tronti_immaterialismo

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  • 7/29/2019 tronti_immaterialismo

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    Per una critica dell'immaterialismo storico

    Mario Tronti

    Ce n per tutti, in questo libro di voluta e bentornatapolemica ideologica, al limite del pamphlet, come siesprime lo stesso autore: Carlo Formenti,Felici e sfruttati.Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro. I lettori dialfabeta2 ne hanno gi saggiato un brano nel numero

    precedente. Ce n per tutti i novatori, che sono una trib,accampata nei deserti dellOccidente, comunicatori di unsenso comune intellettuale di massa, con i suoi riti e miti, lesue credenze, i suoi tecnologici fondamentalismi. Sono gliutopisti, in buona e cattiva fede della rivoluzione digitale,evangelisti del software libero, teorici delleconomia di rete

    come economia del dono, entusiasti del Web 2.0 come strumento di democratizzazione diimprese, istituzioni e mercati, oltre che, naturalmente, profeti di una paradisiaca liberazione dallavoro materiale.

    Colpiti dal fuoco, niente affatto amico, di Formenti, sono qui i novatori della struttura, pisopportabili, certo, degli insopportabili novatori della sovrastruttura. I primi infatti sognano la finedel lavorosans phrase, in virt dellavvento dellimmateriale nel mondo e in attesa si tratta di

    pazientare solo qualche giorno della fine del capitale, qui e ora. I secondi, non sognano, vedonouneconomia finalmente libera da lacci e lacciuoli della politica, una societ finalmente libera dalleingerenze dello Stato, e cittadini finalmente liberi dalle tutele dei partiti. Un altro mondo finalmentenon possibile, ma reale: meraviglioso intreccio si dice qui di neoliberismo e di taylorismo

    digitale.

    In comune, tutti i novatori hanno la fedelt al motto brechtiano, parafrasato cos: dietro di noistanno le fatiche delle montagne del Novecento, davanti a noi lajouissance delle pianure delDuemila, secolo, appunto, delle meraviglie che, superati gli anni Zero, dove persistevano alcune

    brutte cose, sempre eredit del maledetto passato, l11 settembre, la guerra infinita, Bush e neocon,adesso, Obama volendo, si avvia trionfalmente a dare a ciascuno, non pi secondo il suo lavoro masecondo i suoi bisogni. Come si vede, mi sono messo subito nel climax del testo che, con unagradazione crescente di sarcasmo, si propone si smontare entusiasmi, dogmatismi, e anche

    pentitismi, dominanti nel popolo, e nella cultura, della cosiddetta rete. Quando si parla di un libro,bisogna mettercisi dentro, per capirne il segno e per darne il senso.

    Carlo Formenti da un decennio che si occupa di queste cose. Dietro questultimo lavoro, c latrilogia diIncantati dalla rete (Cortina 2000), Mercanti di futuro (Einaudi 2002), Cybersoviet(Cortina 2008). Ora, qui c tutta laria di unoshow-down finale. un grido liberatorio, di cui sisentiva il bisogno, oppressi come siamo, ciascuno di noi, ogni momento, da questa nuova religionedel virtuale. Perfino il tumulto di piazza, il gesto collettivo pi materiale che storicamente esista,viene ormai ascritto alla virt del mezzo di comunicazione. Collegati in rete, e con le armi deglisms, si abbattono i tiranni e si eleggono i presidenti. Scompaiono le motivazioni di fondo dellerivolte e i poteri occulti che muovono le scelte. Non ci si ferma a riflettere sul fatto che, magari

    proprio perch quegli eventi assumono quella modalit, risultano effimeri, momentanei, esposti a

    una eterodirezione, di cui non si sa nulla, ma che molto pi solida e radicata e duratura. Insomma,mi piace questo libro, per questa ragione: quello che pensavo da sempre, per intuito ma lintuito,quando ben educato dallesperienza, raramente sbaglia mi viene qui documentato da una mole diletture, che io non ho fatto e che, prometto, non far mai. Consiglio di leggere bene, per bene

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    orientarsi.Felici e sfruttati, poi, non titolo da lasciare in copertina, slogan da scrivere sui muri.

    Faccio emergere solo qualche spunto, per incuriosire il lettore, ma la lettura va fatta per intero, dallaPrima parte, di critica della letteratura dellottimismo tecnologico, compresi i pentitismi dellultimaora, di fronte alle repliche della storia, alla Seconda parte, pi politica, dove prendono il centrodella scena lavoro e capitale al tempo della rete. Si parte dal ritorno in grande del fantasma di

    Menenio Agrippa, dice Formenti, a cavallo della met del Novecento, ma io direi piuttosto, daglianni Ottanta, quando nelle scienze umane, sempre pi civettando con le scienze cosiddette esatte,orientate dalla tecnica, le teorie dellequilibrio spodestano le teorie del conflitto. L89-91 dar il suo

    bravo contributo. Quella che stata declinata come la fine delle grandi narrazioni ideologicheinaugura in realt una grande narrazione alternativa, dove la storia e la politica, il moderno elumano, divengono fossili di unet di dinosauri estinti. Comincia lera del post-, postmoderno,

    postumano e una serie infinita di post. Innovazione emerge come parola magica, risolutrice deiproblemi, annunciatrice di miracoli. Si rovescia il paradigma teorico, che aveva dietro di s duesecoli di storia del movimento operaio: dora in poi i capitalisti saranno il nuovo, gli anticapitalisti ilvecchio.

    qui che si innesta la vicenda contro cui Formenti tira fuori gli artigli della critica. Da ascesa ecaduta dellaNew Economy al trionfo della Wikinomics. In mezzo, le cose pi strane, cio le piimprobabili Utopie 2.0: capitalismo senza propriet e digitalsocialismo, anarcocapitalismo eautocomunicazione di massa, tecnodeterminismo e comunismo della rete. I testi sono esaminati unoa uno, e uno a uno sono decostruiti gli autori: da Rifkin a Castells, da Benkler a Kelly e Lessig, aShirky e Tapscott. I nostri Rullani e Bonomi, che si muovono, bisogna dire, su un altro piragionevole piano, non vengono risparmiati. Gustoso il paragrafo suNostalgia Hacker, dove c, tralaltro, uninedita lettura del personaggio Assange e della vicenda WikiLeaks.

    Ma mi interessa di pi, per ovvie ragioni, la seconda parte, dove vengono affrontati gli autori delletematiche dette della fine del lavoro e del rifiuto del lavoro. Formenti li interpella come becchinidel lavoro. Se gli apologeti della New Economy ci invitano a dimenticare lo slogan nessun

    pasto gratis, le teorie che stiamo per analizzare vogliono fare piazza pulita di un altro slogan

    novecentesco che in un certo senso ne rappresenta la variante di sinistra: Chi non lavora non

    mangia. Qui Arendt e Polanyi, dalle loro postazioni classiche, vengono evocati contro i futurismidi Beck e Negri. Alla fine si salvano, giustamente, solo Marazzi e Arrighi, perch tutto il discorso si

    protende verso le incombenti ombre cinesi.

    Sono daccordo su un punto fondamentale, che io direi cos: non si possono giocare i GrundrissecontroDas Kapital, ilgeneral intellectcontro il Capitolo VI inedito. Soprattutto e c qui un

    passaggio di stringente attualit politico-pratica non si possono giocare i knowledge worker, e

    nemmeno i lavoratori autonomi di seconda o terza generazione, contro gli operai di fabbrica, chenon sono un residuo in via di estinzione, sono una corposa realt sociale, civile e umana, in Italiacome, tanto pi, nellarena globale del mondo che sta per venire. Lasciamo questo lavoro disoluzione finale nei confronti degli operai organizzati ai Marchionne e piuttosto pensiamo,

    politicamente, a combatterlo. Io non chiamerei quei teorici di un operaismo senza operai,neooperaisti. Sono anchessi espressione di una cultura egemonica del post-. I neo-operaisticonsiglierei di andarli a leggere in un recentissimo volumetto di DeriveApprodi,Nuova Panda

    schiavi in mano (pp. 168, 12,00), che porta opportunamente questo sottotitolo:La strategia Fiatdi distruzione della forza operaia.