 26% dell’anno
passato. In totale la search vale 16,3 miliardi, ovvero il 49,8% di tutti gli investimenti.
Per quanto riguarda quelli nei social media, toccano i 7 miliardi di dollari nel primo
semestre, con una crescita del 57% sul periodo corrispondente.
A 3,2 miliardi (19% del totale, in flessione dell’8%) la desktop display advertising.
http://adage.com/article/digital/iab-digital-ad-revenue-breaks-
record/306557/?utm_source=digital_email&utm_medium=newsletter&utm_campaign=adage&t
tl=1478625042?utm_visit=1027688
Bene le e-mail commerciali in Francia
L’82% degli utenti internet in Francia dichiara di aver aperto un’email commerciale
grazie alla fiducia attribuita alla marca che l’ha inviata. Questo il risultato di un’indagine
condotta a giugno 2016 dal Syndicat National de la Communication Directe (SNCD). Il
62% ha dichiarato poi di essere disposto ad aprirla se la marca offre dei benefici concreti,
il 58% se veicola una promozione.
Il click dipende invece dal fatto che l’offerta sia in linea con le aspettative (82%), che sia
facile da leggere anche su strumenti ‘mobile’ (58%) e che sia piacevole da leggere (50%).
Il 95% dei rispondenti è abituato a salvare i messaggi interessanti sul suo inbox. L’87%
fa un acquisto, l’82% visita un negozio, il 59% inoltra la mail a un amico o a un famigliare,
il 33% condivide l’offerta sui social media.
Stando a eMarketer gli utenti internet in Francia dovrebbero essere 49,5 milioni
quest’anno, in leggera crescita rispetto a quello passato (+1,6%).
https://www.emarketer.com/Article/Internet-Users-France-Open-Marketing-Emails-Trusted-
Brands/1014638?ecid=NL1002
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Concorrenza nel settore dei pagamenti ‘mobile’
Si affaccia sul mercato Zelle, competitor di Venmo nel mercato dei network di pagamenti
‘mobile’, grazie a un accordo tra le maggiori banche americane come JP Morgan Chase,
Bank of America, Wells Fargo, PNC, Citibank e U.S. Bank. Tra gli altri partner anche
Mastercard e Visa. Creato da una società che si chiama Early Warning, sarà anche
integrato in un certo numero di applicazioni ‘mobile’ degli operatori bancari stessi.
La missione di Zelle è quella di assicurare un’esperienza affidabile, facile, sicura e veloce
nell’inviare e ricevere pagamenti. Più ampio è il network, maggiore il valore percepito
dagli utenti. Oggi il mercato delle transazioni CtoC è dominato da Venmo, di proprietà
di PayPal.
Se l’utente di Zelle è cliente di una banca che non fa parte del network usa l’app per
inviare direttamente il denaro. Se invece ha il conto su una di queste banche, può
utilizzare l’opzione ZellePay, inserita nella app ‘mobile’ della banca stessa, che consente
di inviare il denaro direttamente dal proprio conto, senza dovere farlo sostare nel limbo
di altri network di pagamento come Venmo.
Proprio la procedura di quest’ultima piattaforma rappresenta ancora un forte limite
all’utilizzo da parte di molti utenti. Infatti i soldi non passano da conto bancario a conto
bancario ma, nel mezzo della transazione, sostano prima su un account della soluzione
di chi invia e poi su uno di chi riceve. Con tre passaggi invece di uno.
La partnership di Zelle con molti operatori bancari riduce il numero di passaggi,
rendendo il processo più sicuro.
http://www.mobilecommercedaily.com/jp-morgan-bank-of-america-and-more-join-forces-on-new-
mobile-payment-sharing-app
Mobile’ molto usato per decidere un acquisto, poco per pagarlo
Secondo una ricerca condotta da GfK il 37% del pubblico americano, trasversalmente tra
diversi settori retail, consulta la rete via ‘mobile’ mentre visita punti di vendita fisici per
prendere la decisione in modo ponderato. Ma solo il 2% usa tale strumento per effettuare
il pagamento.
Tra i 20 paesi oggetto dello studio è tuttavia la Gran Bretagna a registrare il maggior
uso di strumenti ‘mobile’ in-store (40%). In Cina la percentuale è del 30% con un 24%
però che li utilizza anche per fare pagamenti automatici.
Negli Stati Uniti il 25% degli utenti usa gli smartphone per confrontare i prezzi, il 19%
per raccogliere informazioni, il 17% per raccogliere recensioni online, il 14% per verificare
la disponibilità dei prodotti.
I limiti all’utilizzo invece per pagare stanno nella difficoltà da parte del pubblico di capire
i vantaggi rispetto agli strumenti più tradizionali, dalle preoccupazioni in tema di
sicurezza delle informazioni e dalla difficoltà di trovare soluzioni nelle quali si possa
navigare, scegliere e pagare senza dover passare da un’app all’altra.
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http://supermarketnews.com/marketing/research-americans-use-mobile-devices-store-
just-not-pay#ixzz4OH80zEqc
Il contante non è morto
Nel report di Cardtronics del 2016 ‘U.S. Health of Cash Study’ si scopre che, nonostante
la preferenza per le carte di credito, negli Stati Uniti il 43% di chi fa la spesa nei negozi
di prodotti di largo consumo ha usato contanti nel corso degli ultimi 6 mesi. Con
pochissime differenze tra uomini e donne, che invece diventano più rilevanti tra millenial
(48%), generazione X (43%) e boomer (37%). Ancora il fenomeno è più presente tra i
cittadini che non tra chi abita nelle zone suburbane o rurali. Comportamenti che
potrebbero essere associati a una spesa frequente e per piccoli importi nei convenience
store metropolitani.
L’80% degli intervistati, infatti, concorda che conviene usare il cash per piccole
transazioni e le carte per quelle più consistenti. Il 72% usa il cash per spese sotto i 10
dollari, il 54% sotto i 20 dollari.
C’è da dire tuttavia che l’83% degli intervistati teme anche le violazioni dei sistemi
informatici che possono portare alla diffusione di dati personali sensibili, mentre il 93%
è convinto che i pagamenti in contanti preservano dalla minaccia rappresentata dagli
hacker. Solo il 44% considera sicure le carte di credito. Pochi di più, il 49%, pensano che
lo smartphone sia un sistema di pagamento sicuro.
A domanda specifica tuttavia: qual è il sistema di pagamento più sicuro, il 59% risponde
il cash, il 16% le carte di credito, il 14% quelle di debito e solo l’11% i pagamenti digitali.
Insomma si delinea un panorama per cui nell’immediato futuro i contanti avranno ancora
un ruolo da giocare.
http://www.progressivegrocer.com/departments/technology/cash-payments-still-strong-grocery-
cardtronics
Uso dei dati social nel marketing
Stando a uno studio condotto da Survey Sampling International per conto di Falcon.io, il
64% degli operatori di marketing intervistati usa i dati social per la propria attività,
mentre il 23% no e in particolare per motivi di mancanza di tempo (54%), esperienza in
materia (31%), strumenti disponibili (20%). Il 44% degli intervistati non usa infatti una
piattaforma di gestione dei social media, contro il 42% che ne ha una.
Sempre più frequenti i casi in cui le aziende integrano i dati di Facebook con quelli
relativi al CRM.
https://www.emarketer.com/Article/Most-Marketers-Make-Use-of-Social-
Data/1014647?ecid=NL1002
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Anche i senior sui social?
Si avvicina la stagione natalizia e le aziende di produzione e distribuzione affinano le
campagne di vendita che condizionano i risultati annuali di molte imprese. Nel 2015 negli
Stati Uniti la campagna del Natale ha fatturato 626,1 miliardi di dollari. E’ allora questo
il momento ideale per acquisire la consapevolezza di una grande verità: se è vero che i
millenial sono influenzati dai social media, non si sottovaluti il peso che questi hanno
anche sugli over 55!
Una ricerca condotta su oltre 2.000 americani adulti ha portato infatti a scoprire i
seguenti risultati:
1) Un terzo degli over 55 e degli over 65 elabora ricette presentate attraverso i social
media. Persone che navigano in rete per scoprire piatti pronti e ingredienti in
promozione per preparare i pasti dei giorni festivi. Perché allora non lanciare
compagne dedicate a questo target su Facebook e Pinterest?
2) Il 28% degli intervistati è influenzato dai contenuti diffusi dai social network
quando prepara la lista della spesa. Gli influenzatori della rete possono perciò
supportare campagne che conducano i clienti senior in un negozio piuttosto che in
un altro.
3) Gli smartphone rappresentano lo strumento ideale anche per questo segmento di
clientela per leggere e condividere contenuti relativi ai prodotti grocery sui social
media. Adatte quindi le campagne su YouTube e Pinterest per diffondere video che
educhino alla preparazione di piatti speciali per le feste.
http://www.mediapost.com/publications/article/288014/hey-grocers-and-household-brands-dont-
forget-th.html
Informazioni contraddittorie sull’uso degli strumenti ‘mobile’
Se è vero che la clientela usa sempre più spesso gli smartphone all’interno dei punti di
vendita come degli assistenti personali, le informazioni relative a questi comportamenti
spesso sono ancora contraddittorie.
inMarket ha realizzato una ricerca tra luglio e settembre su un campione di 2.500
americani che usano il telefono mentre sono all’interno dei negozi per indagare proprio
questo aspetto.
Si evince così che il 55% li usa per ricerche correlate a quello che devono comprare. Il
14% poi invia messaggi non relativi allo shopping e il 12% ascolta la musica. 4% ciascuno
per la fruizione di social media e la gestione della posta elettronica.
Uno studio invece di Euclid Analytics attribuisce a Facebook un ruolo più rilevante,
anche se non approfondisce l’aspetto. Mentre indica nell’83% la percentuale di coloro che
usano il telefono nel processo d’acquisto.
Pare dunque che i singoli studi servano più a indicare delle direzioni dei fenomeni che
non la magnitudo dei problemi.
14
Quanto alle app dei distributori, secondo inMarket le usa l’8% degli intervistati. Per lo
studio di Euclid tale percentuale è più alta. In ogni caso si tratta ancora di numeri bassi.
La causa principale risiede forse nel fatto che i contenuti di queste app non stimolano un
utilizzo assiduo da parte del pubblico. In particolare l’assenza di una strategia che
preveda l’integrazione di un ‘mobile’ wallet può rappresentare un freno rilevante.
http://marketingland.com/study-says-8-percent-shoppers-using-retailer-apps-give-197029
Tracciati negli aeroporti
Oggi in tutti i più grandi aeroporti americani, così come nell’84% degli altri, si stanno
testando sensori di prossimità che generano dati legati alla localizzazione. Strumenti
utili per creare servizi informativi a disposizione del pubblico ma anche un nuovo canale
di comunicazione. Altri 3,5 milioni di sensori sono stati aggiunti nel terzo trimestre del
2016, incrementando del 42% il numero di tutti quelli installati un po’ ovunque, che
dovrebbero essere oggi circa 11,8 milioni, secondo Uncacast. A fronte dei soli 6,2 milioni
del primo trimestre.
Pare che il 49% degli aeroporti abbia in atto piani per contattare direttamente i
passeggeri nel corso dei prossimi 3 anni. Che vuol dire anche creare un nuovo canale
pubblicitario.
La maggior parte dei sensori di prossimità sono beacon (7 milioni circa). 2,7 milioni sono
wi-fi e 2,1 milioni NFC.
Ovviamente non solo gli aeroporti sono oggetto dell’installazione di questi sensori.
Secondo Uncacast sono già attrezzati il 93% degli stadi di baseball della Major League,
il 53% di quelli dell’NBA e il 47% dell’NFL.
http://adage.com/article/datadriven-marketing/airport-location-sensors-new-advertising-
potential/306644/
Millenial e sanità. Come intercettarli?
Stando all’US Census Bureau i millenial sono coloro nati tra il 1982 e il 2000 e
rappresentano oggi la generazione americana più numerosa, con 83,7 milioni di persone.
Gli operatori di marketing del settore della salute e benessere stanno cercando nuove
modalità per contattare questo target, attraverso canali e contenuti appropriati. Essendo
la prima generazione digitale, mostrano infatti una grande apertura a tutti i media, più
di quanto facciano i rappresentanti della Generazione X o i Boomer.
Motivo per cui, anche in tema di salute, consultano molto meno le fonti ufficiali e i medici,
ricorrendo agli assicuratori, ai siti web e ai contatti fidati all’interno della cerchia di
relazioni social. Le campagne di comunicazione tuttavia non possono accontentarsi di
essere digitali. I millenial cercano autenticità, ispirazione, relazione e comodità.
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Tanto che solo per il 41% di loro il medico rappresenta la miglior fonte per quanto
riguarda le informazioni relative alla salute, stando a uno studio condotto su 2.400 adulti
da GreyHealth Group e Kantar Health. Il 30% consulta i blog e i message board, rispetto
al 13% degli appartenenti alle altre generazioni.
Cercano contenuti utili o di intrattenimento piuttosto che l’approccio della vendita
diretta. E sono sensibili alla coerenza del messaggio con i loro valori.
Amano condividere esperienze e commenti sui social media e accedere alle fonti che fanno
perdere loro meno tempo possibile.
Così Instagram, in particolare, è usato sempre più nel mercato della sanità. Un caso
recente la campagna per la contraccezione ‘d’emergenza’ di Plan B-One Step di Teva,
nella quale una specialista di ostetricia e ginecologia insieme a due star di MTV fanno il
giro dei college americani intervistando le studentesse a proposito della loro conoscenza
in materia. Le stesse poi postano una foto in compagnia del boyfriend su Instagram con
hashtag #perfectlyimperfect.
http://adage.com/article/cmo-strategy/healthcare-marketers-focus-emotion-interactivity-reach-
millennials/306744/?utm_source=cmo_strategy&utm_medium=newsletter&utm_campaign=ada
ge&ttl=1479928423?utm_visit=1027688
Venmo e i millenial
I millenial utilizzano sempre più i propri smartphone per qualsiasi cosa, compresi i
pagamenti. Motivo per cui Venmo, l’app per i pagamenti ‘mobile’ di PayPal, è entrato di
forza tra gli strumenti utilizzati dai giovanissimi per le proprie transazioni monetarie.
Analizzando 500.000 transazioni fatte lo scorso anno con lo strumento LendEdu ha
individuato alcuni interessanti comportamenti d’acquisto.
Gli utenti di Venmo sono di solito giovani ed esperti nelle nuove tecnologie. La parola
‘kale’ è usata più di branch. Tra i primei 100 vocaboli più usati anche tequila! Chipotle è
più digitato di Cinese. E Starbucks più di Dunkin’Donuts. Venmo viene usato più a cena
che a pranzo e colazione. Nel fine settimana gli emoji di pizza e bevande battono tutti gli
altri. Nel pomeriggio le transazioni relative al caffè sono popolari.
Tra le parole popolari abbinate alle transazioni Uber, secondo dopo food, Comcast e
Costco.
Al di fuori di cibo e divertimento, la app viene usata per pagare l’affitto o condividerne le
spese con altri compagni. Un fatto che indica come i millenial si fidino della sicurezza
dell’app. E lascia presagire un sempre maggior utilizzo di queste forme di pagamento da
parte loro.
http://www.prdaily.com/Main/Articles/21741.aspx??utm_source=salesforce&utm_medium=emai
l&utm_campaign=Ragan+PR+Daily+News+-+Final+-+July+29
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Chatbot per assistere i clienti
Whole Foods aiuta i clienti a trovare gli ingredienti per la cena. TGI Friday vuole aiutarli
a fare la prenotazione per l’happy hour. Pizza Hut cerca di suggerire loro la pizza
preferita. E tutti lo fanno attraverso i chatbot, che possono rispondere a domande e
compiere operazioni più o meno complesse. Un po’ quello che fa Siri sull’iPhone ma, in
questo caso, per piattaforme di messaggi come Facebook Messenger, Twitter e per i
messaggi di testo. Una realtà che in futuro potrebbe eliminare i call center.
Conversable, una startup di Dallas, per prima ha creduto nel futuro dei chatbot e sta
aiutando in tal senso aziende come WingStop, Pizza Hut, Whole Foods, TGI Fridays a
costruire i propri.
In quest’ultima azienda, per esempio, aiutano i clienti a trovare il ristorante più vicino,
riservare un tavolo e ottenere risposte in merito al menù proposto. E lo strumento, nel
frattempo, raccoglie informazioni circa il profilo demografico dei clienti, oltre a
distribuire coupon, offerte speciali e somministrare survey.
Anche Expedia se ne serve per consentire ai clienti di fare prenotazioni alberghiere. Un
fenomeno che ha indotto EY ad aprire una divisione il cui compito è di concentrarsi sul
tema del conversional commerce. Secondo l’azienda di consulenza i clienti hanno già
deciso di utilizzare questi strumenti se, per esempio, Facebook Messenger ha oltre un
miliardo di utenti attivi al mese. Ora sono le aziende a dover affrontare questa realtà.
Facebook ha aperto la piattaforma Messenger ai chatbot in aprile, e da allora ne sono già
stati aggiunti alla app più di 11.000.
Twitter offre da novembre un servizio per cui quando l’utente clicca sul bottone del
messaggio diretto, l’azienda può inviare un messaggio di benvenuto e guidarlo attraverso
una conversazione automatizzata.
I limiti sono ancora nella struttura delle conversazioni che i chatbot possono sostenere.
Conversable ne ha pensata una simile a un albero decisionale, consentendo alla macchina
di rispondere a domande predefinite sulla base del riconoscimento di singole frasi e
parole chiave. Così se il chatbot è al servizio di un negozio di abbigliamento si attende
domande sulle offerte, sulla location e sugli orari, ma non sul tempo.
Da Whole Foods lo strumento è stato pensato in funzione di come la gente messaggia,
utilizzando abbreviazioni e emoiji. E può gestire circa 4.000 ricette.
http://www.dallasnews.com/business/technology/2016/11/14/why-texas-companies-see-chatbots-
as-the-path-to-finding-guiding-customers
Affirm: soluzione per vendere online a rate
Il distributore di articoli di bigiotteria e lusso Jomashop per aumentare il parco clienti
ha introdotto tra le opzioni di pagamento Affirm, una soluzione per l’acquisto a rate. Più
è alto lo scontrino, infatti, più può essere utile disporre di modalità di pagamento rateali,
per incentivare il cliente a prendere la decisione a cuor leggero. In origine la società
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ipotizzava che la funzione sarebbe stata utilizzata per acquistare soprattutto articoli con
battuta molto elevata. Invece spesso questa viene usata anche per acquisti dell’ordine
dei 150 dollari.
Se per ora questa modalità di pagamento riguarda solo il 6% delle vendite, pare che
funzioni per aumentare lo scontrino medio. Ovvero 600 dollari nel caso di pagamenti a
rate e di 400 negli altri.
Affirm è stata creata da Max Levchin, co-fondatore di PayPal, proprio con l’obiettivo di
rendere più facili certe decisioni d’acquisto condizionate dal prezzo di vendita dell’articolo
desiderato.
L’opzione è utilizzata già da 700 distributori, principalmente e-retailer che operano in
mercati con un basso tasso di ripetizione d’acquisto. Nell’abbigliamento lo scontrino può
crescere fino al 180% se viene offerta questa opzione, il cui costo è pari al 3% della vendita
effettuata.
Da un punto di vista marketing è molto importante consentire al cliente potenziale di
venire a conoscenza il prima possibile dell’esistenza della forma di pagamento
alternativa, perché questa può aumentare la sua propensione all’acquisto. Motivo per cui
si suggerisce di comunicarla già sul sito e nelle e-mail.
https://nrf.com/news/break-it-down-me?utm_source=NRFNews&utm_medium=10-
25&utm_content=STORES_InstallationPayments&utm_campaign=SmartBrief
Facebook continua a sparare i numeri alla …
Ancora nel corso di novembre Facebook ha ammesso di aver scoperto altri problemi
relativi alla misurazione delle performance delle campagne realizzate sul network che
potrebbero aver dato agli investitori un quadro sbagliato dei risultati conseguiti.
Se lo scorso mese sotto la lente d’ingrandimento c’è stata la sovrastima dei tempi medi
dedicati dagli utenti ai video presenti, ora il problema riguarda il numero gonfiato di
accessi alle pagine e il tempo dedicato per quanto riguarda gli Instant Articles.
Se è vero che viene precisato dal social network per eccellenza che non sono coinvolte nel
problema le metriche relative alla pubblicità a pagamento, non di meno le aziende sono
preoccupate per la difficoltà di conoscere i comportamenti della propria audience e il
modo in cui reagisce ai contenuti proposti.
Pare che il problema stia in un baco in Page Insights, ora individuato, che dallo scorso
maggio ha fatto sovrastimare le reach settimanali e mensili, non avendole deduplicate.
La differenza sta in un 33% medio per quella settimanale e in un 55% medio in quella
mensile.
La società nel frattempo ne ha approfittato per modificare la definizione di reach per la
comunicazione a pagamento. Da ora la si conteggia infatti solo dal momento in cui entra
nello schermo dell’utente (viewable impression), il che porterà ad un abbattimento medio
dei valori del 20%.
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http://adage.com/article/digital/facebook-reports-measurement-
glitches/306789/?utm_source=digital_email&utm_medium=newsletter&utm_campaign=adage&
ttl=1479920322?utm_visit=1027688
Cosa funziona nei video ‘mobile’ di YouTube
YouTube sta conducendo una serie di test segreti per aiutare gli investitori a
comprendere cosa funziona nei video per il ‘mobile’ soprattutto in termini di capacità di
mantenere l’attenzione della gente per un certo lasso di tempo.
Il test, gestito nei Google Unskippable Labs, usa 16 diversi video con differenze nel ritmo,
nel sonoro e nell’impostazione verticale. Perché, se è vero che questa forma di
comunicazione è in continua crescita, gli investitori e le agenzie non comprendono bene
le differenze rispetto alla televisione. Né possono utilizzare gli spot pensati per questa
sperando che la gente ne fruisca dagli strumenti ‘mobile’. Dove la percentuale media di
fruizione è del 22% con una punta del 33%, stando a Google, contro il 28% medio dei
desktop.
Venendo ai diversi fattori che possono influenzare la fruizione, il ritmo del video è
rilevante. Quelli più veloci, infatti, hanno avuto un tasso di view-through del 35% sul
‘mobile’, contro il 29% di quelli più lenti. Percentuali che per il desktop sono
rispettivamente 33 e 31%.
Per quanto riguarda il ‘mobile’ il 29% del formato verticale, comune in Snapchat per
esempio, non è molto differente dal 27% dell’orizzontale.
Lo stesso dicasi per i video sottotitolati. La percentuale del 23% di view-through non
differisce dal 22% di quelli non sottotitolati, con risultati simili tra ‘mobile’ e desktop.
Lo stesso dicasi quando si utilizzano testi in modo più creativo (super caption). Anche in
questo caso 26% contro 25% dei testi normali sul ‘mobile’ e poca differenza sul desktop.
http://adage.com/article/digital/a-google-s-secret-video-ad-
experiments/306574/?utm_source=digital_email&utm_medium=newsletter&utm_campaign=ad
age&ttl=1478710853?utm_visit=1027688
Fnac usa Tiendeo in Spagna
Fnac in Spagna usa Tiendeo per aumentare il traffico nei suoi 28 punti di vendita.
Tiendeo è un’app che consente al distributore di dialogare con il pubblico che si trova nei
pressi di uno dei suoi punti di vendita, attraverso la geolocalizzazione e la
personalizzazione dei contenuti.
L’app, che opera in 34 paesi, è nata per consentire la consultazione dei volantini dei
distributori. Ora ne ha in pancia circa 30.000.
Per Fnac si registrano 7,5 milioni di download, con il 35% degli utenti che l’utilizza
frequentemente. Due terzi di questi accedono via ‘mobile’ mentre la parte rimanente via
desktop. I visitatori unici mensili tra app e siti sono 24 milioni.
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Gli utenti che cliccano su un coupon o una referenza del volantino, vengono indirizzati al
sito del distributore. L’85% delle visite al catalogo digitale di Fnac Spagna vengono da
Tiendeo, il 10% dei visitatori finiscono poi per cliccare su un prodotto.
250.000 gli utenti che hanno già caricato la carta fedeltà, utilizzando la macchina
fotografica dello smartphone. In futuro si prevede che potranno caricarla anche sul sito
di Tiendeo, anche se sarà necessario fare un login o avere un account, cosa per ora non
prevista.
Il modello di business di Tiendeo è di caricare tra 5 e 20 centesimi per ogni click sul
volantino. Dopo aver rastrellato nei primi anni 1 milione di euro di finanziamenti, dal
2013 Tiendeo cammina con le proprie gambe.
https://www.internetretailer.com/2016/10/25/consumers-can-store-loyalty-cards-retail-ad-
aggregator
Instagram fa vendere
La piattaforma di proprietà di Fecebook ha annunciato la scorsa settimana di essere in
procinto di rilasciare una funzione che consentirà alle aziende di taggare i prodotti nei
post, collegandoli così a pagine più dettagliate degli stessi, che portano gli utenti fuori
dall’app per atterrare nel sito dell’inserzionista, da dove poter acquistare gli articoli
stessi. Ciò al di fuori delle pubblicità o dei link che si possono inserire nelle biografie.
Una funzionalità estremamente utile se è vero che stando alle ricerche il 60% degli utenti
scopre nuovi prodotti o servizi su Instagram.
Per ora il test coinvolge 30 marche tra cui Kate Spade, Jack Threads, J. Crew e Warby
Parker, ma presto sarà esteso a tutti i potenziali inserzionisti.
Un bel passo avanti che migliora l’esperienza dell’utente. Ad oggi, infatti, società come
Like2Buy, Olapic e LiketoKnowIt offrono soluzioni ‘ponte’ per passare dal link nella
biografia del prodotto alla vendita. Il processo, tuttavia, risulta piuttosto lungo.
Ora il quesito è relativo all’eventualità che la nuova funzione possa servire anche per i
contenuti postati dagli ‘influenzatori’, attraverso un tag inserito dalle marche sui loro
post. Perché senz’altro questi potrebbero ottenere ancora maggior visibilità, ma
potrebbero anche ‘pretendere’ compensi e commissioni in cambio del proprio contributo.
Il che rende sempre attuale il tema della trasparenza sull’attività a pagamento a favore
delle marche da parte di questi influenzatori. E gli hashtag #ad o #spon quando finiscono
sepolti in mezzo a una massa di altri, rischiando di non essere nemmeno notati.
http://www.glossy.co/instagram-effect/what-instagrams-shopping-update-means-for-influencers
Anche Pinterest evolve
Pinterest è nato come un luogo dove scoprire prodotti ed esperienze da provare. Oggi
invece il social media incoraggia i propri utenti a condividerli attraverso un nuovo segno
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di spunta sui pin, utilizzando il quale è possibile esporre agli altri quanto sperimentato.
Un nuovo feed permetterà anche di seguire i pin relativi alle esperienze altrui.
Un modo per trovare facilmente suggerimenti, tanto che si parli di ricette da realizzare,
località da visitare o scorciatoie per completare un progetto. Ma anche recensioni relative
a quanto acquistato.
Se è vero che da qualche tempo Pinterest offre anche i buyable pin, che una volta cliccati
portano alle pagine del prodotto sui siti di e-commerce, la ‘missione’ del social media
rimane quella di ispirare e generare la voglia di acquisti futuri, piuttosto che non creare
vendite immediate. Il che lo rende meno interessante per tutti gli investitori focalizzati
sugli obiettivi di conversion.
Il nuovo segno di spunta è facile da utilizzare quanto quello sopra il pin. Inoltre oggi
Pinterest formula domande del tipo: ‘come è andata?’ con la possibilità di rispondere con
una faccina sorridente ‘Love it’ o una triste ‘Not for Me’. Ma anche con un commento.
Ovviamente la somma dei commenti positivi e negativi è visibile per gli utenti, il che offre
un complemento quantitativo ai commenti più qualitativi.
Stando ai primi test effettuati, le recensioni negli Stati Uniti riguardano maggiormente
cibo e bevande, moda e fai da te. Mentre quelle in Gran Bretagna hanno a che vedere con
la decorazione della casa, la moda e la bellezza.
https://techcrunch.com/2016/11/10/pinterest-finds-another-way-to-track-purchases-via-its-new-
tried-it-button/
WeChat funziona
Amazon, H&M, Dior hanno tutti sperimentato la distribuzione di pubblicità, vendite
speciali, giochi e coupon su WeChat nel tentativo di creare fenomeni di condivisione con
gli amici in grado di smuovere le vendite.
Oggi WeChat, lanciata nel 2011 da Tencent, con 806 milioni di utenti mensili ha
trasformato il modo di comportarsi in rete dei cinesi che, secondo un rapporto di KPCB,
spendono mediamente 70 minuti al giorno sul social network che integra aspetti di
Facebook, WahtsApp e Instagram. Dotato di un sistema di pagamento, viene usato per
prenotare taxi, consegne a domicilio, pagare bollette elettriche e fare ordini online.
Ma è anche un posto dove marche, insegne e privati vendono articoli che la gente compra
passando dal network direttamente a piattaforme esterne di shopping, senza quasi
rendersene conto. Secondo McKinsey quest’anno il 31% degli utenti ha iniziato un
processo d’acquisto su WeChat. Il doppio dell’anno scorso. Anche se va detto che in genere
i cinesi lo usano per piccole spese, mentre per le grandi utilizzano Taobao di Alibaba.
E si tratta più di un posto dove le marche e le insegne possono relazionarsi con clienti
che già conoscono, piuttosto che fare campagne virali a profusione per reclutarne di
nuovi. Ma può essere utile per segmentare la clientela sulla base di una profilazione
accurata.
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Se è vero che c’è la possibilità di fa atterrare i clienti delle marche su altre piattaforme
per vendere, questa funzionalità non riguarda quelle di Alibaba, a causa della forte
concorrenza tra le due aziende.
http://adage.com/article/digital/wechat-teaches-future-social-
commerce/306765/?utm_source=digital_email&utm_medium=newsletter&utm_campaign=adag
e&ttl=1480095430?utm_visit=1027688
Walgreens suggerisce piccoli regali su Pinterest
Walgreens, numero 37 della Internet Retailer 2016 Top 500 Guide, ha lanciato la sua
prima campagna video su Pinterest per ispirare gli utenti interessati ad acquistare
piccoli regali in occasione delle festività e affermarsi come punto di vendita di
destinazione per tale oggettistica. La conferma del social network dipende dagli ottimi
risultati in termini di contatti già raggiunti l’anno scorso. Il veicolo sarà rappresentato
dai Promoted Video, lanciati lo scorso agosto e in grado di riprodursi allo stesso ritmo
usato dall’utente per fare lo scroll. Ma certo il contenuto deve essere rilevante e in grado
di ispirare, così come essere indirizzato a un target ben definito, individuato in questo
caso in coloro che stanno cercando per l’appunto in rete o sul sito dell’azienda piccoli
regali.
Il risultato della campagna verrà valutato sulla base di quanti vedranno il video, per
quanto tempo e quanti faranno il pin sulla bacheca. Ma anche quanti andranno poi sul
sito di Walgreens.com per acquistare. Dal punto di vista qualitativo, si valuterà invece
la propensione all’acquisto presso l’insegna e la percezione della stessa.
L’iniziativa fa parte di un piano articolato di utilizzo di diversi social media ciascuno con
propri obiettivi specifici. Custom Audience di Facebook, per esempio, per mirare in modo
più preciso il profilo dei clienti da contattare su Facebook e Instagram, sulla base dei
precedenti acquisti, monitorati attraverso il programma Balance Rewards.
Se Pinterest è un social network al quale gli utenti accedono quando iniziano a pensare
a un acquisto, e quindi la campagna è appropriata, nel caso di Instagram si sa che la
maggior parte delle persone lo esplora a tarda notte. Motivo per cui lo strumento è
utilizzato la Vigilia per ricordare agli utenti gli acquisti dell’ultimo minuto, come le
batterie necessarie per far funzionare molti dei regali.
https://www.internetretailer.com/2016/11/14/how-walgreens-plans-use-pinterest-drive-holiday-
sales
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E-Commerce
Tempi di consegna brevi? La questione è soggettiva
Secondo uno studio condotto da Deloitte oggi solo il 42% del pubblico considera una
consegna a 2 o 3 giorni come rapida. Percentuale che scende al 10% quando si parla di 5
– 7 giorni e al 5% nel caso di 1 – 2 settimane. Il che significa che la pazienza della clientela
tende a diminuire, se lo scorso anno le tre percentuali erano rispettivamente 63, 18 e
10%. Oggi, invece, il 97% del pubblico intervistato considera rapida una consegna
effettuata in un giorno, mentre per il 95% lo è se fatta entro il giorno successivo e per
l’89% entro 2 giorni.
http://www.cnbc.com/2016/10/25/online-orders-must-be-delivered-in-two-days-to-be-considered-
fast.html
Resi. Ancora un problema per gli e-tailer
Previsioni di crescita robusta per l’e-commerce americano a Natale. A due cifre secondo
la National Retail Federation, del 7 – 10% stando a Internet Retailer, che prevede si
superi soglia 117 miliardi, infine + 19% stando a diversi think tanks.
Ma, se i distributori sono felici di fare fatturato e muovere gli stock acquistati, quello dei
resi per molti di loro rimane un problema ancora irrisolto. E lo stesso dicasi per la
clientela quando si analizza l’esperienza d’acquisto. Che può essere supportata da una
grande abbondanza di informazioni cui attingere per informarsi attraverso qualsiasi
media. Così molti negozi online consentono oggi di accreditarsi utilizzando le credenziali
presenti sui social media, il che risparmia anche la fatica di dover riempire in
continuazione moduli di registrazione. Per non parlare delle app a disposizione per
pagare in un battito di ciglia. Tutti miglioramenti nel processo che consentono di ridurre
la percentuale di carrelli abbandonati alzando al contempo i tassi di conversione. Le cose
si complicano invece quando i prodotti acquistati non funzionano e devono compiere il
viaggio inverso, dal cliente al retailer. Anche in questo caso è chiaro quello che desiderano
i clienti: un processo per i resi facile, rapido e non costoso.
Alcuni distributori più illuminati come Amazon, Zappos e Nordstrom hanno raccolto per
primi l’appello. E gli altri?
Stiamo parlando di un mercato stimato quest’anno da eMarketer nel suo studio
‘Worldwide Retail Ecommerce Sales: The eMarketer Forecast for 2016’ in 1,9 trilioni di
23
dollari, con una crescita del 6% rispetto all’anno passato. E che nel 2020 potrebbe
arrivare a 4 trilioni di dollari.
Un mercato dove la gestione efficace dei resi dovrebbe rappresentare la norma mentre
invece non è così perché questi rappresentano una percentuale elevate delle vendite, in
grado di ridurre la marginalità delle imprese.
Nel tempo si è cercato di stimare il loro volume complessivo e, per ora, continua a far fede
un rapporto del 2013 del Wall Street Journal che parla di circa un terzo del totale
venduto. Una cifra enorme! E che dipende in maggior misura da errori compiuti dai
retailer, piuttosto che da quelli di cui sono responsabili i clienti. Si parla di almeno il 65%
dei casi, secondo un vecchio studio di Forrester per conto di UPS. In particolare nel 23%
dei casi sono stati inviati articoli sbagliati, nel 22% prodotti che appaiono diversi da quelli
proposti e nel 20%, infine, danneggiati durante il trasporto.
Per il 55% dei clienti intervistati ai tempi la difficoltà di rendere prodotti non desiderati
o fallati ha comportato una disaffezione nei confronti degli acquisti online. E anche una
certa maggiore attenzione nella lettura della politica dei resi. Uno studio condotto nel
2014 da comScore per conto di UPS ha scoperto che il 60% dei potenziali acquirenti
investe tempo nel leggere le clausole relative ai resi, che a loro volta condizionano l’80%
delle vendite.
Insomma, una situazione che rappresenta un punto a favore dei retailer tradizionali,
avvantaggiati per quanto riguarda i resi, il cui processo è almeno in parte in carico al
cliente e che comunque rappresentano percentuali inferiori sul venduto, essendo quasi
sempre possibile toccare con mano il prodotto in negozio. Per non parlare del fatto che
sia la sostituzione dell’articolo che il suo eventuale rimborso richiedono molto meno
tempo. Ecco allora che politiche dei resi generose e attente alla clientela producono effetti
rilevanti sulle vendite. Uno studio di CNBC parla del 357%. Science Daily ha condotto
uno studio su 26.000 utenti che ha portato a concludere che anche i vantaggi in termini
di marginalità sono elevati.
Secondo UpStream Commerce, poi, una politica dei resi a pagamento comporta che l’81%
dei potenziali clienti sono meno propensi a fare acquisti. Stando invece a eCommerce
Digest la pratica dei resi gratuiti ha fruttato a Zappos un incremento del 75% della
fedeltà, nonostante un posizionamento di prezzi più alto.
La tecnologia può aiutare a rendere la pratica meno onerosa per il distributore e meno
stressante per il cliente. Esistono infatti alcune piattaforme software per la sua gestione.
Come quella adottata dal Return Center di Amazon o da Returns on eBay.
Altre soluzioni sono ReadyReturns o le app come quella di Shopify che si acquista
sull’App Store.
Insomma, il problema è spinoso ma si può risolvere. Anzi si deve risolvere se non si vuole
perdere rilevanti percentuali di potenziali clienti.
http://www.huffingtonpost.com/michael-lazar/retailers-people-want-eas_b_12759542.html
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E-Commerce per lo sviluppo delle vendite dei prodotti di lusso
Il report ‘Luxury on the Web: how global e-commerce is moving upscale’ di Internet
Retailer mostra come in un periodo caratterizzato dalle vendite piatte del settore, l’e-
commerce possa rappresentare un canale in grado di rivitalizzarle, benché in questo
momento non stia crescendo in modo robusto come in passato.
Le 73 aziende monitorate hanno mostrato una crescita del fatturato online del 16,7% nel
2015 rispetto al 2014. Ciò rispetto al + 13,5% della media dei primi 1.000 distributori
online del Nord America e di poco inferiore al 16,9% dei primi 500 e-retailer europei.
Solo i 500 distributori leader di e-commerce asiatici hanno decisamente tassi più elevati
con un + 31,2%.
Il tutto a fronte di una crescita complessiva del mercato di un 1% nel 2015, stando almeno
a Bain&Co. Mentre sempre secondo la stessa fonte le vendite online del settore sono
cresciute del 15% all’anno. Anche in questo caso più basso del tasso delle 73 aziende prese
in considerazione nello studio, che valgono il 4,5% dei 253 miliardi di euro in cui si stima
la dimensione complessiva del mercato.
https://www.internetretailer.com/2016/10/31/luxury-retail-moves-online
Yoox - Net A Porter sempre più ‘mobile’
Lo strumento di comunicazione ‘mobile’ viene tenuto nella dovuta considerazione dal
gruppo Yoox – Net A Porter in funzione della penetrazione e del livello di utilizzo
raggiunti da parte della clientela. L’obiettivo del gruppo è quello di concentrare entro il
2020 il 75% delle vendite su smartphone e tablet per i suoi 2.6 milioni di clienti che
spendono in media 335 euro per ordine.
Nel mondo della vendita degli articoli di lusso il focus si sta spostando sempre più
sull’online. Lo scorso anno Neiman Marcus ha acquistato MyTheresa, sito di e-commerce
di moda, mentre Saks Fifth Avenue ha sviluppato una serie di applicazioni in casa. Per
non parlare di siti come quello di renttherunway.com, nato digitale, che consente ai
clienti di noleggiare abiti firmati.
Nonostante la crescente concorrenza anche nell’online Yoox - Net A Porter ha previsioni
di crescita media annua fino al 2020 del 17 – 20% all’anno. Ben più alta di quella del
settore come prevista da Bain & Co (2-3%).
Il gruppo, che distribuisce in oltre 180 paesi, ha sviluppato vendite per 1,7 miliardi di
euro nel 2015 e ha un 2% di clienti – i così detti Extremely Important People - che valgono
per un terzo del totale fatturato.
Il business del gruppo è diviso in 3 unità che sono rispettivamente: Stagione Attuale,
sotto Net A Porter e la sua insegna maschile Mr. Porter, Fuori Stagione, sotto The Outnet
e Yoox e i siti flagship gestiti per conto di alcuni grandi marchi come Giorgio Armani e
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Jimmy Choo. Di recente sono entrati anche Prada e Moncler. E c’è stata un’apertura a
gioielli e orologi, purché coerenti con il posizionamento dell’insegna.
La prima unità opera a prezzi pieni. Mentre Yoox e Outnet vendono giacenze spesso con
prezzi scontati, comunque con un livello di prodotto molto superiore a quello che si può
trovare in un outlet.
Net A Porter è forte soprattutto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e a Hong Kong,
mentre Yoox ha i suoi mercati principali nell’Europa continentale, in Giappone e Asia.
Messi insieme il mercato principale è rappresentato dagli Stati Uniti che pesano per circa
un terzo delle vendite, seguiti da Gran Bretagna e Italia.
Dopo la fusione delle due società originali, si sta premendo l’acceleratore anche
sull’innovazione che riguarda, per cominciare, la consegna a domicilio lo stesso giorno,
con l’introduzione dell’utilizzo degli idrovolanti negli Hamptons a Long Island, che
quest’estate ha funzionato molto bene e l’estensione a Dubai, Tokyo e Milano. Che vanno
ad aggiungersi a Londra, Hong Kong e New York. In Cina la società offre da anni un
servizio per cui il corriere rimane quindici minuti fuori dalla porta ad attendere che il
cliente provi il prodotto acquistato, pronto a riportarlo indietro in caso non vada bene.
Per non parlare delle vendite televisive sulla Apple TV e la spinta commerciale in Medio
Oriente e Cina. C’è poi un’app su Yoox.com che offre una funzione di ricerca testuale per
consentire ai clienti di trovare più facilmente il mezzo milione di prodotti disponibili.
Infine nel 2017 è prevista l’apertura di un hub tecnologico a Londra, per accelerare lo
sviluppo delle soluzioni digitali.
http://www.seattletimes.com/business/merged-yoox-net-a-porter-aims-to-be-as-mobile-as-
shoppers/
Strategie di private label di Amazon
Stando a uno studio condotto da 1010data su un campione di 10 milioni di acquirenti tra
settembre 2015 e agosto 2016, Amazon riesce a vendere una grande quantità di prodotti
a marchio, soprattutto in determinate categorie. E quella delle batterie è una di queste.
Il 94% di un mercato di 113 milioni di dollari di vendite online. AmazonBasics ha una
quota del 31%, oltre il doppio rispetto al 13,1% che le private label hanno offline, stando
ai dati di Nielsen per le 52 settimane terminanti a ottobre. In confronto Duracell ha una
quota online del 21%. C’è da dire, tuttavia, che la percentuale delle vendite online sul
totale mercato è solo del 4%. Benché il tasso di crescita nel corso dell’ultimo anno sia
stato del 75% nel canale e del 93% per AmazonBasics. I tassi di conversione sono del
17,7% per quest’ultima contro il 9,8% della categoria.
Del 16% la quota nella categoria dei pannolini per bambini, con un mercato online di 60
miliardi di dollari. Qui però i leader sono Huggies e Pampers, proprio come nell’offline.
Inoltre la quota è ben inferiore a quella delle private label offline, che arriva al 37%. Ma
c’è da dire che la marca Elements con cui si presenta si è affacciata al mercato solo 2 anni
fa. Mentre le batterie sono commercializzate da più anni.
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Nel mercato delle casse acustiche online, che vale 1 miliardo di dollari, la quota è del 45%
messe a 100 le prime 10 marche. E il tasso di crescita è stato del 67% nell’ultimo anno.
Certo, per ora si tratta ancora di un numero limitato di categorie, ma il segnale è chiaro
e il messaggio forte!
http://adage.com/article/digital/amazon-private-label-dominates-batteries-
speakers/306602/?utm_source=digital_email&utm_medium=newsletter&utm_campaign=adage
&ttl=1478797736?utm_visit=1027688
Alibaba coccola i clienti migliori
Alibaba ha realizzato solo per i propri 100.000 clienti migliori Alibaba Passport (o
APASS), che riassume le caratteristiche di Facebook, Amazon Prime e la carta American
Express Black. Così i partecipanti hanno i classici benefici, affari riservati, viaggi
esclusivi e servizi personali, ma sono anche incoraggiati a partecipare alla comunità
online degli ‘shopaholics’ e al blog sul marketplace.
Una mossa indispensabile la fidelizzazione in un mercato che soffre il rallentamento
dell’economia e la concorrenza crescente di JD.com. La soglia d’accesso, per garantire
una certa esclusività, è rappresentata da acquisti annuali superiori a 15.000 dollari,
anche se la spesa media dei membri è di 45.000. Inoltre c’è un punteggio basato sulla
frequenza e qualità delle loro interazioni con gli altri utenti.
A settembre Alibaba ha offerto a 10 membri di APASS un viaggio di 9 giorni in Italia
dove tra l’altro hanno visitato lo stabilimento della Ferrari, il flagship store di La Perla
e le cantine di Mezzocorona. Parte del viaggio è stato trasmesso in streaming su l’app di
Tmall e sul sito di video Youku Tudou, acquistato lo scorso anno. La visita alle cantine
di Mezzocorona è stato visto 400.000 volte e ha fatto impennare le vendite.
I commenti in rete dei membri di APASS hanno poi il vantaggio di aiutare l’azienda a
migliorare la propria reputazione, colpita dalla distribuzione di prodotti contraffatti da
parte di alcuni retailer presenti sul suo marketplace Taobao. Un problema che il colosso
sembra ben lontano dall’aver risolto.
Visto il successo, il prossimo anno il numero di membri di APASS raddoppierà. Anche in
funzione del crescente peso dell’e-commerce nel paese. Perché se oggi rappresenta il 15%
dei consumi privati, secondo il Boston Consulting Group passerà al 24% entro i prossimi
5 anni.
http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-18/how-alibaba-turns-wealthy-shopaholics-
into-a-marketing-squad
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Innovazione nel
retail brick & mortar
Dinamiche del retail cinese on e offline
Secondo un report di Fitch il panorama del dettaglio tradizionale cinese, condizionato da
una fase economica meno brillante e dalle mutate abitudini della clientela, non
migliorerà nemmeno nel 2017.
Nel 2016 le vendite dei primi 50 distributori nazionali hanno registrato una flessione
dell’1,9% secondo il China National Business Information Centre. Intanto l’e-commerce
rappresenta già il 20% del totale venduto.
Se il settore retail è cresciuto del 10,4% nei primi tre trimestri del 2016, la crescita è
venuta principalmente dalle vendite online, sviluppatesi del 26,1% anno su anno, a 3,5
trilioni di yuan, stando al National Bureau of Statistics (NBS).
Invece le vendite del Parkson Retail Group hanno registrato una flessione del 9,7% nella
prima metà del 2016, mentre quelle del Golden Eagle Retail Group si sono contratte
dell’8,7%. Intime Retail, società di centri commerciali sostenuta da Alibaba ha perso il
3,7% dei volumi di vendita nei primi nove mesi. In parallelo i margini sono in contrazione
fin dal 2011
Tutti motivi per cui i retailer devono rivedere le proprie strategie. Cambiando il mix di
prodotti offerti, dando maggior spazio, per esempio, agli articoli sportivi, settore in
crescita anche in questi anni recenti.
Oppure lavorando sulla customer experience, con una maggiore presenza di aree di
ristorazione, intrattenimento e lifestyle. Ma anche collegando on e offline. L’effetto
immediato, invece, è quello di ridurre i costi, anche riducendo il magazzino o chiudendo
negozi poco efficienti. Il che potrebbe contribuire a sua volta ad accentuare il circolo
negativo.
http://www.scmp.com/business/markets/article/2044786/chinas-traditional-retail-industry-
remain-weak-shoppers-stay-home
Sempre male il retail sudafricano
La quotazione in Borsa dei retailer sudafricani è crollata nel corso dell’ultimo anno.
L’aumento dell’inflazione, infatti, sta bloccando la propensione all’acquisto della gente,
28
creando incertezza e prudenza anche presso le famiglie più facoltose. D’altronde le spese
voluttuarie sono condizionate in modo negativo da un tasso di disoccupazione che tocca
il 27%. Intanto l’inflazione si è mantenuta intorno al 6% nel corso di tutto l’anno.
http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-11/south-african-retailers-slump-as-
woolworths-clothing-sales-drop
Affitti stellari
Secondo il ‘Global Prime Retail Rents Report’ di CBRE Group, che copre oltre 90 paesi,
gli affitti più elevati (prime rent) nel secondo trimestre del 2016 sono cresciuti del 3,7%
a livello mondiale rispetto all’anno scorso grazie al livello di fiducia cresciuto negli Stati
Uniti e all’offerta modesta presente nei principali mercati europei.
La crescita maggiore in Europa, Medio Oriente e Africa (6,2%), seguite dalle Americhe
(+ 3,9%) e dall’Asia (2,1%).
Al top la Fifth Avenue a New York, tra la 56th e la 58th, dove si è arrivati a 4.000 dollari
per piede quadrato all’anno nel secondo trimestre, con una crescita del 14,3%. Anche
grazie a una continua domanda da parte di marche di ogni parte del mondo.
Al contrario Russell Street a Hong Kong ha subito una flessione del 33%, scendendo a
1.856 dollari per piede quadrato, per i noti motivi legati alla contrazione del turismo
cinese. Quotazione che la mantiene peraltro tuttora al secondo posto, davanti a New
Bond Street a Londra (1.684) e Avenue des Champs Elysees a Parigi (1.366). Non ci sono
vie italiane nelle prime 10. Quattro delle quali peraltro fanno riferimento ai prezzi
spuntati all’interno di centri commerciali (Sydney, Singapore, Pechino e Guangzhou).
Ci sono invece città italiane quando si parla di tassi di crescita, con Roma a + 28,9%, e
Milano +20%. Sempre in Europa da segnalare Sofia + 12,5% e Varsavia + 11,1%.
Nella regione Asia – Pacific si distinguono Auckland (+23,7%) e Sidney (+14%). New York
cresce del 14,3% e Seattle dell’11,1%. Dubai del 12,5%.
Bene anche Chicago, Washington, Denver e San Francisco negli Stati Uniti. Al contrario
di Miami che registra una flessione del 7,1%, a causa di un minor flusso dal Centro e Sud
America, a causa delle economie più deboli.
http://www.worldpropertyjournal.com/real-estate-news/united-states/new-york-city-real-estate-
news/global-retail-rental-report-2016-cbre-group-retail-rental-rates-in-manhattan-hong-kong-
retail-space-rental-rates-top-retail-markets-in-2016-global-prime-retail-rents-report-10102.php
Cresce anche negli Stati Uniti il click & collect
Secondo Fung Global Retail & Technology negli Stati Uniti la pratica del click & collect
è destinata a crescere ancora, grazie al contributo di retailer di primo piano come Kroger
e Walmart. Il che consentirà di colmare il gap tra la percentuale più elevata di chi già
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acquista articoli grocery online e la percentuale di questi ultimi venduti in tal modo.
Passando da un approccio saltuario a uno abitudinario.
Così nel 2017 sarà superiore al 2% la quota di prodotti di largo consumo venduta online,
rispetto all’1,4% di quest’anno. Ovvero 24 miliardi di dollari contro i 17 del 2016.
Secondo un rapporto di Mintel già circa un terzo degli americani acquista online il
grocery, con una crescita del 63% rispetto al 2014.
Si tratta però di spese occasionali e solo di articoli difficili da trovare negli altri canali.
Se il segmento è dominato per ora da Amazon, dipende solo dalla lentezza dei distributori
americani ad approcciare la multicanalità. Ma i tempi stanno cambiando. Walmart offre
infatti il servizio di ritiro a punto vendita in 60 piazze e 400 location. Il ClickList di
Kroger ha più o meno gli stessi numeri.
http://supermarketnews.com/online-retail/online-could-boom-2017-baskets-frequency-
grow#ixzz4Oq7EIqUp
I negozi di Amazon
Amazon vuole aprire almeno 20 negozi fisici nel corso dei prossimi 2 anni anche perché
pensa che nel mercato americano nei prossimi 10 anni ci sarà spazio per almeno 2.000
dei suoi Amazon Fresh, i negozi di grocery e fresco.
Le prime aperture avverranno a Seattle, Las Vegas, New York, Miami e nella Bay Area.
Nella fase pilota 10 negozi verranno destinati al click & collect, con il ritiro di prodotti
ordinati online. Altri 10 invece saranno tradizionali, con tanto di scaffali e carrelli.
Quella del canale fisico è un’opzione ormai concreta nella strategia di Amazon. Alcune
librerie sono già state aperte mentre è in fase di realizzazione un network di pop-up store
nei centri commerciali per fare vedere ‘dal vivo’ i prodotti tecnologici del colosso. Tutte
modalità per entrare in contatto con un segmento di clientela che magari non accede all’e-
commerce.
Anche se qui si scontra con le grandi insegne tradizionali. Motivo per cui intende adottare
un approccio più aggressivo che nel caso del servizio di consegna a domicilio dei prodotti
alimentari freschi, che partito nel 2007 in realtà ad oggi è presente solo in 17 città
americane e a Londra.
Nel 2014 ha realizzato uno studio del mercato, aggiornato poi quest’anno, considerando
proprio anche i principali concorrenti. Al suo interno pare abbia valutato anche l’opzione
di riservare l’accesso ai suoi negozi esclusivamente ai clienti Prime Fresh, che pagano un
fee di 15 dollari al mese, piuttosto che estenderlo a tutti.
30
Se è vero che il mercato grocery è il più grande negli Stati Uniti, con 800 miliardi di
dollari di spesa nel 2015, allo stesso tempo è caratterizzato da alti costi operativi e
margini bassi. Il fee mensile potrebbe servire a incrementare questi ultimi, ma
limiterebbe il traffico a un numero ristretto di clienti. Se il modello di business sarà
azzeccato, e i 20 negozi in test produrranno i risultati attesi, allora non è difficile
ipotizzare un ritmo di 200 aperture all’anno per i prossimi 10 anni, con in parallelo la
creazione anche di una nuova generazione di centri distributivi.
Non è ancora chiaro a cosa assomiglieranno questi negozi. Una categoria potrebbe essere
vicina al format di una stazione di servizio, con una dimensione di circa 10.000 piedi
quadrati. L’altra potrebbe apparire come un convenience store, con anche 30.000 piedi
quadrati di superficie.
Ma potrebbero anche essere più grandi perché, per competere con le principali insegne,
e attirare la clientela, soprattutto in location suburbane come potrebbero essere le prime,
poter dispiegare 42.000 referenze aiuta a essere un negozio di ‘destinazione’.
http://uk.businessinsider.com/amazon-2000-grocery-stores-10-years-2016-10?r=US&IR=T
QVC sempre più multicanale
QVC ha inaugurato il Beauty iQ network a inizio novembre, mentre sarà presente sui
media tradizionali attraverso Direct TV, AT&T U-Verse, Dish e Roku. Sul fronte digitale
utilizzerà il sito web ottimizzato per il ‘mobile’ del network, il proprio sito ottimizzato per
‘mobile’ con l’applicazione, nonché social media come Twitter e Instagram.
Il tutto ovviamente oltre alla tradizionale presenza televisiva che da sempre
contraddistingue l’azienda di televendita.
Un equilibrio tra tradizione e innovazione che la porta a essere secondo Internet Retailer
il terzo distributore ‘mobile’ degli Stati Uniti, con il 60% delle attività digitali derivanti
da questo canale.
D’altronde l’esperienza maturata in televisione pare possa essere traslata online,
soprattutto da quando questo è sinonimo di video. E la vendita diretta ha consentito
anche di maturare una grande esperienza nell’ambito della conoscenza della clientela e,
quindi, della personalizzazione dei contenuti e delle offerte al momento giusto attraverso
la piattaforma giusta.
Tra l’altro l’uso di testimonial e la costituzione di comunità di clienti ha permesso a QVC
di conoscere già il cuore della questione quando si parla di comunicazione digitale.
Nel 2015 l’azienda ha avuto 2,4 milioni di fan su Facebook e 47.000 recensioni di prodotto
al mese.
Beauty iQ è una naturale conseguenza dell’andamento del business, in quanto lo scorso
anno l’area bellezza ha pesato per il 17% sulle vendite di QVC. Un mercato che vale
secondo Euromonitor solo negli Stati Uniti 80 miliardi di dollari, 32 dei quali provenienti
dalle marche più prestigiose, molte delle quali sono vendute anche da QVC.
31
La vocazione multichannel si è tradotta invece lo scorso anno nell’acquisto della
piattaforma di e-commerce Zulily, particolarmente ben posizionata sul ‘mobile’ e sul
target femminile delle millenial.
http://www.mobilecommercedaily.com/qvc-launches-multichannel-beauty-centric-network
Il nuovo format degli Apple Store fa pensare
Il nuovo format degli Apple Store potrebbe rappresentare lo standard dei negozi del
futuro, più votati alla creazione di esperienze per i propri visitatori che non all’enfasi
sulla vendita. Un po’ quello che sta sperimentando anche Whole Foods con i suoi 365. Di
cui per ora ne sono stati aperti solo 3, con un programma altri 16 nel 2017. Negozi che
ospitano altri operatori, ovvero i ‘Friends of 365’, che vanno dal parrucchiere, al
riparatore di biciclette, al bar specializzato in succhi naturali.
Nel caso di Apple si parla di un’esperienza che arricchisca la vita di chi frequenta i negozi,
con corsi, workshop per bambini, adulti e professori, così come performance di artisti e
musicisti. Per fine 2016 Apple conta di averne 95.
Il fatto di spostare l’enfasi dai prodotti venduti alle esperienze offerte impone di ripartire
gli spazi in modo diverso. E si tratta di un insegnamento che potrebbe diffondersi presto
anche in altre insegne o formati. Un department store, per esempio, potrebbe dedicare lo
spazio centrale del piano terra a postazioni dove la clientela può imparare a fare il make-
up, oppure apprendere suggerimenti sullo stile, o produrre bigiotteria. Mentre i reparti
di vendita potrebbero essere tutt’attorno o al piano superiore. Un altro esempio tipico è
quello dei negozi di articoli sportivi, dove non è infrequente trovare simulatori di golf,
pareti da scalare, tread mill per simulare la corsa e campi da basket. Il tutto per testare
abbigliamento, attrezzature e strumenti. L’arte sta proprio nell’offrire esperienze che
abbiano al centro il prodotto. Per creare il prototipo ideale, che spesso riproduce la piazza
cittadina, è opportuno ricordare cinque regole.
1) Essere aperti a tutto: una piazza cittadina, o la sua via principale, svolgono
numerose funzioni, che non vanno dimenticate, con esercizi che offrono tanto
prodotti che servizi.
2) Presentare volti familiari. Il personale dei negozi nel negozio devono essere volti
noti del quartiere o comunque del posto. E, allo stesso tempo, i personaggi e gli
artisti che animano queste piazze devono avere connotati locali. L’esperienza
offerta dev’essere gratificante e indurre al passa parola. Non necessariamente si
traduce in una vendita immediata. Piuttosto serve a creare un mood con il negozio,
utile per sviluppare una relazione nel tempo.
3) Essere un buon vicino. Una marca nazionale o addirittura globale ospita operatori
locali che contribuiscono a definirne meglio l’identità amichevole. Ma deve tuttavia
stabilire delle regole chiare per cui i suoi standard sono comunque rispettati.
4) Prestare attenzione alla location e alla ripartizione degli spazi. E’ importante che
riproducano l’atmosfera di un luogo di incontro. E che siano bilanciati tra luoghi
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per fare esperienze e aree espositive dei prodotti. La cui vendita rimane l’obiettivo
finale, benché gestito in modo soft.
5) Essere comunque multichannel. Senza trascurare il ruolo che gli strumenti
‘mobile’ hanno anche nel momento della visita a un punto vendita. Più questi sono
integrati nella strategia di comunicazione e servono a inviare messaggi rilevanti,
più l’esperienza sarà completa.
http://www.forbes.com/sites/bryanpearson/2016/10/31/5-rules-for-a-retail-town-square-what-
apple-whole-foods-can-teach-us/2/#597172fc1996
Ritirata di Mark & Spencer
Mark & Spencer Group Plc ha varato un piano per chiudere tutti i negozi in dieci paesi
e 30 outlet in Gran Bretagna. Il più grosso ridimensionamento nel corso dei 132 anni di
storia del famoso distributore. 10 negozi di abbigliamento e articoli per la casa
chiuderanno nel corso dei prossimi 5 anni. E lo stesso accadrà per 53 grandi magazzini
all’estero. In paesi come la Francia dove chiuderanno 7 negozi, oppure il Belgio, l’Olanda,
l’Ungheria e la Polonia, da dove l’insegna uscirà del tutto, come accadrà per la Cina, dove
saranno 10 i department store che verranno chiusi. Un passo necessario dopo che la
concorrenza dell’e-commerce, la guerra dei prezzi e una situazione economica turbolenta
a livello internazionale hanno ridimensionato il mercato potenziale, riportandolo ai livelli
di 10 anni fa. Naturale che anche l’azione abbia risentito tanto dei risultati negativi che
del piano di ristrutturazione, perdendo il 23% dall’inizio dell’anno, ovvero la peggior
performance dal 2008.
Il piano di ridimensionamento costerà 350 milioni di sterline. Oggi i negozi in Gran
Bretagna sono 304. Una trentina di grandi magazzini saranno trasformati nel formato
di successo Simply Food. Settore, quello alimentare, che pesa già il 52% sul totale.
L’operazione costerà tra i 150 e i 200 milioni di sterline. D’altronde i punti di vendita
gestiti direttamente a livello internazionale hanno perso 31,5 milioni di sterline lo scorso
anno, rispetto agli 87,3 di profitto riportati da quelli gestiti in franchising. Al di fuori
della Gran Bretagna bisogna ricordare che Mark & Spencer gestisce 480 negozi in 59
paesi tra Europa, Asia e Medio Oriente.
Le ultime previsioni per la fine anno sono di un margine lordo nell’area abbigliamento e
casalinghi stabile o un incremento fino allo 0,5%. Le precedenti erano tra 0,5 e 1,0%.
Il margine ante tasse è sceso del 19% a 231,3 milioni di sterline nella prima metà
dell’anno, rispetto ai 218 milioni previsti dagli analisti. Le vendite, a parità di negozi,
per quanto riguarda gli articoli per la casa e l’abbigliamento sono risultate in flessione
del 2,9%, rispetto al 4% delle previsioni.
http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-08/m-s-to-shutter-stores-at-home-and-abroad-
as-rowe-plans-revival
33
Il format particolare di Total Wine & More
Un tipico negozio di Total Wine & More tiene in assortimento 8.000 referenze di vino
provenienti da ogni paese del globo, 2.500 birre, dalle più note a quelle di nicchia, e oltre
3.000 liquori.
Il personale di vendita studia costantemente i prodotti referenziati e il mercato per poter
consigliare la clientela nel modo migliore. Allo stesso modo si diventa compratori
dell’insegna solo dopo aver superato un training impegnativo. E quando si raggiunge il
traguardo, iniziano i viaggi in giro per il mondo per incontrare i fornitori e conoscere
meglio la storia di ogni etichetta.
Dalle fotografie, tuttavia, emerge che il layout espositivo non indulge sull’atmosfera,
privilegiando scaffali da cash & carry o, meglio, da centro di distribuzione, a scapito delle
atmosfere da cantina proposte da molte insegne.
https://nrf.com/news/total-wine-more-the-total-
package?utm_source=ShopSpotlight&utm_medium=11-10&utm_content=RAA-
MD_TotalWine&utm_campaign=SmartBrief
Marketing a 360 gradi
Australia e Nuova Zelanda: ingredienti in e out
Secondo lo studio condotto da Nielsen dal titolo ‘Global Health and Ingredient Sentiment’
condotto nell’area del Pacifico, nella scelta dei prodotti alimentari la gente sta adottando
un approccio orientato alla semplicità, privilegiando quelli che bandiscono ingredienti
pericolosi per la salute o per la dieta.
Il 60% degli australiani e il 61% dei neozelandesi non compra per esempio carni che
contengono antibiotici o ormoni. Oltre la metà evita i prodotti che contengono monosodio
glutammato, conservanti artificiali, coloranti, insaporitori e dolcificanti. E anche quelli
confezionati nel bisphenol A. Tra i primi dieci banditi dalla tavola anche quelli con
elevato contenuto di sodio o di zucchero e quelli modificati geneticamente.
Le persone evitano questi ingredienti soprattutto per la percezione di una dannosità per
la salute (90%). Oppure perché così ha prescritto loro un medico. Il 60% lo fa temendo le
ricadute sulla dieta nel medio termine.
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Questo almeno il dichiarato. Perché poi, di fatto, in Australia l’acquisto di prodotti
dolciari è aumentato del 4,3% rispetto al 2015 e in Nuova Zelanda del 7,5%.
Ecco, allora, che forse ci vorrebbe un aiutino da parte dei distributori. Così il 47% degli
australiani e il 44% dei neozelandesi vorrebbe trovare più prodotti naturali sugli scaffali.
Mentre rispettivamente il 50 e il 46% sarebbe disposto a pagare di più per cibi e bevande
privi di ingredienti indesiderati.
http://www.nielsen.com/nz/en/insights/news/2016/eliminating-the-unnatural.html
Nescafé per i nativi digitali
Secondo la società di analytics dei social media Socialbakers, Nescafé nel corso
dell’ultimo anno ha aumentato la base dei propri follower del 14%, portandola a 34
milioni. Una crescita nel settore delle bevande seconda solo a quella registrata da Coca
Cola.
Traguardo coerente con gli obiettivi della marca, secondo il capo del marketing integrato
del brand, che afferma che un quarto della sua spesa digitale è destinato a sviluppare le
vendite del prodotto attraverso i social media, per conquistare una quota di mercato
online superiore a quella ottenuta nei canali tradizionali.
Lo scorso anno Nescafé ha trasferito i propri siti web su 50 diverse pagine di Tumblr,
popolate di GIF e video creati dagli utenti. E benché solo 10 di questi siti abbia un bottone
‘buy now’, collegato a distributori locali, le vendite nel solo primo semestre hanno
raggiunto i 200.000 dollari, mentre il traffico ‘mobile’ è cresciuto del 20%.
Tumblr si sposa particolarmente con il profilo della marca che è guidato dalle immagini
e rappresenta perciò il modo ideale per collegare chiunque ai suoi contenuti.
In occasione poi della giornata internazionale del caffè il 1° ottobre, Nescafé ha
sviluppato una campagna media in 58 paesi dal titolo ‘Good Morning World’ che nel corso
delle 24 ore ha visto un fluire ininterrotto di utenti che si passavano una tazza di caffè.
Iniziativa che ha raggiunto 15 milioni di persone tra Facebook Live, Periscope e YouTube.
Dopo la fase di semina di contenuti attraverso i social media, c’è stata quella di diffusione
dei risultati della campagna e ora c’è quella di conversione degli utenti che l’hanno vista
in clienti del brand attraverso messaggi in modalità retargeting sui social media e su
quelli a pagamento.
Un’altra area che il brand sta esplorando per massimizzare la presenza nei social media
è quella dei chatbot. Per ora sta testando come la linea Dolce Gusto di macchine per caffè
può gestire il customer service attraverso Facebook Messenger.
Insomma, una marca che ha più di 78 anni ha bisogno di modernizzarsi per apparire
attraente agli occhi dei millenial.
http://digiday.com/brands/nescafe-plans-monetize-growing-social-following/
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La radio sempre regina della musica negli Stati Uniti
Secondo una ricerca condotta da Edison negli Stati Uniti in ottobre su 8.500 persone al
di sopra dei 13 anni, il 44% ascolta ancora la radio AM o FM, il 18% su supporti propri
come CD e file digitali, il 17% in streaming, l’8% attraverso YouTube.
La musica, poi, si ascolta nel 41% dei casi alla radio, nel 23% su un dispositivo ‘mobile’,
nel 16%, invece, al computer.
Ciò nonostante l’International Federation of the Phonographic Industry stima in 68
milioni gli utenti di servizi in streaming a pagamento, con un tasso di crescita del 45,2%
rispetto all’anno precedente.
https://www.emarketer.com/Article/Radio-Still-Accounts-Almost-Half-of-Music-
Listening/1014660?ecid=NL1002
Migliorano le metodologie di misurazione del risultato delle PR
Nel corso di un convegno del 2015 dell'International Association for Measurement and
Evaluation of Communication sono stati modificati i principi adottati all’interno della
medesima organizzazione nel 2010, quando si è provato a fare chiarezza sulle modalità
più corrette di misurare il contributo delle relazioni pubbliche al raggiungimento degli
obiettivi prefissati da consulenti e clienti.
L’utilizzo da parte di grandi gruppi del settore nel corso di questi 5 anni ha infatti
consentito di verificare alcuni punti deboli dell’impianto concettuale proposto.
1) Definizione degli obiettivi e misurazione dei risultati sono passaggi fondamentali
per evitare fraintendimenti o aspettative incoerenti da parte dei clienti. E questo
vale in tutti i canali on e offline. Il documento precedente li definiva solo
‘importanti’.
2) E’ raccomandabile (in precedenza si diceva preferibile) misurare i risultati della
comunicazione e non solo i numeri prodotti. Questo significa affiancare a un
approccio quantitativo uno più qualitativo. Tra i parametri da misurare
l’advocacy.
3) Bisogna misurare l’effetto sulla performance dell’organizzazione nel complesso. E
ciò va al di là dell’incremento di vendite e margini. Si passa perciò dai ‘business
results’ all’ ‘organizational performance’.
4) Misurazione e valutazione di una campagna si basano su metodi sia qualitativi
che quantitativi. In precedenza si parlava solo di misurazione dei media.
5) L’Advertising Value Equivalent (AVE), non rappresenta una misura corretta del
valore della comunicazione prodotta. Nel 2010 si parlava solo di valore delle
relazioni pubbliche.
6) I social media devono essere misurati, come s’era già indicato, ma in un tutt’uno
con gli altri media.
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7) Il settimo principio diceva in origine che trasparenza e replicabilità rappresentano
il vertice della misurabilità. Ora si è modificato nel senso che misurazioni e
valutazioni devono essere trasparenti, coerenti e giustificate.
http://www.prdaily.com/Main/Articles/21683.aspx??utm_source=salesforce&utm_medium=emai
l&utm_campaign=Ragan+PR+Daily+News+-+Final+-+July+29
Markettari stakanovisti?
Pare che gli uomini e le donne di marketing siano degli stakanovisti per quanto riguarda
l’orario di lavoro, con 45,9 ore alla settimana contro le 45,1 delle altre funzioni. Oltre il
54%, poi, dedica meno di 30 minuti al giorno al pranzo, mentre il 30% ne dedica solo 15
o anche meno. Questo il frutto di una ricerca condotta per conto della società Workfront
da Regina Corso Consulting, intervistando 606 americani impiegati in aziende con più di
500 dipendenti. Benché gli appartenenti alla categoria amino il proprio lavoro, sono
preoccupati per le frequenti interruzioni (29%) che fanno perdere loro tempo, così come
dal numero di conflitti crescenti con colleghi di altre funzioni (98%).
http://adage.com/article/cmo-strategy/lowdown-marketers-
overworked/306491/?utm_source=cmo_strategy&utm_medium=newsletter&utm_campaign=ada
ge&ttl=1478114679?utm_visit=1027688
Dal mondo della
marketing information
Nuova certificazione per comScore
In novembre comScore è stata certificata dal Media Rating Council (MRC) per il suo
sistema di monitoraggio e filtro del traffico web su ‘mobile’ e desktop chiamato
Sophisticated Invalid Traffic (SIVT). E’ perciò la prima azienda che ha ottenuto tale
certificazione tanto per la misurazione dei contenuti che delle campagne, offrendo al
mercato metriche filtrate e coerenti per la pianificazione, l’acquisto, la vendita e la
valutazione delle campagne di pubblicità digitale. La metodologia SIVT è applicata a
molteplici prodotti tra i quali Campaign Essentials Audience and Validation, MMX e
comScore Direct. E consente agli investitori di pianificare e misurare l’impatto delle
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proprie campagne in modo migliore, depurando le informazioni dai comportamenti
fraudolenti in rete, mentre i proprietari degli inventari possono enfatizzarne il valore.
Fonte: comScore
http://www.comscore.com/Insights/Press-Releases/2016/11/
Lo spunto del mese
La formazione del Chief Digital Officer
La trasformazione digitale, che implica un adeguamento della cultura organizzativa,
delle competenze presenti e della tecnologia a disposizione, oggi rappresenta un elemento
critico per molte aziende.
Che formazione deve avere un chief digital officer oggi per traghettare un’azienda nel
futuro? La domanda è stata rivolta a una serie di amministratori delegati a livello
mondiale da IIC Partners Executive Search Worldwide, con il risultato che segue: per il
45% devono avere un background tecnologico, per il 43% marketing e per il 13% di altro
tipo. A conferma di una precedente ricerca condotta dalla Harvard Business Review che
ha scoperto come per tale scopo oltre il 50% delle aziende abbia designato il proprio chief
technology officer.
Quali gli aspetti più rilevanti della trasformazione digitale secondo i vertici aziendali in
giro per il mondo? Per l’84% la gestione del sito in formato compatibile per il ‘mobile’, per
il 78% la gestione dei social media, per il 71% quella dei big data, per il 66% le app mobile
e il cloud based software.
https://www.emarketer.com/Article/How-Do-Businesses-Prioritize-Their-Digital-
Transformation-Efforts/1014722?ecid=NL1002#sthash.O0UGYSPP.dpuf
Nessuno cita l’approccio omnichannel, che implica una visione unitaria della propria
clientela attraverso diversi canali di comunicazione e di vendita. Ma forse dipende da
come sono state formulate le domande. In ogni caso io ritengo che l’obiettivo venga prima
del mezzo ottenuto per conseguirlo. Se si parla di orientamento alla clientela, questo
dev’essere perseguito attraverso ogni canale, touch point e occasione di contatto. Le
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competenze di natura tecnologica non sempre coincidono con un forte orientamento al
mercato e al cliente.
Appuntamenti
NRF Big Show 2017 – dal 15 al 17 gennaio 2017 – Jacob K. Javits Convention Center – New York
PR Measurement Conference – 1 e 2 febbraio 2017 – Kovens Conference Center - Miami
GSMA - Mobile World Congress – dal 27 febbraio al 2 marzo 2017 – Barcellona
ARF Annual Conference RE!Think 2017 - 20 e 21 marzo – New York Hilton Midtown
Ragan – 2017 Social Media Conference – dal 27 al 29 marzo 2017 – Disney World Yacht
Club – Orlando
GSMA – Mobilie World Congress – dal 28 giugno al 1° luglio 2017 - Shanghai