caposud - numero 0

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L’INFORMAZIONE DA UN’ALTRA PROSPETTIVA CaPoSUD CaPoSUD Il Kenya delle violenze primo piano Nigeria: Non c’è posto per sole donne RDC: I bambini “stregoni” di Kinshasa storie dai Sud Kosovo: la terra degli altri Gli egiziani vogliono una Palestina libera Malawi: Fame nell’abbondanza Sudamerica: Nasce il Banco del Sur politica inter-nazionale Il Kenya delle violenze primo piano Nigeria: Non c’è posto per sole donne RDC: I bambini “stregoni” di Kinshasa storie dai Sud Kosovo: la terra degli altri Gli egiziani vogliono una Palestina libera Malawi: Fame nell’abbondanza Sudamerica: Nasce il Banco del Sur politica inter-nazionale anno 0 numero 0

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Numero 0 della rivista "Caposud"

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Page 1: Caposud - numero 0

L’INFORMAZIONE DA UN’ALTRA PROSPETTIVA

CaPoSUDCaPoSUD

Il Kenya delle violenzeprimo piano

Nigeria: Non c’è posto per sole donneRDC: I bambini “stregoni” di Kinshasa

storie dai Sud

Kosovo: la terra degli altriGli egiziani vogliono una Palestina liberaMalawi: Fame nell’abbondanzaSudamerica: Nasce il Banco del Sur

politica inter-nazionale

Il Kenya delle violenzeprimo piano

Nigeria: Non c’è posto per sole donneRDC: I bambini “stregoni” di Kinshasa

storie dai Sud

Kosovo: la terra degli altriGli egiziani vogliono una Palestina liberaMalawi: Fame nell’abbondanzaSudamerica: Nasce il Banco del Sur

politica inter-nazionale

anno

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Nasce CaposudL’informazione vista da un’altra prospettiva.

Violenza post elettorale in KenyaIl triste risveglio di un Paese assediato dascontri interetnici.

Non c’è posto per sole donne!Nigeria: la tradizione Igbo

Il fenomeno dei bambini “stregoni”La società congolese allo specchio.

Autoritratti di lotta dall’AfghanistanIl paese invisibile.

Kosovo: La terra degli altriMinoranze a rischio.

La nascita della Banca del SudVerso la piena autonomia dal duopolioeconomico Europa-USA.

Egiziani e Palestina liberaNo alle violenze di Israele nella Striscia diGaza.

Malawi: Fame nell’abbondanzaRazionamento delle derrate per lapopolazione affamata.

Le nuove tecnologie dell’Informazionee della Comunicazione.Il Marocco.

AIDS in Mozambico.La preoccupazione dei sieropositivi.

Bangladesh: Il Boishakhi Mela di RonyAlla scoperta del Capodanno bengalese.

L’osservatore RomenoIronie del passato

Il gusto degli altri…..La “mou-tella” Argentina

Il senso, la responsabilità e la libertàLa parola a...

Destinazione: Chiquitos, BoliviaQuando la foresta si fa musica

Sommario

Rivista bimestrale edita da Caposud s.a.s.Anno 0 Numero 0

Testata giornalistica in attesa di registrazionelegale

Direttore Responsabile:XXXXXXXXXXXXXX

Coordinamento Editoriale:Alfredo Giangaspero

Caporedattore:Giuseppe Fabio Dell’Olio

Redattori:Giuseppe Fabio Dell’Olio, Michaela De Marco(Medio Oriente), Sonia Drioli (Cooperazione alloSviluppo/Nordafrica – Africa Subsahariana),Valeria Fornarelli, Pilar Frias (Sudamerica), Al-fredo Giangaspero, Caroline Njenga (AfricaCentro-Meridionale), Silvia Rizzello (Popoli eIntercultura), Dario Terzic (Balcani).

Protagonisti dai PVS in questo numero:Rony Akther (Bangladesh)Ana Belluscio (Argentina)Kapeta Benda Benda (R.D.Congo)Mircea Butcovan (Romania)Uchenna Benneth Emenike (Nigeria)Arabi Kamal Faragli (Egitto)Pilar Frìas (Argentina)Mourad Gourouhi (Marocco)Frank Jomo (Malawi)Caroline Njenga (Kenya)Dario Terzic (Bosnia-Erzegovina)Miguel Torrado (Argentina)Jaime Ubisse (Mozambico).

Ricerca Iconografica:Alfredo Giangaspero

Vignette:Paolo Piccione

Comunicazione e Marketing:Valeria Fornarelli

Progetto Grafico ed Impaginazione:Mastrogiacomo Adv – Comunicazione sociale

Stampa:Mastrogiacomo Adv sas

Contatti Direzione e Redazione : 70023 Terlizzi(Ba) - Viale dei Garofani, 51hWeb: www.caposud.infoe-mail: [email protected]

Abbonamento annuale:6 numeri a partire da qualsiasi mese: 00,00.Versamento sul c/c 0000000 intestato a CaposudIndicare nella causale del versamento: abbona-mento rivista Caposud ed inviare ricevuta delversamento e dati di spedizione all’indirizzooppure via fax al n. 080.0000000

La responsabilità dei contenuti degli articoli èesclusivamente dei rispettivi autori. La respon-sabilità dell’editore è limitata agli articoli prividi firma o a firma de “la redazione”. Tutti gliarticoli, tranne quelli contrassegnati da©copyright possono essere riprodotti purchèaccompagnati dal credito (nome auto-re/www.caposud.info) e previa comunicazionealla redazione di Caposud.Manoscritti e fotografie giunti in redazione,anche se non pubblicati, non verranno restituitiai rispettivi autori, e rimarranno a disposizionedella redazione, per eventuale futura pubblica-zione.

... da un’idea di Alfredo Giangaspero

Caposud: La prima rivista che racconta i “Sud delMondo” con le voci dei protagonisti.

redazione

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iutare i “Sud del Mondo” senza conoscerne le complessità e le mille voci significa gettare acquain un oceano di ipocrisia.Noi non nasciamo con la velleità di aiutare i “Sud” ma anzitutto per conoscerli e farli conoscereai cittadini del “Nord del Mondo”, perché una vera Cooperazione, nel senso più originario e purodel suo etimo, ed una vera integrazione passano attraverso una profonda conoscenza dell’ “altro”.Chi meglio di un locale può farci conoscere la propria realtà, la propria cultura, ed anche lavicinanza al nostro mondo, per quanto i due possano sembrare così distanti ai nostri occhi?Ecco perché abbiamo deciso di intraprendere questa sfida editoriale, tanto insolita quanto difficile:tentare di invertire la prospettiva nell’Informazione che ci giunge dai “Sud del Mondo”.La nostra prospettiva nascerà “dal basso” e sarà quella dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Saràquella della Gente. I nostri giornalisti sono e saranno presenti sul “campo” di cui parlano e scrivono,conoscendolo a fondo; la quasi totalità di essi non sarà italiana, né europea, bensì locale.Ci parleranno delle loro realtà senza filtri, disvelando verità e potenzialità dei PVS che spessosoccombono nel calderone mediatico occidentale.Lo scrittore svedese Henning Mankell a tal proposito diceva: “con le immagini dei giornalisti edella televisione sappiamo come muoiono gli africani, ma non in che modo vivono”.Noi vorremmo raccontare anche come vivono gli africani, e tutti i popoli del “Sud del Mondo”,attraverso le loro stesse voci.Non accadrà che analisti e studiosi illustrino teorie sulla povertà al riparo del loro tepore domestico.Non ci accontenteremo delle notizie e dei calendari politici che le maggiori Agenzie Stampa delmondo - tutte occidentali - ci impongono. Noi, il consenso dei nostri lettori, lo vogliamo conquistareda cronisti di un universo, quello dei PVS.Le nostre voci del e dal “Sud” possono raccontarci, in maniera libera ed indipendente, cosa accadenei loro Paesi e come, da una posizione privilegiata, vedano la Cooperazione, quella oramai entratain maniera univoca nel gergo comune e quotidiano: la cosiddetta Cooperazione allo Sviluppo.La Cooperazione, quella vera, è possibile, e funziona quando 104 paesi votano nel consesso ONUa favore di una moratoria sulla pena capitale. È possibile quando si rispetta il potenziale e lanaturale vocazione allo Sviluppo Umano dei PVS senza depredarli e senza infliggere loro sanzionieconomiche o stravolgere i loro patrimoni umani, culturali e ambientali. La Cooperazione è utilese vi è la consapevolezza dell’iniquità dell’attuale modello di Sviluppo, e la sincera convinzionedi mutare, se non “rivoluzionare” i nostri stili di vita.Dedichiamo il nostro modo di fare giornalismo a Ryszard Kapuscinski, grande professionistarecentemente scomparso. Un uomo che non aveva bandiera, né religione né partito, ma è statoa tutti gli effetti il padre del giornalismo “sociale”, che dà voce alla gente e alle situazioni reali.Kapuscinski, autore di splendidi libri-reportage scritti dopo mesi di ricerche sul campo, dicevache “non si può scrivere di qualcuno senza averne condiviso almeno un poco la vita”. Per questoribalteremo la prospettiva della comunicazione tra “Nord” e “Sud” del Mondo. Ci ricorderemosempre del suo ammonimento: “la prima fonte, per un giornalista, è la gente”.Non esiteremo a esplorare anche strade meno battute. È per questo – come direbbe Frost – chesiamo diversi. E, soltanto attraverso i nostri lettori e i nostri sostenitori, potremo rimanerlo.CapoSud nasce nel 2008, sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Dirittidell’Uomo, speriamo sotto una buona stella.

La redazione

Nasce Caposud.L’informazione da un’altra prospettiva

editoriale

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la vignetta di caposud

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Guerra civilein Kenya?Guerra civilein Kenya?

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Nairobi: giovani kenyani brandiscono armi minacciando di usarle contro i supportersdi Kibaki nel caso non fosse proclamato Presidente il loro leader Raila Odinga.

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Violenza post elettorale in KenyaIl triste risveglio di un Paese assediato da scontri interetnici.

reportage di copertina

al 30 Dicembre dello scorsoanno la vita in Kenya non è più

la stessa. Il paese è stato scosso daondate di violenza che sono costatela vita a più di mille persone. Le Na-zioni Unite riferiscono che sono alme-no 304.000 le persone disperse dallaviolenza scoppiata in Nairobi, nellaRift Valley, nella città-porto di Mom-basa e in diverse parti delle regionioccidentali del Kenya. Tutto è succes-so dopo che la Commissione Eletto-rale del Kenya ha dichiarato l’attualepresidente Mwai Kibaki vincitore del-le elezioni presidenziali dello scorso27 Dicembre, nel mezzo di accuse difrode da parte del leader dell’oppo-sizione Raila Odinga.I risultati delle elezioni hanno datoinizio alla violenza che è esplosa inKenya, particolarmente in alcune zo-ne della Rift Valley, dove amici e vicinisi sono rivoltati l’uno contro l’altro.Quando si arriva al punto di circon-dare una chiesa ed incendiarla, cau-sando la morte di una cinquantina,tra donne e bambini, che avevanocercato in essa rifugio, diventa chiaroche qualcosa di perverso si è innesca-to nel nostro paese. E questo è esat-tamente ciò che è accaduto in unachiesa dell’ Assembly of God ad Eldo-ret, uno dei luoghi più gravementecolpiti dalle violenze post-elettorali. Certamente il problema risale all’eracoloniale, quando i colonialisti, secon-do la strategia del “divide et imperat”hanno incentivato le differenze etni-che che hanno impedito la creazionedi una sentita identità nazionale.Allo stesso tempo, i leaders keniani

hanno una responsabilità chiara da-vanti ai problemi che il paese sta af-frontando, a partire da Jomo Kenyatta– che favorì in modo particolare il suogruppo etnico in termini di distribu-zione delle risorse – e a seguire conDaniel Arap Moi, che giocò la cartadell’etnicità attraverso la marginaliz-zazione di gruppi di personeall’interno di certe comunità. QuandoMwai Kibaki salì al potere nel 2003, ikeniani avevano la percezione di uncerto cambiamento imminente, do-vuto al fatto che il governo era for-mato dal National Rainbow Coalition,che includeva diversi partiti politici.Nonostante ciò, vecchi rancori hannocontribuito a istigare la violenza post-elettorale.La Rift Valley è la zona in cui questetensioni restano più evidenti. Essa –che è considerata la provincia con ilterreno più produttivo del Kenya – èdiventata recentemente una valledella morte, con decine di migliaia dipersone disperate costrette a fuggiresu camion stipati di letti, sedie, coper-te e bambini. Circa un mese primadelle elezioni, la polizia trovò un ele-vato numero di armi (20 archi, 50 frec-ce, 30 mazze, 30 maceti e 30 spade)nella macchina appartenente a unassistente di un ministro, il quale, as-sente al momento della scoperta,negò in seguito qualsiasi coinvolgi-mento.La violenza post-elettorale del 2007sta emergendo nella forma di uncampo di battaglia tra le diverse co-munità su questioni di terra e potere.Durante la campagna elettorale i par-

titi erano già formati in linea con lediversità etniche, ed i politici intentia proteggere gli interessi della lorogente contro la minaccia di aggres-sioni da parte di altre comunità. Amicie vicini si riferivano gli uni algli altriin termini di “loro e noi”. Ciò che scon-volge è il fatto che situazioni simili sierano già presentate nel passato inKenya: stessi luoghi, stesse questionietniche, perfino stesse strategie. Ognivolta che la violenza etnica ha colpitola Rift Valley, nei primi anni ‘90 ed ora,le tensioni locali sono state innescatedalla politica. Gli scontri avevano re-clamato più di mille vite e, anche sein grado minore alla fine degli anni’90, non erano mai completamentescomparsi, tale che quest’ultimo cicloelettorale, ancora una volta, era votatoal disastro fin dall’inizio.Per quanto le autorità non abbianoprodotto alcuna prova di un direttolegame tra politici di spicco e violen-za, gruppi attivisti di diritti umanihanno documentato i discorsi di certileaders contro certi gruppi etnici du-rante la campagna elettorale. Fattochiaro, nel nostro paese sono statecommesse gravi ingiustizie controindividui e comunità. Per quanto tri-ste possa sembrare, diversi kenianisono stati espropriati delle loro pro-prietà in innumerevoli casi di incendie rapine e diverse persone sono stateassassinate di fronte ai loro figli. Alcu-ne bande di giovani percorrono lebaraccopoli chiedendo di vedere lacartà di identità della gente così daidentificare la loro origine etnica. Mol-te delle persone dislocate, fuggitedalla violenza nelle regioni occiden-tali e nella Rift Valley, si sono rifugiatenelle strutture della fiera di Nakuru,solitamente utilizzata per esposizioniagricole, ora trasformata in una casae rifugio per molti. Da Nakuru a Eldo-ret a Nairobi, centinaia di scuole, fieree aule pubbliche offrono rifugio amigliaia di persone, da quando, dopo

testo e foto della nostra corrispondente dal Kenya Caroline Njenga

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l’annuncio della vittoria di Mwai Ki-baki, la gente ha cominciato a cercarecentri che offrissero una qualche si-curezza. Questa è il triste volto delKenya.Dopo più di un mese di stallo politicoe continua violenza, l’economia ke-niana sta toccando il fondo. Nessunoè stato risparmiato e ciascuno stacontando le perdite, che ammontanoa miliardi di scellini. Un famoso scrit-tore irlandese una volta disse:“impariamo dalla storia che non im-pariamo mai niente dalla storia.” Molti

keniani pensavano che il loro paesefosse esente dalle lezioni della storia;davano per scontato che i conflittiche stanno devastando diversi paesisul suolo africano non potessero ac-cadere in Kenya. Parrocchie, stazionidi polizia, aule pubbliche, fiere e stadisono diventati le nuove case per mi-gliaia di rifugiati dopo settimane diviolenza in seguito ai contestati risul-tati delle elezioni.Il governo, aiutato da altre organizza-zioni umanitarie come la Croce RossaKeniana, continua ad offrire razionidi cibo ai rifugiati nel loro paese. Acausa del continuo sopraggiungeredi nuovi rifugiati, i luoghi di accoglien-za sono ora sovrappopolati e si intra-vede una crisi umanitaria legataall’igiene, rifornimento di acqua po-tabile e controllo di malattie, che sono

inadeguate nei campi. Al campo diNakuru circa 8000 rifugiati provenien-ti da Molo, Burnt Forest, Timboroa eEldoret vivono in tende messe a di-sposizione dal governo e dalla CroceRossa keniana. Molti rifugiati sonograti per le donazioni ricevute da per-sone di buona volontà, anche se nonpuò essere paragonato con ciò chehanno lasciato nelle loro case.La situazione dei rifugiati è peggiora-ta quando le già terribili condizionisi sono complicate. Alcuni residentiin certe parti del paese hanno comin-

ciato a vendicarsi verso membri dialtre comunità etniche obbligandolia tornare nelle loro zone rurali. Nellaprovincia del Central Kenya, gli abi-tanti si vendicano chiedendo a chinon è originario di quelle zone diandare a vivere altrove. In un campoho incontrato Lucy Wanjiru, la cui casaè stata bruciata da membri, pensa,della comunità Kelnjin. Mi ha raccon-tato che le bruciarono la casa appenai risultati delle elezioni erano statiannunciati: “Vivo in Rhoda Ngambo,appena 5 chilometri fuori Nakuru;non ho potuto salvare nulla da casamia, sono solo riuscita a scappare coni miei sei figli e mio marito e anchese abbiamo rischiato di essere uccisi,Dio ci ha salvato. Questa non è la pri-ma volta che ci attacano: nel 1997 mibruciarono la casa e dovetti fuggire

a Nakuru, dove ho abitato per 5 anni.Poi sono tornata alla mia terra, ma lohanno fatto di nuovo…”Sono stati riportati diversi casi di in-fezioni al tratto respiratorio tra i bam-bini, dovuti ad esposizione al freddo,mentre in altri campi si temeun’epidemia di malaria. Il Kenya ospi-ta circa 210.000 rifugiati fuggiti dapaesi come il Sudan, la Somalia el’Etiopia a causa della guerra. I disor-dini post-elettorali hanno gettato ilpaese in un disastro che conta più di1000 persone morte, migliaia di rifu-

giati e proprietà per un valore dimiliardi di scellini distrutte. Ilministro del Kenya Special Pro-grammes, Naomi Shabban, haannunciato che il numero di ri-fugiati interni ammonta a222.177. Nella città di Naivasha,70 chilometri da Nakuru, sono tra30.000 e 40.000 i lavoratori cheguadagnano il loro salario lavo-rando nelle aziende agricole. Lamaggioranza degli operai nelsettore della floricultura enell’industria della pesca residentinella città vengono dalle regionioccidentali. Naivasha ospitava giàmigliaia di rifugiati provenientida Burnt Forest, Eldoret e altrecittà della Rift Valley. Una dome-nica mattina, al loro risveglio, iresidenti si sono trovati di frontea scene a cui mai avevano assi-

stito: bande di giovani avevano presopossesso della città e, armati di armiimprovvisate, chiedevano ai residentidi identificarsi, mutilando a mortetutti coloro che appartenevano a co-munità nemiche.Al campo di Nakuru ho parlato anchecon John Wainaina Ndungu, un gio-vane di 27 anni, il quale mi ha raccon-tanto che il 27 dicembre in Mumias,una città dell’ovest dove viveva la suafamiglia, una banda di 20 uomini eraentrata in casa loro con maceti e ba-stoni e li aveva attaccati. Anche sesono riusciti a salvare parte delle loroproprietà e a salvarsi, molto è andatodistrutto e due membri della famigliasono stati uccisi: “Ho perso mio fratel-lo e mia sorella, uccisi dalla banda.”Come si è svolto l’attacco? “Avevanodei maceti e li hanno colpiti; quando

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Nella foto: mappa etnie.

ti rifiuti di uscire dalla casa, quelliabbattono la porta e ti uccidono. Miofratello – si chiamava Joseph – fu ilprimo ad essere ucciso, poi mia sorel-la di 12 anni; io fuggii dalla finestracon mio figlio e mia moglie, nudi.Conosco le persone che ci hanno fat-to questo, gente con cui abbiamoconvissuto per 25 anni, che conoscoda quando sono nato. Non abbiamoseppellito mio fratello e mia sorella,sono ancora nella casa. Da parte miali ho perdonati: che Dio faccia la suaparte. In ogni caso non posso tornarelà. Lavoravo in una stamperia per lapubblicazione, ma sono contentoperché sono vivo, anche se il doloreper la perdita di nostro fratello e no-stra sorella è grande.”La pace non si costruisce attorno alletavole di un consiglio o attraversotrattati, ma nei cuori degli uomini(Albert Einstein)Il governo del National Rainbow Co-alition (NARC) avrebbe dovuto creareuna commissione di Verità e Giustizia,che avrebbe condotto il paese adaffrontare apertamente i suoi abomi-nii ed evitare il ripresentarsi di ciò chesta accadendo oggi. La commissioneavrebbe investigato attorno alle cau-se di molti crimini commessi nellaRift Valley ed in altre parti del paese.Non possiamo dimenticarci della vio-lenza che si sta sperimentando nellebaraccopoli di Nairobi, che vede nellapovertà la sua causa principale. Gio-vani uomini e donne soffrono ingiu-stizia attraverso la negazione dei lorodiritti e il fallimento da parte delleistituzioni di rispondere alle loro pro-blematiche, tutto dovuto ad un go-verno inadeguato. Questo ha datoluogo alla formazione di gruppi chericorrono alla violenza per far sentirela loro voce. Nel campo di Jamuhuri,in Nairobi, migliaia di donne e bam-bini sono fuggiti dalla vasta baracco-poli di Kibera subito dopo l’annunciodei risultati delle elezioni. Nella barac-copoli di Mathare, molti di più sonoscappati dalle loro abitazioni dopoessere stati cacciati. Verso la fine digennaio il governo chiese alle fami-glie di rifugiati di tornare alle loroabitazioni affermando che uno statodi sicurezza era stato ripristinato. Fran-

cis Gicheru è uno dei tanti rifugiatida Kibera che non vuole tornare acasa: “Sono venuto qui il 2 di gennaiodopo essere stato cacciato da casamia e non posso tornare indietro. Ierimattina sono andato là e, dopo esserestato derubato del cuscino, sono statopicchiato. Di quale sicurezza parlano?Non c’è sicurezza. Alcuni hanno la-sciato il campo, ma io non posso. Mol-ti sono tornati alla loro zona rurale;io vengo da Nakuru e anche là ci sonodisordini, non posso tornare indietro,rimango qui.”I leaders religiosi del paese hannofortemente condannato l’attuale vio-lenza. I vescovi cattolici del Kenya,insieme al Cardinal John Njue, in unalettera riguardo ai continui sforzi dimediazione, hanno dichiarato che ilpaese è soggetto a fenomeni di puli-zia etnica e crimini contro l’umanità.I vescovi affermano che danno il loropieno appoggio allo sforzo di media-zione di Koffi Annan e il suo team.In precedenza la Conferenza delleChiese di Tutta l’Africa (AACC) avevapianificato per un incontro del Nobelper la pace, Arcivescovo DesmondTutu, con i due leaders politici. Il ve-scovo anglicano li aveva fortementeinvitati a fermare il massacro e risol-vere il problema seduti attorno adun tavolo.Tuttavia, come Paese non possiamoperdere la speranza. Durante i mesipassati, quando la violenza dilagava

nel nostro paese, i keniani hanno piùvolte insistito: “il nostro paese è piùgrande di ogni singolo individuo.”Allo stesso tempo però, siamo laceratida odio e violenza. Le parti nemicheparlano di pace e del processo di pa-ce senza affronatare il cuore del pro-blema. Per il passato, il perdono ènecessario. Per il futuro è necessarioun cambiamento del cuore; non pos-siamo parlare di riconciliazione men-tre certa gente continua a devastareproprietà, bruciare case, uccidere uo-mini e donne e parlare male deglialtri gruppi etnici.Il Kenya resiste, con il processo dimediazione guidato dall’ex segretariogenerale delle Nazioni Unite, KoffiAnnan, insieme a Garcia Machael eBenjamin Mkapa. Il presidente MwaiKibaki e il leader dell’opposizioneRaila Odinga hanno finalmente capi-to che la violenza non giova a nessu-no. La domanda inveitabile resta, inriferimento a come il Kenya affronteràla questione delle atrocità che sonostate commesse. Dovrebbero essereistituiti tribunali per punire i colpevo-li? Dovrebbe essere coivolta Amnestyper garantire la pace? O si dovrebbecreare una commissione che assicuriche gli eventi del passato siano rico-nosciuti e non ripetuti e che la dignitàdi vittime e sopravissuti sia ristabilita?

Traduzione a cura di Stefano Tassinari  

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Nella foto: un supporter di Raila Odinga piange perché il suo leader salvi il popolo kenyano.

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Non c’è posto per sole donne!Nigeria: la tradizione Igbo

storie dai Sud/1

ull’orizzonte si vedeva la lucegiallastra del sole che tra-

montava. Una gallina guidava il suogregge di pulcini verso il pollaio se-gnando la fine della giornata. Dallasua posizione, seduta sul sediolino difronte alla cucina, Adaku osservavala loro marcia con aria disinteressata.Aveva troppo cui pensare. Un’altragiornata di malinconia cronica stavaterminando.Dalla distanza si udiva la voce delmessaggero del villaggio che annun-ciava che ci sarebbe stata una sedutastraordinaria del consiglio degli an-ziani la mattina successiva. Adakunon diede alcuna attenzioneall’annuncio che considerava unanormale faccenda amministrativadell’affare del villaggio. Erano anniche annunci del genere non avevanoniente a che fare con la sua immedia-ta famiglia. Una famiglia senza unmembro maschio era solo destinataa scomparire dalla faccia della terra.Quelle come la sua, non era conside-rata minimamente quando si pren-devano decisioni importanti per lacomunità.Adaku avanzò verso una delle casettecostruite in fango con tetto in paglia.Scostò la tenda che copriva la portadi legno ed entrò nella stanza semibuia. Una figura sdraiata sul lettinodi bambù si muove a fatica.«Adaku, sei te?» si sentì dire dalla vocestanca di una donna.«Sì, mamma. Sono venuto a chiedertise volevi mangiare qualcosa.» RisposeAdaku avvicinando il lettino.«Mba nwam. No figlia mia. Non ho

fame.» faticò a rispondere la donna.Adaku la sistemò meglio sul letto ela ricoprì con la coperta. «Ma mammadevi mangiare qualcosa. Ricordi cosaha detto il medico?» Insistette Adakucon un po’ di premura. «Sì che mi ri-cordo, ma che senso ha continuare avivere così? Le nostre due vite messeinsieme non valgono nemmeno unadi un uomo, neppure quello di unbambino. Lasciami morire in pacefiglia mia, abbiamo un destino crude-le e prestabilito.»«Non parlare così mamma. Sai chenon mi piace quando dici queste co-se. Ora ti vado a prendere qualcosada mangiare.» Concluse Adaku primadi uscire dalla stanza senza attenderela risposta della madre che non arrivò.Andò in cucina e tornò con un piattocaldo di zuppa di pesce piccante conall’interno pezzi di igname.Fuori non era ancora fatto buio. Lavita del resto del villaggio continuavacome se niente fosse. Si sentiva an-cora la voce dei bambini nel recintodella famiglia affianco che giocavanoa nascondino. Come ogni sera il ricor-do della sua infanzia felice tornò atormentarla. Adaku si girò sul lettocercando di non pensare, ma era im-possibile. L’incubo era ricorrente. Videla faccia sorridente del padre che lateneva per una mano mentre la ac-compagnava a scuola. La sua mentesi fissò sul viso bello e rassicurantedel padre e un fiume di lacrime leriempì gli occhi. Con fatica si sforzòdi dormire un sonno poco tranquillo.Gli anziani erano riuniti sotto il gigan-tesco albero ancestrale. Il largo tronco

dell’albero Iroko era il luogo più im-portante del villaggio dopo il santua-rio di Amadioha – dio della guerra edella giustizia – il dio più temuto dellacomunità. Da tempo immemore, tut-te le decisioni importanti della comu-nità sono prese sotto questo alberoe così sarà anche per la decisione dioggi.Il primo a prendere la parola dopo ivari saluti fu Mazi Udokwu, il più an-ziano di tutti gli uomini riuniti, ognu-no a rappresentare la sua famiglia.L’anziano aprì la discussione dicendo,«Mazi Obioha, hai chiesto tu la con-vocazione del consiglio di oggi, oradicci perché ci hai fatto chiamare.»Mazi Obioha si alzò e prese la parola.«Umunna m Ndewonu! Compatriotimiei, vi saluto! Vi ho chiamato oggiperché volevo porvi un problema chemi sta pesando da un bel po’. Voi sa-pete che “il rospo non corre duranteil giorno senza motivo. Se non stacorrendo dietro qualcosa, allora qual-cosa gli sta correndo dietro”».«È così!» risposero gli anziani in coro.«Un anziano non rimane seduto men-tre una capra soffre il dolore del partolegata ad un palo. Non è così, miagente?» Continuò Mazi Obioha, abi-tuato a parlare in proverbi come tuttigli anziani.«È così!» gli anziani risposero ancorain coro.«Mazi Obioha, arriva al dunque. Ab-biamo altre cose cui prestare atten-zione.» intimò Mazi Udokwu, sapen-do che Mazi Obioha era uno cheallungava troppo il discorso.Riprese Mazi Obioha, tagliandoglicorto. «Sto arrivando. Voi sapete chemio fratello Amobi… che la sua ani-ma resta in pace… prima di morirenon aveva un figlio maschio».«Sì, che lo sappiamo!» risposero incoro.«Se lo sapete, allora, vogliamo tuttirimanere con la bocca tappata men-tre il nome della sua famiglia sparisce

di Uchenna Benneth Emenike (Nigeria)

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dalla faccia della terra?»«Noooooo!» risposero gli anziani incoro. Poi, qualcuno di loro aggiunse,«Tuffiakwa! Faremo qualcosa!»Mazi Obioha lanciato il sasso, lasciòla parola a Mazi Udokwu che avevail compito di guidare il consiglio. Allafine della seduta fu presa la decisioneche la tradizione prevedeva in casidel genere. Era compito di MaziObioha prendere l’iniziativa di ese-guire la decisione degli anziani.Adaku e la madre erano sedutenell’Obi - Una capanna con i lati aperticostruita al centro di ogni cortile difamiglia e destinata ai ricevimenti –quando videro arrivare Mazi Obioha.Cadeva una pioggerellina che rende-va l’aria tropicale meno soffocante.Era uno dei pochi momenti rari diserenità che Adaku riusciva a godersiall’aperto in compagnia della madre.Vedendo lo zio, Adaku si alzò in piediper salutarlo con rispetto e lo stessofece la madre, ma da seduta.Dopo essersi seduto, rifiutando la tra-dizionale offerta e condivisione dikolanut , segno di ospitalità, MaziObioha andò diritto al punto. «Sonostato incaricato dal consiglio deglianziani di venire a comunicarvi unasua decisione che vi riguarda.»Le due donne si guardarono allibite.“Da quando sono diventata così im-

portante da meritareuna comunicazionediretta dagli anzianidel villaggio?”, pensa-rono nel cuor loro.«Stiamo ascoltandoMazi, va avanti.» ri-spose la madre diAdaku.«Ecco cosa ha decisoil consiglio nella se-duta di stamattina:“Che tu e tua figliadovete decidere fra,…sposare una ragaz-za che potrà dare unfiglio maschio a miofratello Mazi Amobi.Oppure…”» M aziObioha stava conti-nuando quando fuinterrotto da Adaku.«Cosa state dicendo

Mazi Obioha? Che io e mia madredobbiamo prendere una moglie peril mio defunto padre? Ma lei parlasul serio oppure c’è qualcosa che misfugge?» Incassò Adaku non com-prendendo un discorso apparso stra-no solo a sentirlo. «Stai zitto Adaku enon alzare mai più la voce quandoparla tuo zio.» la sgridò la madre. «Fàprima finire tuo zio.» aggiunse. MaziObioha fulminò Adaku con gli occhiprima di riprendere. «Oppure, tuAdaku dovrai rimanere a casa a farefigli senza sposarti, solo così potraidare un erede a tuo padre. È l’unicomodo per evitare di chiudere il li-gnaggio di Mazi Amobi. Questa è ladecisione che il consiglio ha preso eche mi ha incaricato di portarvi. Io lamia l’ho detta, se volete potete fareil contrario, ma sappiate che la deci-sione del consiglio è finale.»Mentre andava via, Mazi Obioha sivoltò verso Adaku e disse, «Non c’èposto per una famiglia di sole donnenella nostra comunità e dovrebbesaperlo tua madre.» Poi, alla madredisse, «Se avessi accettato la tradizio-ne che mi consentiva di occupare ilposto di mio fratello Amobi come tuomarito, non saremmo arrivati a que-sto punto…».Quando andò via, la madre raccontòalla figlia quello che prevedeva la

tradizione: “Nella tradizione Igbo, sein una famiglia una donna non ha onon può avere figli maschi, dovevaprendere una ragazza per sposa daoffrire al marito per poter dargli figlimaschi oppure lasciare che sia il ma-rito a prendere un’altra moglie. Altri-menti, se ha solo figlie femmine, allorauna delle figlie poteva sacrificarsi efare figli in casa dei genitori senzasposarsi.”Quando ebbe finito, Adaku chiesealla madre: «Ma se non c’è più papà,con chi si deve sposare questa don-na?»«Per nessuno, figlia mia, per nessuno.O Forse per noi due.» Chiarì la madre.«Allora chi metterà incinta questadonna, oppure io e te dobbiamo im-provvisarci uomini per dormire conlei? Non capisco! Non dirmi che lospirito di papà ci farà visita ogni seraper dormire con la neosposa?» Ribat-té Adaku, ancora più confusa di pri-ma. La madre la guardò come se atrent’anni fosse ancora una bambina.«No figlia mia, non è così. Saremo noia scegliere l’uomo che potrà generareun figlio con la donna.L’uomo nonavrà alcun diritto sui figli che la donnametterà al mondo, ma saranno figlidi tuo padre. »

Gli igbo:rappresentano uno dei più grandi gruppi etniciafricani.Le regioni tradizionalmente abitate dalpopolo Igbo vengono chiamate anche Igboland,in particolar modo in riferimento alla Nigeria, doverappresentano il 17% circa della popolazione.

Igname:tubero ricco di amido, consumato per usoalimentare.

Kolanut:La noce di cola, molto diffusa nelle culturedell'Africa occidentale, viene masticata spesso dagliappartenenti alle tribù, sia individualmente che ingruppo. Ha un elevato valore simbolico poichéviene consumata durante riti e cerimonie, per dareil benvenuto agli invitati, per siglare un'intesaraggiunta o la riconciliazione tra due parti.

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Nella foto: una donna africana innalza la sua raccolta di frutta di karité in segno di ringraziamento alcreatore, dinanzi all "Albero della vita" (dipinto di Quest Skinner)

NOTE

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Il fenomeno dei bambini “stregoni”: unflagello nella città di Kinshasa

storie dai Sud/2

ella Repubblica Democraticadel Congo – e in particolare a

Kinshasa- moltissimi bambini sonoancora oggi accusati di “stregoneria”. Il fenomeno dei bambini “stregoni”è un vero flagello per la gioventùdella città.I bambini sotto accusa hanno fino a12 anni, ma possono avere anche soloun anno. Sono vittime di una societàintollerante, abbandonati per le stra-de della capitale Kinshasa: le verecausa sono il divorzio dei genitori, lapovertà, la manipolazione da partedei pastori religiosi, o il fatto che ilbambino abbia rivendicato i suoi di-ritti.Nella cultura tradizionale congolese,e in quella africana in generale, laprocreazione è fondamentale per unacoppia, e l’assenza di bambini è ungrave problema, che può portare aldivorzio. Oggi, tuttavia, molti bambinivengono accusati di “stregoneria”. Evengono discriminati, maltrattati dal-la famiglia e dalla comunità, e persfuggire alle torture lasciano la lorocasa per abbracciare la vita della stra-da, dove vige solo la legge “deltaglione”.Ma chi sono i bambini accusati distregoneria? Secondo l’operatore so-ciale M.Remy Mafu, coordinatore del-la Rete degli Educatori dei Bambinidi Strada, molti bambini accusati distregoneria sono semplicemente figlidi famiglie poverissime, o figli natifuori dal matrimonio, o orfani, maanche i bambini che fanno pipì a let-to, quelli che mangiano troppo, e per-sino quelli che soffrono di deforma-

zioni fisiche o di handicap psichici, dianemia, di epilessia, i bambini irre-quieti e quelli che reclamano in quel-che modo il rispetto dei propri diritti,rivelandosi “turbolenti”. M. Remy sot-tolinea di non avere mai visto il figliodi un Ministro o di un funzionario dialto livello accusati di stregoneria: sitratta soprattutto di poveri.Quando una famiglia accusa un bam-bino di essere uno stregone, lo co-stringe con la forza a “confessare” lasua colpa, che si rivela dai fattori pra-tici elencati in precedenza. Se il bam-bino rifiuta l’accusa, viene picchiatoe minacciato di morte, e la paura fini-sce per estorcergli una confessione.Non finisce qui, perché una volta cheil bimbo ha confessato, per la famigliasi tratta di un’occasione in più perportarlo da un prete che lo “liberi” daquesta malattia spirituale.La Repubblica Democratica del Con-go è uno Stato laico, ma a maggio-ranza cristiana, e la cristianità dominal’inseme del Paese. Va precisato chein quasi tutte le strade principali dellacittà di Kinshasa, si trovano una deci-na di chiese, che vengono comune-mente chiamate “chiese del risveglio”.Sono queste “chiese del risveglio” adoccuparsi della “liberazione” dei bam-bini accusati di stregoneria.Queste chiese non hanno tutte lostesso rituale di preghiera, e lo stessodiscorso vale per il rito della“liberazione”. Le testimonianze deibambini vittime di questa pratica di-chiarano che un bimbo accusato distregoneria, che si trova in una chiesa,per essere “liberato” è sottoposto ad

un lungo calvario. Prima di tutto, ilpastore fa delle raccomadazioni allafamiglia e al bimbo stesso, prima delrito. Nella maggioranza dei casi, vieneimposto un digiuno “a secco”, e quindiil bambino non può né mangiare nébere per un certo periodo, che va dai3 ai 5 giorni. Durante questi giorni didigiuno, il bambino non potrà dormi-re la notte perché lo obbligherannoa pregare con dei collaboratori delpastore, osservando quindi una“veglia di preghiera”. Inoltre, sarà mes-so “in quarantena”, lontano dalla fami-glia, dagli amici, e sia la chiesa che lafamiglia stessa convinceranno la co-munità a non occuparsi di lui duranteil periodo di digiuno e preghiera, ne-gandogli quindi cibo e acqua.Il momento della liberazione si svolgecon la preghiera del pastore, che è lapreghiera finale.Durante questa preghiera finale ilpastore farà di tutto per mostrare aimembri della sua chiesa il suo potere,arrivando fino a fare ingoiare al bim-bo dell’olio di palma bollente, facen-do in modo che vomiti pezzi di carneumana, oppure mettendogli lo stessoolio negli occhi per “impedirgli di ve-dere il mondo delle tenebre”.L’obiettivo del pastore è che il bam-bino vomiti molto, per potere“interpretare” il suo malessere.Tu t t e q u e s t e c e r i m o n i e d i“liberazione” avvengono nel mancatorispetto della dignità umana, soprat-tutto della dignità del bambino. Que-ste situazioni, che vengono chiamatedi guarigione spirituale, sono in realtàfenomeni di tortura, massacro e umi-

di Kapeta Benda Benda, dalla Repubblica Democratica del Congo

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La società congolese allo specchio per esorcizzare la morte

sacrificando la vita dei bambini condannati al martirio dalla

piaga della fame.

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liazione totale del bambino e spingo-no alla sua esclusione dalla famigliae dalla comunità.Infatti, malgrado tutte le sofferenzeche vengono inflitte al bambino per“liberarlo”, né i genitori né gli altrimembri della famiglia saranno mairealmente convinti che non sia piùuno stregone.Questo femoneno costituisce senzadubbio una violazione dei diritti deibambini congolesi, e a questo riguar-do il governo della RDC deve impe-gnarsi per migliorare la situazionedella popolazione in generale, perchéun flagello come questo prova sicu-ramente che il Paese è in crisi.

Traduzione a cura di Sonia Drioli

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Nella foto: Congo, bambini “stregoni” abbandonati a se stessi per le strade di Kinshasa (ph. Slawek Wojtanowski).

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l’intervista

Malek Shafii è un regista emergentedall’Afghanistan e finora ha realizzatotre cortometraggi: Pamir Territory,End of the Land and Drought in Ha-zarajat. Gira film da circa sette anni.I suoi film dicono molto del sensodell’incertezza, ansia e tristezza cheprevalgono in lui in quanto giovaneAfgano che vuole tornare a casa, es-sere a casa; ma scopre al massimoche sia l’idea di “casa” che di “ritorno”non sono che deboli sforzi.Pamir Territory è stato giratotre anni dopo la caduta deiTalebani, durante le primeelezioni presidenziali nellazona più remota dell’Afgha-nistan situata nella provinciadi Badakhtian (al confine conTajikistan, Pakistan e Cina). Èfocalizzato su Faizabad, ilcuore della provincia Ba-dakhtian, e Ishkashim dove lecomunità agricole Ismailiproducono grano, orzo efrutta per sopravvivere. Senzaelettricità, ponti o strade de-centi per collegare la regionecon altre parti del Paese. Leelezioni, come ci si poteva aspettare,sono state del tutto marginali.Drought in Hazarajat, che è stato gi-r a t o n e l l a p a r t e c e n t r a l edell’Afghanistan, riprende la situazio-ne di una comunità che ha vissuto lasiccità per sette anni e non può piùcoltivare la terra o praticare la zootec-nica.Il centro del trittico è indubbiamenteEnd of the Land, che Shafii girònell’Agosto del 2000. Con inizio a Do-gharoon, al confine con Iran ed Af-ghanistan, è il ritratto di un viaggiointrapreso dal cittadino iraniano JafarPanahi (originario dell’Afghanistan),Mir Hossein Nori, Habib Mohammadi,Anvar Jafari, Azim Ansari, AsadollahShafai, Asef Sottanzoda e lo stessoShafii in bicicletta, per la causa del“Movimento Ciclistico per la Pace in

Afghanistan”. La maggior parte deiprotagonisti sono produttori di filmo artisti e molti si sono trasferiti for-zatamente a causa dell’inesorabileinstabilità politica in Afghanistan. Perquesti uomini il viaggio in bici era unmezzo, spiega Shafii nella voce nar-rante, per protestare contro la Guerrae per rivolgersi idealmente alle Na-zioni Unite, per dar voce alle loro pre-occupazioni.Vinita Ramani (VR): Quanti anni ha ecome è entrato il cinema nella suavita?Malek Shafii (MS): Sono nato nel 1974in un villaggio ed ho vissuto lì fino apoco prima dell’invasione dell’UnioneSovietica. La gente ignorava cosa fos-

sero l’elettricità, il cinema e l’industriacinematografica, ma qualcuno haavuto la possibilità di viaggiare. Gliabitanti del villaggio ed i più poverinon erano consapevoli della moder-nizzazione e finché non sono andatoin Pakistan da rifugiato, ed ho vistola loro televisione, neanche io ne eromolto consapevole. Dopo un annoho lasciato il Pakistan per l’Iran ed èstato lì che ho conosciuto il cinema.Essere da solo e lontano dalla miafamiglia mi ha portato a sognare oimmaginare modi di fare film. Il Cine-ma era un mezzo per realizzare i mieisogni. Ho seguito dei corsi di produ-zione di video e film presso l’Istitutodi Filmografia in Iran. Nonostante ab-bia avuto dei problemi, sono riuscitoa superare il programma di formazio-ne di due anni. Prima dell’11 Settem-

bre 2001 pensavo di presentare il ci-nema alla mia gente e mi chiedevosempre perché avevamo una guerrain corso nel mio Paese. Perché erolontano dalla mia famiglia? Centinaiadi domande mi attanagliavano, vole-vo trovare le risposte attraverso larealizzazione di film e condividere lemie produzioni all’estero. Dopo l’11Settembre i miei propositi cambiaro-no e capii che per il pubblico interna-zionale non c’era cosa migliore delle“notizie precise”, notizie non colorateda persone di partito o velate da sco-pi politici.VR: Come ha imparato a realizzarefilm? È un regista autodidatta o haimparato da registi Afgani a Kabul o

altrove?MS: Come ho già detto, hoimparato a realizzare film inIran, nonostante il fatto che itempi fossero difficili allora.Lavoravo duramente e lo fa-cevo contemporaneamenteallo studio. Quando stavoimparando a fare film, la genteafgana in generale non avevauna buona opinione a ri-guardo. Quando mio padrecapì cosa stessi facendo, mimandò tante raccomanda-zioni (per fermarmi), ma iocontinuai.VR: Qual è la condizione della

filmografia afgana oggi? C’è sostegnoper l’Arte, il Cinema indipendente, inAfghanistan?MS: Negli ultimi anni c’è stato un cam-biamento significativo; ai giovani af-gani si sta aprendo la stradadell’industria cinematografica. Sullabase di una relazione del Ministerodell’Informazione e della Cultura, re-centemente si sono registrate più di80 aziende cinematografiche, ma diesse solo 9 sono attive. Purtroppo, igiovani non sono formati professio-nalmente ed almeno il 99 % di questeimprese non sono altro che un nomeo una copertura. Nel primo anno dallacaduta dei Talebani, è stato dato uncontributo per promuovere e aiutareil cinema in Afghanistan che ha per-messo l’uscita di alcuni buoni film.Un ottimo esempio è Osama, e molti

di Vanita Ramani - Singapore

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altri cortometraggi sono stati presen-tati in molti festival internazionali delcinema. Purtroppo, però, negli ultimiquattro anni non abbiamo prodottoun film decente. Da un lato cerchiamosostegno dalle organizzazioni nongovernative perché il Governo nonha un programma specifico perl’industria cinematografica. Posso es-sere una delle poche persone – senon l’unico – che sta realizzando filmche trattano i temi che mi stanno acuore. Ho realizzato molti dei mieifilm senza aiuti economici. Lavoro erisparmio e, quando ho abbastanzadenaro, giro un film. I miei film sonorealizzati con un budget molto bassoed io lotto ancora per ottenere finan-ziamenti per continuare a far film.Cosa ancor più triste, non riesco atrovare un pubblico o dei distributorirealmente interessati ai film che rea-lizzo. Ho partecipato a molti festivaled ho vinto un premio per il “migliorfilm-documentario” in un festival inRussia.VR: Come la Guerra in Afghanistan(l’ultima “Guerra al terrore” statuni-tense) ha influenzato l’industria ed ilPaese?MS: Dopo la caduta dei Talebani cisono stati dei cambiamenti incredibi-li. Alle donne è stato permesso di ri-cevere nuovamente l’istruzione, imezzi di comunicazione erano attivi,noi abbiamo iniziato ad ascoltare dinuovo la musica e sono rincominciatele trasmissioni sia radiofoniche chetelevisive. Ma sfortunatamente ora lasituazione è terribile. Tutti hanno pa-ura delle esplosioni, che si possonoriprendere di frequente con la video-c a m e r a i n a l c u n e z o n edell’Afghanistan. Il Governo è impe-gnato contro la corruzione ed anchela comunità internazionale dà prioritàalla sicurezza e alle problematichecorrelate. Purtroppo, la cultura e l’arte,che sono il fondamento psicologicodel senso di sicurezza e di instaura-zione della Pace, sono dimenticate.Quindi al momento si hanno pocheopportunità di trovare un lavoro: puoilavorare per il Governo oppure, seconosci un pò l’inglese, puoi lavorareper le Organizzazioni non governati-ve. Altrimenti la vita è dura perchè

non ci sono molte alternative a dispo-sizione. La maggior parte degli Afganiistruiti sta perdendo la speranza e sisente desolata se guarda al futurodel proprio Paese. Ogni giorno sen-tiamo storie di esplosioni ed attacchisuicidi ma non sentiamo notizie suglisforzi per la ricostruzione e questo èun problema serio.VR: Come la Guerra ha influito su dilei e la sua famiglia?MS: I miei genitori vivono nella pro-vincia di Ghazni; purtroppo, non liposso raggiungere a causa delle mi-nacce alla sicurezza che sono moltoprobabili lungo la strada verso la pro-vincia e dove vivono. I Talebani rivo-luzionari controllano le strade princi-pali e se trovano qualcuno che lavoracon le Organizzazioni non governati-ve o per il Governo, lo decapitano.Solo due mesi fa, due miei parentisono stati uccisi dai Telebani. Il Gover-no è consapevole di ciò ma non siinteressa e di recente ho sentito chela gente si rivolge ai Talebani per ri-solvere i propri problemi.VR: Riguardo i suoi tre brevi docu-mentari, perché ha deciso di realiz-zarli?MS: Ho voluto realizzare documentariche cercassero di rappresentare inmodo preciso e realistico la situazio-ne nel mio Paese. Non è solo il pub-blico internazionale a non essere con-sapevole di ciò che sta accadendo, lamaggior parte degli Afgani non co-nosce abbastanza del proprio Paese.Per esempio, molti che vivono nellaprovincia meridionale non hannoidea di quali popolazioni vivano nelleprovince vicine. I documentari cheho realizzato almeno ci aiutano adimparare e capire di più su noi stessi.

Al momento penso che in Afghani-stan ci siano varie forme di discrimi-nazione. Per esempio, nei miei corto-metraggi sulla siccità in Hazarajat, siè testimoni di un disastro ma il Go-verno non vi ha prestato attenzione.Ho mostrato i miei film all’ufficio delPresidente, ma sembra non aver su-scitato interesse perché Hazaras nonha nessun potere nel Governo. La ter-ra del Pamir è quella in cui vive lapopolazione Badakhshan ed ancheloro hanno subito discriminazioni dalGoverno perché sono una minoranzaetnica. In futuro, vorrei cercare di re-alizzare film sulla discriminazione,voglio fare qualcosa per svelare leingiustizie fino a che il Governo sisenta costretto ad impegnarsi e farqualcosa per la sofferenza della po-polazione. È un messaggio alla gente..MS: Il problema più grande per moltefamiglie è la mancanza di lavoro. Sesi va a Kabul, ci sono migliaia di per-sone che vendono sigarette e soprav-vivono dalle entrate di quell’attività.Sulla scorta di una relazione che holetto, quasi 60.000 bambini vendonosigarette o chiedono l’elemosina persopravvivere. Ritengo che questo ab-bia un grosso effetto sulla vita delleloro famiglie. Più del 60% degli abi-tanti di Kabul mangia due volte in 24ore soltanto te e pane. Molti di più siammalano, specialmente le donne,saccheggi e crimini sono in aumento.Le condizioni sono peggiorate anchenelle province. Purtroppo questo èun quadro realistico dell’Afghanistan,ma viene dimenticato o ignorato.

Traduzione a cura di Stefania Ventura

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Kosovo: La terra degli altri

politica inter-nazionale/1

’era una volta un (bel) Paeseformato da sei repubbliche: la

Jugoslavia. Pian piano delle sei re-pubbliche ne restarono due: Serbiae Montenegro… Sembra una favola,anche perché della Jugoslavia ormainon resta nulla.Un anno fa finisce il matrimonio traSerbia e Montenegro, ciò che restavadelle sei repubbliche si è definitiva-mente dissolto e così la grande, pic-cola Serbia rimane sola, con due re-gioni autonome: Vojvodina e Kosovo.Ma da queste parti le cose cambianoin fretta e le favole sono costrette adaggiornarsi continuamente sotto laspinta della storia ed infatti, dopomesi e mesi di trattative, negoziati,pressioni internazionali… il Kosovoproclama l‘indipendenza.Ma cosa c’è dietro questo lungo edoloroso processo durante il quale iKosovari hanno fatto di tutto peremanciparsi dalla Serbia?Secondo l’ultimo censimento Jugo-slavo del 1990, il Kosovo aveva quasidue milioni di abitanti, tra cui 80 %Albanesi, 10 % Serbi e 10 % gli altri.Alla luce di questi dati sembra tuttochiaro: gli Albanesi del Kosovo costi-tuiscono la stragrande maggioranzae su questo non ci piove. Ma c’e sem-pre qualcosa dietro la notizia e la Sto-ria è lì a ricordarci che secoli fa esiste-va un Kosovo a maggioranza serba.Questa terra ha per il “popolo celeste”(come a volte i Serbi amano definirsi)un valore più che simbolico: il Kosovoè un mito e non si tocca!Questo mito risale addirittura al 28giugno 1389, il giorno della grande

battaglia in Kosovo che vide la scon-fitta dei Serbi da parte degli ottomani.Una sconfitta così importante da es-sere celebrata con una festa, Vido-vdan, perché se è vero che segnal’inizio della dominazione turca è veroanche che segna l’inizio della rivalsadi un popolo fiero e mai domo. Na-scono così figure leggendarie comeZar Lazar e Zarina Milica, Milo•Obili•Marko Kraljevi•e tanti altri. Quella cheè stata una sconfitta man mano sitrasforma in una grande vittoria. IlKosovo è il luogo della resurrezionedella Serbia, dove ci sono ancora imonasteri ortodossi, culla e baluardodella fede ortodossa nei Balcani. Tuttoquesto spiega come nell’etica serbacoesistono due concetti basilari: Vi-dovdan (il 28 giugno) e il Kosovo.Sono concetti inscindibili ai quali iSerbi non vogliono e non possonorinunciare.Il Kosovo è parte della coscienza po-polare serba e malgrado oggi i serbiin Kosovo siano una minoranza, nonc’è serbo che possa pensare ad unaSerbia senza Kosovo. Tutta la loro sto-ria e il loro orgoglio sono basati suquella regione.Il Kosovo ha avuto una storia moltotormentata, culminata con i dolorosianni del’occupazione nazi-fascista,durante l’ultimo conflitto mondiale.Nel dopoguerra, con Tito, nella exJugoslavia le cose andavano bene.Secondo la Costituzione jugoslavadel 1974, alle sei repubbliche confe-derate era accordata la possibilità diun’eventuale indipendenza. Vojvodi-na e Kosovo, invece, sono regioni au-

tonome e fanno parte della repubbli-ca serba ed a queste regioni la costi-tuzione tecnicamente non accordatale possibilità. Evidentemente inquei giorni nessuno poteva pensaread una secessione del Kosovo.In quel periodo, dopo il boom econo-mico degli anni Sessanta, il Kosovoera la regione jugoslava più poverae meno sviluppata. Si diceva che tut-ta la Jugoslavia lavorava per il Koso-vo, un po’ come accade in Italia per imeridionali. Nella terra dei miti nasceun altro mito: quello degli abitantidel Kosovo (Albanesi e Kosovari) pigrie dediti a mettere al mondo figli. Unavera e propria politica demografica,dicono le malelingue, con lo scopoevidente di rendere i Serbi una mino-ranza. Il 1980 è stato l’anno crucialequando, all’indomani della morte diTito, iniziarono le prime confuse pro-teste con alcuni kosovari di etnia al-banese che chiedono la costituzionedi una Repubblica del Kosovoall’interno della federazione jugosla-va, altri l’indipendenza ed altri ancora,addirittura, la nascita di una “grandeAlbania” con l’annessione del Kosovo.La prematura rivolta fu repressa mail problema fu semplicemente riman-dato nel tempo dato che in queglianni è proprio il Kosovo a costituireil punto focale della crisi jugoslava. IlPaese si stava cacciando in una stradasenza uscita e i conflitti etnici, tenutia freno dal grande Tito, adesso anda-vano via via inasprendosi. In queglianni le previsioni circa un probabileconflitto armato in Jugoslavia eranotutte incentrate proprio nel Kosovo.Nessuno poteva immaginarsi i mas-sacri in Bosnia ed Erzegovina. La nuo-

dal nostro corrispondente dai Balcani Dario Terzic

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L’indipendenza unilaterale del Kosovo del febbraio2007 e il rischio concreto di un “effetto domino” perle minoranze dello scacchiere internazionale.

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va storia della Serbia (Kosovo com-preso) inizia il giorno del seicentesi-mo anniversario della “battaglia delKosovo” (Vidovdan) col famoso di-scorso di Slobodan Milo•vi•‘’Nessunopotrà mai colpire il popolo serbo’’ cheha alimentato il nazionalismo serbo,era il 28 giugno 1989. L’anno succes-sivo l’autonomia del Kosovo vienefortemente limitata, la Costituzioneabolita e sostituita con uno Statuto,aumentando il senso di oppressionedei Kosovari Albanesi. Vivere in Koso-vo negli anni novanta diventava in-sopportabile sia per gli albanesi (chia-miamoli Kosovari) sia per i Serbi. Inquegli anni la Jugoslavia esplode eper lungo tempo bombe, cadaveri,case bruciate divennero immaginiquotidiane, fomentando quell’odioin qualche modo rimosso durante ilsocialismo.Anche il Kosovo viene trascinato inquesta follia e nel 1996 cominciaquella che si potrebbe chiamare unavera guerra civile che vede contrap-posti l’Esercito della libertà albanesee i gruppi paramilitari albanesi alleforze dell’esercito regolare jugoslavo.Il conflitto è costato quasi mezzo mi-lione di profughi, tra cui 300.000 “non’’albanesi, 12.000 morti (quasi 10.000albanesi). Ricordiamo anche il massa-cro di Suva reka (marzo 1999) sulquale fu basata l’accusa del Tribunaledell’Aja contro Slobodan Milo•vi• Inquello stesso anno l’intervento dellaNATO determinò la fine del conflittonon solo per le forti pressioni a livellodiplomatico ma, soprattutto, per imassicci bombardamenti sulla Serbia.Nasce la Risoluzione dell’ ONU 1244e viene dichiarato il protettorato.Ma questa fu solo una soluzione tem-poranea. Ancora nel 2005 il sottose-gretario americano Nicolas Barns pre-senta il Nuovo piano per il Kosovo.Seguiranno i famosi Contact groups, Crysis groups e altre commissioniinternazionali in cerca di una giustae solida soluzione per la problematicasituazione balcanica.E finalmente nel febbraio 2008 il Ko-sovo è indipendente. Il primo paesea riconoscerlo e l’Afganistan seguitodagli Stati Uniti. Ma l’indipendenzadel Kosovo non piace a tutti, special-

mente a quei paesi che presentanoalcune analogie con la Serbia: ricono-scere l’indipendenza autoproclamatadel Kosovo li porrebbe in grave im-barazzo nei propri confini. È il casodella Spagna riguardo alla questionebasca e di altre nazioni come Cipro,Romania, Slovacchia e in misura mi-nore la Grecia. La Russia poi, è semprestata molto chiara sulla questione delKosovo e si schiera apertamente dallaparte della Serbia.L’unione europea ha rimesso la deci-sione nelle mani dei singoli membri.Per quanto riguarda i paesi vicini dicasa la situazione non è certo miglio-re. La Croazia, per esempio, vorrebbe riconoscere il Kosovo pur continuan-do a mantenere buoni rapporti conla Serbia. La situazione si complicariguardo alla Bosnia ed Erzegovinache è composta da due entità: la Fe-derazione BH (croati e musulmani) ela Republika Srpska( di etnia serba).Al momento i politici bosniaci esitanoa dichiararsi esplicitamente perché èevidente che la situazione in Kosovopotrebbe influenzare pesantementela situazione bosniaca. I serbi dellaRepublika srpska potrebbero infattir i v e n d i c a r e a l o r o v o l t al’indipendenza e questo significhe-rebbe la fine della Bosnia ed Erzego-vina, quella stabilita dagli accordi diDayton del 1995. Come reagirà la co-munità internazionale in questo ca-so? Permetterà la divisione di un pa-ese creato grazie al propriointervento?La confusione regna sovrana, ed ècronaca ormai che, all’indomani dellaproclamazione dell’indipendenza delKosovo, in Serbia sono scoppiati i pri-mi disordini con il presidente serboBoris Tadic che afferma che la Serbianon riconoscerà mai il Kosovo. Nelfrattempo nei Balcani si riaccende unfocolaio. Sarà un falò destinato a spe-gnersi oppure si prepara un nuovo,grande incendio?

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Buenos Aires, Argentina: La facciata della “Escuela de Mecánica de la Armada”, centroclandestino di detenzione e tortura (ph. Sandra Rojo).

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Kenya: Lo slum di Kibera, la baraccopoli più vasta di Nairobi, secondo alcuni la più grandedell'Africa, seconda nel Mondo solo a quella di Rio de Janeiro (ph.Valeria Brigida)

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i poster di Caposudi poster di Caposudwww.caposud.info

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La nascita della Banca del Sud

politica inter-nazionale/2

Buenos Aires, Il 9 dicembre2007, è stata fondata la BanSur

(Banca del Sud), un organismo fi-nanziario costituito da sette paesilatinoamericani: Argentina, Brasile,Bolivia, Venezuela, Ecuador, Uruguaye Paraguay. Lo scopo di questa orga-nizzazzione è di fornire una validaalternativa al Fondo Monetario Inter-nazionale (FMI) e alla Banca Mondiale(BM) in materia di supporto creditizioe finanziamento.L'accordo, firmato alla vigiliadell'insediamente del nuovo presi-dente della Repubblica argentina,Cristina Fernández de Kirchner, è ilrisultato di un progetto avviato ottoanni fa dal presidente venezuelanoHugo Chávez. La sede della Banca delSud si troverà a Caracas ed avrà filialia Buenos Aires e La Paz.L'obiettivo della BanSur è quello difinanziare iniziative rivolte a diminuirei l ivelli di povertà, rafforzarel'integrazione e ridurre le asimmetrieregionali per garantire salute, educa-zione e lavoro ad ogni cittadino. Perpoter raggiungere queste mete siconsoliderà un capitale di 800 milionidi dollari tra i membri, sebbene nonsiano state ancora definite le quotedi partecipazionee di ogni paesemembro. Una delle novità introdotteè che, a differenza di quanto accadenel FMI, dove il diritto di voto di ognisocio nell'assemblea è direttamenteproporzionale all'ammontare dellacontribuzione, nella BanSur tutti imembri hanno peso uguale: un votoper ogni paese.Il progetto, nato dall'iniziativa dei go-

verni venezuelano e argentino, inten-de dotare l'intera area di un mecca-nismo creditizio indipendente dagliStati Uniti e dall'Europa. Negli ultimianni il  Venezuela è stata una delleprincipali fonti di finanziamento peri paesi latinoamericani e la creazionedella Banca del Sud è il risultatodell'impegno sempre crescente diquesta nazione a favore dello svilup-po dell'intera America Latina.Una nuova opportunità per l’AmericaLatinaIl XX secolo ha visto le strutture finan-ziarie e politiche della regione scon-volte da governi patriarcali, dittatorisanguinari, guerriglie e neoliberali-smo col risultato d'impoverire semprepiù la classe media e lavoratrice, au-mentando la forbice tra le classi ric-che e quelle meno abbienti. Questasituazione è testimoniata dal fattoche tra i tre più grandi debitori delFMI si trovavano due paesi latinoa-mericani: Brasile e Argentina.Le politiche neoliberali, tanto lodatedagli Stati Uniti, hanno finito conl'indebolire l'economia latinoameri-cana. Le aziende più importanti e iservizi pubblici di ogni paese sonopassati in mano a capitali stranieri ei profitti generati, trasferiti fuori con-tinente senza nessun beneficio perle classi sociali inferiori.Verso la fine del secolo però, le con-traddizioni di questo modello di svi-luppo hanno portato, finalmente, adun'inversione di tendenza. Il popolo,democraticamente, ha scelto candi-dati più critici nei riguardi delle poli-tiche neoliberali e più sensibili ai pro-

dall’Argentina Ana Belluscio

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Una risposta democratica al sistema neoliberista deitradizionali organismi finanziari internazionali: unaltro passo verso la piena autonomia dal duopolioeconomico Europa-USA.

blemi della nazione: è il caso di HugoChávez (Venezuela), Néstor e CristinaKirchner (Argentina), Evo Morales (Bo-livia), Luiz Inácio Lula da Silva (Brasile),Tabaré Vázquez (Uruguay), Rafael Cor-rea Delgado (Ecuador), José DanielOrtega Saavedra (Nicaragua) e Fer-nando Lugo Mendez (Paraguay).La Banca del Sud, oggiAttualmente l'attività della BanSur siconcentra su due punti fondamentali:determinare i capitali che apporteràogni paese e definire la natura stessadella banca. Si dibatte ancora se laBanSur si limiterà a stimolare i pro-getti d'infrastruttura per l'integra-zione regionale o se, da qui ad unadecina di anni, potrebbe acquisireanche la possibilità concreta d'inter-venire a sostegno delle economieLatinoamericane in caso di crisi.Per la prima volta dopo secoli di spo-liazioni, a causa di politiche colonialie  dittature militari devastanti,L'America Latina ha la concreta pos-sibilità di avviarsi verso l'indipen-denza economica. La decisione finale,ovviamente, spetta ai paesi membridella nuova BanSur e al loro impegnoper rendere operativo un progettoche non sembra esagerato definirestrategico per le sorti dell'intera area.Da loro dipende fornire alla regioneun'alternativa di sviluppo non in-fluenzata dagli interessi internaziona-li.

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Gli egiziani voglionouna Palestina libera

politica inter-nazionale/3

Che fare quando un gruppo disoldati armati ti entra in casa

mentre dormi o mentre sei a tavolacon i tuoi, e ti minaccia con le armi, eterrorizza i tuoi figli, e ti costringe adandar via o a condividere la casa conmilitari che da quel momento in poistabiliscono come vivrai in casa tua,gli orari in cui ti sarà permesso entrarein camera da letto, in cucina …? E chefare quando ogni giorno per raggiun-gere un paese vicino, dove magarilavori, sei costretto a fermarti ai postidi blocco dove verrai sistematica-mente controllato e perquisito dasoldati armati e spaventati? E quantaaggressività in quelle case, in queivillaggi occupati, in quei check point… quanto dolore in quei campi pro-fughi … quante ingiustizie si devonoancora sopportare? E pensare che lenuove generazioni sono nate in que-sto clima di violenza. I bambini inPalestina sono abituati a tutto questo.E quest'occupazione, assolutamenteillecita e disumana, e' sostenuta datutta la comunità internazionale, e'promossa dagli Stati Uniti.  Tutti "ami-ci" di un popolo che occupa con ar-roganza e si autogiustifica con un"dobbiamo difenderci", "dobbiamosopravvivere", … e tiran fuori la storiadell'Olocausto mentre ne stanno re-alizzando un altro. Il dolore, la soffe-renza, la disperazione e nello stessotempo la speranza di svegliarsi ungiorno e scoprire che e' stato solo unbrutto sogno, la rabbia di essere dasoli e incompresi in questo incubo… . Che fare? ".Una studentessa dell'Università di'Ain Shams del Cairo, velo integrale,24 anni, mi pose questa domandal'anno scorso.  Possiamo limitarci adetichettare il suo discorso "di parte"e ritornare al nostro silenzio. Ma que-sta versione dei fatti è condivisa dallamaggior parte degli studenti qui inEgitto.

La pace tra Egitto e Israele, firmatanel 1979, inasprì i rapporti tra egizianie l'allora presidente Anwar Sadat.Quella firma decretò la sua morte.Nel 1981 venne ammazzato duranteuna parata militare per mano di unmembro del gruppo islamista armatoAl-Jihad. Ancora oggi gli egiziani rin-negano quel trattato. Si sentono re-sponsabili nei confronti dei loro vicinipalestinesi, e sentono di dover lottareperché la gente di Palestina non deb-ba più patire le ingiustizie perpetrateda Israele.Entrando nel Sindacato dei Medici alCairo, ci si trova subito di fronte adun televisore al plasma che trasmetteininterrottamente immagini depri-menti  girate dai medici egiziani, pe-riodicamente impegnati sulla Strisciadi Gaza per assistere i rifugiati.  Nelleuniversità, nei periodi "caldi", si sontenute manifestazioni in sostegnodel popolo palestinese. Nei quartiericairoti più popolari non è insolitoimbattersi in manifesti del gruppoHamas. Nelle sedi del Sindacato deiGiornalisti, delle organizzazioni per idiritti umani, dei partiti di egiziani disinistra non mancano mai banchetticon materiale didattico sulla questio-ne palestinese e rapporti sulle condi-zioni dei rifugiati."Se Mubarak dovesse perdere alleprossime elezioni e dovesse vincereuno dei partiti che oggi sonoall'opposizione, la pace con Israeleverrebbe rescissa immediatamente", George Ishaq, ex portavoce principaledel movimento d'opposizioneall'attuale regime Mubarak "Kifaya",ne è convinto:  "Gli egiziani sonoschierati unanimemente dalla parte

dei palestinesi". "Siamo contro la violenza. La violenzaè assolutamente inutile per ottenereun qualsiasi obbiettivo. In Egitto spe-riamo che la situazione si evolva pa-cificamente. Ma in Palestina è diverso.Il popolo vive sotto occupazione. Ipalestinesi vivono coi fucili puntaticontro.  Non hanno altro modo perdifendersi. Anche se ci dissociamodagli attentati rivolti ai civili", dice Mr.Hafez Abu Seada Abu Se'da, segreta-rio generale dell'Organizzazione Egi-ziana per i Diritti Umani, esprimendocosì il suo sostegno alla causa pale-stinese. La sua opinione è condivisada Abd el-Wahhab el-Masiri, attualeportavoce del Movimento "Kifaya", eda Abd el-Monam Aboul-Fetuh, por-tavoce "moderato" dei Fratelli Musul-mani.Nei giorni passati a Down Town, cuoredel Cairo, si sono tenute manifesta-zioni sui fatti di Gaza. I Fratelli Musul-mani sono scesi in piazza per soste-nere i r ifugiati di Gaza che,opponendosi all'embargo israeliano,hanno fatto saltare con la dinamiteil muro di confine con l'Egitto. Oltretrentamila palestinesi, bloccati nellastriscia di Gaza dal giugno scorso, sisono riversati nel Sinai egiziano. AmrEl-Kahky, corrispondente di Al-Jazeera a Rafah, ha subito confermatoche le forze di sicurezza egiziane nonhanno fatto ricorso alla violenza perfermare il flusso di gente versol'Egitto.Intanto informatori locali hanno fattosapere che sacchi di farina (probabil-mente di provenienza egiziana) sta-vano arrivando nella zona. Israele hamesso Gaza sotto embargo 7 mesi fa

dall’EgittoMichaela De Marco eArabi Kamal Faragli

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Cresce il sostegno alla causa palestinese da partedei cittadini egiziani che ripudiano le sistematicheviolenze di Israele nella Striscia di Gaza.

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– da quando Hamas ha preso il po-tere nella Striscia, eliminando i con-correnti di Fatah, legati a MahmoudAbbas –  permettendo solo l'entratadi cibo e scor te umanitarie.L'embargo ha creato una situazioneinsostenibile. Gli 1,5 milioni di abitantidella Striscia hanno bisogno di alme-no 250 megawat  di elettricità, manormalmente ne ricevono da Israelecirca 200, la carne è diventata un lus-so, il prezzo è raddoppiato in 10 giornie la gente non dispone più di frigori-feri, vista la scarsità di corrente elet-trica. Il 20 gennaio l'unica centraleelettrica ha chiuso  per mancanza dicarburante. Il black out ha costretto800.000 persone al buio. Un drammase si pensa alle ripercussioni sui ser-vizi medici, sui servizi per la distribu-zione dell'acqua, sulle abitazioni e leindustrie. Intanto Zeev Boim, ministroisraeliano per l’integrazione dei mi-granti, ha dichiarato che piuttostoche condannare le azioni israeliane,le Nazioni Unite dovrebbero condan-nare gli attentati terroristici palesti-nesi contro Israele. È tuttavia un datodi fatto che  i razzi  palestinesi hannoucciso 10 israeliani dal 2005, mentre più di 700  palestinesi  sono morti sotto i raid israeliani nello stesso pe-riodo. La manifestazione organizzatadai Fratelli Musulmani, a cui avevanoaderito tutti i movimenti e i partitid'opposizione al regime, s'è conclusacon pestaggi da parte della polizia e2 mila arresti. La polizia s'è avvalsa digas e dispositivi elettrici per disper-dere i manifestanti.Mubarak, se da una parte ha repressochi era sceso in piazza per sostenerela causa degli abitanti di Gaza,dall'altro ha lasciato che i rifugiatipalestinesi entrassero in Egitto senzaopporre resistenza: "Ho detto alle for-ze di sicurezza di lasciare che i rifugiativengano a mangiare e a comprarecibo, per poi far ritorno al campo".Potrebbe sembrare una contraddizio-ne, ma non lo è. Ha una sua spiega-zione: "La Fratellanza rappresenta og-gi l'unico autentico movimento dimassa del Paese. In poche ore è capa-ce di mobilitare migliaia di cittadinicontro il governo. Talat Harb (princi-pale strada del centro cittadino) era

invasa. I manifestanti erano circa 10mila... il timore del Presidente è chequesta folla oceanica possa riscuoteresuccesso presso l'opinione pubblica"spiega un giornalista. Inoltre consen-tire ai Fratelli di manifestare libera-mente provocherebbe un aumentodelle dimostrazioni: "Sarebbero capa-ci di organizzarne una al giorno! 

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Malawi: Fame nell’abbondanza

politica inter-nazionale/4

lantyre, 11 marzo - Fino a nonmolto tempo fa, i malawiani

erano tranquilli, c'era sufficente cibo ene avanzava. Decine di migliaia ditonnellate di mais, l'alimento basedel paese, erano vendute allo Zimba-bwe e una certa quantità veniva do-nata allo Swaziland ed al Lesotho.Ora non più. L'abbondanza é duratapoco e la gran parte dei malawiani étornata a soffrire la fame come nelpassato. Le donne e i bambini fannola fila, e a volte dormono, davanti aimagazzini di mais per comprare unpo' di questo alimento base che inteoria sarebbe dovuto abbondare.Così il prezzo del mais é schizzato dai$3,57 del maggio 2007 ai $14,29 dioggi: questo in soli dieci mesi. Gli ope-ratori sanitari concordano che i casidi malnutrizione sono nuovamentein aumento. Cosa é successo?La domanda che si pongono i ma-lawiani é: dove é finito tutto il maische il paese credeva di avere? Secon-do i dati, nel 2007 il Malawi ha raccol-to 3,4 millioni di tonnellate di mais,con un surplus di 1,4 milioni di ton-nellate rispetto al fabbisogno nazio-nale di 2 milioni di tonnellate.L'anno precedente il paese aveva unsurplus di oltre 400.000 tonnellate dimais. Negli ultimi due anni, quindi, ilMalawi avrebbe accumulato un sur-plus di 1,8 milioni di tonnellate. Maoggi la gente riesce a malapena atrovare mais in giro, dato chel'organizzazione statale per il com-mercio dei cereali (l'Admarc: Agricul-tural Development and MarketingCorporation) non riesce a soddisfarne

la domanda.Per tentare di distribuire il mais a piùgente possibile, l'Admarc ha comin-ciato a razionarlo: ognuno può com-prarne solo 25kg, non abbastanza persfamare una famiglia di quattro per-sone per un mese."Sono venuta a questo depositodell'Admarc verso l'una di notte percomprare il mais, ma tutto quello cheche ho potuto comprare é questopoco" dice Alice Chikoko ad un gior-nalista davanti al deposito Admarcdella zona di Zingwangwa di Blan-tyre, indicando un sacco da 25kg dimais.Mentre i malawiani si chiedono cosasia successo al loro mais, i partiti po-litici dell'opposizione accusano il Go-verno di vendere tutto il mais alloZimbabwe."Perché il Presidente dà la precedenzaallo Zimbabwe quando la sua gentesta morendo di fame? Il surplus dimais che abbiamo prodotto appar-tiene al Malawi e non allo Zimbabwe,dovrebbe essere dato prima ai ma-lawiani", ha detto la signora Chikoko.Una recente relazione dell'associa-zione dei commercianti e degli indu-striali del grano (GTPA: Grain Tradersand Processors Association) indical'Admarc come principale esportato-re di mais allo Zimbabwe in crisi. LaGTPA sostiene che l'Admarc, attraver-so l'agenzia nazionale per le riservealimentari (NFRA: National Food Re-serve Agency), abbia esportato inZimbabwe 57.947 tonnellate di mais.Il Governo smentisce.L'Admarc sostiene di non aver espor-

dal nostro corrispondente dal Malawi Frank Jomo

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Da principale produttore di mais, il Malawi passa alrazionamento delle derrate per la popolazioneaffamata, su cui aleggia nuovamente l’ombra di unapesante speculazione e della propaganda politica.

tato mais in Zimbabwe; insiste chec'è abbondante mais per i malawianiper i prossimi due mesi, fino al pros-simo raccolto, e che il mais scarseggianel mercato a causa di problemi dinatura logistica.Questa posizione é sostenuta dal Go-verno, il quale dichiara che nel paesec'é abbondanza di mais per i prossimimesi. Il Presidente Bingu wa Mutha-rika, egli stesso Ministro perl'Agricoltura, ha recentemente dichia-rato che le voci di fame nel paeses o n o s t a t e m e s s e i n g i r odall'opposizione per screditare il suogoverno. "Noi abbiamo molto maisnel paese", ha detto durante un rallya Zomba, la vecchia capitale del Ma-lawi. "E' l'opposizione che diffondefalse notizie." Tuttavia, si é contrad-detto quando ha detto che il paesesi trova ad affrontare una scarsità dimais perché l'opposizione stava na-scondendo le scorte.Ironicamente, i l Ministro perl'Informazione e portavoce del Gover-no Patricia Kaliati ha recentementeammesso che due persone dell'areacentrale di Dowa sono morte per fa-me. "Si, il capo della zona mi ha co-municato che due persone eranomorte di stenti ed ho immediatamen-te inviato in quella zona tonnellatedi mais. Abbiamo mais nel paese, ciòche sta ostacolando la distribuzioneai mercati dell'Admarc sono problemilogistici e strade poco praticabili", hadichiarato.E' inspiegabile allora come mai il maisscarseggi anche nei centri facilmenteraggiungibili. Per esempio, il mercatodi Zingwangwa, dove ad Alice Chiko-ko é stato permesso di comprare solo

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25kg di mais, si trova a 5km dai ma-gazzini principali dell'Admarc.Ora i malawiani si chiedono se dav-vero ci sia mai stato surplus di mais.Alcuni sostengono che il Governoabbia gonfiato i numeri per averevoti, mentre altri credono che il sur-plus ci sia stato davvero ma che orail mais sia finito ad Harare.A prescindere dalle opinioni dellagente, non sembra che si potrà smet-tere presto di passare le notti davantiai depositi di mais. La verità più ovviaé che il Governo del Malawi ha malgestito il surplus di mais e chi stapagando a caro prezzo questi errori égente come Alice Chikoko, gente chesta rischiando di assaggiare di nuovoi morsi della fame. 

Traduzione a cura di Rosa Bruno

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Il Marocco e le nuove tecnologiedell’Informazione e della Comunicazione

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e Nuove Tecnologie della In-formazione e della Comunica-

zione (NTIC) rappresentano un set-tore strategico, che contribuisce inmaniera decisiva allo sviluppo eco-nomico e sociale di ogni Paese. Glianni ’90 hanno segnato l’avvento del-la “Società dell ’ Informazione”.L’avanzata tecnologica si compone,da un lato, di spettacolari progressiinformatici e dall’altro di una crescen-te convergenza di questi ultimi conil mondo delle telecomunicazioni edell’audio-video.In Marocco, sono stati raggiunti rapi-damente risultati notevoli dal puntodi vista delle NTIC. Dopo la connes-sione ufficiale alla rete Internet, avve-nuta nel novembre 1995, già una de-cina di anni dopo il Marocco avevaun tasso di connessioni pari al 13.2%(fine 2005). Nel 2006 il numero dicomputer ha raggiunto i 920.000. NelPaese si trovano attualmente più di11.500 “cybercafè”, si contano più di4 milioni e mezzo di internauti, e190.000 case sono provviste di con-nessione. Più di 500 licei sono con-nessi alla rete, ed è in corso la connes-sione per più di 1000. Questadisponibilità di connessione non èaccompagnata, sfortunatamente, dauna equa ripartizione sul territorio(le zone rurali sono connesse ad In-ternet solo al 3% mentre in città siarriva al 30%).(fonte: Osservatorio delle TIC – AN-RT/APEBI).In generale, comunque, lo stato deimezzi di comunicazione in Maroccoè relativamente buono anche nelle

zone più marginali. La televisione conparabola, soprattutto, è fortementediffusa anche nelle campagne e nellebidonvilles mentre la connessioneinternet, se non si trova nelle imme-diate vicinanze, è comunque media-mente raggiungibile in ambedue icontesti.Purtroppo però, il tasso di analfabe-tismo è ancora molto elevato (38%la media nazionale secondo l’ultimainchiesta del Segretariato di Statoincaricato: nelle campagne il tassosupera il 60%). La stampa, locale estraniera, rimane quindi inaccessibilea tutta questa parte della popolazio-ne, mentre le informazioni e le imma-gini che si ricevono tramite parabolasi propagano “bruscamente”: da unlato esse allargano la visione del mon-do, dall’altra fanno crescere, in conte-sti di carenza e di marginalità, un de-siderio di emigrazione “incosciente”verso l’Eden occidentale.Anche Internet, così, rischia di diven-tare uno strumento di basso profilo,usato in modo inappropriato e conbasso impatto educativo specialmen-te sui giovani. In generale, la relativadisponibilità di mezzi di comunica-zione non è accompagnata da suffi-cienti politiche di rafforzamento dellecapacità, specialmente in materia diproduzione dei contenuti mirati allosviluppo e che valorizzino le espe-rienze locali. L’esperienza del portale“Tanmia” va in senso inverso.Tanmia: lo sviluppo locale tramiteinternet.Il portale dell’associazione marocchi-na TANMIA (www.tanmia.ma) è un

di Mourad Gorouhi, direttore della ONG marocchina Tanmia

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portale Internet nazionale, in linguafrancese e araba, destinato a rafforza-re le capacità delle associazioni ma-rocchine grazie all’utilizzo delle Nuo-ve Tecnologie dell’Informazione edella Comunicazione (NTIC).Lo scopo è quello di mettere in rela-zione, attraverso un unico sito Inter-net, tutti gli attori di sviluppo su basenazionale, sia a livello di società civileche di donatori. Il portale Tanmia èuno spazio partecipativo e gratuito,nel quale le associazioni entrano incontatto e scambiano informazionionline. In particolare, le associazionipossono promuovere su Tanmia i loroprogetti, esprimersi e valorizzare leloro priorità, essere informate su tuttigli argomenti fondamentali esull’attualità che riguarda lo sviluppodel Paese. Allo stesso tempo esse pos-sono creare nuovi partenariati con ilsettore pubblico e con quello privato.Il desiderio di Tanmia è così quello dicondividere l’informazione riguar-dante lo sviluppo su un piano nazio-nale, ponendo l’accento sull’efficaciae sulla trasparenza.Il sito è strutturato come segue:Sezione AGENDA, OFFERTE DI LAVO-RO, e BANDI DI GARA : si tratta di spazidedicati alla pubblicazione di eventiche interessano le associazioni ed iloro partner istituzionali.Sezione PICCOLI ANNUNCI e FORUMdi discussione che permettono allacomunità dello sviluppo di comuni-care meglio online.  Tra gli strumenti offerti dal portale, sitrovano inoltre:Una Banca Dati delle associazioni che

rubrica a cura di Sonia Drioli

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si occupano di sviluppo (più di 3400)Una Banca Dati dei vari materiali onli-ne (più di 420 tra articoli, manuali, CDROM scaricabili, file multimediali ecc.)Una Banca Dati delle organizzazioniper lo sviluppo e dei finanziatori (circa90).Una Banca dati dei progetti di svilup-po attivi in Marocco (più di 700). Aldi là delle banche dati, l’informazioneviene anche presentata in forma te-matica (ambiente, diritti umani, ecce-tera).Alcuni partner partecipano anche allapubblicazione online delle risorse edegli articoli. Un sistema di pubblica-zione partecipativo permette alla so-cietà civile e agli internauti di reagireproponendo degli articoli o interve-nendo nei forum tematici.L’associazione Tanmia nasce dalla col-laborazione tra la società di consu-lenza Internet MTDS (Morocco Tradeand Development Services), che èanche provider del portale, con AM-SED (Association Marocaine de Soli-d a r i t é e t D é v e l o p p e m e n t ,www.amsed.org.ma ). L’Associazione

Democratica delle Donne Marocchi-ne, L’Associazione Marocchina per ilSostegno alla Piccola Impresa (AMAP-PE,www.amappe.ma/padef/index.html ) e l’associazione marocchina EN-DA MAGREB (www.enda.org.ma )hanno partecipato al Comitato di pi-lotaggio ed alla pianificazione delportale. Così è nata nell’ottobre del1004 l’associazione TANMIA, prepostaalla gestione del portale e più in ge-nerale alla promozione delle NTIC perlo sviluppo in Marocco.Oggi, il numero di visitatori di Tanmiaha superato il milione e la sua new-sletter viene inviata periodicamentea più di 6 000 destinatari. Il portale èstato sviluppato con tecnologiaopensource. I servizi offerti ed i ma-teriali scaricabili online aumentanodi giorno in giorno e comprendonomanuali di formazione, file multime-diali, kit per la creazione di spazi webindipendenti e di indirizzi email.

Traduzione a cura di Sonia Drioli

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L’abolizione degli ospedali per lacura e prevenzione dell’ AIDScausa preoccupazione deisieropositivi in Mozambico.

lavori in corso/2

l recente provvedimento presodal governo del Mozambico ,

nel marzo scorso, di vietare il fun-zionamento di ospedali esclusiva-mente per le cure mediche e assisten-za di persone infette dal virusHIV/AIDS, continua a preoccupare lastragrande maggioranza dei sieropo-sitivi residenti nel paese localizzatonell’Africa Australe.L’abolizione di questo tipo di ospedalinasce dalla constatazione del gover-no locale dell’aumento di casi di di-scriminazione di malati e portatoridel virus HIV che facevano terapianelle diverse unità ospedaliere non-chè dell’isolamento del progetto stes-so.Inoltre il ministro della Salute , PauloIvo Garrido, ha dichiarato che la mi-sura comprende anche la fine delprogramma di prevenzione della tra-smissione ver ticale del virusHIV/AIDS, e cioè , da madre a figlio (bambini che entrano in contatto conil virus direttamente alla nascita daparte di madri sieropositive) che èstata resa necessaria poichè quellasituazione scoraggiava molte don-ne.E così si è deciso di integrare leattività nei centri di salute materno-infantile prestati negli ospedali conquelle dei centri di salute del Mozam-bico. In realtà,un grande numero dimalati sieropositivi si sono mostratifin dall’inizio molto preoccupati perla decisione di abolire quei reparti eper il fatto che la misura del Governonon abbia avuto una precedentecampagna di sensibilizzazione su co-me i pazienti dovrebbero essere trat-

tati negli ospedali comuni.Gloria Cossa, 28 anni, é sposata e ma-dre di due figli minorenni , vive inuno dei tanti quartieri di periferiadella città di Maputo, capitale del Mo-zambico. Lei è una dei tanti sieropo-sitivi di quel paese ,però é consideratauna persona molto fortunata per ap-partenere alla minoranza che ha ac-cesso ai farmaci antiretrovirali.“Io e mio marito siamo sieropositivida tre anni e abbiamo iniziato la te-r a p i a a n t i r e t r ov i r a l e g r a z i eall’appoggio del programma DREAMdella Comunità di Sant’ Egidio che sipreoccupa anche della prevenzioneda trasmissione verticale del virusHIV/AIDS , e grazie a questo, nostrofiglio è nato sieronegativo. Sono mol-to preoccupata perchè ci dicono chedovremmo sottometterci alle cure inospedali comuni dove i servizi sonomolto lenti e senza sufficienti medi-cinali ” , ha lamentato Gloria , unadelle settemila pazienti che usufrui-scono del trattamento antiretroviralipromosso da una OrganizazzioneNon Governativa (ONG) italiana dal2002.Un altro paziente di nome Lucas Ma-gaia, che usufruiva anch’eglidell’assistenza medica in quel tipo diospedali che si dedica al trattamentodi malati di AIDS ,si è mostrato ugual-mente scettico per quanto concernela possibilità di fare il restante dellecure nelle unità mediche comuni:“Temo delle discriminazzioni da partedi pazienti di altre patologie” ha di-chiarato Lucas per poi aggiungereche lo stesso personale medico che

dal nostro corrispondente dal Mozambico Jaime Ubisse

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lavora negli ospedali comuni non èpreparato per assistere in modo spe-cifico malati di AIDS come succedevanegli ospedali ora aboliti. Le attività della Comunità Sant’Egidiohanno già prodotto un rilevante pro-gresso dopo che sono arrivati i medi-cinali antiretrovirali in Mozambi-co,nel 2001,salvando più di millebambini da madri sieropositive mo-zambicane,facendoli nascere liberidel HIV.Dei circa 70 mila pazienti trattati coni farmaci antiretrovirali nel paese, sol-tanto 7 mila possono usufruire dellacopertura offerta dalla ComunitàSant’Egidio e solo quasi quattro milasono seguiti dalle terapie.Le stime ufficiali indicano che il 16.5%dei circa 20.5 di mozambicani sonoaffetti dal virus HIV , e sono preoccu-pantemente fra le cifre più elevate almondo.La fonte di questa organizazzione ,in Mozambico, ha rilevato inoltre checontinuerà a dare assistenza umani-taria a persone sprovviste e la crea-zione dello svilluppo di produzionedei rendimenti fra le comunità rurali.

Traduzione a cura di Franco Del Ros-so.

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Nella foto: Mozambico, pazienti affetti da AIDS ricoverati presso l’ospedale “Geral de Machava” di Maputo, specializzato nella cura di Aids e Tubercolosi(ph. Jorge Tomè).

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Bangladesh: Il Boishakhi Mela di Rony

paese che vai...

Bangladesh, un gioiello pre-zioso, un sogno…

Per esistere è necessario l'eserciziodelle competenze storiche, autentici-tà e sincera promozione del nostroPatrimonio....Le nostre radici. Siamoquindi, sempre, alla ricerca delle no-stre radici”.(Rony Akter, Presidente del BCII)

“I profumi, i colori, gli abiti del Bengalaprendono forma in tutto il paese e lafesta del Boishakhi Mela, il festival delCapodanno bengalese, comincia così,di buon’ora, alle 7 del mattino e duraper una settimana. Tutti indossanoabiti nuovi. Gli uomini il punjabi, ve-stito lungo, o il koti, camicia a mani-che larghe, e le donne i raffinati shari,abiti di stoffe pregiate con colori ac-cesi. Si regalano fiori, libri, musica e,ovviamente, si fanno gli auguri.Il Capodanno del Bengala segna, perle popolazioni del Sud-est asiatico,l’inizio del Nuovo Borsho, l’anno diun calendario antico che coincidecon la raccolta del riso. I contadini glidanno il benvenuto con feste popo-lari e fiere. Per salutare un altro PahelaBaishakh o Bangla Navabarsa (Capo-danno) Dhaka, la capitale del Bangla-desh, vive il suo maggior fermento.La gente va nelle piazze principalianche se è per la strada che si con-fondono, in un piacevole mix, spetta-coli, musiche, danze e cibi della nostratradizione.Nell’antichità il festival per il Capo-danno, il Boishakhi Mela, seguiva ilciclo lunare e si inaugurava in prima-vera. Poi, con il tempo, la tradizione

ha cominciato a seguire il ciclo solaree ha stabilito, come data per i festeg-giamenti, il primo giorno del meseBoishak, che cade intorno al 14 Aprile.Quando ero piccolo aspettavo conansia questa festa. Sono figlio unico.Per una volta all’anno, almeno, i mieigenitori si dimenticavano di me e milasciavano andare dove volevo. Coni miei amici cercavo i giochi che or-ganizzavano per noi ragazzi nellestrade di Dhaka e nei villaggi di cam-pagna. Poi ci fermavamo per stradaa mangiare il nostro riso biyrani con-dito con spezie varie, o il jal mori (risosoffiato ricco di salsa di mango e in-gredienti vari) e il piegiu (lenticchiegialle con olio e cipolla), per finire altipico dolce paesh o alle frittelle caldegilapi con farina, zafferano e zucche-ro. Oggi, in Bangladesh, la tradizionedel Boishakhi Mela è la stessa di allorama, grazie al palco, io la vivo a Romae mi piace trasmetterla a chi non laconosce affatto. In Italia, infatti, la co-munità bengalese italiana organizzail Boishakhi Mela più grandenella capitale. Quest’annoabbiamo festeggiato ilBoishakhi Mela 1415.Per l’occasione ab-biamo inauguratol’attività del Ban-gladesh CulturalInstitute of Italycon una serie dii n i z i at i ve c h epromuoveranno laconoscenza dellastoria, della letteraturae delle arti bengalesi.

cerimonie tradizionali per festeggiareil Capodanno sono, infatti, occasionedi socializzazione comunitaria e fan-no parte di un patrimonio di culturaorale contadina che continua anchenella quotidianità dei bengalesi chevivono all’estero. Grazie a loro, il Bo-ishakhi Mela ha oltrepassato i confinidel Bengala per affermarsi come fe-nomeno internazionale che ha luogo,contemporaneamente, a Los Angeles,Houston, Washington DC, Tokio, Syd-ney, Londra e, appunto, Roma. DopoDhaka, Calcutta e Londra, Roma èinfatti la quarta capitale dei bengalesinel mondo e ogni anno attira circa50 mila visitatori.

Auguri in bengalese si dice: “Shuvecha’’

LOGO: logo del Bangladesh Cultural Institute ofItaly

di Rony Akter, Presidente del Bangladesh Cultural Institute of Italy

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Alla scoperta del Capodanno bengalese, un’ouverturedi colori e sapori rivivono nella loro unicità anche inItalia grazie al Bangladesh Cultural Institute of Italy.

NOTE

rubrica a cura di Silvia Rizzello

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L’osservatore Romeno

romeni hanno vissuto per de-cenni sotto la dittatura di Ni-

colae Ceau•scu. A quei tempi succe-devano cose strane in Romania.Chiudete gli occhi ma non l’imma-ginazione. Continuate a leggere, no-nostante tutto. E torniamo indietrodi una trentina d’anni…Durante gli inverni molto rigidi l’unicafunzione che hanno i caloriferi è quel-la di registrare la temperatura nellecase e trasmetterla alla centrale ter-mica.La corrente elettrica è di tre tipi: cor-rente continua, corrente alternata,corrente sospesa.Di fronte ad un raffreddore, per quan-to semplice, qualsiasi medico vi diràche non c’è più nulla da fare, ma allavista di un tacchino, un chilo di caffèe cinque litri di grappa, non ci saràtumore che risulti inguaribile.Molti muoiono in seguito agli inter-venti chirurgici ed ai familiari il medi-co dice che il loro congiunto non haresistito all'autopsia.Una guardia giurata notturna semuore di giorno non prende la pen-sione.In ogni caso nelle mense delle fabbri-che c’è libertà di scelta: si può sceglie-re se mangiare o no.Nei tram il controllore guarda i pas-seggeri come se non avessero il bi-glietto mentre i passeggeri guardanoil controllore come se ce l’avessero.Se trovate un ufficio pubblico chiusoe poco dopo incontrate il funzionariocapoufficio al bar vi risponderà cheè lì per interesse di servizio: sta cer-

cando una nuova segretaria.Per i funzionari di partito se una teorianon può essere dimostrata… alloraè un assioma.Per una maggiore libertà di parola siaspetta la caduta dei denti.Negli uffici pubblici i mobili non sonomai stati cambiati perché c’è la teoriasecondo cui se un bordello non fun-ziona bisogna cambiare le puttane enon i letti.Ora riaprite gli occhi.Dalla radio Jovanotti canta: “Sono piùgrande, ma le cose non sono cambia-te ”. Ma non si riferisce alla Romania.

di Mihai Mircea Butcovan, scrittore romeno

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Ironie del passato

PROVERBI AFRICANI

L’uccello Eneke-nti-oba, quando chiestogli dai suoiamici il perché era sempre in volo rispose: “l’uomodi oggi ha imparato a sparare senza mancare l’obiet-tivo ed io ho imparato a volare senza posarmi”.

Non c’è bisogno di dire a un uomo sordo che èscoppiata una guerra.

paese che vai...

Spa

zio

prom

ozio

nale

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la crema, marmellata alla MOU,chiamatela come volete, più

famosa del mondo e per la quale gliargentini ne vanno fieri e, ovunquesi trovino, non potrebbero farne ameno. La metà dei dessert argentiniscomparirebbe se non esistesse ilDULCE DE LECHE (dolce di latte). Vie-ne utilizzato per farcire torte, muffinse crepes, oppure, semplicemente,spalmato sul paneIl suo colore marroncino, che sa diappiccicaticcio, è talmente invitanteche i veri golosi potrebbero farnefuori un barattolo in una sola cucchia-iata!!!Al primo gusto, i non-argentini chelo provano lo trovano troppo dolce,ma passa poco per apprezzarne lasua pastosa e, si potrebbe dire, pas-sionale gustosità.Le origini del DULCE DE LECHE sonoincerte, ma agli argentini piace rac-contare questa leggenda sulla suanascita che, come tutte le leggende,porta un fondo di verità.Si dice che nell’anno 1829, Juan Ma-nuel si trovava a Cañuelas, Provinciadi Buenos Aires, quando ricevette lavisita del Generale Juan Lavalle, chenon era precisamente un suoamico. Rosas era uscitodall’accampamento e Lavalle,molto stanco, si mise a riposarenella cuccetta di Rosas e siaddormentò. All’inserviente chestava preparando la “lechada”(latte e zucchero per il mate),non piacque per nulla chel’avversario del suo padrone siallungasse nel suo letto. Uscìcorrendo per avvisare edimenticò il latte sul fuoco, checontinuò a cuoceresulle braci. Quando Rosas tornò,lasciò dormire Laval le el’inserviente tornò in cucina. La

sua lechada era diventata marrone,ma era buonissima. Era nato il dolcedi latte. Questo accadde il 17 luglio1829.Ora cimentatevi pure anche voi let-tori….Ingredienti: 3 litri di latte 1 kg di zuc-chero sciolto in •litro d’acqua calda 1bastoncino di vaniglia 1 pizzico dibicarbonato.Preparazione: Far bollire il latte con ilbicarbonato (se possibile in una pen-tola di rame) e aggiungere lo zucche-ro sciolto e la vaniglia. Lasciar bolliremolto lentamente fino a che il dolcediventi spesso e prenda colore (civogliono circa 50 minuti), senza smet-tere di mescolare con un cucchiaiodi legno per evitare che si attacchi obruci. Una volta terminato, mescolarefino a quando si raffredda. Per acce-lerare questa parte, potete metterela pentola in un recipiente con acquafredda.AVVERTENZEAttenti, però, a non lasciare “El dulcede leche” troppo tempo sul fuoco,altrimenti, stavolta, cosa potrebbediventare?....Un’altra ricetta…..

a cura di Silvia Rizzello

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Argentina: la “mou-tella”, ovvero il dulce de leche

Il gusto degli altri…..

paese che vai...

Spa

zio

prom

ozio

nale

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Il senso, la responsabilitàe la libertà

la parola a...

on esiste vento favorevole peril marinaio che non sa dove

andare. (Seneca)

Ciascuno è responsabile di tutto da-vanti a tutto. (Fedor Dostoevskij)

La caratteristica principale dell’epocain cui ci troviamo è quella di produrrecambiamenti in maniera accelerata.Cambiamenti “politici”, “economici”,“tecnologici”, “culturali” e “ambientali”si abbattono sull’umanità senza alcu-na sincronia e alcun senso apparente.La nostra vita quotidiana è diventataconfusa, tanto da non poter esseredescritta in maniera sintetica. Usiamoinfiniti appellativi per definirla: “l’eraatomica”, “spaziale”, “post-moderna”,“tecnotronica”, “cibernetica” el'abbiamo addirittura chiamata l'eradella “ribellione delle masse”.L’uomo del nuovo millennio, afflitto,non riesce ad interpretare il suo am-biente, che muta senza dargli pace né un senso di trascendenza alla suaesistenza.Come palliativo per il vuoto esi-stenziale che tutto questo pro-duce, la nuova cultura gli proponesolo di consumare e consumare.Un terreno estremamente fertileper far germogliare la controcul-tura di massa. Quando una po-polazione è in preda a tale feno-meno, l’ordine comunitario sidisgrega dando origine a unnuovo protagonista, l’ “abitante”.Un essere che, contraddicendo lasua natura umana, cessa di servirela comunità, pretendendo alcontrario che sia essa a servirlo.L’ “abitante” ascrive ad altri le sueresponsabilità senza sapere che,facendolo, perde la sua libertà. Lalibertà e la responsabilità sonodue valori inseparabili come due

lati di una stessa medaglia.“L’ abitante”, che si trova in tutti glistrati sociali, ha rinunciato ad essereun “cittadino”, cioè una persona liberae responsabile.Un evidente tallone d’Achille dell’“uomo massa” o “abitante” è la suatendenza ad essere manipolato daun impostore. Tale impostore è unpersonaggio istrionico e seduttoreche, come il “Pifferaio magico diHamelin” attrae le masse per servirsidi esse e, al termine del suo ciclo dipotere rimane evidente che si trattasolo di un altro “uomo massa” con unincontenibile desiderio di usare lagente e di esibirsi.Quanto scritto finora, si propone diinterpretare alcuni aspetti della con-formazione del fenomeno sociopoli-tico del populismo in America Latina.A metà del ventesimo secolo, nel1948, le Nazioni Unite proclamaronoi diritti civili, economici, sociali e poli-tici di tutta l'umanità. I valori così mes-si in evidenza si sono radicati profon-damente nella cultura contempo-

ranea. A riguardo, Jean Daniel avverte“che in una società democratica i cit-tadini hanno più doveri che diritti, ericordarlo garantisce lo sviluppo e lasopravvivenza di tale società”. Il famo-so scrittore Jostein Gaarder si chiede-va “se il ventesimo secolo è stato quel-lo dei diritti umani, il ventunesimosecolo non dovrebbe essere quelloin cui si proclamerà la ‘Dichiarazionedei Doveri Umani’?”. Al tempo stessoun pensatore argentino, Sergio Sinay,afferma: “Forse il problema è urgente.Abbondano i doveri dimenticati oevitati. Hanno nomi come: empatia,solidarietà, accettazione, rispetto, co-stanza, compassione, desiderio diascoltare, onestà, austerità. Ce ne so-no molti altri. Dietro ad ogni dirittoche invochiamo c’è un dovere, o piùdi uno”.Il ventunesimo secolo è cominciato.È giunto il momento di assumersi lalibertà responsabile, cioè di recupe-rare lo status di cittadino. Solo cosìpotremo dare un senso al nostro fu-turo.

di Miguel Torrado, Presidente del Foro del Sector Social argentino

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ph. Giangaspero

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Destinazione: Chiquitos, BoliviaQuando la foresta si fa musica

diario di viaggio

hiquitos è una cultura, ungruppo etnico, una provincia

formata da dieci paesi, una varietà dicomunità che convivono in pace…Un ecosistema in mezzo alla foresta.Visitare questo territorio presupponequalcosa di più che conoscere unanuova destinazione turistica: la “Chiquitania” invita a vivere una espe-rienza culturale e religiosa che iniziònel secolo XVII e persiste fino ad oggi.Il territorio Chiquitano è situato inun’ area estesa del dipartimento diSanta Cruz, nella regione orientaledella Bolivia. Fino a questa remotaterra arrivò la Compagnia di Gesùfondata da San Ignazio di Loyola , allafine del secolo XVII, al fine di evange-lizzare i nativi della zona.A partire dal 1691, i padri Gesuiti fon-darono la missione di San Javier,Concepciòn, Santa Ana, San Ignacio,San Miguel, San Rafael , Santiago eSan Josè de Chiquitos. Fino al mo-mento in cui furono espulsi nel 1767,i missionari si dedicarono alla evan-gelizzazione nelle cosiddette“reducciones”, paesi molto bene orga-nizzati per lo sviluppo sociale dei na-tivi di Chiquitos.Tra gli anni 1691 e 1767 furono edifi-cati meravigliosi monumenti religiosidel barocco mulatto ispirati dalle cor-renti europee incorporate dai padriarchitetti. I templi sono le uniche co-struzioni delle reducciones gesuiticheche assolvono ancora oggi ad unafunzione religiosa nel paese, dopo illoro restauro negli anni ‘80 ad operadell’architetto svizzero Hans Roth. Sicaratterizzano per i loro begli affre-

schi, altari, retabli che costituisconola principale attrazione turistica dellazona.Sei tra le missioni gesuitiche stabiliz-zatesi nel territorio della Chiquitaníasono state dichiarate Patrimonio Cul-turale dell’Umanità da parte dell’ Une-sco. Le missioni di Chiquito hannouna particolarità unica: i popoli indi-geni che le abitavano erano differentiper origine , lingua , costumi e cultura.I componenti di una delle tante co-munità furono chiamati “Chiquitos”dai primi religiosi spagnoli che dove-vano abbassarsi per entrare dalla por-ta delle loro capanne. Essendo il grup-po maggioritario, tutte le altrecomunità presero questo nome e sioriginò la cultura chiquitana.Nella regione, ogni paese o missionepresenta la stessa struttura: una piaz-za centrale, con al centro una croce,ad un lato si trova la chiesa, la scuola,le botteghe; e ai tre lati restanti sisituano le abitazioni delle famiglie.Sin dall’infanzia gli abitanti appren-dono la dottrina, frequentano la scuo-la e imparano le arti e i mestieri, sicimentano nella musica, nel canto enella fabbricazione degli strumenti ,la scultura e l’intaglio, eredità gesui-tica che si conserva e si tramandanegli anni grazie alla tradizione orale..Un’altra delle principali attrazioni del-la zona è il Festival del Rinascimentoe del Barocco American Music, che sisvolge ogni due anni, dal 1996, neipressi di Chiquitos. Questo festival èconsiderato il più importante eventoculturale della Bolivia e il più grandedel mondo nel suo genere. Migliaia

di europei ed americani vi partecipa-no attratti dalle composizioni vocalie strumentali di musica d'epoca delperiodo della Colonizzazione.Prima che i missionari arrivassero inSud America, i nativi già avevano lapropria musica. Essa comprendevariti ancestrali, canti, danze, ritmi e an-che rappresentazioni teatrali. I missio-nari sono stati in grado di coglierequesta base musicale e arricchirlacon melodie sacre che risuonano og-gi nelle chiese e nei festival. La musicabarocca americana è un perfettoesempio di fusione di culture.La qualità musicale del Chiquitano èstata tale che anche il famoso com-positore italiano, Domenico Zipolicompose un certo numero di braniche vennero poi spediti, tramite emis-sari, alla Chiquitanía e a San Ignaciode Moxos, dalla sua residenza nel sog-giorno di Santa Catalina, in provinciadi Cordoba.Durante il processo di restauro diquesti templi Gesuiti delle Missionisono stati scoperti una ricchezza dilarga scala musicale:a Chiquitos oltre5.000 e a Moxos 4.000 testi di musicasacra scritta tra il XVII e XVIII secolo,anche da compositori europei, comead esempio i nativi.Visitare Chiquitos è un modo per rag-giungere una dimensione della cul-tura e della natura “esuberante”, viag-g i a n d o a t t r ave r s o i s e c o l i ,nell’esperienza che i nativi Gesuitihanno forgiato in mezzo alle giunglaboliviana.La Chiquitanía è una destinazioneper le persone che cercano di arric-chire il proprio spirito, per perseguireun contatto culturale, l'amore per lanatura, vibrare con il mistero diun’avventura, e il desiderio di scoprirei suoi abitanti, i suoi costumi e le tra-dizioni.

Traduzione a cura di Gianluca Di Gioiae Ana Gallego

di Pilar Frias - Argentina

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Festival del Rinascimento e del Barocco American Music, Chiquitos (ph. Miguel Frias)

Chiquitos (ph. Miguel Frias)

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Lavoro e formazione nel mondo dellaCooperazione e del Terzo Settore

Indirizzi utili

cooperando

www.reliefweb.int: sito OCHA (Ufficio Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari) con ampio spaziodedicato alle offerte di lavoro e formazione nel mondo della Cooperazione, in particolare nel settore dell’emergenza.Sito in lingua inglese, offre un’ottima newsletter elettronica gratuita;

www.volint.it: sito del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), un vero punto di riferimento per l’offerta dilavoro italiana nel settore della Cooperazione internazionale, nonché per la formazione;

LE TRE FEDERAZIONE ITALIANE DI ONG: www.cocis.it; www.focsiv.it; www.cipsi.it; i tre siti sono ricchi di offerte dilavoro inviate dalle varie ONG federate. FOCSIV e COCIS sono inoltre Focal Point italiani per il Programma Volontaridelle Nazioni Unite (UNV);

www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it: portale della Cooperazione allo sviluppo governativa, comprende una sezionededicata alla formazione e al lavoro, e vi rimanda anche ad altri interessanti siti stranieri per la ricerca di lavoro nelsettore;

www.hacesfalta.org: offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della cooperazionespagnola! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua spagnola;

www.coordinationsud.org: offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e dellacooperazione francese! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua francese;

www.eurobrussels.com: The european affairs jobsite…basta la parola! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita;

www.charityjob.co.uk: offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della cooperazioneinglese! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua inglese.

www.seniores.it : avete un padre (o una madre) in pensione, che proprio non vuol stare fermo? Speditelo con SenioresItalia a svolgere brevi missioni di “assistenza tecnica” nei PVS. Seniores non è l’unica associazione in Italia a gestirequesto tipo di iniziativa, ma è l’unica ad essere Focal Point del Programma delle Nazioni Unite per Esperti VolontariSenior.

Naturalmente, non pretendiamo di essere esaustivi…almeno per ora.Per fare incontrare domanda e offerta ci vuole l’annuncio giusto al posto giusto.Questo spazio è per voi, datori di lavoro.

Per inviare un annuncio (gratuito naturalmente) scrivete a [email protected] indicando nell’oggetto “annuncicooperando”.Per esigenze redazionali vi chiediamo di non superare i 500 caratteri (spazi inclusi) e di indicare chiaramente un recapitotelefonico e e-mail.

Per esigenze di coerenza con i nostri lettori, vi preghiamo di evitare gli annunci del tipo “si richiedono un master, trelingue e 8 anni di esperienza professionale ma non si prevede remunerazione”: il volontariato “puro” è benvenutoquando rispetta le esigenze di formazione (e di sopravvivenza!) di un giovane.Altrimenti, si paga, o si aspetta che il giovane abbia raggiunto l’età della pensione e si iscriva nelle liste di SenioresItalia…

rubrica a cura di Sonia Drioli

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agenda

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La Differenza - Testata giornalistica telematica - www.ladifferenza.it

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Primicias Rurales - Giornalismo strategico - www.ruralprimicias.com.ar

Sulle ali - Associazione per la comunicazione sociale

Foro del Sector Social - Forum del Terzo Settore Argentino - www.forodelsectorsocial.org.ar

Omphalos - World Music - www.omphalosmusic.com

Vox Popoli ONP - Organizzazione No Profit di intercultura e cooperazione - www.voxpopoli.org

s.a.s.MastrogiacomoMastrogiacomosocietà di ideazione e comunicazione sociale

Comunicazione sociale

Mastrogiacomo ADV - Comunicazione sociale - www.comunicareonweb.com

i nostri partner

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L’informazione da un’altra prospettiva

CaPoSUDCaPoSUDwww.caposud.info