_prostituzione

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Anil Aykan (Turkey) Percorsi e passaggi Trasformazioni dell’identità plurale Maura Tripi La riflessione sui concetti non può che avvenire nel confronto con le esperienze, in una relazione non solo fondamentale e costruttiva, ma intimamente costitutiva e reciproca. L’interpretazione si intreccia con la sensazione, l’elaborazione del mondo si nutre di pensieri e percezioni. In una dinamica altamente complessa di costruzione di sé e del mondo. L’incontro con Laura Zago ha fatto emergere quella complessità che sfugge alle risposte univoche e definitive, quel continuo movimento che non può ridurre ogni persona entro categorie prestabilite e etichette stereotipate, quella dinamica che costruisce e distrugge, nasconde e ostenta le molteplici sfaccettature di un’identità plurale. La cooperativa “Progetto L” di Padova, nata nel 2001 all’interno dell’associazione “Fraternità e servizio”, volge la sua attenzione alle vittime di tratta, alle giovani ex-prostitute straniere, ma anche alle giovani madri in difficoltà, alle donne che hanno subito violenza, alle immigrate giunte in Italia da poco. Spesso tutte queste donne convivono in un’unica persona. Salvo altrimenti specificato, tutto il materiale presente in questa rivista è sotto una Licenza Creative Commons. Lo scopo della struttura è quello di avviare un percorso di inserimento e integrazione socio-lavorativa per le prostitute che sporgono denuncia dopo essere scappate dal loro sfruttatore: il racconto che registro si dirama e si infittisce attraverso un tortuoso itinerario fatto di fughe e accoglienze, di accompagnamenti, di pericoli e paure, in cui diversi attori e luoghi compaiono e scompaiono attorno alla volontà di ogni singola donna, che sceglie di affidarsi, diffidente, per cambiare ancora una volta gli eventi della sua storia personale. I passaggi possono essere diversi: possono essere ragazze che sono scappate dalla strada o dal loro appartamento e si sono rivolte direttamente in questura, o hanno trovato qualcuno che le ha accompagnate direttamente alla Caritas. Nel momento in cui arriva una persona che è scappata e vuole fare denuncia, viene inserita in una struttura di prima accoglienza. Questa persona rimane in questa struttura protetta, perché è comunque in una situazione di pericolo, perché è scappata ad uno sfruttatore che l’aveva comunque schiavizzata, e nel giro di poco tempo sporge denuncia, accompagnata sempre da un operatore della Caritas o da un mediatore culturale. Nel momento in cui ha fatto denuncia, viene presa in carico dai servizi sociali, firma un programma che è previsto dall’articolo 18 del testo unico, per cui chiunque denuncia di essere stato vittima di sfruttamento ha diritto a un percorso di integrazione socio-lavorativa. A questo punto passa ad una comunità di seconda accoglienza e alcune volte viene inserita in questo laboratorio di formazione al lavoro.” La volontà di agire è il primo passo verso ogni svolta: in questo unico passaggio, dalla strada alla comunità, rimango impressionata dalle infinite trasformazioni che avvengono. L’identità di queste donne è ora visibile come una rete, in cui i nodi si muovono nello spazio e nel tempo, cambiano forma e posizione: da prostitute a ex- prostitute, compiono la strada dalla schiavitù alla libertà, dal marciapiede alla comunità, dalla solitudine all’accoglienza. Eppure, in questo breve momento, non rimangono ferme in un nuovo equilibrio, ma cambiano senza sosta: da clandestine emarginate a clandestine accolte, quando decidono di fuggire e trovano un aiuto, e ancora regolari emarginate, in comunità, con un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma un percorso di integrazione socio-lavorativa da affrontare. In una dimensione in cui inclusione ed esclusione convivono e spesso stridono in apparente contraddizione. In questa instabile costruzione di sé, la realtà circostante non cessa il movimento: lo spazio si dilata fino a raggiungere casa, il luogo di provenienza -quasi sempre Romania e Nigeria- in cui comincia l’esperienza della prostituzione, in cui esistono povertà e difficoltà, ma in cui c’è anche la famiglia; il tempo diventa insostenibile, se si cerca di raccogliere passato, presente e futuro. Mi hai appena spiegato il percorso che le prostitute compiono da quando decidono di scappare a quando cominciano il lavoro di integrazione previsto dalla legge. Ma prima cosa c’è? Da dove vengono? Con quale consapevolezza? Con quali motivazioni? è un po’ diversificata la situazione, dipende dal luogo di provenienza, di solito Nigeria, Romania e Albania. Da quello che si sa qui, un lavoro di prevenzione nei loro paesi esiste, è un discorso abbastanza difficile da capire: loro ti diranno sempre che non sapevano, perché c’è una denuncia di sfruttamento. Per quanto riguarda le ragazze nigeriane, sono molto giovani, non hanno studiato, vengono da famiglie molto povere, i lavori che hanno fatto sono stati quelli di mercato, la vendita di prodotti nelle strade. Arriva una persona, uno zio, un parente in genere, un amico che dice di aiutarle a trovare un lavoro migliore in Italia e parla con i genitori, che di solito dicono va bene. A volte la famiglia sa di che lavoro si tratta e accettano, hanno talmente tanti figli, sono famiglie allargate. Poi le ragazze partono, sono viaggi molto lunghi, rocamboleschi, via treno, via aereo. C’è poi un passaggio: le ragazze partono con una persona che le passa in consegna a un altro, poi qualcun altro le aspetta a Mestre piuttosto che a Padova, e poi la sera stessa vengono portate nella casa, e là viene detto loro che Pagina 1 di 2 Trickster - Master in Studi Interculturali 28/10/2010 http://www.trickster.lettere.unipd.it/archivio/3_prostituzione/numero/rubriche/pratich...

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In questa instabile costruzione di sé, la realtà circostante non cessa il movimento: lo spazio si dilata fino a raggiungere casa, il luogo di provenienza -quasi sempre Romania e Nigeria- in cui comincia l’esperienza della prostituzione, in cui esistono povertà e difficoltà, ma in cui c’è anche la famiglia; il tempo diventa insostenibile, se si cerca di raccogliere passato, presente e futuro. Maura Tripi Trasformazioni dell’identità plurale Anil Aykan (Turkey)

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Anil Aykan (Turkey)

 

Percorsi e passaggi

Trasformazioni dell’identità plurale

Maura Tripi

 

 

La riflessione sui concetti non può che avvenire nel confronto con le esperienze, in una relazione non solo fondamentale e costruttiva, ma intimamente costitutiva e reciproca. L’interpretazione si intreccia con la sensazione, l’elaborazione del mondo si nutre di pensieri e percezioni. In una dinamica altamente complessa di costruzione di sé e del mondo.

L’incontro con Laura Zago ha fatto emergere quella complessità che sfugge alle risposte univoche edefinitive, quel continuo movimento che non può ridurre ogni persona entro categorie prestabilite e etichette stereotipate, quella dinamica che costruisce e distrugge, nasconde e ostenta le molteplici sfaccettature di un’identità plurale. La cooperativa “Progetto L” di Padova, nata nel 2001 all’interno dell’associazione “Fraternità e servizio”, volge la sua attenzione alle vittime di tratta, alle giovani ex-prostitute straniere, ma anche alle giovani madri in difficoltà, alle donne che hanno subito violenza, alle immigrate giunte in Italia da poco. Spesso tutte queste donne convivono in un’unicapersona.

   

     

     

     

     

     

     

Salvo altrimenti specificato, tutto il materiale presente in questa rivista è sotto una Licenza Creative Commons.

Lo scopo della struttura è quello di avviare un percorso di inserimento e integrazione socio-lavorativa per le prostitute che sporgono denuncia dopo essere scappate dal loro sfruttatore: il racconto che registro si dirama e si infittisce attraverso un tortuoso itinerario fatto di fughe e accoglienze, di accompagnamenti, di pericoli e paure, in cui diversi attori e luoghi compaiono e scompaiono attorno alla volontà di ogni singola donna, che sceglie di affidarsi, diffidente, per cambiare ancora una volta gli eventi della sua storia personale.

“I passaggi possono essere diversi: possono essere ragazze che sono scappate dalla strada o dal loro appartamento e si sono rivolte direttamente in questura, o hanno trovato qualcuno che le ha accompagnate direttamente alla Caritas. Nel momento in cui arriva una persona che è scappata e vuole fare denuncia, viene inserita in una struttura di prima accoglienza. Questa persona rimane in questa struttura protetta, perché è comunque in una situazione di pericolo, perché è scappata ad uno sfruttatore che l’aveva comunque schiavizzata, e nel giro di poco tempo sporge denuncia, accompagnata sempre da un operatore della Caritas o da un mediatore culturale. Nel momento in cui ha fatto denuncia, viene presa in carico dai servizi sociali, firma un programma che è previsto dall’articolo 18 del testo unico, per cui chiunque denuncia di essere stato vittima di sfruttamento ha diritto a un percorso di integrazionesocio-lavorativa. A questo punto passa ad una comunità di seconda accoglienza e alcune volte viene inserita in questo laboratorio di formazione al lavoro.”

La volontà di agire è il primo passo verso ogni svolta: in questo unico passaggio, dalla strada alla comunità, rimango impressionata dalle infinite trasformazioni che avvengono. L’identità di queste donne è ora visibile come una rete, in cui i nodi si muovono nello spazio e nel tempo, cambiano forma e posizione: da prostitute a ex-prostitute, compiono la strada dalla schiavitù alla libertà, dal marciapiede alla comunità, dalla solitudine all’accoglienza. Eppure, in questo breve momento, non rimangono ferme in un nuovo equilibrio, ma cambiano senza sosta: da clandestine emarginate a clandestine accolte, quando decidono di fuggire e trovano un aiuto, e ancora regolari emarginate, in comunità, con un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma un percorso di integrazione socio-lavorativa da affrontare. In una dimensione in cui inclusione ed esclusione convivono e spessostridono in apparente contraddizione.

In questa instabile costruzione di sé, la realtà circostante non cessa il movimento: lo spazio si dilata fino a raggiungere casa, il luogo di provenienza -quasi sempre Romania e Nigeria- in cui comincia l’esperienza dellaprostituzione, in cui esistono povertà e difficoltà, ma in cui c’è anche la famiglia; il tempo diventa insostenibile, se si cerca di raccogliere passato, presente e futuro.

Mi hai appena spiegato il percorso che le prostitute compiono da quando decidono di scappare a quando cominciano il lavoro di integrazione previsto dalla legge. Ma prima cosa c’è? Da dove vengono? Con quale consapevolezza? Con quali motivazioni?

“è un po’ diversificata la situazione, dipende dal luogo di provenienza, di solito Nigeria, Romania e Albania. Da quello che si sa qui, un lavoro di prevenzione nei loro paesi esiste, è un discorso abbastanza difficile da capire: loro ti diranno sempre che non sapevano, perché c’è una denuncia di sfruttamento. Per quanto riguarda le ragazze nigeriane, sono molto giovani, non hanno studiato, vengono da famiglie molto povere, i lavori che hanno fatto sono stati quelli di mercato, la vendita di prodotti nelle strade. Arriva una persona, uno zio, un parente in genere, un amico che dice di aiutarle a trovare un lavoro migliore in Italia e parla con i genitori, che di solito dicono va bene. A volte la famiglia sa di che lavoro si tratta e accettano, hanno talmente tanti figli, sono famiglie allargate. Poi le ragazze partono, sono viaggi molto lunghi, rocamboleschi, via treno, via aereo.

C’è poi un passaggio: le ragazze partono con una persona che le passa in consegna a un altro, poi qualcun altro le aspetta a Mestre piuttosto che a Padova, e poi la sera stessa vengono portate nella casa, e là viene detto loro che

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devono prostituirsi, danno loro i preservativi e i vestiti e cominciano a lavorare. Se non lo fanno, vengono picchiate, dicendo che hanno un debito da estinguere, perché il viaggio è costato moltissimo, di solito si tratta di 40.000 euro che loro devono ridare allo sfruttatore, e quindi devono lavorare. Le minacce sono nei confronti della persona stessa, ma anche della famiglia a casa, perché sanno da dove vengono, e lì i legami sono molto forti. Per le ragazze nigeriane poi è molto importante che prima di partire viene fatto un rito, a cui loro credono tantissimo, e temono molto per questo, perché hanno questo patto: se loro denunciano e qualcuno a casa sta male, loro pensano che sia colpa loro, perché hanno fatto questo patto, che le lega ad un impegno di mandare i soldi a casa. Di solito però devono pagare l’affitto, il posto in strada dove lavorano e i soldi li danno tutti, non riescono a mettere da parte niente.[…]

Jiang Yan (China)

Per le ragazze rumene è diverso, può essere che non danno tutto allo sfruttatore. La dinamica poi cambia spesso: so che ultimamente, proprio perché ci sono molte ragazze che sono scappate, gli sfruttatori lasciano più soldi, in modo che siano più contente, che mandino i soldi a casa e possano comprarsi dei vestiti. Per quanto riguarda la situazione rumena e albanese, è molto importante il ruolo del fidanzato, perché lo sfruttatore o chi porta qui le ragazze è spesso il fidanzato della persona. C’è dunque sempre questo coinvolgimento amoroso, per cui è difficile riuscire a rompere, anche quando si scappa, si rimane innamorate di questa persona, che poi è quella che ti ha sfruttata e che ci guadagnava. […]

Per quanto riguarda le ragazze rumene è molto meno un problema economico, non sempre vengono da famiglie povere, più frequentemente vengono da famiglie disastrate, il padre alcolizzato, la madre malata, dei figli: so che addirittura la famiglia a volte manda i soldi alla ragazza, è a volte la voglia di migliorare la propria situazione, magari per comprare la casa, la televisione, la macchina, però non c’è un reale bisogno. Molte ragazze rumene sfruttano gli sfruttatori, cioè sanno che c’è questa possibilità di avere il permesso se vengono sfruttate, quindi si mettono in mezzo a certe reti, lavorano due giorni, poi scappano e denunciano”, oltre quella retorica della tratta di ragazze migranti che le mostra vittime ingenue del traffico criminale, oggetto passivo del proprio progetto migratorio.

Non generalizzare. Laura Zago me lo ripete continuamente. Ogni storia è diversa, ogni persona è diversa. Diverse sono le motivazioni, i contatti e i legami con i luoghi d’origine, il guadagno, il rapporto con gli sfruttatori. La prostituta migrante si sposta nello spazio, ma anche in una rete di relazioni e di momenti, in cui la ricerca e le scoperte avanzano nell’incertezza di questo movimento, in cui ogni passo -cioè ogni scelta, ogni parte, ogni unità- diventa complesso -cioè multidimensionale e dispersivo, inscindibile dalla totalità-.

Fuori dal meccanismo che le ha portate in un altro luogo, queste persone devono adesso rielaborare la loro condizione umana molteplice all’interno di un nuovo contesto. Non sono ancora arrivate, hanno fatto soltanto un altro passo. La loro identità non si è mai cancellata: hanno mantenuto la consapevolezza del loro essere donna, del loro corpo, del loro luogo di nascita, della loro famiglia, ma hanno vissuto un’alterazione, uno stiramento, una manipolazione di tutti gli elementi in cui si riconoscono e in cui vengono riconosciute. Alcune continuano a vantarsi della loro bellezza, della loro capacità di sedurre gli uomini e vanno incontro alla depressione, dentro una tuta da operaia; altre perdono il lavoro, perché non si adattano ai ritmi accelerati di una fabbrica; altre rimangono scontrose e diffidenti verso gli italiani; altre ancora tornano a casa. Poi ci sono altre donne, che superano il limbo e trovano un lavoro, semplice, ripetitivo, ma stabile, trovano un fidanzato, affittano una casa, vanno a trovare la famiglia e portano i regali.

Si dice che solo in questi casi si siano integrate, ma tutte non smettono di camminare.

 

 

     

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