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In questo numero POSTE ITALIANE S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% C/RM Industria · Osram Barbieri: «Creiamo valore segmentando l'offerta» Distribuzione · Gruppo Selex Tasca: «Puntiamo a una convenienza più profilata» Tra obiettivi raggiunti e opportunità da cogliere Il corsivo segue a pagina 16 segue a pagina 7 Mainardi a pagina 4 Bardozzo a pagina 10 di Aldo Sutter Idee e informazioni per gli associati dai primi Anni Novanta che alcune aziende distributive leader nell’ambi- to del largo consumo, attingendo all’e- sperienza internazionale, hanno lanciato una carta fedeltà, realizzato un catalogo a premi e iniziato a raccogliere informazioni sui clienti, ripromettendosi di utilizzarle per conoscerne meglio comportamenti, abitudi- ni e gusti. La maggior parte dei distributori, tuttavia, si è limitata a emularli, scambian- do il mezzo con il fine, focalizzandosi sul- la praticità della carta e sul catalogo. Poco è stato fatto per sfruttare le informazio- ni che consentono di modificare le variabi- li del retail mix in funzione della clientela. A onor del vero esistevano anche difficol- tà oggettive quali l’eterogeneità dei softwa- re di cassa e dei flussi informativi presen- ti nel mondo cooperativo e nei gruppi della distribuzione organizzata; la priorità data a problematiche relative all’area vendita, alla logistica e alla funzione acquisti rispetto a quella marketing; infine, l’abitudine a consi- derare più strategici i rapporti con i fornito- ri che non quelli con la clientela. Certo una strategia customer centric avrebbe avuto ri- cadute a livello operativo affrontabili solo grazie a un forte commitment della direzio- ne aziendale, a una visione di medio - lun- go periodo. Non si può dire che il cambio di paradigma culturale, ridisegnando i proces- si decisionali delle aziende in funzione dei comportamenti, degli atteggiamenti e dei bi- sogni dei clienti, avrebbe potuto moderare l’escalation delle pratiche promozionali e ar- ginare l’erosione della marginalità con cui oggi la filiera del largo consumo fa i conti in Italia e in Europa. Lavoriamo sui dati che parlano dei clienti di Filippo Genzini La lettera «Pratiche commerciali scorrette: meglio la norma dell'autoregolamentazione» Longo a pagina 8 Estero In Francia si riflette sulla guerra dei prezzi. Clima teso nelle negoziazioni Colla a pagina 8 Export alimentare Opportunità oltreconfine: un miliardo di persone vuole cibo italiano Ponti a pagina 6 Consumi fuori casa Nel 2014 vendite ancora in flessione, ma prospettive positive sul medio termine Lamparelli a pagina 14 È P Identità forti per vincere sui mercati internazionali Quando i supermercati spiegheranno i prodotti Imprenditori e manager si sono dati appuntamento a Milano in occasione del più importante incontro pubblico dell'Associazione. In agen- da approfondimenti su poli- tica industriale, cambiamen- to sociale e implicazioni per le imprese. Qualità e tecnologia si inte- grano. La relazione con il con- sumatore si amplifica. All'e- sposizione universale Coop ha realizzato un prototipo per sperimentare possibili meto- di futuri di vendita e di ac- quisto. Una nuova dimensio- ne della shopping experience. N.2 | Anno II | Luglio 2015 www.ibconline.it er la prima volta, dopo diversi anni, i lavori dell'Assemblea Ibc si sono svolti in un con- testo economico che lascia spazio a qual- che timido ottimismo. Il prezzo basso del petrolio, i tassi di cambio favorevoli all’esportazione, il vantaggioso costo del denaro creano i presuppo- sti per il riavvio degli investimenti da parte delle imprese. Prospettano anche la ripresa dell’occu- pazione. I centri di ricerca più autorevoli preve- dono un 2015 in crescita. I provvedimenti varati dal Governo Renzi, il Jobs Act, le misure a favore di famiglie e impre- se vanno nella direzione di consolidare questi germogli di ripresa, anche se il percorso è anco- ra lento e numerosi nodi restano irrisolti. Sono questioni note. Una cosa però voglio sottoline- are: senza certezze sulla politica economica, in particolare sulle scelte di politica industriale, è difficile per le imprese mettere a punto piani d’investimento e progetti di crescita. Per questo, guardiamo con preoccupazione ed allarme alla clausola di salvaguardia Iva, già approvata con la legge di Stabilità 2015, che in assenza di altri interventi sarà in vigore da gennaio 2016 e di cui abbiamo illustrato gli effetti negativi sul numero 1/2015 di Link Ibc. Com’è noto abbiamo espresso in tutte le sedi, istituzionali e politiche, il nostro contrasto a queste misure sull’Iva e a qualunque altro inasprimento del carico fiscale per le famiglie, soprattutto in questa fase di così debole ripresa e dopo tanti anni di riduzione dei consumi. È preoccupante che i risultati di tre spending review siano a disposizione, senza che gli ultimi Governi abbiano trovato la forza di metter mano al taglio della spesa pubblica improduttiva. Ma sconcerta ancor di più che si continui a pensa- re di far fronte alle esigenze della finanza pub- blica con l’appesantimento della tassazione sui consumi, che va notoriamente a deprimere la do- manda interna. Ghiggini a pagina 7 Zini a pagina 11 Expo Milano 2015 Assemblea annuale Ibc Nelle fauci dell'Iva? Ferrario a pagina 2 L'Europa boccia il reverse charge e cancella i pericolosi effetti che avrebbe avuto sulla liquidità delle imprese. Ma le clausole di salvaguardia che prevedono aumenti in sequenza dell'Iva nel prossimo triennio sono tutt'altro che scongiurate...

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In questo numero

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Industria · OsramBarbieri: «Creiamo valoresegmentando l'off erta»

Distribuzione · Gruppo SelexTasca: «Puntiamo a una convenienza più profi lata»

Tra obiettivi raggiuntie opportunità da cogliere

Il corsivo

segue a pagina 16 segue a pagina 7

Mainardi a pagina 4 Bardozzo a pagina 10

di Aldo Sutter

Idee e informazioni per gli associati

dai primi Anni Novanta che alcune aziende distributive leader nell’ambi-to del largo consumo, attingendo all’e-

sperienza internazionale, hanno lanciato una carta fedeltà, realizzato un catalogo a premi e iniziato a raccogliere informazioni sui clienti, ripromettendosi di utilizzarle per conoscerne meglio comportamenti, abitudi-ni e gusti. La maggior parte dei distributori, tuttavia, si è limitata a emularli, scambian-do il mezzo con il fi ne, focalizzandosi sul-la praticità della carta e sul catalogo. Poco è stato fatto per sfruttare le informazio-ni che consentono di modifi care le variabi-li del retail mix in funzione della clientela.

A onor del vero esistevano anche diffi col-tà oggettive quali l’eterogeneità dei softwa-re di cassa e dei fl ussi informativi presen-ti nel mondo cooperativo e nei gruppi della distribuzione organizzata; la priorità data a problematiche relative all’area vendita, alla logistica e alla funzione acquisti rispetto a quella marketing; infi ne, l’abitudine a consi-derare più strategici i rapporti con i fornito-

ri che non quelli con la clientela. Certo una strategia customer centric avrebbe avuto ri-cadute a livello operativo affrontabili solo grazie a un forte commitment della direzio-ne aziendale, a una visione di medio - lun-go periodo. Non si può dire che il cambio di paradigma culturale, ridisegnando i proces-si decisionali delle aziende in funzione dei comportamenti, degli atteggiamenti e dei bi-sogni dei clienti, avrebbe potuto moderare l’escalation delle pratiche promozionali e ar-ginare l’erosione della marginalità con cui oggi la fi liera del largo consumo fa i conti in Italia e in Europa.

Lavoriamo sui dati che parlano dei clienti

di Filippo Genzini

La lettera«Pratiche commerciali scorrette:

meglio la norma dell'autoregolamentazione»Longo a pagina 8

EsteroIn Francia si rifl ette sulla guerra dei prezzi.

Clima teso nelle negoziazioniColla a pagina 8

Export alimentareOpportunità oltreconfi ne: un miliardo

di persone vuole cibo italianoPonti a pagina 6

Consumi fuori casaNel 2014 vendite ancora in fl essione,

ma prospettive positive sul medio termineLamparelli a pagina 14

È

P

Identità forti per vincere sui mercatiinternazionali

Quando i supermercatispiegherannoi prodotti

Imprenditori e manager si sono dati appuntamento a Milano in occasione del più importante incontro pubblico dell'Associazione. In agen-da approfondimenti su poli-tica industriale, cambiamen-to sociale e implicazioni per le imprese.

Qualità e tecnologia si inte-grano. La relazione con il con-sumatore si amplifi ca. All'e-sposizione universale Coop ha realizzato un prototipo per sperimentare possibili meto-di futuri di vendita e di ac-quisto. Una nuova dimensio-ne della shopping experience.

N.2 | Anno II | Luglio 2015 www.ibconline.it

er la prima volta, dopo diversi anni, i lavori dell'Assemblea Ibc si sono svolti in un con-testo economico che lascia spazio a qual-

che timido ottimismo. Il prezzo basso del petrolio, i tassi di cambio favorevoli all’esportazione, il vantaggioso costo del denaro creano i presuppo-sti per il riavvio degli investimenti da parte delle imprese. Prospettano anche la ripresa dell’occu-pazione. I centri di ricerca più autorevoli preve-dono un 2015 in crescita. I provvedimenti varati dal Governo Renzi, il Jobs Act, le misure a favore di famiglie e impre-se vanno nella direzione di consolidare questi germogli di ripresa, anche se il percorso è anco-ra lento e numerosi nodi restano irrisolti. Sono questioni note. Una cosa però voglio sottoline-are: senza certezze sulla politica economica, in particolare sulle scelte di politica industriale, è diffi cile per le imprese mettere a punto piani d’investimento e progetti di crescita. Per questo, guardiamo con preoccupazione ed allarme alla clausola di salvaguardia Iva, già approvata con la legge di Stabilità 2015, che in assenza di altri interventi sarà in vigore da gennaio 2016 e di cui abbiamo illustrato gli effetti negativi sul numero 1/2015 di Link Ibc. Com’è noto abbiamo espresso in tutte le sedi, istituzionali e politiche, il nostro contrasto a queste misure sull’Iva e a qualunque altro inasprimento del carico fi scale per le famiglie, soprattutto in questa fase di così debole ripresa e dopo tanti anni di riduzione dei consumi. È preoccupante che i risultati di tre spending review siano a disposizione, senza che gli ultimi Governi abbiano trovato la forza di metter mano al taglio della spesa pubblica improduttiva. Ma sconcerta ancor di più che si continui a pensa-re di far fronte alle esigenze della fi nanza pub-blica con l’appesantimento della tassazione sui consumi, che va notoriamente a deprimere la do-manda interna.

Ghiggini a pagina 7 Zini a pagina 11

che parlano dei clienti

Industria Barbieri: «Creiamo valoresegmentando l'off erta»Ghiggini a pagina 7

Distribuzione Tasca: «Puntiamo a una convenienza più profi lata»Zini a pagina 11

Expo Milano 2015Assemblea annuale Ibc

Nelle fauci dell'Iva?Ferrario a pagina 2

L'Europa boccia il reverse charge e cancella i pericolosi effetti che avrebbe avuto sulla liquidità delle imprese. Ma le clausole di salvaguardia che prevedono

aumenti in sequenza dell'Iva nel prossimo triennio sono tutt'altro che scongiurate...

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2 n . 2 · luglio 2015

Buone notizie: nei primi mesi del 2015 i consumi di base danno se-gni di crescita. Lentamente, mol-to lentamente, il sistema sembra ri-mettersi in moto, con l’alimentare a fare da traino e gli altri settori più

timidi. Sarebbe esagerato parlare di vera in-versione di tendenza, ma si vede una luce in fondo al tunnel. Ora si tratta di consolidare i segnali positivi. Le imprese stanno facen-do la loro parte, investendo il più possibile e riorganizzandosi secondo logiche che mas-simizzino efficienza ed efficacia operative. E il Governo deve prendere le giuste deci-sioni di politica economica e fiscale, evitan-do provvedimenti che possano penalizzare la domanda. Leggendo tra i numeri del Def (Documen-to di economia e finanza) presentato a fine

aprile, però, si sco-pre che qualcosa non torna. L’Ufficio par-lamentare di bilan-cio, ovvero l'organi-smo indipendente che svolge verifiche sulle stime di finanza pub-blica, evidenzia i ri-schi delle previsioni di crescita, soprat-tutto per il biennio

2016/2017, in tema di fattori esterni. Il Def, tanto per fare un esempio, replica anche per il 2017 il contesto attuale, particolarmente fa-vorevole, con l'euro a 1,07 dollari e il greggio a 57 dollari al barile. Anche altri osservatori (si veda l’inter-vista a Daniele Capezzone, presidente del-la commissione Finanze della Camera, pub-blicata nella pagina accanto) concordano nel considerare il documento troppo dipendente da variabili esogene che il Governo non può controllare. Confindustria nel corso di un’au-dizione alle commissioni Bilancio di Came-ra e Senato, ha sottolineato che l’ultima leg-ge di Stabilità ha previsto tagli quantitativi di tipo lineare e poche misure di revisione della spesa pubblica, relegando il processo di spen-ding review a un ruolo marginale nell’ambito delle politiche pubbliche. Questo processo però, come Roberto Bu-caneve, direttore generale di Ibc ha più vol-te sottolineato nel corso di incontri con espo-nenti della maggioranza di Governo e delle istituzioni, ha un’importanza centrale se si vuole scongiurare l’applicazione della clau-sola di salvaguardia Iva nel 2016, in quanto «l’aumento delle aliquote Iva avrebbe un ef-fetto recessivo sul sistema economico».

Per scongiurare l’applicazione della clau-sola di salvaguardia servono 16 miliardi di maggiori entrate, già messe a bilancio. Circa 7,5 miliardi dovrebbero arrivare dal-la spending review; 2,5 miliardi dalla ridu-zione delle agevolazioni fiscali e 6 miliardi dal miglioramento del quadro economi-co unito al peggioramento del deficit del-lo Stato (nel 2016, il Governo prevede di lasciar crescere il debito pubblico dall’1,4 all’1,8%, sfruttando la regola europea che consente di allontanarsi dal percorso di pa-reggio del bilancio se sono attuate riforme strutturali, che altrimenti sarebbero disin-centivate).

All’appello mancano i 7,5 miliardi strettamen-te legati a tagli della spesa pubblica, cui stan-no lavorando i commissari Yoram Gutgeld e Ro-berto Perotti. I fronti su cui intervenire sono numerosi. Si potrebbe procedere con decisione alla riduzione dell’intervento pubblico nei setto-ri in cui la presenza non è giustifi cata (o è inef-fi ciente). Ci sarebbe da riorganizzare la macchi-na amministrativa, sopprimendo gli enti inutili, introducendo modalità innovative nella produ-zione dei servizi pubblici (per esempio valoriz-zando le tecnologie informatiche e rafforzando strumenti quali le centrali di commitenza e i co-sti standard). Ipotesi di lavoro ancora aperte nel momento in cui scriviamo queste righe.

Anche un altro fatto merita di essere tenu-to sotto osservazione. Se ai 7,5 miliardi di re-visione della spesa si aggiungono i 2,5 miliar-di di taglio alle agevolazioni fi scali, otteniamo un intervento complessivo di 10 miliardi di euro che non è mai stato realizzato prima d’o-ra. «E pensare che questo possa essere talmen-te selettivo da non penalizzare anche la spesa produttiva è davvero illudersi di vivere nel mi-gliore dei mondi possibile», commenta Fabri-zio Forquet, vice direttore de Il Sole 24 Ore. La legge di Stabilità 2016 conterrà le rispo-ste che tutti stanno aspettando?

Ivo Ferrario

Primo piano

Per il Governo l’Iva non aumenterà Ma all’appello mancano diversi miliardi

Politica economica e rilancio dei consumi

Sono quelli strettamente legati ai tagli alla spesa pubblica. I fronti su cui intervenire sono numerosi.Dalla riduzione dell’intervento statale nei settori in cui la presenza non è giustificata alla riorganizzazione amministrativa. Ma il tempo stringe. Ibc intensifica le pressioni in vista della legge di Stabilità 2016

L'Uffi cio parlamentare

di bilancioconsidera

ottimistiche le previsioni

di crescita 2016/2017

Previsioni

Bassi tassi, euro svalutato, energia a buon mercato per effetto del ribasso del petrolio. Questi tre fattori, com-binati con le riforme strutturali, consentiranno all’eco-nomia italiana di accelerare più vistosamente rispetto alle altre dell’area euro. Parola di Morgan Stanley. Secondo le previsioni de-gli analisti della banca d’affari, il tasso di crescita pas-serà dal -0,4% del 2014 al +0,7% del 2015, al +1,7% del 2016. La prosecuzione e l’attuazione delle riforme

Ma MS dice: «L’Italia sarà la sorpresa dell’Eurozona»

Le misure per annullare le clausole nel 2016

7,5 mld

6 mld

Spending review0,6% Pil

Miglioramentoquadroeconomico0,4% Pil

PROSPETTIVE • Il Documento di economia e fi nanza 2015 varato dal Governo Renzi aff erma che l’attivazione della clausola di salvaguardia Iva, prevista per il gennaio 2016, sarà scongiurata. L’obiettivo dovrebbe essere raggiunto “in parte attraverso il miglioramento del quadro macroeocnomico - che si rifl ette in un aumento di gettito - e alla fl essione della spesa per interessi rispetto alle previsioni dello scorso autunno, con un eff etto complessivo valutabile in 0,4 punti percentuali del Pil; in parte per eff etto delle misure di revisione della spesa che verranno defi nite nei prossimi mesi, per un importo pari allo 0,6% del Pil”.

2,5 mld

Revisioneagevolazioni0,15% Pil

Fonte: Ref Ricerche per Ibc, previsione Def

sono considerate elementi fondamentali per il conse-guimento del risultato. “La Renzinomics”, si legge nel rapporto, “è l’opportunità per uscire da due decenni di quasi stagnazione”. La lieve ripresa del 2015 prelude-rebbe a un’accelerazione notevole dal 2016. Gli analisti sostengono che l’Italia ha fatto più rifor-me di tanti Paesi europei grazie anche al processo av-viato dai Governi Monti e Letta.

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n . 2 · luglio 2015 3

«IPer il presidente della commissione Finanze della Camera è possibile una riduzione delle tasse da 50 miliardi di euro, da cui trarrebbero beneficio consumi, casa, imprese e lavoro.Come attuarla? Procedendo con tagli veri alla spesa pubblica eccessiva e improduttiva

La dichiarazione

L'economia italiana

Morando: «Imposta ferma per due anni»

«I conti non tornano: serve un piano d’attacco»Intervista · Le perplessità di Daniele Capezzone

l Governo sta fallendo gli obiet-tivi già clamorosamente manca-ti dagli Esecutivi che lo hanno preceduto». Daniele Capezzone, presidente della commissione Fi-nanze della Camera, va dritto al

punto: manifesta forti preoccupazioni e criti-che rispetto all’operato della compagine guida-ta da Matteo Renzi. In questa intervista, con-divide le sue valutazioni e propone un piano d’azione. PresidenteCapezzone,sullapressionefi-scale elevatissima, sul livello abnorme del-laspesaesulpesantedebitopubblicofinoad ora si sono arenati tanti Governi. Cosa serve, dal suo punto di vista, al Paese per cambiare prospettiva? «Dobbiamo ispirare l’azione politica al prin-cipio “meno tasse, meno spesa”. Se non lo fac-ciamo perdiamo solo tempo. Già nel 2014 ab-biamo presentato emendamenti alla finanziaria coerenti con questa impostazione, ma l’Esecu-tivo li ha respinti. Ovviamente li ripresentere-mo quando comincerà l’iter della nuova legge hdi Stabilità».

Qual è l’obiettivo? «Sfondare il vincolo europeo del 3% di rappor-to deficit/Pil per varare un taglio delle tasse da 50 miliardi di euro. Bisogna agire con decisione su tre ambiti - consumi, casa, imprese/lavoro - con operazioni di attacco alla spesa pubblica eccessi-va e improduttiva».

Sul fronte del lavoro è stato varato il Jobs Act. Non lo considera un passo in avanti? «É uno strumento positivo, ma piccolo e a tempo, con gli sgravi concentrati nel 2015. Il Jobs Act potrà anche dare una mini fiammata all'occupazione nel corso di quest’anno, ma il problema strutturale resta. L’effetto positivo riguarderà essenzialmente la trasformazione dei vecchi contratti in quelli nuovi, ma non ci saranno assunzioni aggiuntive. Inoltre, passa-ti gli sgravi del 2015, cosa accadrà? Una vera ripresa occupazionale potrà esserci solo con un taglio strutturale delle tasse sulle impre-se. Mi spiego meglio: secondo un recente rap-porto della Banca Mondiale, il "total tax rate" - cioè il complesso della imposizione contri-butiva, fiscale ecc - che grava sulle impre-se italiane arriva al 65%, contro il 49% della Germania, il 34% del Regno Unito o il 22% della Croazia. In queste condizioni, come fai a competere?».

La Bce è impegnata nel quantitative easing a sostegno del rilancio economico. Che effet-ti avrà sul breve e sul medio termine? «Mario Draghi ha fatto il massimo rispetto al perimetro dei poteri della Bce. Ora le incognite sono tre, ma non dipendono da lui. Primo: i ca-nali di trasmissione all'economia reale, cioè le banche, saranno ostruiti o no? Secondo: i Go-verni europei avranno l'intelligenza di sfrutta-re questa occasione per realizzare vere riforme economiche "supply-side", oppure si acconten-teranno di questa bombola d'ossigeno a tem-po offerta dalla Bce? Terzo: quando il quanti-tative easing sarà finito, nell'autunno del 2016,

che giudizio daranno i mercati sulla sostenibi-lità del nostro debito pubblico? La verità è che il Governo in carica, che è stato fortunatissi-mo, si è ritrovato tre eventi esterni impensabi-li un anno fa: l'intervento della Bce, il crollo del prezzo del petrolio, il nuovo rapporto dolla-ro/euro. Ma non li sta sfruttando: si accontenta degli "zero virgola", di minuscoli segnali di ri-presa, mentre dovrebbe spingere per far volare l’economia varando un mega taglio delle tasse, accompagnato da una vera revisione della spesa pubblica. Noi abbiamo fatto decine di emenda-menti all’ultima legge di Stabilità per spingere in questa direzione».

Quali sono i punti dello choc fiscale che,dal suo punto di vista, servirebbe al Paese? «Quello che proponiamo, coperto con altret-tanti tagli di spesa pubblica, indicati negli emen-damenti presentati alla Camera, prevede per le imprese il dimezzamento dell'Irap entro un anno e l'abolizione completa entro due, con la riduzio-ne dell'aliquota Ires dal 27,5 al 23% nei successi-vi tre anni. Per i lavoratori dieci miliardi di tasse in meno, da valutare se intervenendo sulla detra-zione base da lavoro dipendente o attraverso una rimodulazione delle aliquote Irpef. Per i consu-matori e le famiglie, Iva giù di due punti (al 20%, ndr) in due anni, e immediata abolizione della tassazione sulla prima casa. Agire in questa dire-zione significa creare le condizioni per una cre-scita significativa e sostenuta».

Sbaglioohadimenticatola“mina”fiscale: le clausole di salvaguardia Iva? «Ci arrivo. Nel 2016 l’aliquota Iva del 10 passerebbe al 12, poi al 13% nel 2017, men-tre quella del 22 salirebbe prima al 24, poi al 25 e al 25,5% nel 2018. Il che vorrebbe dire 12,8 miliardi di tasse in più nel 2016 e 19,2 nel 2017. Inutile sottolineare, come hanno fatto con forza anche Ibc, Centromarca e le aziende della moderna distribuzione, la gravità anche solo di un'ipotesi del genere. Ecco perché, al di là delle intenzioni manifestate dal Governo nel Def, ri-propongo volentieri da queste colonne la propo-sta, anch'essa contenuta nei miei emendamen-ti, respinti dal Governo in occasione dell'ultima legge di Stabilità, di inversione della logica del-le clausole di salvaguardia».

Cosasignifica,inconcreto? «Che occorre passare da aumenti fiscali au-tomatici a tagli di spesa automatici. Nel caso in cui gli importi previsti dalla clausola di sal-vaguardia non siano assicurati attraverso inter-venti di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, bisogna prevedere che debbano essere conseguiti non attraverso aumenti delle aliquote Iva e delle accise, o tagli alle agevola-zioni fiscali, ma attraverso tagli lineari alla spe-sa. Semplice e liberale, non le pare?».

Ivo Ferrario

PROPOSTE • Dimezzamento dell’Irap entro un anno e abolizione completa entro due. Riduzione dell'aliquota Ires dal 27,5 al 23% nei successivi tre anni. Dieci miliardi di tasse in meno per i lavoratori, ottenute intervenendo sulla detrazione base da lavoro dipendente o attraverso una rimodulazione delle aliquote Irpef. Riduzione di due punti dell’Iva, dal 22 al 20%. Abolizione della tassazione sulla prima casa. Secondo Daniele Capezzone (foto) questi interventi sarebbero fondamentali per avere una crescita significativa e sostenuta.

«Non vogliamo far scattare le clausole di salvaguardia che gelerebbero i consu-mi. Non scatteranno né nel 2016 né nel 2017». Enrico Morando, vice ministro dell’Economia, lo ha affermato in un'in-tervista al quotidiano Qn. «Le risorse si troveranno da un lato con il migliora-mento di quel dato di bilancio che potrà derivare da una crescita superiore rispet-to alle previsioni; dall’altro con una revi-sione della spesa».

Quadro di sintesi (Var. %)

Previsioni2015 2016

· Prodotto interno lordo 0,7 1,1· Importazioni 3,3 3,5

· Consumi finali nazionali 0,5 0,4 - spesa delle famiglie residenti 0,7 0,7 - spesa delle Pa e Isp 0,1 -0,4· Investimenti fissi lordi -0,2 1,8· Esportazioni 4,0 4,0

· Saldo bil. comm. (in mld euro) 70,4 70,8· Saldo (in mld euro) 55,7 59,2

· Prezzi al consumo (Indice intera collettività nazionale) 0,0 0,7· Tasso di disoccupazione 12,8 12,7

· Saldo in partite correnti * 3,4 3,5· Indebitamento netto * 2,9 -2,8· Debito Pa * 133,2 134,2

Fonte: Ref Ricerche * Dati in % del Pil

La scheda

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4 n . 2 · luglio 2015

Èdiffi cile immaginare un futuro di successo per le imprese prive d’iden-tità che vogliono competere sui mer-cati interno e internazionale. Fare buoni prodotti non basta: la quali-tà oggi è un prerequisito su cui in-

nestare elementi distintivi che qualifi chino azienda, produzione, relazione con il consuma-tore, approccio alla società e al mercato.Temi strategici, su cui si sono basati i lavori dell’As-semblea Ibc aperta dalla relazione del presi-dente Aldo Sutter (di cui proponiamo una sin-tesi a pagina 1). Sintetizziamo le idee centrali emerse durante i lavori. Primo punto: la crescita più sostenuta, sottolinea il sociologo Mauro Magatti, opinio-nista del Corriere della Sera, l’avrà chi saprà «costruire relazioni, condividere valori, dare un senso contemporaneo ai propri prodotti». Certo questa non è una missione facile. Defi ni-re un’identità, per molte aziende, signifi ca fare qualcosa di inedito: vuol dire guardare oltre lo stabilimento, oltre la logica del “buon manufat-to”, intercettare il cambiamento sociale, inda-gare tendenze e valori di riferimento. Ma signifi ca anche avere il coraggio di rive-dere il proprio modo di essere impresa, guar-dare al proprio interno per capire, come sot-

tolinea l’economista Gianfranco Viesti, se le competenze profes-sionali, l’organizza-zione, i livelli di in-novazione sono quelli giusti per uscire dal limbo dell’indifferen-ziazione. Un esempio? Quante

aziende si ostinano oggi a presidiare una plu-ralità di settori o categorie, sostenendo costi ri-levanti in termini economici e organizzativi, quando il loro futuro in realtà è nelle specializ-zazione su produzioni di alto valore? Secondo punto: è diffi cile ambire allo svilup-po internazionale senza un’identità. Non a caso le aziende che più delle altre hanno investito in questa direzione, puntando con decisione an-che sul rinnovamento del capitale umano e sul-la ricerca, sono quelle che crescono di più sui mercati esteri. Se si considera questo dato di fatto, si capisce come mai le imprese italiane che crescono nel contesto globale sono anco-ra poche. Dal 2008 a oggi il settore manifat-turiero italiano ha perso il 20% della capaci-tà produttiva, tornando ai livelli del 1990. Gli investimenti sono crollati del 30%, con conse-guenze negative per la redditività. È il solito eterno problema dell’industria ita-liana: brava, capace di eccellere, ma dimensio-nalmente piccola, poco portata allo sviluppo di sinergie, poco capitalizzata, a conduzione per lo più familiare, affl itta dalla scarsità di fi gu-re professionali qualifi cate. L’86% delle azien-de appartiene a famiglie, che esprimono il ceo nell’84% dei casi e il management nel 66%. Certo, in Germania la proprietà famigliare è anche più alta, quasi il 90%, ma il management proviene dalle famiglie solo nel 28% dei casi. In Francia la percentuale scende al 25%. In In-ghilterra al 10%. Parliamo di un’industria che pur avendo alle spalle una storia, competenza e narrazio-ni straordinarie non riesce poi ad attualizzare e a spendere questo capitale sui mercati inter-

nazionali. Lasciando così spazio a competitor probabilmente meno validi sul piano qualita-tivo, ma sicuramente più pronti ad esprimere un profi lo identitario, più posizionati e quindi in grado di commercializzare produzioni meno assimilabili a commodity. «Puntiamo dunque con decisione sull’identi-tà come strumento di rilancio e competizione», sottolinea Antonio Calabrò, senior advisor cul-tura del gruppo Pirelli, introducendo le rifl es-sioni dei manager che hanno preso parte alla tavola rotonda all'Assemblea Ibc. Guardiamo ad alcune testimonianze esemplifi -cative. Sanpellegrino, un'azienda storica, è par-te del gruppo Nestlè Waters, ma parla di italia-nità ad ogni angolo del pianeta. Il suo successo mondiale è stato costruito sul rinnovamento organizzativo e sulla trasmissione chiara dei propri valori. «Parliamo un linguaggio fatto di piacere di stare insieme, alta qualità, lusso», spiega il presidente e amministratore delegato Stefano Agostini, vice presidente di Ibc. Italianità ed innovazione sono state leve fon-damentali per l’affermazione di un’azienda come Lavazza, da 120 anni simbolo di caffè italiano di qualità. «Ci hanno permesso di es-sere sempre un passo avanti», commenta Giu-seppe Lavazza, vice presidente dell’azienda, «ma abbiamo sempre cercato di sviluppare anche codici di comu-nicazione distintivi, che ci consentissero di esprimere simpa-tia, vicinanza, empa-tia con il consumato-re». Fattori strategici chiave per dare un’i-dentità a un prodotto che rappresenta la secon-da commodity mondiale dopo il petrolio. Anche per L’Oréal l’innovazione rappresenta una componente fondante dell’identità di mar-ca, sin dal 1915. «Investiamo 860 milioni l’an-no in ricerca e sviluppo», ricorda l’amministra-tore delegato Cristina Scocchia. «E abbiamo preso l’impegno di rendere sostenibili tutte le nostre referenze entro il 2020». Di identità parla anche il presidente di Coop Italia, Marco Pedroni: «Abbiamo una storia lunga 150 anni, che ci ha sempre visto ac-canto al consumatore. Il nostro impegno è ri-confermarla giorno dopo giorno, selezionan-do i migliori prodotti, offrendo convenienza, dedicando la massima attenzione a concet-ti come la sostenibilità e l’approccio etico al mercato». Un posizionamento distintivo, ap-punto, in un mercato distributivo, quello ita-liano, che appare ancora sostanzialmente in-differenziato. Quali conclusioni trarre al termine dei la-vori? Roberto Bucaneve, direttore generale di Ibc, propone una sintesi operativa: «Le impre-se che si trovano in una situazione ibrida do-vrebbero rifl ettere seriamente sulle loro stra-tegie e posizionarsi con precisione. Il tempo non è molto, se si considera la velocità con cui i nuovi competitor si muovono sul merca-to globale». Fermarsi ad aspettare una ripresa che sarà sicuramente lenta o nell’illusione che i mercati torneranno come negli anni pre crisi sarebbe un grosso sbaglio.

Alessio Mainardi

Industria

Sutter: «Per vincere sui mercati abbiamo bisogno di imprese con identità forti e distintive»

Assemblea annuale Ibc

Aldo Sutter,presidente Ibc

È importanterifl ettere

seriamentesulle strategie

di posizionamento

Oggi la qualitàè un prerequisitosu cui innestare

elementidi diff erenziazione

Imprenditori e manager si sono dati appuntamento a Milano in occasione del più importante incontro pubblico dell’Associazione. In agenda: approfondimenti su politica industriale, cambiamento sociale ed implicazioni per le imprese. Tra gli ospiti il sociologo Magatti e l'economista Viesti

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n . 2 · luglio 2015 5

Durante la parte privata dell’Assemblea annuale di Ibc, svoltasi il 24 marzo 2015 all’ho-tel Four Seasons di Milano, al termine dell’incontro "L’identi-tà d’impresa come risorsa com-petiva", si è proceduto a diversi adempimenti. L’Assemblea ha approvato il bilancio 2014, che insieme alla revisione contabile prevista dal-lo statuto è stato sottoposto a certificazione volontaria (a cura di Deloitte). Sono stati inoltre approvati il preventivo economico e le quo-te 2015 (che sono rimaste immu-tate rispetto allo scorso anno, dopo la riduzione del 5% che era stata decisa dall'Assemblea) e un nuovo statuto, il cui testo (elaborato con l’ausilio di con-sulenti, sia in ambito notarile che in ambito legale, in materia civile, societaria, fiscale e an-titrust) era stato già approvato dal consiglio direttivo lo scorso febbraio. Il presidente Aldo Sutter, nel-la sua relazione, ha evidenzia-to che la revisione dello statuto intende: migliorare il funziona-mento dell’associazione in tutti i suoi aspetti; favorire il coinvol-gimento delle aziende associa-te ed implementare misure per precisare meglio le modali-tà di partecipazione; semplifi-care/velocizzare la soluzione di eventuali controversie nascen-ti all’interno dell’associazione. Il testo completo del nuovo statuto è disponibile sul sito www.ibconline.it

Approvato il bilancio 2014 e rinnovato lo statuto

CAPI D'AZIENDA • Un momento dei lavori all'Assemblea Ibc. In prima fi la, da sinistra: Nicola Bianchini (direttore commerciale Rigoni di Asiago), Stefano Agostini (ceo Sanpellegrino e vice presidente Ibc), Cristina Scocchia (ceo L’Oréal e vice presidente Centromarca), Aldo Sutter (presidente Ibc e presidente gruppo Sutter), Luca Garavoglia (presidente Campari), Giuseppe Lavazza (vice presidente Lavazza).

Il presidente e direttore generale di Centromarca, Luigi Bordoni, conversa con il direttore generale di Upa, Giovanna Maggioni.

L’economista Gianfranco Viesti (a sinistra) e il fi losofo Mauro Magatti, autori delle relazioni di base proposte all'Assemblea Ibc.

Lo scrittore Antonio Calabrò, senior advisor cultura del gruppo Pirelli, moderatore dei lavori (a sinistra), con Giuseppe Lavazza, vice presidente dell’azienda torinese.

L’impresa vive di idee. Gli imprenditori e i manager sono chiamati di continuo ad averne e a coltivare negli altri la capacità di pensare fuori dagli schemi. Per farlo serve un’attenzione particolare nel cogliere i cambiamenti, nel leggere tra le righe, nel non fermar-si alla prima impressione. Chi riesce a farlo vince. In-nova in modo fondamentale. Crea. Genera idee con cui progettare il futuro della sua azienda e di intere gene-

razioni di persone. Si radica nell’immaginario collettivo non solo sotto forma di loghi conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo, ma di un certo modo di vedere la so-cietà, attraverso quello straordinario elemento di me-diazione che si chiama identità. Partendo da queste considerazioni Ibc, in occasione della sua Assemblea, ha voluto approcciare il tema, senza dubbio complesso, dell’identità d’impresa come

vantaggio competitivo. Più di 150 persone hanno preso parte all’incontro. Tra loro esponenti di primo piano del mondo indu-striale, della moderna distribuzione e di sistemi asso-ciativi, che a margine dei lavori hanno condiviso va-lutazioni e punti di vista sull’andamento generale dell’economia e dei diversi settori del mercato dei beni di consumo. (a.m.)

Generare idee,progettare il futuro

Marco Pedroni, presidente di Coop Italia e presidente Indicod-Ecr (a sini-stra) e Mario Preve, presidente di Riso Gallo e vice presidente Centromarca.

Roberto Bucaneve, direttore generale di Ibc (a sinistra) discute con Claudio Gariboldi, direttore commerciale di Morato Pane.

Da sinistra: Luca Intermite, direttore commerciale di Icat Food; Vito Gulli, pre-sidente di Generale Conserve e Paolo Micheli, brand advisor di Parmareggio.

Adempimenti

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6 n . 2 · luglio 2015

di Cesare Ponti*

a crisi dei sette anni che ha investito il Paese ha col-pito pesantemente i consumi alimentari, che han-no accusato una discesa in valuta costante del -14%, con un aggravio specifico di -0,9 punti/anno in più rispetto ai consumi interni. Minori acquisti in quan-tità, minori sprechi, privilegio delle promozioni

come priorità di acquisto, sacrificio della qualità e del valore aggiunto, hanno pesantemente colpito il settore. Le famiglie si sono rivolte immediatamente al food and beverage, fin da inizio crisi, quando altri con-sumi ancora tenevano, come ammortizzatore quotidiano della loro minore capacità di acquisto. La produzione alimenta-re complessiva del Paese co-munque ha tenuto. Nel 2014 è salita del +0,6% a parità di giornate lavorative. La perdi-ta cumulata sull’arco 2007-2014 si è fermata a -3,4 pun-ti percentuali, con 21 punti secchi di differenza rispetto al -24,3% di perdita accusato dal totale industria. La mano-dopera utilizzata dal settore è scesa nel periodo della crisi da 405mila a 385mila unità, sostanzialmente per riduzio-ne del turnover. Il contributo di stabilizzazione del settore al sistema è stato perciò fon-damentale, considerando an-che che esso rappresenta, con 132 miliardi di fatturato, ol-tre l’8% del Pil nazionale. La tenuta si lega in gran parte alla leva cruciale dell’export. Le opportunità offerte dai mercati esteri sono im-mense. Nei sette anni di crisi l’export dell’industria alimen-tare è salito della metà (+49,5%), contro il +9,9% dell’export complessivo del Paese. Nel 2014 esso ha raggiunto i 27,1 mi-liardi di euro, con un +3,5% sull’anno precedente: un tasso più debole degli anni precedenti. La priorità del settore, sulla scorta della strutturale pigrizia del mercato interno, è in definitiva proprio quella di accelera-re il passo dell’export, salvaguardando l’identità e la qualità dei nostri prodotti. Dobbiamo guardare perciò sempre di più al mondo. E dobbiamo avvicinarci a competitor come Germania e Francia, che hanno proiezioni export oriented decisamente su-periori alle nostre (esportiamo il 20,5% del nostro fatturato ali-mentare, contro il 33% della Germania e il 27% della Francia). Occorre intervenire sulla promozione del Made in Italy e su-

gli ostacoli che frenano l’agroalimentare italiano oltreconfine. Come le barriere non tariffarie, spesso pretestuose, imposte da molti Paesi esteri. Come certe discipline, quale quella "a se-maforo" del Regno Unito, che dà le pagelle ai singoli prodotti, quando sono le diete e gli stili di vita che contano (non a caso essa è oggetto di procedura di infrazione per il ricorso presen-tato in commissione da 17 Paesi europei). E come in genera-le l’Italian Sounding, che tocca i 60 miliardi a livello globale. Ora l’impegno è portare, entro fine decennio, a 50 miliardi di euro l’export agroalimentare complessivo, rispetto ai 34,4 mi-liardi attuali (+45%). L’impegno parallelo è quello di elevare

da 720 milioni a 1 miliardo (+39%) la platea di consumatori “fidelizzati” ai prodotti italiani nel mondo. Occorrono, per ri-uscire nell’intento, impegni finanziari importanti e coordina-ti, assieme a strategie promozionali mirate e durature. Va aggiunto che la maggior parte dei nuovi consumatori mondiali dovrebbe appartenere, più che al potenziamento dei mercati maturi (con la solitaria eccezione degli Usa), all’affio-rare della nuova classe borghese, dotata di apprezzabile capa-cità di acquisto, che caratterizza i Paesi emergenti più perfor-manti. Si pensi solo, senza andar lontano, a Polonia e Turchia, che assieme hanno raddoppiato il loro reddito, negli ultimi dieci anni, e sommano insieme il doppio della popolazione italiana. É molto vicino, comunque, il momento in cui gli Usa sor-passeranno la Francia e si porranno al secondo posto as-

soluto, dietro la Germania, fra i nostri sbocchi alimen-tari. Del resto, sono già al primo posto da anni come sbocco del vino nazionale, dopo aver sorpassato la Germania. Il forte tiro del loro mercato sta ulteriormente accelerando a inizio 2015, sulla spinta dello sviluppo (quest’anno è atteso un tasso espansivo del Pil Usa superiore al 3%) e della svaluta-zione del cambio euro-dollaro. La ue rimane comunque la prima produttrice ed esportatrice di food and beverage del mondo. Le stime d’impatto dell’ac-cordo per il periodo 2017-2027 sono, per la ue, di una cresci-ta annua media del Pil del +0,5% (circa 86,4 miliardi di euro)

e per gli Usa del +0,4% (circa 65 miliardi di euro). In pra-tica, l’export europeo verso gli States aumenterebbe del 28,0% (circa 187 miliardi di euro), mentre quello Usa del 36,6% (159 miliardi di euro). Al di là della precisione del-le valutazioni specifiche (opi-nabili per il gran numero di variabili in campo), gli or-dini di grandezza sono sicu-ramente importanti. La ric-chezza globale aumenterebbe insomma in modo sensibi-le, mentre la riduzione del-le barriere non tariffarie bi-laterali determinerebbe a sua volta l’affermazione di fat-to di standard globali. Fatto-re, questo, fondamentale per “centrare” le regole del mer-cato mondiale nell’area at-lantica, prima dell’ulteriore rafforzamento della Cina. Gli spazi del mercato inter-no, per un enorme settore di largo consumo come l’ali-mentare, si legano in defini-

tiva al tema di fondo della capacità di acquisto delle famiglie. Quindi a fattori cruciali come lo sviluppo e la pressione fisca-le. L’aumento del Pil del +0,6%, mediamente atteso nell’anno in corso, è solo un segnale preliminare della ripresa attesa nel triennio 2016-18. Esso innescherà probabilmente, dopo l’as-sestamento attuale, una ripresa a valuta costante dei consumi alimentari tra il +0,3% e il +0,5%, in media 2015. Cui dovreb-be associarsi un aumento attorno al +1% della produzione ali-mentare e una crescita di circa il +6% dell’export. L’industria alimentare comunque sta facendo la sua parte per sostenere il mercato. Ha chiuso il 2014 con prezzi alla produzione in di-scesa del -0,2%, sotto lo 0,0% dell’inflazione e sotto il +0,3% registrato in parallelo dai prezzi al consumo del settore.

* Vice presidente Federalimentare

IndustriaExport alimentare: opportunità oltreconfine

OPPORTUNITÀ • Il mercato statunitense sta accelerando le importazioni di prodotti italiani per effetto della svalutazione del cambio euro-dollaro. Nella foto: i negozi di Little Italy a New York, punto di riferimento per una schiera eterogenea di consumatori locali e turisti.

La tenuta del settore si lega in gran parte alle esportazioni, che nei sette anni di crisi del mercato interno sono cresciute del 49,5%. Di fondamentale importanza la valorizzazione efficace delle nostre produzioni sui mercati internazionali

L

Un miliardo di persone vuole cibo italiano

Vino • Dopo una crescita stimata del 9% dal 2009 al 2013, il 2014 registra un rallentamen-to delle esportazioni, che rimangono comunque considerevoli, pari a 4,5 miliardi di euro e al 20% dell’export dell’industria alimentare italiana. Se-condo Federalimentare, tra gennaio e ottobre 2014 l’incremento è dello 0,81%.

Riso • Il riso italiano è in grado di fronteggia-re la crisi puntando sulla qualità e sul brand, no-nostante la concorrenza delle produzioni low cost dei Paesi asiatici cerchi di frenare il suo sviluppo. L’etichettatura del riso è una delle priorità inseri-te nell’agenda del Mipaaf, con l’obiettivo di so-stenere il comparto che, nei primi dieci mesi del 2014, ha subito un calo dell’1,6% delle esporta-

zioni, che sono pari a 438 milioni di euro (il 2% dell’export alimentare).

Pesce • Malgrado condizioni sfavorevoli, tra cui l’embargo di Mosca verso alcuni prodotti eu-ropei e l’impatto negativo delle sanzioni contro la Russia, nei primi dieci mesi del 2014 il setto-re ittico registra un notevole incremento (+9,6%), raggiungendo quota 236 milioni di euro di export, ovvero l’1,1% del totale alimentare.

Ortaggi • L’industria della trasformazione de-gli ortaggi italiana è rappresentata all’estero dal comparto delle conserve di pomodoro e pelati, il cui export, nel periodo gennaio-ottobre 2014, vale oltre 1,3 miliardi di euro.

Olio • L’olio di oliva ha esportato tra gennaio e ottobre 2014 prodotti per oltre 1,1 miliardi di euro, ovvero la quasi totalità del miliardo e mezzo di euro rappresentato dall’insieme dell’export di olio e grassi (il 6,9% del totale export alimentare).

Acque minerali • All’estero un prodotto semplice come l’acqua è percepito come “specia-le” se porta un marchio Made in Italy. L’export traina il comparto con una crescita dell’11% tra gennaio e ottobre 2014, per un valore di 612 mi-lioni di euro (il 2,7% dell’export alimentare to-tale).

Caffè • Il caffè rappresenta il 4,1% delle espor-tazioni dell’industria alimentare italiana, con 932 milioni di euro di esportazioni tra gennaio e otto-bre 2014. Il comparto gode di buona salute e regi-stra una crescita superiore all’8%.

Lattiero-caseario • L’export dell’industria lattiero-casearia vale il 9,3% del totale, pari a qua-si 2,1 miliardi di euro. Il dato è attribuibile preva-lentemente alle vendite di formaggi, con 1,8 mi-liardi di euro fatturati tra gennaio e ottobre 2014.

Pasta • La pasta è il prodotto più noto e vendu-to oltreconfine, con un valore dell’export di qua-

si 1,9 miliardi di euro (tra gennaio e ottobre del-lo scorso anno +3,25%) pari all’8,3% del totale.

Salumi • Tra gennaio e ottobre 2014 il compar-to ha venduto all’estero per 1,2 miliardi di euro, pari al 5,2% dell’export alimentare totale.

Dolciario • L’industria dolciaria italiana regi-stra un export da 2,7 miliardi di euro da gennaio a ottobre 2014, pari al 12,2% delle esportazioni to-tali, in crescita del 4,6% rispetto allo stesso perio-do dell’anno precedente.

Trasformazione frutta • Nei primi die-ci mesi del 2014, l’export dell’industria della tra-sformazione della frutta realizza 686 milioni di euro, pari al 3,9% del totale, cifra che non ha su-bito variazioni rispetto all’anno precedente e che è generata in gran parte dai succhi di frutta.

Federica Romano

I campioni del Made in Italy

Mercati

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n . 2 · luglio 2015 7

oberto Barbieri, 56 anni, si definisce un “ingegne-re anomalo, attratto dalle persone più che dalle mac-chine”. Milanese, laureato in ingegneria elettrica, è in Osram dal 1995, dove oggi è consigliere delegato e direttore generale. Membro del consiglio direttivo di Ibc, ha un passato nelle vendite e nel marketing, oltre

che da allenatore e giocatore di pallacanestro. E magari «Quando finirò di divertirmi con le lampade tornerò a farlo con il basket...».

Ingegner Barbieri, il mondo dell’illuminazione è così diffe-rente da quello del largo consumo? «Certamente la diversificazione di questo business ci permette di essere attivi con molti prodotti in diversi canali, sia in ambito B2B, sia a diretto contatto con il consumatore. E proprio il retail, con una quota del 15% del fatturato europeo, si è ormai consoli-dato come un asset importante per il nostro gruppo.Anche in Italia la distribuzione moderna ci sta dando buone sod-disfazioni: la crescita delle catene specializzate nel “fai da te” e la collaborazione con diverse insegne di super e iper ci hanno per-messo di raggiungere direttamente il consumatore, segmentare correttamente l’offerta e garantire una maggiore e migliore infor-mazione».

Per tutelare il consumatore... «Posto che la sicurezza dei prodotti e il rispetto delle norme sono quasi un’ossessione per noi, una corretta informazione non va solo a tutela del consumatore, ma anche del valore dei prodotti.Considerato l’elevato tasso di tecnologia che contraddistingue il settore, è fondamentale che chi acquista una soluzione per la luce sia a conoscenza delle caratteristiche di qualità e innovazione che la contraddistinguono. Solo così potrà essere davvero consape-vole nella scelta e valutare correttamente il rapporto qualità/prez-zo. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo assistito a un inasprimen-to della competizione di prezzo che ha portato a un processo di “commoditizzazione” di prodotti anche recenti e ad alto contenu-to di innovazione come le lampade led. Su questi temi spesso col-laboriamo con il trade, anche se talvolta i loro obiettivi a breve ter-mine vengono poi privilegiati nella scelta degli assortimenti...».

E negli altri canali distributivi? «Le battaglie per la tutela del valore e l’informazione al consu-matore le portiamo avanti insieme a tutti i nostri partner. Penso, ad esempio, al settore automotive dove si sta affermando la tendenza alla scelta del ricambio a cura del cliente e non più dell’installatore (che spesso si limita solo alla manodopera). Oppure all’e-commer-ce, dove il nostro gruppo ha scelto di investire, che ben si presta alle strategie di ipersegmentazione che stiamo attuando. I temi dell’in-formazione e della comunicazione sono comuni a tutti i canali e la parola chiave, nonché la vera sfida, è quella della sinergia».

Altresfideall’orizzonte? «Sicuramente proseguire nel processo di ottimizzazione dei nostri prodotti led per renderli sempre più performanti e al con-tempo accessibili. “More for less”, come diciamo in Osram. L’avvento di questa tecnologia sta creando tante opportunità, specialmente nell’ambito del design e dell’architettura. Settori che, anche grazie alla domotica e alle tecnologie digitali, han-no saputo sfruttare le potenzialità del led per innovarsi signifi-cativamente. Se guardiamo ancora più in là, poi, si affaccia già all'orizzonte la tecnologia laser come nuova frontiera dell’illu-minazione».

L’innovazionesembraessereilfilrougeditutto. «Per essere leader in questo settore la leva più efficace è quella dell’innovazione. Senza, non sapremmo cogliere o, an-cora meglio, precedere i cambiamenti che il mercato richie-de. Per questo siamo particolarmente fieri di avere nella nostra sede di Treviso un polo di eccellenza tutto italiano di ricerca e sviluppo per le tecnologie led. È evidente che l’innovazione non riguarda solo lo sviluppo dei prodotti, ma coinvolge tutti i processi e l’organizzazione aziendale e impone alle aziende un percorso di crescita e di acquisizione di nuove competenze».

Ad esempio sui temi della sostenibilità. «Come gruppo sono parecchi anni che ci dedichiamo all’ot-timizzazione del ciclo di vita dei prodotti: dalla riduzione dell’impatto energetico nelle nostre sedi fino allo smaltimento delle materie prime utilizzate per arrivare all’obiettivo di ave-re zero rifiuti.Nel business della luce, inoltre, crediamo che la sostenibili-tà sia far risparmiare i consumatori attraverso prodotti sempre più eco-efficienti ma anche grazie al lancio di sistemi come ri-levatori di persone nelle abitazioni, app e dispositivi elettroni-ci di controllo della luce da remoto. Tutto questo con un’atten-zione in più tipicamente italiana...».

Ovvero? «La capacità di saper coniugare la funzionalità con la bellez-za. Per questo da molti anni ci dedichiamo a rendere ancora più belli e visibili alcuni monumenti che sono parte del nostro patrimonio artistico. Ovviamente lo facciamo tramite l’illumi-nazione, creando soluzioni studiate ad hoc per valorizzare le opere d’arte. L’ultima impresa, di cui siamo molto orgoglio-si, è il nuovo sistema di led studiato appositamente per la Cap-pella Sistina, che ora gode di un’illuminazione più omogenea, eco-efficiente, sicura per gli affreschi e che enfatizza i colori originari usati dagli artisti. E, non da ultimo, è completamente invisibile agli occhi dei visitatori».

Paolo Ghiggini

Osram: creare valore segmentando l’offerta e informando il consumatore

Dalle lampadine a incandescenza alla nuova frontiera dei laser

Il ceo Barbieri: «Buone soddisfazioni stanno arrivando dalla distribuzione moderna grazie alla crescita delle catene del “fai da te” e alla collaborazione con diverse insegne food». Prosegue il processo di ottimizzazione dei prodotti per renderli più performanti ed ecoefficienti

R

INTERNAZIONALE • Roberto Barbieri è consigliere delegato e direttore generale di Osram e membro del consiglio direttivo di Ibc. Il suo gruppo è uno dei leader mondiali nella produzione di sistemi di illuminazione. Fondata a Berlino nel 1906, Osram deve il suo nome ai due materiali necessari all'epoca per produrre i filamenti per le lampadine: l'osmio e il wolframio (o tungsteno). Oggi conta in tutto il mondo oltre 34mila dipendenti e un utile di quasi 5,1 miliardi di euro. Il fatturato maggiore è generato dalla divisione illuminazione generale ma Osram è anche il principale fornitore globale di lampade e led per veicoli e uno dei protagonisti nel campo degli alimentatori elettronici per sorgenti luminose. In Italia è presente con il suo quartier generale a Milano e con due poli di ricerca e produzione situati a Bari e a Treviso.

Lavoriamo sui datiche parlano dei clientidi Filippo Genzini* segue dalla prima In Gran Bretagna per un certo periodo l’ap-proccio ha funzionato, ma quando sono ap-parsi all’orizzonte fenomeni esogeni (come l’every day low price introdotto in Asda da Walmart e gli ingressi di Aldi e Lidl) l’equi-librio è saltato, con risultati sotto gli occhi di tutti. Eppure Kroger, che negli Stati Uniti è il paladino dell’approccio customer centric, ha registrato 45 trimestri consecutivi di crescita, anche in presenza di una forte erosione della quota di mercato dei supermercati main stre-am da parte di formati più aggressivi. Di certo l’omologazione degli assortimen-ti, il taglio dei costi dei reparti assistiti, così come l’affollamento di pratiche promoziona-li indifferenziate sempre più aggressive non favoriscono la realizzazione di una customer

experience distintiva, accelerando il processo di banalizzazione dei formati distributivi e, di conseguenza, di tutti i prodotti che vendono. Il fenomeno è accentuato dal ricambio ge-nerazionale. I millenial, che stanno gradual-mente sostituendo i boomer in termini di po-tere d’acquisto e responsabilità delle decisioni di spesa, hanno un rapporto con le marche, le aziende e il largo consumo molto diver-so da quello dei genitori e dei nonni, nati e cresciuti in un’epoca di conquista dei consu-mi di massa. Ed essendo digitali dalla nascita sono abituati a cedere informazioni nella rete, e in particolare nei social media e nei siti di e-commerce, per ottenere un trattamento per-sonalizzato con messaggi, contenuti e offer-te rivolte esclusivamente a loro. O che almeno appaiono tali. Caratteristiche delle quali do-vrà tenere conto anche il mondo distributivo, passando da un approccio orientato al proces-so e al prodotto a uno che abbia come model-lo di riferimento i livelli di eccellenza che la clientela sperimenta con altri servizi. L’informazione ricopre un ruolo fondamen-tale per mettere in moto questa rivoluzione.

Un’informazione che deve rompere le barrie-re dei silos isolati, che non consentono di ri-costruire l’univocità dei clienti e di ascoltare la loro voce segmentandoli in funzione dei di-versi obiettivi di marketing che spaziano dal-la “care”, all’incremento della share of wallet, senza dimenticare l’attrazione. Per superare l’inerzia di modalità operati-ve consolidate e la resistenza al cambiamento, sempre il mondo anglosassone ha individua-

to nella condivisio-ne con i fornitori dell’industria la so-luzione per intro-durre modi nuovi di lavorare. Perché le grandi aziende di produzione han-no una forte espe-rienza nella lettura delle informazio-

ni di mercato di tipo customer in particolare nelle rispettive categorie merceologiche. Ar-ricchite oggi dalle profilazioni fatte nei so-cial media e attraverso le banche dati ana-

grafiche realizzate grazie al fiorire di servizi e app che, proponendo contenuti informati-vi, promozionali e attività di gaming, per-mettono di ottenere in cambio la profilazione dell’utente. Informazioni alle quali le aziende di marca attribuiscono un grande valore, che le imprese distributive possono vedersi rico-nosciuto sia a livello economico sia attraverso un miglioramento delle performance all’inter-no delle categorie. Il rischio di uno sbilanciamento del pote-re conoscitivo tra industria e distribuzione può essere superato attraverso il consegui-mento di livelli di eccellenza nelle funzioni marketing e di category management, pun-tando sulla collaborazione, la formazione e la cross fertilization. D’altronde il diffonder-si di servizi crowd based nell’area della rile-vazione di prezzi e merchandising, così come nella lettura degli scontrini, indica l’esistenza di fonti informative alternative con valenze meno collaborative, di cui non conviene sot-tovalutare l’impatto.

* Around Marketing

Le pratiche promozionali

aggressive non favoriscono una

shopping experience distintiva

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8 n . 2 · luglio 2015

Una ripresa economica ancora timida e la continua riduzione dei costi delle materie prime hanno determinato nel 2014 in Francia un’elevata defl azione sui prodotti di largo e genera-

le consumo. I prezzi nella grande distribu-zione sono diminuiti in media del -1,3% e i prodotti delle grandi marche del -3,1%. Questi fattori hanno catalizzato, nella se-conda metà dell’anno scorso, un’importan-te serie di accordi nella grande distribu-zione: Auchan con Système U, Casino con Intermarché e Carrefour con Cora. Le tre centrali e il gruppo Leclerc controllano cir-ca il 93% degli acquisti dei beni di largo consumo. Gli accordi miravano a ottenere migliori prezzi di fornitura nel corso del-le negoziazioni, grazie all’aumento dei vo-lumi per ciascun prodotto o gamma e allo scambio d’informazioni fra le centrali sul-le rispettive condizioni di acquisto. Le mi-gliori condizioni ottenute dai distributo-ri dovrebbero consentire di recuperare una parte dei loro margini e continuare la guer-ra dei prezzi. Anche quest'anno le negoziazioni, come ha abbondantemente rilevato la stampa d’Oltralpe, si sono svolte in un clima par-ticolarmente teso e i produttori hanno de-nunciato l’accentuarsi di pratiche sleali da parte dei distributori. Alcuni comportamen-ti degli acquirenti, come il non rispetto dei clienti (dalla dilazione degli appuntamen-ti all’imposizione di lunghi tempi di atte-sa ai venditori) e della confi denzialità degli accordi verbali, dipendono dalle tecniche di negoziazione piuttosto aggressive degli acquirenti. Altri, come la richiesta di ridu-zioni eccessive dei prezzi o il rifi uto di te-ner conto dell’aumento dei costi di produ-zione, sono in parte legati all’impatto della defl azione delle materie prime, che ha in-dotto quest’anno i retailer, lungi dall’accet-tare aumenti di prezzo, a proporre piuttosto delle diminuzioni. Per farlo, hanno potuto approfi ttare di una disposizione della legge Hamon, votata nel marzo 2014, che ha pre-visto espressamente una clausola di revisio-ne dei prezzi in seguito alla variazione dei costi delle materie prime. Naturalmente quando il potere di nego-ziazione dei distributori supera quello dei produttori, le condizioni generali di acqui-sto fi niscono per prevalere su quelle di ven-dita. Ma il distributore che riuscisse ad im-porre condizioni economiche squilibrate rischia di incorrere nelle sanzioni previste dalle norme sulle pratiche restrittive della concorrenza. Altri comportamenti ancora, quali la do-manda di compensazione retroattiva dei margini, sono illegali sulla base delle nor-me sulle pratiche anticoncorrenziali - confi -gurano un abuso di dipendenza economica - ma le aziende sono state fi nora riluttanti a denunciarle, per timore di ritorsioni. Anche in assenza di denuncia dei produt-tori, però, il rischio è elevato per i distri-butori che approfi ttassero del loro potere negoziale per imporre clausole o pratiche “abusive”. In seguito alla conclusione di un accordo fra le parti, infatti, il ministero del-le Finanze, può, intervenire tramite la Di-rezione generale del Consumo, della con-correnza e della repressione delle frodi. L’amministrazione potrebbe rilevare, nel-le condizioni del contratto, o imposte in se-guito, anche se accettate dai produttori, l’e-

sistenza di "uno squilibrio signifi cativo nei diritti e negli obblighi delle parti". La fatti-specie è stata introdotta nel 2008 dalla leg-ge di Modernizzazione economica fra le pratiche restrittive della concorrenza e, in conformità a questo provvedimento, negli anni passati il ministero ha già citato in giu-dizio le centrali d’acquisto di Casino, Le-clerc, Auchan, Carrefour et Cora, che sono state tutte condannate. Secondo due recenti sentenze della Cor-te di Cassazione, che hanno confermato le condanne di Provera (Cora e Match) e Auchan, lo squilibrio deve essere valuta-to con riferimento al contratto complessi-vo: alcune clausole possono dunque essere squilibrate individualmente, ma far parte di un insieme equilibrato. Inoltre, l’assen-za di una reale negoziazione di una clau-sola, può di per sé giustifi care la sanzio-ne di squilibrio signifi cativo. Le clausole e le pratiche contestate si riferiscono essen-zialmente alle penalità di ritardo e di non rispetto dello standard di servizio defi ni-to dai distributori, alla rescissione del con-tratto - o a riduzioni del prezzo - in seguito ad una scarsa performance del prodotto ac-quistato e a condizioni di pagamento squi-librate fra le parti. Le sanzioni civili previste non potevano superare fi nora i due milioni di euro, un im-porto relativamente modesto. Un emenda-mento al disegno di legge Macron (mi-nistro dell’Econo-mia e dell’industria dell’attuale Gover-no di Manuel Valls) già approvato dal-la Camera, ma non ancora dal Senato, ha rialzato però il li-mite massimo del-la penale al 5% del fatturato azienda-le. L’importo delle sanzioni si avvicine-rebbe ormai a quel-lo - molto alto: 10% del fatturato mon-diale - previsto per le pratiche anticon-correnziali. Le stes-se pratiche, inoltre, se sono suscettibi-li di compromette-re la struttura o il funzionamento del-la concorrenza, pos-sono incorrere nelle norme sulle prati-che anticoncorren-ziali e, in partico-lare, nell’abuso di dipendenza econo-mica previsto dal codice del commer-cio. Anche per que-sta ragione, il ministro dell’Economia e la commissione Affari economici del Sena-to hanno richiesto l’intervento dell’Autori-tà della concorrenza. In seguito ad un’ana-lisi preliminare, agli inizi di gennaio 2015 l’Autorità aveva già formulato alcuni con-sigli di modifi che legislative miranti a raf-forzare l’effi cacia della sua azione di dife-sa della concorrenza. Uno di questi è stato accolto nel progetto di legge Macron: la nuova norma impone ai distributori l’ob-bligo di informare preventivamente l’Auto-rità della loro intenzione di stringere accor-

di di acquisto. Alla fi ne di marzo, l’Autorità ha poi formulato un parere motivato sulle conseguenze degli accordi sullo stato della concorrenza nel mercato a valle e in quello a monte. Per quanto riguarda quest’ultimo, l’Auto-rità indica i possibili rischi anticoncorren-ziali di tali intese: la possibile limitazione dell’offerta, della qualità dei prodotti e de-gli incentivi all’innovazione e agli investi-menti. Le intese potrebbero inoltre espel-lere dal mercato alcuni fornitori, indeboliti dalla riduzione dei prezzi imposta dai di-stributori o dalle condizioni di vendita da loro imposte. Ciò si potrebbe verifi care - secondo l’Autorità - specialmente in alcuni settori merceologici: lo scatolame, i casa-linghi, l’igiene e bellezza, i liquidi e i pro-dotti deperibili a libero servizio, nei quali è superato il “limite di sicurezza”, fi ssato dalla Comunità Europea al 15% della quo-ta di mercato sia a monte sia a valle. Oltre questo limite, può diminuire la sostituibilità del cliente da parte del fornitore e un’anali-si più dettagliata s’impone allora sulle altre caratteristiche dei mercati (barriere all’in-gresso di nuovi concorrenti, concentrazio-ne, trasparenza, complessità). L’Autorità fa poi riferimento al concetto di dipendenza economica, che si valuta se-condo quattro criteri principali e cumulati-vi: la quota di fatturato che un produttore

realizza con un solo distributore (si ritiene che questa non debba superare, in media, il 22%), la mancanza di libertà di scelta e l’assenza di soluzioni alternative da parte del fornitore. Se il cliente si trova in sta-to di dipendenza economica, il distributo-re che adotta pratiche sleali - come il de-referenziamento improvviso e le domande di rinegoziare le condizioni o di garantire il margine dei prodotti senza nuove contro-partite - può essere incriminato per abuso di tale dipendenza.

di Enrico Colla*

Pratiche scorrette:meglio la norma dell’autoregolamentazione

Caro Direttore, non avrei mai pensato, come dirigente di un’associazione di consumatori, di dovermi occupare (e preoccupare) delle pra-tiche commerciali sleali nella catena di fornitura tra impre-se. Tradizionalmente la nostra mission riguarda problemi già molto impegnativi come i prezzi al consumo, la qualità dei prodotti, l'ingannevolezza della pubblicità e delle proposte commerciali e via di seguito. Insomma tutto quello che ri-guarda direttamente il consumatore nel suo rapporto quoti-diano con la rete di vendita e le aziende di produzione. I rapporti interni alla fi liera che va dalla produzione allo scaffale ci hanno invece interessato poco come associazio-ni di consumatori. Finché non sono stato coinvolto nel pare-re che il Comitato economico e sociale europeo (Cese), di cui sono membro in rappresentanza dei consumatori italiani, ha redatto per la commissione europea e il Parlamento europeo. Il motivo del parere è stato il "Libro verde sulle pratiche com-merciali sleali nella catena di fornitura alimentare e non ali-mentare tra imprese in Europa" (2013) e la relativa consulta-zione avviata dalla commissione. Il problema era già stato trattato dal Cese in un parere oltre 10 anni fa, nel 2005, quando il tema era in qualche modo tabù in Europa. Nel documento si criticavano molti aspetti negati-vi del comportamento delle catene di distribuzione. Successi-vamente, nel 2007, il Cese indirizzava alla commissione una "Dichiarazione scritta su uno studio e soluzioni all'abuso di potere dei grandi supermercati operanti nell'Unione Euro-pea", con cui si invitava la commissione ad affrontare la que-stione e porre rimedio alla situazione. Finalmente nel 2009 la commissione per la prima volta è intervenuta, inserendo il

tema nel programma uf-fi ciale di lavoro, creando un forum di alto livello e una piattaforma di esperti per migliorare il funzio-namento della catena di fornitura alimentare.Oggi abbiamo il Libro verde citato e la comuni-cazione della commissio-ne "Affrontare le pratiche commerciali sleali nella fi liera alimentare tra im-prese" (2014). Insomma, il bubbone è scoppiato e come associazioni di con-sumatori non possiamo ignorarlo, perchè speri-mentiamo ogni giorno le ricadute sulla spesa delle famiglie. Naturalmente ci riguar-dano meno gli aspetti di violazione del mercato, evidenziati ad esempio dalle Autorità antitrust britanniche, spagnole, ir-landesi che hanno rile-vato violazioni al limite della legalità, perchè in-cludono "violenza e inti-

midazione". Gli effetti sui consumatori invece ci interessano molto. Nel 2012 Consumers International, l'organizzazio-ne che comprende associazioni di tutto il mondo, ha pub-blicato un importante studio "The relationship between su-permarkets and suppliers - What are the implications for consumers?". L'analisi, molto dettagliata e condotta sui si-stemi economici e commerciali più importanti (i maggio-ri Paesi dell’Unione Europea, Australia, Canada, Norve-gia, Svizzera e Stati Uniti) rileva soprattutto il rischio di distorsioni nel rapporto qualità-prezzo, sottrazione di pro-dotti nuovi e ritardo nell'innovazione, errata percezione della qualità e del valore del prodotto, promozione di pro-dotti di bassa qualità. Sono queste anche le nostre preoccu-pazioni, rafforzate dall'analisi che la commissione ha fatto nel Libro verde, sulla base delle segnalazioni ricevute nel-la ampia consultazione che ne ha seguito la pubblicazione.

Distribuzione

Quattro poli distributivi controllano il 93% degli acquisti. L'Autorità antitrust non costata nessuna pratica anticoncorrenziale in atto. Ma invita alla sorveglianza e ipotizza miglioramenti della disciplina vigente

In Francia si riflette sulla guerra dei prezziClima teso nelle negoziazioni

POLITICHE COMMERCIALI • Un soggetto pubblicitario creatonel 2005 da Leclerc, nell’ambito di una campagna controla crescita dei prezzi. La catena francese si è sempre posizionata pubblicamente tra i difensori del potere d’acquisto.

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La lettera di Antonio LongoLa lettera

In tema di relazioni commerciali riceviamo questo interven-to di Antonio Longo, membro del Comitato economico e so-ciale europeo, che volentieri pubblichiamo.

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n . 2 · luglio 2015 9

La guerra dei prezzi continua anche in Gran Bretagna. The Times scrive che Sainsbury’s, per ridurre il divario con catene discount come Lidl e Aldi, ha investito 150 milioni di sterline in tagli ai prezzi di frutta, ver-

dura, latte, pollame. Il ceo della catena Mike Coupe ha dichia-rato che l’investimento sta co-minciando a generare benefi ci, ma non tutti gli osservatori ne sono convinti. La banca d’affa-ri Hsbc, per esempio, stima che Sainsbury’s stia perdendo an-cora quote di mercato, a fron-te della politica dei prezzi più aggressiva condotta da Tesco. Quest’ultima, lo ricordiamo, è al centro di un’istruttoria da

parte del Groceries code adju-dicator, ovvero dell’ente che verifi ca il rispetto del codice di autodisciplina delle relazioni commerciali dalle catene bri-tanniche. Oggetto d’indagine: pratiche commerciali scorret-te sui fornitori. Il periodo d’in-dagine si estende dal 25 giugno 2013, data di creazione del Gca al 5 febbraio 2015, data della notifi ca di inizio procedimen-to. (s.a.)

Gran Bretagna

Il Groceries code adjudicator apreistruttoria su Tesco

Due fenomeni, nel 2014, hanno caratte-rizzato in Italia il mercato del largo con-sumo confezionato. Il primo, più evi-dente, è rappresentato dalla leggera contrazione della quota della marca del distributore (mdd). Il secondo, correla-

to alla stagnazione del mercato, è costituito dall’ulterio-re crescita della pressione promozionale sul complesso dell’offerta, che non ha tuttavia impedito la riduzione delle vendite nei canali moderni sia a valore sia a volu-me. Si sta determinando un processo involutivo, per cui a una crescita della pressione promozionale non fa se-guito uno sviluppo delle vendite. In termini più generali si assiste a una riduzione dell’effi cacia dello strumento promozionale. In questo contesto cosa può fare la distri-buzione per sostenere la private label? E con quali con-seguenze per i copacker e i clienti dell’industria di mar-ca? Vediamo. Politiche di prezzo. La scelta è tra due diverse - e con-fl iggenti - opzioni. La prima è il riposizionamento a lungo termine della mdd, in particolare dei segmenti main stream e value, riducendo in ciascuna categoria il prezzo medio e ampliando lo scarto rispetto alla marca leader industriale di riferimento. Quest’azione può es-sere realizzata dal distributore attraverso due interven-ti, entrambi volti a difendere il margine unitario rispet-to alla media di categoria: a) la riduzione del prezzo di acquisto del prodotto, attraverso la rinegoziazione delle condizioni contrattuali con i copacker; b) il mi-glioramento dell’effi cienza di processo, più diffi cile da perseguire perché basato sull’abbattimento di una par-te dei costi diretti o indiretti sostenuti per sviluppare la mdd (controllo qualità, marketing, packaging, logisti-ca, consegna, gestione dell’ordine…). La seconda opzione è quella promozionale, che di norma implica un paio di problemi: il reperimento delle risorse per sostenere la maggiore promoziona-lità dei prodotti (ciò appare di non facile soluzione, in ragione della correlata contrazione del margine inter-no); il limite dato dalla diversa elasticità della doman-da alle politiche promozionali a sostegno della mdd, che nelle categorie gioca un diverso ruolo rispetto alle marche industriali leader. È un esercizio, quindi, che nel panorama italiano può essere percorso con succes-so solo da insegne che sono riuscite a creare una rile-vante equity sulle proprie etichette, in virtù di rilevan-ti investimenti realizzati nel tempo. Architettura di categoria. Un’altra azione che i distri-butori possono promuovere per spingere sulle private label è la ridefi nizione dell’architettura di categoria. La mdd ovviamente può crescere in relazione alle politiche assortimentali defi nite da ogni singolo distributore, che può decidere di costruire l’offerta di una categoria di-scriminando a favore della propria marca. Per esempio asciugando alcune marche prossime in termini di fascia prezzo, o qualifi cando il livello di convenienza relativa rispetto alla marca industriale leader, o ancora provan-do a limitare la sovrapposizione assortimentale in alcu-ni formati di prodotto specifi ci o unici. Tale politica può essere realizzata considerando o solo il segmento main

stream, oppure, in presenza di un’offerta segmentata per fascia di prezzo, per tutti i segmenti in cui si articola la mdd (premium, bio, funzione d’uso ecc). Il limite di questa pratica è dato dalle preferenze dei consumatori, ovvero dalla valutazione positiva che riconoscono alla varietà in termini di marche, segmenti e referenze che trovano all’interno del punto vendita frequentato. Se determinati segmenti di domanda considerano l’offer-ta assortimentale (nella sua varietà, ampiezza e profon-dità) un fattore fondamentale di scelta del punto vendita, ne consegue che operazioni di ridisegno della categoria fondate esclusivamente su una sorta di “centralità esclu-siva” della mdd non possono essere implementate con successo, pena una contrazione delle vendite. Un’altra opzione di breve termine è rappresentata dal-la gestione dello spazio espositivo attribuito alle cate-gorie e alle marche all’interno dei formati di vendita. Premesso che il peso assunto dalla gestione di mer-chandising cresce al crescere della dimensione esposi-tiva (nelle piccole superfi ci è diffi cile realizzare azioni signifi cative in grado di infl uire sui processi di acquisto in relazione alla necessità di presidiare un’offerta mini-ma standard), appare evidente che il distributore può fa-vorire delle scelte allocative in larga parte fondate sul-la valorizzazione delle private label. Questa politica può essere realizzata attraverso l’assegnazione di spazio pre-giato alla mdd (testate di gondola, esposizioni fuori ban-co ecc). Anche in questo caso il tentativo di migliora-re la performance può essere realizzato se da parte dei consumatori tale azione viene valutata come utile e fun-zionale ai processi di scelta perseguiti. Se, al contrario, la discriminazione dello spazio espositivo a favore del-la mdd viene percepita come un’imposizione da parte dell’insegna, ecco che tale politica innesca una reazio-ne negativa che rischia di rendere insoddisfatto il con-sumatore. Il quale può, in defi nitiva, modifi care le sue preferenze di acquisto e cambiare punto vendita e inse-gna. Una ricerca di alcuni anni orsono aveva dimostrato come la mdd viene acquistata in prevalenza dai consu-matori fedeli ad una determinata insegna, a dimostrazio-

ne che il processo fi duciario si esprime, in larga parte, proprio attraverso una ricorsività nei comportamenti di acquisto fondati sul grado di soddisfazione. Questo pro-cesso di acquisto di natura esclusiva, evidenzia come la mdd assuma un ruolo importante per la domanda fi na-le, in quanto diventa, per quel segmento di consumatori fedeli, meno intercambiabile di altre, meno soggetta ad una possibile sostituzione nell’acquisto. Ovviamente alla base di questo processo di ricorsi-vità nell’acquisto si possono anche individuare i fat-tori caratterizzanti della mdd, quelli che vengono espressi dalla singola insegna e che sono, in defi niti-va, compresi e condivisi dal consumatore fi nale. Pro-cesso virtuoso che si manifesta a valle di una strate-gia di valorizzazione da parte dell’insegna, costruita nel tempo e dove la dimensione fi duciaria si confer-ma alla luce anche della costruzione di una sorta di brand identity fondata su valori defi niti e comunica-ti. Dove sì il prezzo relativo è importante, ma dove qualità, sicurezza, etica assumono sempre più carat-teri insostituibili per crescenti segmenti di domanda.

Come dire: il prezzo (relativo) è un fattore rilevante (una sorta di pre condizione), ma quello che fa realmente la differenza è costituito da dimensioni aggiuntive carat-terizzanti, segnaletiche. Ecco, quindi, che attraverso la propria offerta di mdd l’insegna realizza una costante narrazione della propria identità rendendola oggettiva e tangibile. Un riscontro importante di questa sinergia lo si ha osservando il rilevante sforzo realizzato in questi ultimi decenni da diverse insegne estere che hanno in-vestito notevoli risorse sul tema della differenziazione di insegna e di marca. Nel nostro Paese alcune catene hanno percorso un tragitto analogo e sono state capaci di creare un valore signifi cativo sulla propria offerta a marchio. Non a caso, non solo evidenziano una penetrazione della quota della mdd superiore alla media di mer-cato (in alcuni casi si tratta di 8/10 punti in più), ma hanno saputo costruire un’equity importante che il consumatore gli riconosce.

* Università di Parma

di Guido Cristini*

Anche la marca commerciale vuole una brand identityStrategie/Private label

BASSI E FISSI • Conad è una delle realtà distributive italiane più attive sul fronte della comunicazione. Ingenti investimenti sono dedicati alla valorizzazione dei prodotti a marchio, che hanno una penetrazione sul mercato nettamente superiore alla media nazionale. Nella foto: un’immagine tratta dalla campagna pubblicitaria “Bassi e Fissi”, in onda sulle principali reti televisive.

Il 2014 è stato stagnante e i retailer più dinamici puntano ad accrescere le loro quote di mercato. Lavorano su prezzi, assortimenti e architetture di categoria. E in alcuni casi hanno costruito un’equity importante e riconosciuta dal consumatore

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10 n . 2 · luglio 2015

Distribuzione

A Expo il supermercato parla dei prodottiMerita una visita il punto di vendita creato da Coopall'Esposizione universaledi Milano. Sfiorate con la mano un prodotto: su uno schermosi materializzano informazionie dati che normalmente non sono disponibili nei punti di vendita tradizionali.La relazione con il consumatoresi amplifica. Siete all’interno di un prototipo, di un campo di prova in cui sono sperimentati metodi futuri di vendita e di acquisto. Vi proponiamo una galleria fotografica con alcuni esempi.

di Valentina Bardozzo

PARLANO I CIBI • Il visitatore formula domande e i 1.500 articoli che costituiscono l’assortimento del supermercato dicono tutto di loro. Nell’operazione sono coinvolte 90 aziende, grandi e piccole, nazionali ed estere, che hanno condiviso l’idea di Coop di raccontare fin dalle origini la storia dei prodotti.

FANTASCIENZA? • YuMi è un robot di nuova generazione che interagisce con i consumatori. Dotato di braccia, tatto e vista, sa infilare il filo in un ago. È il prototipo pensato per una nuova era dell’automazione, in cui gli esseri umani e gli automi eseguiranno congiuntamente le stesse operazioni.

CULTURA • Attraverso una grande DataViz, posta sopra la barriera casse, sono visibili in tempo reale dati relativi al punto di vendita: numero di visitatori, prodotti coi quali il pubblico interagisce, top ten dei più venduti ecc.Nella stessa area è presente una libreria che propone a rotazione 5mila titoli sulla cultura del cibo.

DIVERSI LIVELLI DI INTERAZIONE • Attraverso la realtà aumentata, nel supermercato del futuro il cliente può

ottenere informazioni sulle caratteristiche del prodotto, sull’origine delle materie prime, sulla presenza di ingredienti

allergizzanti. E inoltre dati nutrizionali o sull’impatto ambientale. È l’internet of things applicato ai processi di vendita

e di acquisto della grande distribuzione.

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n . 2 · luglio 2015 11

Anche in anni di crisi il gruppo Selex è cresciuto e ha investito nello sviluppo. I numeri forniti dalla centrale di Trezzano sul Naviglio parlano di due miliardi di euro tra il 2004 e il 2014. E di altri 135 milioni, stanziati quest’anno, destinati a nuo-ve aperture e a ristrutturazioni. Il 2015 dovrebbe

chiudersi con vendite superiori ai nove miliardi di euro, che confermerebbero il gruppo al terzo posto tra le realtà distribu-tive in Italia, con una quota di mercato prossima all’11%. Lo spread di fatturato tra i soci è abbastanza ampio, se si con-sidera che oscilla tra 200 milioni e 1,8 miliardi di euro, ma l’e-terogeneità non sembra costituire un problema per i 16 part-ner del gruppo. Altre caratteristiche comuni fanno da collante: dalla proprietà familiare delle aziende alla capacità di espri-mere leadership territoriali; dalla solidità finanziaria alla ge-stione di reti multi insegna e multi canale. A una certa ten-denza all’omologazione, dominante nella Gdo, la centrale contrappone la capacità di gestire e valorizzare le differenze, facendone un punto di forza e un elemento distintivo di posi-zionamento. «Nella competizione la capacità di interpretare le esigenze della domanda è fondamentale», sottolinea Maniele Tasca, di-rettore generale del gruppo. «In questo le nostre aziende hanno grandi capacità che dobbiamo contribuire a valorizzare, per-ché tanto più le leve del marketing mix sono vicine al territorio tanto più sono efficaci. Ne abbiamo avuto riprova dai risultati negativi registrati da alcuni competitor nazionali: applicando con rigidità le loro scelte, in particolare quelle assortimentali, si sono trovati in forti difficoltà». Resta aperto per tutti, però, il tema dell’eccessiva pressione promozionale, che determina una costante (e pericolosa) con-

trazione della marginalità dell’indu-stria e della distribuzione, unita alla perdita di rilevanti valori di posizio-namento delle marche presenti sullo scaffale. «É un problema rilevante», concorda Tasca, «ma in questi anni di forte perdita del potere d’acquisto del consumatore la moderna distri-buzione, spinta anche dall’industria, è stata costretta a mettere in atto una politica di difesa dei volumi. Il mer-cato è ancora inondato da una quan-tità abnorme di risorse destinate alla promozione, che alimentano di fat-to la guerra dei prezzi tra distributo-ri. Non si tratta di un fenomeno solo italiano e trovare una via d’uscita non

è facile. Servirebbe sicuramente più razionalità nella proposta commerciale, ma va risolto anche il problema della scarsa tra-sparenza del prezzo di vendita. Una ridefinizione del prezzo a scaffale continuativo, anche a costo di una riduzione della pro-mozione, dovrebbe essere oggetto di riflessione tra le imprese che operano nella filiera».Tasca però guarda avanti e individua anche possibili antido-ti: «Ci sono strumenti alternativi che possono aiutarci a usci-re dall’iperpromozionalità indifferenziata e a gestire con mo-dalità dirette e mirate i diversi target. Per esempio utilizzando il patrimonio informativo sul comportamento del consumato-re di cui è in possesso il retail per fare meglio il nostro mestie-re e settare l’offerta». Il manager si riferisce ai dati raccolti attraverso le carte fedel-tà e alla possibilità di incrociarli con quelli ottenuti dalle tec-nologie mobili di comunicazione, per esempio gli smartphone. «Sarebbe un grande passo in avanti», continua. «I distributori sono nelle condizioni di contattare i clienti attraverso strumen-ti poco costosi, efficaci ed attrattivi con cui proporre una con-venienza più profilata, che non banalizzi il prodotto e sia più coerente anche con gli obiettivi dei fornitori. Per farlo, però, occorre sviluppare un nuovo modello di collaborazione con l’industria, basato non solo sugli sconti sul prodotto, ma sulla condivisione di obiettivi, di opportunità e sulla disponibilità a finanziare attività promozionali specifiche in funzione di quel-lo che effettivamente i clienti poi vanno a spendere sulle inizia-tive promozionali». Dal dire al fare. Alcuni soci Selex, nei prossimi mesi, speri-menteranno con una selezione di fornitori progetti pilota di co-marketing supervisionati dalla centrale. Certo non serviranno a sostituire in tempi brevi il volantino, ma sarà un primo passo verso il possibile sviluppo, in parallelo, di attività di customer

relationship marketing, su target specifici, contraddistinte da rilevanti volumi in gioco e da risultati significativi. «Per mette-re a punto lo strumento ci vorrà del tempo», precisa Tasca. «La forza vendita dell’industria non ha né esperienza né risorse di-sponibili per questo tipo di investimenti, che invece rientrano nelle disponibilità e nel know how del marketing. Quest’ulti-mo, però, non è un interlocutore usuale della distribuzione… Si tratta di industrializzare un nuovo modello di relazione, basato su scambi più frequenti, su budget dedicati, su nuovi modelli or-ganizzativi interni all’industria e alla distribuzione moderna».

Il progetto non è rivolto solo ai grandi gruppi. Al contrario sembra aprire un ventaglio di opportunità per le piccole e me-die aziende efficienti e intenzionate a incrementare le loro quo-te di mercato. Il distributore, infatti, con queste attività po-trebbe, in relazione alle sue politiche commerciali, decidere di spostare share da un brand ad un altro. É un’interpretazio-ne più ambiziosa e precisa del ruolo del retailer nella relazione con il consumatore finale. Nel solco della costante evoluzione di cui Selex è stata protagonista nella sua storia.

Carlo Zini

Il gruppo intende incrociare i dati delle carte fedeltà con quelli dei mobile device per proporre una convenienza più profilata. Nei prossimi mesi saranno avviati con una selezione di fornitori progetti pilota di comarketing supervisionati dalla centrale. Lo anticipa il direttore, Maniele Tasca

L'ambizione digital di SelexStrategie

MULTICANALITÀ • Nella foto: Maniele Tasca, direttore generale Selex e presidende Esd. Nel 2014 il gruppo ha siglato un fatturato di 8.950 milioni di euro, con un incremento dello 0,6% rispetto all’anno precedente. Selex opera in tutte le regioni italiane con una rete di vendita costituita da 35 ipermercati, 75 superstore e mini iper, 375 supermercati, 388 superette, 407 hard e soft discount, 468 mi-nimercati e 78 cash and carry. La superficie complessiva gestita dalle 16 aziende associate supera i due milioni di metri quadrati. Il gruppo aderisce a Esd Italia, la centrale d'acquisto di cui fanno parte Agorà, Acqua&Sapone, Sun e Aspiag Service. Esd, che gestisce oltre 500 accordi commerciali ogni anno e sviluppa un volume di acquisti convenzionati pari a cinque miliardi di euro, aderisce a sua volta a Emd, prima centrale d’acquisto in Europa con un fatturato potenziale di 144 miliardi di euro.

«Occorre svilupparecon l'industria

un nuovo modello di collaborazione,

basato non solo sugli sconti

sul prodotto, ma sulla condivisione

di obiettivi e opportunità»

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12 n . 2 · luglio 2015

Responsabilità socialeI filoni Csr dei retailer mondialiFinanziano visite mediche e iniziative per il rispetto della diversità. Selezionano i fornitori sulla base dell’impatto ambientale. Lanciano campagne per la corretta nutrizione. Favoriscono il riciclo dei prodotti. Ecco come alcune importanti insegne si pongono rispetto ai loro clienti

Ldi Filippo Genzini

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WE CARE!

a fase storica, sociale ed economica in cui ci troviamo evidenzia un crescente atteggiamento critico da parte del pubblico nei confronti delle aziende (per non parla-re delle istituzioni). Tendenza che riguarda sia il mondo dei prodotti di marca sia il retail. Per le insegne distributive, ma anche per le catene del-

la ristorazione veloce, la possibilità di creare una relazione di lungo periodo con i propri clienti è condizionata in misura considerevole dall’immagine, dal posizionamento e dal rapporto di sintonia d’in-tenti costruiti nel tempo. Che dipendono, quindi, oggi molto più che in passato dal modo in cui l’azienda interagisce con l’ambiente, dal contesto sociale in cui opera e dai valori etici che promuove. Da cui deriva una grande attenzione da parte dei principali player del setto-re per le iniziative nell’ambito della responsabilità sociale.

Vediamo nel dettaglio qualche filone di attività coerente con l’o-rientamento del pubblico.

Rifiutodeglisprechierivalutazionedelriciclo. H&M racco-glie e ripropone abiti usati, proprio come ha fatto Ikea in Norve-gia dove, nel corso di una campagna promozionale, ha consentito ai clienti di vendere il mobilio usato, promozionato per alcuni giorni anche attraverso la sua pagina Facebook. Se il mercato della moda americana vale 520 miliardi di dollari, il 50% è di articoli femmini-li, il 30% dei quali non sono mai stati indossati. Un altro terzo è sta-to usato poche volte. È un ampio inventario di capi di abbigliamento che potrebbero entrare nel mercato in pieno sviluppo del re-com-merce. Nel mondo brick & mortar il fenomeno è consolidato. Famo-so Children’s Orchard, un franchising di riciclo di articoli in buo-ne condizioni per l’infanzia, nato negli Anni Ottanta e sviluppatosi poi con Style Trader nel mercato degli adolescenti e degli adulti. Po-

shmark, invece, è un portale basato su una piattaforma che sfrutta la capacità degli smartphone di scattare e trasmettere foto, per popola-re gli scaffali di un sito che propone anch’esso abbigliamento di se-conda mano. Oggi sono almeno 60 gli e-retailer in questo segmento. Tanto nel mondo offline che in quello online gli articoli possono es-sere venduti, regalati al negozio, oppure dati in conto vendita. Alcuni operatori trattano solo lusso, altri qualsiasi offerta postata dall’utente, relativa a capi mai usati o usati poco. Il successo del re-commerce dipende dalla possibilità di recuperare denaro per finan-ziare altri acquisti così come dal desiderio che qualcun altro utiliz-zi capi di cui si desidera liberarsi.

Attenzione alle condizioni di lavoro e allo sfruttamento delle risorse e dell’ambiente. Dopo gli incidenti sul lavoro accaduti in Estremo Oriente, sono stati molti i distributori che hanno adottato criteri più restrittivi nella selezione dei fornitori. A partire da Wal-mart, che ha annunciato una politica di tolleranza zero nei confronti delle deviazioni dai suoi standard globali di produzione, aggiungen-do vincoli severi in materia di subappalto. I fornitori devono altre-sì assicurare che un proprio dipendente lavori presso ciascun subap-paltatore, per controllare il rispetto delle norme di sicurezza. Tutti gli stabilimenti produttivi appartenenti ai fornitori del colosso ame-ricano, vengono poi sottoposti a nuovi controlli relativi all’adegua-tezza degli impianti elettrici e delle norme di sicurezza. Food Lion ha implementato una politica di sostenibilità per la ca-tegoria del pesce, che comprende mille referenze tra quelle fresche, surgelate o in scatola. Obiettivi: la protezione delle specie e la ga-ranzia di un allevamento responsabile. Per festeggiare la partenza del progetto sono state donate 9mila confezioni di prodotto a banche alimentari in tutti gli Stati Uniti. Tra gli standard rispettati la piena tracciabilità del prodotto assicurata dai fornitori, la scelta di quelli che praticano la pesca in mare aperto (a condizione che siano attrez-zati con reparti scientifici in grado di bilanciare i volumi pescati con la conservazione della popolazione marina necessaria per garantire il fabbisogno futuro), la certificazione che i vivai non danneggino le comunità in cui sono inseriti, i lavoratori, l’ambiente e la salute. La garanzia sulla gestione responsabile dei fornitori è affidata al Gulf of Maine Research Institute. McDonald’s si sta ponendo nuovi am-biziosi obiettivi per tutto ciò che riguarda la filiera degli ingredienti utilizzati, la salubrità dei piatti offerti e il modo migliore per dialo-gare con un pubblico sempre più attento agli aspetti sociali e ambien-tali. La strategia da qui al 2020 si fonda su cinque aree che vanno dal cibo, alle fonti di approvvigionamento, al pianeta, alla gente, alle comunità. Obiettivi ambiziosi che possono lasciare il segno, consi-derando i 35mila ristoranti gestiti, il numero di fornitori coinvolti e l’impatto sull’ambiente nei quali peraltro si sono già cimentati alcuni concorrenti, come per esempio Chipotle Mexican Grill il cui claim è “food with integrity”. I risultati che McDonald’s desidera raggiungere sono la certifica-zione da parte di un gruppo ambientalista che tutto il packaging in fibra è riciclato; alzare dal 36 al 50% la percentuale di riciclo nei ri-storanti; raddoppiare la quantità venduta di frutta, verdura, latticini a basso contenuto di grassi e farina integrale; ridurre la percentuale di sodio, zucchero, grassi saturi e calorie in tutti i menù; acquista-re olio di palma e caffè solo da fornitori certificati per la coltivazio-ne sostenibile. McDonald's è membro del Conservation Internatio-nal Business and Sustainability Council dalla sua costituzione nel 2003 e tra i fondatori del Global Roundtable for Sustainable Beef. A inizio anno la società ha annunciato di voler sviluppare criteri globali per supportare l’allevamento sostenibile della carne bovi-na e di volere cominciare ad acquistarla a partire dal 2016. Un buon principio visto che la catena è già responsabile di quasi il 2% de-gli acquisti su scala mondiale di questa importante materia prima. L’impegno di McDonald’s non è ovviamente solo quello di ottenere il consenso presso i propri fornitori, quanto piuttosto di far “compra-re” il proprio disegno di riposizionamento strategico ai dipendenti e ai franchisee. Un passo indispensabile per riverberare lo sforzo rea-lizzato sulla clientela.

Desiderio di privilegiare territorio ed economia locale. Wal-mart è impegnata in corsi di formazione per 70mila dipendenti che lavorano nel reparto ortofrutta. Perché siano sempre più in grado di garantire la qualità a livello locale e di lavorare gomito a gomito con i fornitori, visto che entro il 2015 l’insegna vuole raddoppiare la quan-tità di frutta e verdura vendute e prodotte in loco per favorire gli agri-coltori locali e la tendenza a privilegiare prodotti a chilometro zero.

ETICA • Whole Foods è una delle aziende distributive statunitensi più impegnate sul fronte della sostenibilità. Nella foto: uno dei suoi sog-getti pubblicitari più famosi, dedicato alla salvaguardia delle risorse ittiche del pianeta.

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n . 2 · luglio 2015 13

adozione di strategie di sostenibili-tà è un fenomeno consolidato e non recente tra le grandi imprese. Non è dato sapere, invece, quante abbia-no compreso e agito per rendere re-almente centrale la sostenibilità, de-

clinandola nei processi, nei prodotti e nei servizi, perché i consumatori e gli stakeholder non si ac-contentano più di impegni marginali e chiedono di partecipare, di innovare le modalità di tutela dell’ambiente e d’infl uenzare le politiche di comu-nicazione e sostegno alle comunità delle imprese. É necessario dunque un riposizionamento delle strategie e degli strumenti di sostenibilità, inno-vando soprattutto nella direzione di originali e più evolute modalità di rapporto con i pubblici, nuo-ve metriche di valutazione d’impatto dei processi aziendali e metodologie di engagement dei colla-boratori e delle comunità.

La maggiore attenzione da parte dei con-sumatori verso i modi con cui il produtto-re gestisce gli aspetti sociali e ambienta-li è testimoniata da molte ricerche. Secondo un’indagine Nielsen del 2014, il 55% dei con-sumatori globali si dice disposto a pagare di più per prodotti e servizi forniti da azien-de impegnate sotto il profilo socio-ambien-tale. «Non è più tempo di chiedersi se i con-sumatori si preoccupano dell'impatto sociale. Lo stanno già manifestando attraverso le loro azioni. Ora l'obiettivo per le aziende è di de-terminare come il proprio marchio può effet-tivamente creare valore condiviso sposando le cause sociali e i segmenti di consumatori più appropriati al proprio core business», sostie-ne Amy Fenton, responsabile di Nielsen per la sostenibilità.

Alcune tendenze confermano sia la necessità di accelerare il percorso verso la sostenibilità sia di un corretto posizionamento della propria strate-gia nel medio lungo periodo. La Retail industry leaders association e il Forum for the future, per esempio, hanno presentato “Retail Horizons”, un programma per guidare le industrie verso la soste-nibilità a partire da quattro scenari disegnati sulla base di alcune variabili: l’impatto della tecnologia e dei grandi fenomeni come i cambiamenti clima-tici, il costo dell'energia, il cambiamento del siste-ma produttivo e delle relazioni tra comunità, im-prese e brand. Dal nostro punto di osservazione, i trend destinati a infl uenzare maggiormente il set-tore della distribuzione (e di cui i fornitori dovran-no tenere conto) saranno le modalità di relazione con i consumatori e la tecnologia. Per quanto riguarda il primo, l’impatto della so-stenibilità sulle politiche di assortimento è stato affrontato dalla Gdo secondo due direttrici: attra-verso un aumento delle informazioni ambienta-li disponibili in etichetta per aiutare il consuma-

tore nella sua scelta di acquisto (labelling) o con l’esclusione diretta dagli scaffali dei prodotti rite-nuti non sostenibili (choice editing). Alcuni anni fa, il labelling rappresentava l’opzione preferi-ta: in Italia e in Francia l’Ecolabel, marchio adot-tato dall’Unione Europea per l’etichettatura am-bientale, ha avuto grande successo, coprendo oltre il 72% delle certifi cazioni totali ottenute fi no al 2012. In Gran Bretagna, nel 2007, Tesco lanciava il suo programma di etichettatura ambientale di oltre 70mila prodotti, mentre nel 2009, Walmart inaugurava il suo Sustainability Index, arrivando a coprire in pochi anni più di 700 categorie di pro-dotto. Le ultime tendenze segnalano che questo ap-proccio, anche per problemi di costo, sta cedendo il passo alla pratica del choice editing, sostenuta anche da ricerche come quella condotta da Asda,

(gruppo Walmart), in cui 6mila consumatori indi-cano la semplifi cazione dell’atto di acquisto, come un requisito indispensabile, insieme al prezzo, per orientare le loro scelte. Il rischio del choice editing è il delisting per i produttori che non si adeguando agli standard di certifi cazione imposti dalle cate-ne. Il primo schema indipendente a essere lanciato a livello internazionale, fu nel 1993 il Forest ste-wardship council (Fsc), per i prodotti derivati dal legno. Da allora ne sono seguiti molti altri, come il Marine stewardship council e l’Acquaculture ste-wardship council (rispettivamente per il pesce pe-scato in mare aperto e per quello di allevamento); il Roundtable on sustainable palm oil; e tra gli ul-timi nati il Global roundtable for sustainable beef. Per quanto riguarda l’impatto della tecnologia, big data, qr code e tutti i nuovi trend, legati a in-ternet, ai social media, ai dispositivi mobili e alle stampanti 3D testimoniano di come sia ulterior-mente cambiato l'approccio al prodotto da par-te del consumatore. In questo contesto di comu-nicazione disintermediata e collettiva anche gli

strumenti di relazione con gli stakeholder e con i consumatori devono essere riformulati ispirando-si prima di tutto al coinvolgimento, alla collabora-zione, alla sinergia di fi liera, alla co-progettazio-ne di soluzioni innovative e alla capacità di creare nuove forme di partnership, tra pubblico, privato e in generale a livello di fi liera. Tra gli esempi utili, è da citare il progetto “My Starbucks Idea” dove la catena ha cercato idee in crowdsourcing coinvolgendo i consumatori. Sono pervenute più di 150mila proposte, vota-te da più di 2 milioni di persone. Oppure Go-odGuide, un'app per smartphone che consente ai consumatori di ottenere dal codice a barre del prodotto informazioni su salute e sostenibilità relativi a oltre 210mila prodotti.

di Danilo Devigili e Alessandra Vaccari

Perché essere credibili conviene?Da Giovanni Battista Costa, presidente di Next, associazione per la nuova economia, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Caro Direttore,credo che il tema della sostenibilità vada af-frontato con grande attenzione anche dalle piccole e medie imprese del settore del largo consumo. Per questo approfi tto dell'ospitali-tà di Link Ibc per offrire a lettori, imprendi-tori e manager, alcuni spunti di rifl essione. Diventare sostenibili riduce il rischio d’im-presa, rende anticipatori ed innovatori ed è il modo migliore per salvaguardare il valo-re dell’azienda, anche per gli azionisti. Mol-te ricerche sul rapporto tra strategie di so-stenibilità e risultati mostrano che investire sulla sostenibilità conviene.Ci sono indubbiamente effetti positivi sul piano reputazionale, in termini di aumen-to del valore percepito dei prodotti, di dif-ferenziazione rispetto ai concorrenti. Inol-tre bisogna considerare che i cittadini che apprezzano un prodotto che crea valore so-ciale ed ambientale sono un segmento in crescita, più colto e spesso con maggiore disponibilità di reddito. Quindi la sosteni-bilità è un'opportunità da non sottovaluta-re in chiave di differenziazione strategica e di creazione di barriere verso i concor-renti, in particolare quelli che puntano sul-la leva prezzo. Sul fronte interno l’approccio sostenibile genera più produttività, grazie al coinvolgi-mento e alla partecipazione dei dipenden-ti. Quando i collaboratori sono rispettati, responsabilizzati, e sentono di contribuire con il loro lavoro ai risultati aziendali le ca-pacità progettuali, di reazione e di innova-zione dell’impresa migliorano.Essere sostenibili, infi ne, signifi ca guarda-re lontano. Le tendenze dei consumi stanno cambiando. L’evoluzione verso scelte di ac-quisto sempre più consapevoli dal punto di vista sociale ed ambientale richiede alle no-stre imprese, per superare positivamente la grave crisi in atto, una visione di lungo pe-riodo che includa l’ambiente e la società tra gli obiettivi e nelle strategie.

L,

segue a pagina 15

Strumenti e processi aziendali

Sostenibilità fa rima con posizionamentoLa lettera di G. B. CostaLa lettera

GIGANTESCO • A Red Bluff , California, Walmart ha realizzato due anni fa il suo primo progetto pilota per il risparmio energetico, installando una turbina eolica che soddisfa dal 15 al 20% del fabbisogno di elettricità del punto di vendita. L’impianto, di dimensioni mastodontiche, dovrebbe arrivare a produrre circa 2,2 milioni di kilowattora all'anno.

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Growth Delivered

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14 n . 2 · luglio 2015

Integrati

Gda

80

85

90

95

100

105

110

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

+3,0%

+1,4% -0,8%

-3,9%-2,2% +0,1% -0,7%

-3,7%

-3,5%

DirezioniCentrali Catene ristor.

Gestori Ssp***

CediGrossisti/Oc

Cash & Carry

+2,3% -0,3% -0,1%

-1,4%

+0,2% +0,0%-1,8%

-1,9%

Consumi alimentari domestici

Dal 2007 al 2013

-20 mld €

Consumi alimentari fuori casa

Dal 2007 al 2013

-2,4 mld €

Produzione alimentari e bevande

Punti di consumo indipendenti e in catena

Consumatori fuori casa

Pubb

licità

Consorzi

397

* Pdc con oltre 800 mq di superficie** Fruttivendoli, macellerie, pescherie, panetterie*** Di cui 398 associati a Confida

Fonte:TradeLab

Dist. naz.

GrossitiFood&Beverage

4.696 unità

Food fresc.specializzati2.600 unità

CediGda

Trad. fresco/issimo

5.155*unità

74.189**unità

Due canali a confronto La route to market del mercato fuori casa

econdo le stime di TradeLab il mer-cato dei consumi fuori casa ha chiu-so il 2014 con un calo dell’1,4% in termini reali. Aggiunto a quelli del 2012 e 2013, siamo di fronte a una perdita di fatturato di circa 2,4 mi-

liardi di euro negli ultimi tre anni. Sicuramen-te, in termini assoluti, si tratta di una perfor-mance negativa, ma se si guarda all’andamento di altri mercati possiamo affermare che l’Away from home è tra quelli che rivelano i trend di-scendenti meno gravi. I consumi food e beverage nel retail, infatti, nello stesso periodo si sono ridotti, sempre in termini reali, di quasi venti miliardi. E se al-larghiamo lo sguardo a non food, servizi e uti-lities il quadro si fa ancora più critico. Il futu-ro a breve termine del fuori casa sarà ancora difficoltoso, con una situazione di sostanziale stabilità di consumi. La prospettiva di medio e lungo termine è invece più positiva: il mercato è destinato a crescere in termini assoluti e rela-tivi, erodendo quota di mercato ai consumi do-mestici. Dietro questa previsione esistono motivazio-ni legate sia a mutamenti strutturali di lungo termine sia a cambiamenti nei comportamen-ti del consumatore. Il numero delle famiglie italiane è cresciuto sensibilmente negli ulti-mi vent’anni. Tale aumento è quasi esclusiva-mente legato ai nuclei di piccole dimensioni, che sviluppano un consumo fuori casa netta-mente superiore alla media. Nonostante la cri-

si il trend di lungo termine dell’occupazione, in particolare quella femminile, è in crescita. Ciò alimenta - e soprattutto alimenterà in futuro - i consumi fuori casa più funzionali legati a pri-ma colazione e pranzo. La filiera Away from home è probabilmente la più articolata e com-plessa dell’economia italiana. Lo spazio tra qualche centinaia di produtto-ri (numero in crescita, perché molte aziende stanno cercando di recuperare qui il fattura-to e i margini persi nel mercato retail) e cir-ca quaranta milioni di consumatori che alme-no una volta al mese si recano in un bar, in un ristorante, in un fast food è riempito da un numero impressionante di attori. Partendo dal basso troviamo 300mila punti di consumo a cui si devono aggiungere circa un milione di self service point e un buon numero di altri touch point tra consumatore e prodotti presen-ti in luoghi deputati ad altre pratiche di consu-mo. TradeLab stima che in Italia operino cir-ca 7mila grossisti prevalentemente focalizzati nell’intermediazione di bevande, food secco, fresco e freschissimo destinati ai punti di con-sumo precedentemente citati. Cresce l’importanza del ruolo della distribu-zione moderna, che ha capito di essere in grado di rispondere ai bisogni dei punti di consumo in termini di riduzione del magazzino attraver-so acquisti più frequenti e quindi attrae questi ultimi togliendo qualsiasi limitazione quanti-tativa agli acquisti in promozione e addirittura introducendo formati dedicati. Esistono, infine, aziende, in particolare nel freschissimo, nel vino, nei prodotti di impul-

so da banco e nelle bevande che raggiungono il consumatore in maniera diretta gestendo il ci-clo completo dell’ordine o appoggiandosi a so-cietà di servizi per la consegna. É evidente che in una filiera così “popola-ta” scegliere la via migliore per raggiungere in maniera efficiente e performante il consuma-tore finale non è facile. I maggiori margini ga-rantiti da questo mercato rischierebbero di es-sere fortemente ridotti da costi legati a scelte di route to market sbagliate. Non esistono, na-turalmente, soluzioni preconfezionate perché molto dipende dalle tipologie di punti di con-sumo che si vogliono raggiungere, dal porta-foglio prodotti a disposizione, dalla copertura territoriale desiderata. Ipotizzando che l’obiet-tivo sia una distribuzione nazionale da costru-ire o ottimizzare attraverso la collaborazione con i grossisti si possono consigliare tre sem-plici linee guida. Un piano di route to market non può prescindere da un'adeguata conoscen-za dei grossisti con i quali si collabora o si in-tende collaborare: dimensione, tipologia e peso sul fatturato dei punti di consumo serviti, ruo-lo delle proprie categorie all’interno dell’assor-timento del grossista, stima della quota di mer-cato sul territorio presidiato, consistenza della rete vendita, appartenenza o meno a un consor-zio o a un gruppo di acquisto. Esistono degli strumenti per avere a disposi-zione queste informazioni e costruire una soli-da base informativa. Successivamente le stes-se possono essere integrate in maniera mirata attraverso l’ottimizzazione delle attività già svolte da venditori e/o agenti.

L’esperienza in questo mercato insegna che ormai è impossibile fare tutto con tutti. La co-noscenza sugli operatori dell’ingrosso è im-portante proprio per fare delle scelte strategi-che sui partner che meglio di altri rispondono agli obiettivi distributivi in termini qualitati-vi e quantitativi. Anche i grossisti più avvedu-ti hanno cominciato a muoversi in questo senso riducendo il numero di produttori con cui col-laborano. TradeLab ha chiare evidenze sui ri-sultati ottenuti dalle aziende che hanno comin-ciato a percorrere questa strada: in alcuni casi sono stati raggiunte performance del 15% su-periori a quelle ottenute con il resto degli in-termediari serviti. Fare scelte di questo gene-re non significa naturalmente escludere gli altri dalla fornitura: saranno però diverse le condi-zioni commerciali e di servizio fornite. Il terzo punto è strettamente legato al secon-do. Segmentare la propria clientela top permet-te di differenziare l’offerta di prodotti e servizi in relazione alle caratteristiche di ogni singo-lo cluster. Non ci riferiamo a una segmentazio-ne legata solo al fatturato, ma a elementi come il canale prevalentemente servito, il numero di venditori disponibili, la consistenza della struttura di sede. Questi elementi permetteran-no di proporre ai diversi cluster i giusti forma-ti per i giusti canali; di supportare i partner con una attività di promoter per stimolare il sell out dove gli agenti del grossista non sono in grado di farlo; di proporre e gestire corsi di formazio-ne mirati ai bisogni dei differenti segmenti.

* TradeLab

Dossier

Il fuori casa al microscopioL'ingrosso specializzato conserva un ruolo rilevante

Nel 2014 il mercato ha registrato ancora una flessione, ma le prospettive sul medio termine sono positive. A farne le spese saranno i consumi domestici. Per i produttori è il momento di diversificare le condizioni commerciali e di fornitura in funzione della performance dei partner

Sdi Mauro Lamparelli*

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n . 2 · luglio 2015 15

Segue da pagina...

N. 2 - Anno II - Luglio 2015

Testata periodica edita dall’Associazione Industrie dei Beni di Consumo.Registrazione Tribunale di Milanon.329 del 22.10.2014

Direttore responsabileIvo Ferrario

Hanno collaborato:Silvia Antonini, Valentina Bardozzo, Silvia Bergamaschini, Enrico Colla, Giovanni Battista Costa, Guido Cristini, Danilo Devigili, Filippo Genzini, Paolo Ghiggini, Mauro Lamparelli, Antonio Longo, Alessio Mainardi, Cesare Ponti, Federica Romano, Guido Rosa, Alessandra Vaccari, Giulio Ziletti, Carlo Zini

Editore e redazioneVia Serbelloni 5 - 20122 [email protected]

Responsabile trattamento datiRoberto [email protected]

Art, impaginazione e stampaCromografica RomaVia Tiburtina 192 - 00156 Roma

Link Ibc non pubblica testi e immagini non richiesti. La pubblicazione non implica la condivisione dei contenuti da parte dell’editore, ma è da intendersi unicamente

come un contributo di approfondimento utile per i lettori. Ogni numero di Link Ibc è diffuso a circa 33 mila industrie associate a Ibc.

Chiuso in redazione il 20/06/2015

Zady si contrappone invece al concetto di fast fashion usa e getta proponendo uno stile senza tempo e prodotti sostenibili fabbricati a mano da artigiani e con risorse locali. Il sito, dove compaiono tut-ti i capi proposti, dispone di una mappa interattiva che mostra in modo trasparente da dove provengono le materie prime, la loca-lizzazione degli stabilimenti e i negozi dove si possono acquista-re i prodotti, ovvero abbigliamento e articoli per la casa. Coerentemente con i propri principi, Whole Foods ha comincia-to a estendere la sua presenza in alcuni dei quartieri più difficili da servire degli Stati Uniti, all’interno di una strategia di crescita che la porterà ad aprire oltre mille punti di vendita di prossimità, in mercati che non avrebbe mai preso in considerazione solo die-ci anni fa. Come Brooklyn, Boise, il centro di Detroit o Englewo-od, sobborgo problematico di Chicago dove si propone di diven-tare accessibile alla massa del pubblico che ancora non conosce la sua offerta, aiutandolo ad adottare uno stile alimentare più sano. In queste piazze il management è impegnato a concentrarsi su iniziative mirate alle esigenze della comunità locale, offrendo prodotti selezionati attentamente a prezzi più bassi (la maggior parte appartenenti alla linea di prodotto 365 Everyday Value) e il fresco prezzato non a peso ma a pezzo; ma anche accettando i

coupon alimentari del servizio regionale di assistenza ai reddi-ti più bassi. Inoltre, in ogni comunità, la catena cerca di svolge-re un ruolo attivo. A Englewood, per esempio, la sua Whole Kids Foundation ha donato un assegno di 20mila dollari da destinare alla coltivazione di orti nelle scuole pubbliche della cittadina. La società si è poi impegnata a collaborare con il college poco distan-te dal punto vendita e a offrire 100 posti di lavoro ai residenti. Rispetto per la diversità e le minoranze. Walmart, in conco-mitanza con la festa della donna, ha lanciato sul proprio sito web una linea di prodotti provenienti da piccole aziende create da im-prenditrici, quale ulteriore segnale del suo desiderio di posizionarsi come leader nel sostegno all’indipendenza economica dell’univer-so femminile. La sezione del sito, chiamata "Empowering Women Together" ospita dai gioielli alle borse per iPad, dal caffè in grani all’abbigliamento. I prodotti provengono al momento da nove paesi tra i quali la Cambogia, Haiti e gli Stati Uniti. Le referenze poi fan-no parte dello "Store for Good", perché la loro vendita reca benefi-ci ai produttori, ai clienti e all’ambiente. Non a caso in futuro vi sa-ranno inseriti anche prodotti ecologici e cibi salutistici. La catena di grandi magazzini di lusso Barneys, invece, ha lan-ciato nel recente passato una campagna chiamata "Brothers, Si-sters, Sons & Daughters" il cui soggetto sono brevi video in cui diciassette transgender raccontano le proprie origini e le espe-rienze vissute. Una provocazione coerente con il posizionamento dell’insegna, interessata all’aspetto umano dei propri clienti così come ai cambiamenti sociali. L’idea è nata dall’osservazione dei

progressi compiuti nel corso degli ultimi anni in termine di inte-grazione da parte di lesbiche, gay e bisex, fenomeno che tuttavia ha in qualche misura lasciato indietro proprio i transgender da tempo sotto la lente d’ingrandimento delle aziende americane in quanto numericamente consistente e portatore di un vissuto e di valori molto specifici. Trasformazione delle occasioni di consumo in solidarietà per i bisognosi. Toms, ha replicato il suo modello di business di succes-so nel mercato delle scarpe e degli occhiali anche in quello del caffè. Se nei casi precedenti regalava scarpe e visite oculistiche (200mila persone coinvolte), ora finanzia pozzi d’acqua potabile con la vendi-ta di pacchi di caffè. Ogni pacchetto Toms Roasting Company ven-duto finanzia una settimana di consumo d’acqua per una persona bi-sognosa; ogni tazzina di caffè venduta nella rete delle caffetterie e negozi Toms, un giorno d’acqua. Queste strategie di posizionamento nell’ambito della responsabi-lità sociale avranno tanto più successo quanto più saranno coerenti con il business dell’azienda, i prodotti venduti ma, soprattutto, la sua cultura intrinseca, che si manifesta anche attraverso le decisioni e i comportamenti di ogni giorno della proprietà, del management e del suo personale. A maggior ragione, perciò, risulta indispensabile mo-nitorare giorno dopo giorno l’evoluzione della sensibilità del pubbli-co e misurare poi nel tempo le modifiche dell’immagine percepita a livello globale e nei suoi elementi distintivi.

(Sintesi tratta da Ipsos Retail Solutions, febbraio 2015)

A queste vanno aggiunte altre iniziative di collaborazione con i part-ner di filiera come ad esempio Coop4Kyoto di Coop Italia o Coop Sviz-zera, azienda che aderisce al Sustainability seafood group del Wwf. L’innovazione dei processi di sostenibilità si riscontra nel crescente spostarsi del focus a valle o ai lati della produzione, con la maggiore attenzione alla riduzione dello spreco di risorse; un sistema integrato industriale ispirato al mondo della natura, in cui rifiuti di un processo produttivo diventano l'input per un altro processo produttivo. In que-sto modo, nulla viene scartato o sprecato. Per la vendita al dettaglio, l'applicazione di questo sistema significa in genere trovare nuovi usi per prodotti e per i materiali che altrimenti sarebbero scartati. Poiché le risorse diventano più scarse e più costose e l’interesse per lo svilup-po di un'economia circolare è in crescita. Ad esempio Auchan ha riciclato l'89% dei rifiuti trasformandoli in carburante, Eroski ha valorizzato il 77% dei propri rifiuti, Coop Lombardia e Coop Consumatori Nord est hanno lanciato un proget-to per il recupero degli oli domestici che, se sversati nei sistemi fo-gnari, danneggiano l’ambiente e ostacolano le misure di adattamento ai cambiamenti climatici. Recuperato, l’olio domestico, invece, può diventare carburante o glicerina ed ha un buon mercato. Calzedonia-Intimissimi ha fatto un accordo con la start up innovativa Progetto Quid che occupa persone disagiate nella creazione di nuovi capi ot-tenuti dagli scarti e avanzi di magazzini, cosi come Lowaste for ac-tion è un contest a cui partecipano le imprese aderenti a Impronta Eti-ca, Hera e la coop sociale Cittaverde, dove sono stati creati prototipo innovativi a partire dal tessile ospedaliero non più utilizzabile. Negli Stati Uniti la Foss Manufacturing produce una fibra di poliestere di alta qualità, riciclando le bottiglie di plastica che vengono trasforma-te in fibre per abbigliamento, moquette, mobili e altre applicazioni. Patagonia infine offre un servizio di riparazione dei propri prodotti, consentendo la nascita un mercato locale per la rivendita dei capi di-smessi e riciclando tutti i suoi prodotti.

* Ey-Rga

Per dimostrare i reali effetti anticoncorrenziali dell’intesa, come per sanzionare gli abusi di dipendenza economica, sareb-bero però necessarie, precisa l’Autorità, procedure contenziose contraddittorie secondo le norme del codice di commercio. In-dagini da condurre per ogni settore, perché le situazioni possono essere molto diverse fra loro e le intese possono anche dar luogo a vantaggi di efficienza suscettibili di compensare gli svantaggi eventuali. Con la sua analisi, l’Autorità fornisce però ai produttori pre-ziose indicazioni sull’uso delle possibili armi per difendersi dal-le eventuali pratiche abusive dei distributori. Inoltre può avere un’azione propedeutica, e anche dissuasiva sui retailer. Per evi-tare i rischi, ad esempio, tutte le nuove centrali hanno assicura-to che gli accordi non consentono ad alcun gruppo di superare il 15% di quota in nessun mercato. Inoltre le intese riguarderebbe-ro solo le grandi marche nazionali e internazionali escludendo le marche di distribuzione, le pmi e i produttori della filiera agrico-la: tutti fornitori che rischierebbero di trovarsi in una condizione di dipendenza economica. In conclusione l’Autorità non costata per il momento nessu-na pratica anticoncorrenziale in atto, ma invita gli uni e gli altri alla sorveglianza e a un’eventuale ridefinizione dello stato di di-pendenza economica nei rapporti fra le parti. Inoltre essa indi-ca almeno due possibili miglioramenti della disciplina esistente. Il primo consisterebbe nell’attribuire al ministero dell’Economia - nonché alla stessa Autorità della concorrenza - la possibilità di intentare una procedura sulla base delle norme in difesa del-la concorrenza, superando così il problema della mancanza di denunce da parte degli operatori. Il secondo suggerimento è di meglio identificare l’abuso di dipendenza economica, valutando anche la capacità dell’operatore di trovare un’alternativa econo-mica in un tempo ragionevole.

* Novancia Business School Parigi

In Francia si riflette sulla guerra dei prezzidi Enrico Colla* segue da pagina 8

Sostenibilità fa rima con posizionamento di Danilo Devigili e Alessandra Vaccari* segue da pagina 13

We care!di Filippo Genzini segue da pagina 12

Pratiche scorrette: meglio la norma dell’autoregolamentazionedi Antonio Longo segue da pagina 8

Allargando l'orizzonte, essendo non solo consumatori ma cit-tadini italiani ed europei e quindi preoccupati anche del regola-re andamento del mercato, dell'efficienza e della redditività del sistema economico, ci preoccupa anche il fatto che queste prati-che scoraggino gli investimenti e l'innovazione nel settore pro-duttivo, penalizzino le start up, colpiscano il contraente più de-bole. Come italiani dobbiamo preoccuparci anche del fatto che si mettono a rischio gli interessi economici di un paese mani-fatturiero e di pregiata produzione agroalimentare come l'Ita-lia. Questo è tanto più rilevante se teniamo conto della situazio-ne proprietaria della grande distribuzione nel nostro Paese. La produzione nazionale, sostiene anche il parere del Cese, vie-ne spesso sostituita da importazioni di qualità assai dubbia e di difficile tracciabilità. Le soluzioni proposte dalla commissione nel 2014 vanno nella direzione giusta, ma sono insufficienti. L'a-dozione della supply chain initiative può contribuire a far emerge-re le pratiche unfair, ma si tratta pur sempre di strumenti di auto-regolamentazione. I codici di condotta volontari spesso vengono disattesi, non contengono sanzioni, si riducono spesso a delle pre-se d'atto e dichiarazioni di buona volontà. Più efficace ci sembra l'invito della commissione agli Stati membri a valutare se il qua-dro normativo nazionale sia idoneo ad affrontare il problema e se non sia il caso di prevedere una precisa casistica da sanzionare con l'intervento del Regolatore antitrust o della magistratura. Chiudiamo questo breve intervento con la dichiarazione di apertura del parere del Cese, che "prende atto di un cambia-mento netto e positivo dell'atteggiamento della commissione europea nei confronti delle pratiche commerciali sleali. Queste pratiche non sono semplicemente sleali o contrarie all'etica ma anche incompatibili con principi giuridici fondamentali e con il regolare svolgimento del mercato". Note lobby hanno impe-dito negli anni scorsi questa consapevolezza europea. Il proble-ma non si può più ignorare. Siamo fiduciosi che ora seguiranno atti conseguenti.

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Bastano pochi numeri per descrivere la rilevanza nel tessuto economico e nella società dell’Industria dei Beni di Consumo.

Migliaia di imprese che danno un apporto determinante alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini, all’occupazione

e alla crescita dell’economia. Ibc contribuisce a creare le condizioni affinché possano esprimere il loro potenziale competitivo,

nelle relazioni di filiera, sul Mercato italiano ed internazionale.

Le industrie associate: grandi e piccole, italiane ed estere, alimentari e non food

30.000

L’incidenza sui consumi totali delle famiglie italiane

32,5%

Gli occupati del comparto, pari al 25% dei posti di lavoro del settore industriale

1.000.000

Il contributo alla creazione di valore aggiunto del settore industriale

23,7%

Siamo un comparto che conta

16 n . 2 · luglio 2015

Su queste valutazioni è completa la coincidenza di posizioni con le imprese della distribuzione e con le loro associazioni, con le quali su questo fronte è in atto una positiva collaborazione. Ci siamo proposti di fare leva su una maggio-re sinergia dei sistemi associativi di industria e di-stribuzione, riconoscendo un ruolo centrale alle due associazioni di comparto: Ibc per l’industria e Adm per la distribuzione. In questa direzione è andato il nostro lavoro negli ultimi mesi, innanzi-tutto rafforzando il coordinamento interassociati-vo industriale intorno a Ibc. Puntiamo al raccor-do tra le principali organizzazioni imprenditoriali dell’industria dei beni di consumo per fare emerge-re posizioni condivise sui temi di interesse comune: ad esempio la politica dei consumi e le liberalizza-zioni, la difesa del potere d’acquisto delle famiglie, la promozione di un contesto normativo che garan-tisca la correttezza delle relazioni commerciali. L’assonanza di posizioni è il presupposto per interventi di comunicazione e relazione pubblica e istituzionale, che realizziamo - a seconda dei casi - in maniera autonoma oppure unitariamen-te. È una scelta che, alla prova dei fatti, si è mo-strata di particolare efficacia in quanto valorizza al meglio le specificità di ciascuna organizzazio-ne, senza far perdere omogeneità ed assonanza alle nostre posizioni. Lo abbiamo sperimentato in occasione dei nostri

recenti interventi a favore della normativa in ma-teria di correttezza delle relazioni commerciali. È noto a tutti, infatti, che l’applicazione dell’articolo 62 ha definito norme inderogabili per i termini di pagamento e per le pratiche commerciali scorrette nella filiera agroalimentare. Negli oltre due anni in cui è già stato in vigore ha assicurato a tutte le im-prese significativi vantaggi in termini di semplifi-cazione delle procedure e di certezza e prevedibili-tà dei flussi finanziari. Inoltre, ha garantito una più equilibrata distribuzione della liquidità nella filie-ra, a vantaggio soprattutto delle imprese di minore dimensione. Nonostante questo complesso di evidenze, si regi-stra un concerto di posizioni, che raccoglie anche settori importanti della Gdo, che punta a indebolire questa normativa, a limitarne gli ambiti di applica-zione e gli aspetti di inderogabilità. Le posizioni più ostili si propongono addirittura di abrogare l’arti-colo 62. In sinergia con Centromarca e con le altre organizzazioni che si riconoscono nel coordinamen-to interassociativo siamo intervenuti presso il Go-verno, il Parlamento e le Commissioni Parlamen-tari contro i tentativi di indebolimento dell’attuale regolamentazione. Con le nostre azioni, pensiamo di avere dato finora un contributo importante alla difesa della normativa nella sua interezza. Più recentemente, abbiamo valutato positiva-mente il parere del Consiglio di Stato sulla liceità delle norme in vigore. Le nostre tesi a favore del-la inderogabilità dei termini di pagamento ne sono uscite completamente legittimate: un’altra occa-sione in cui le sinergie con Centromarca hanno dato una spinta per attuare la regolamentazione vigente, a tutto vantaggio delle industrie dei beni di consumo. Sempre in relazione all’articolo 62, nel corso degli ultimi mesi, abbiamo anche apprez-

zato gli interventi da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato a favore dell’en-forcement delle misure di contrasto alle unfair commercial practice. Queste evoluzioni pongono all’attenzione delle imprese industriali e distribu-tive la necessità e l’urgenza di comportamenti con-formi alla normativa, per evitare rischi giuridici, che possono provocare rilevanti danni economici. E questo vale non solo per i termini di pagamen-to, ove si segnalano condotte non sempre rispet-tose delle disposizioni di legge, pur in un gradua-le ma continuo miglioramento della situazione. Riteniamo che la normalizzazione stia avvenendo troppo lentamente, tuttavia ci sorprende che taluni distributori, tra l’altro tra i più puntuali nei paga-menti, abbiano tratto motivo dall’ancora non com-pleto rispetto della normativa per richiedere l’in-debolimento o l’abolizione dell’articolo 62. Non abbiamo condiviso questa posizione: pensiamo in-vece che le associazioni di comparto - Ibc e Adm - abbiano innanzitutto il compito di sensibilizzare i propri associati verso atteggiamenti corretti e con-formi. Le associazioni hanno la responsabilità di delineare un percorso di “moralizzazione” del si-stema, di indicare alle imprese associate i compor-tamenti virtuosi, di puntare ad allinearli a quelli degli altri paesi europei. Pensiamo, infine, che oc-corra puntare alla graduale estensione della nor-mativa alle merceologie non alimentari, perché è incomprensibile come pratiche sanzionabili per il food possano ritenersi lecite in altri settori. In definitiva, la “moralizzazione” del nostro modo di fare business è uno degli obiettivi su cui contiamo di trovare il consenso di Adm con cui è ormai aperto da tempo un dialogo costruttivo, una collaborazione piena nell’interesse della filiera e delle imprese.

A questo proposito, sul fronte dei lavori congiun-ti in sede di Indicod-Ecr, negli ultimi mesi abbia-mo fatto importanti passi in avanti. Innanzitutto sul fronte dell’allineamento informativo tra industria e distribuzione; per lo scambio dei dati tecnici di prodotto e per la loro valorizzazione negli ambien-ti digitali, basati su Internet. Mi riferisco per esem-pio al fotocatalogo "Immagino". In soli nove mesi, abbiamo fatto in modo che 600 imprese industriali siano attestate su questa piattaforma. Guardiamo a questo risultato con soddisfazione, perché si tratta di una velocità di sviluppo senza precedenti per si-stemi complessi come questo. Tuttavia la situazione non è ancora soddisfa-cente; mancano ancora i presupposti perché si riesca a passare in tempi brevi al catalogo elet-tronico, il sistema che può contribuire al migliora-mento delle performance della nostra filiera. Se-condariamente, insieme ad Adm, abbiamo mirato a dare maggiore incisività ai lavori congiunti in tema di raccordo tecnico e di efficienza della sup-ply chain. Negli ultimi 12 mesi, le conclusioni de-gli studi in tema di ottimizzazione dei trasporti e di razionalizzazione dei cicli logistici sono stati più visibili ed evidenti. Guardiamo con favore, infine, alla rinnovata at-tenzione che Indicod-Ecr pone alla valorizzazio-ne delle filiere dei beni di consumo, a partire da quella alimentare. Una scelta tempestiva se consi-deriamo che questo è l’anno in cui il nostro paese è al centro dell’attenzione globale per Expo 2015. Assicureremo a questa linea di attività congiunta il nostro supporto convinto, anche perché vi regi-striamo un’importante convergenza con le nostre posizioni a favore della competizione di valore.

* Presidente Ibc

Tra obiettivi raggiunti e opportunità da coglieredi Aldo Sutter* segue dalla prima

Il corsivo